È noto che un’elevata classe Killip, oltre ad essere un fattore predittivo
indipendente di mortalità, è correlata ad un’elevata mortalità nei pazienti con
sindrome coronarica acuta.
I pazienti in classe Killip I rappresentano la maggior parte dei pazienti che si
ricoverano per sindrome coronarica acuta e, nonostante presentino una prognosi
migliore sia a breve che a lungo termine, costituiscono il maggior numero
assoluto di morti.
L’impatto prognostico dell’ipossiemia nei pazienti con sindrome coronarica acuta
in classe Killip I è stato poco studiato.
L’obiettivo dei Ricercatori dell’Università La Sapienza di Roma è stato di
valutare l’importanza prognostica ed il valore predittivo dell’ipossiemia nei
pazienti in classe Killip I, in termini di mortalità e ri-ospedalizzazione a 180
giorni dall’evento acuto nei pazienti ammessi in ospedale con diagnosi di
sindrome coronarica acuta, con lo scopo di individuare i pazienti a più alto
rischio.
Sulla base del valore di pO2 rilevato e rapportato al valore di pO2 teorico di
riferimento, calcolato in base all’età, i pazienti sono stati suddivisi in due
classi, ipossiemici e non-ipossiemici.
Hanno preso parte allo studio 597 pazienti consecutivi in classe Killip I, di
età media 65,5 anni ( range 31-94 anni, 425 M, 172 F ), di cui il 55,3% ( n=330
) era nel gruppo ipossiemici.
Non sono state riscontrate differenze statisticamente significative tra i due
gruppi per quanto riguardava le ri-ospedalizzazioni ( long rank test p=0.53 ),
mentre la mortalità è risultata significativamente più elevata nel gruppo
ipossiemici ( long rank test p=0.016 ).
All’analisi multivariata di Cox: l’età ( odds ratio, OR=1.07; p<0.00001 ),
l’ipossiemia ( OR=0.95; p<0.01 ) ed una ridotta frazione di eiezione ( OR=0.95;
p<0.01 ) sono risultate variabili indipendenti di mortalità a 180 giorni. In
particolar modo l’ipossiemia è risultata un forte predittore di mortalità a
lungo termine ( HR=2,73; p<0.02 ).
I dati dello studio hanno indicato che l’ipossiemia è un fattore predittivo
indipendente di mortalità. Questo parametro individua, all’interno della classe
Killip I, i pazienti a più alto rischio. L’emogasanalisi arteriosa eseguita al
momento del ricovero, può costituire un utile e semplice strumento prognostico.
( 2007 )
Fonte: Stio RE et al, Giornale Italiano di Cardiologia, 2007
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