ASSOCIAZIONE
ITALIANA CONTRO MOBBING E STRESS PSICOSOCIALE
Presidente: Dott.Harald Ege.
Cosa è il MOBBING
Il
MOBBING è una forma di terrore psicologico che viene esercitato sul posto di
lavoro attraverso attacchi ripetuti da parte dei colleghi o dei datori di
lavoro.
Le forme che esso può assumere sono molteplici: dalla semplice emarginazione
alla diffusione di maldicenze, dalle continue critiche alla sistematica
persecuzione, dall'assegnazione di compiti dequalificanti alla compromissione
dell'immagine sociale nei confronti di clienti e superiori.
Nei casi più gravi si può arrivare anche al sabotaggio del lavoro e ad azioni
illegali.
Lo scopo del Mobbing è quello di eliminare una persona che è, o è divenuta,
in qualche modo "scomoda", distruggendola psicologicamente e
socialmente in modo da provocarne il licenziamento o da indurla alle dimissioni.
Le ricerche hanno infatti dimostrato che le cause del terrore psicologico sul
posto di lavoro vanno ben oltre i fattori caratteriali: si fa Mobbing su una
persona perché ci si sente surclassati ingiustamente o per gelosia, ma anche
per costringerla a licenziarsi senza che si crei un caso sindacale.
Esistono vere e proprie strategie aziendali messe in atto a questo scopo.
Il Mobbing ha conseguenze di portata enorme: causa problemi psicologici alla
vittima, che accusa disturbi psicosomatici e depressione, ma anche danneggia
sensibilmente l'azienda stessa, che nota un calo significativo della produttività
nei reparti in cui qualcuno è mobbizzato dai colleghi.
Le ricerche condotte all'estero hanno dimostrato che il mobbing può portare
fino all'invalidità psicologica, e che quindi si può parlare anche di malattie
professionali o di infortuni sul lavoro.
In Svezia un'indagine statistica ha dimostrato che tra il 10 e il 20% del totale
dei suicidi in un anno hanno avuto come causa scatenante fenomeni di Mobbing.
In Svezia ed in Germania centinaia di migliaia di vittime di Mobbing sono finite
in pre-pensionamento o addirittura in clinica psichiatrica.
In casi di questo tipo, i costi non hanno investito solo l'azienda datrice di
lavoro - che ha dovuto pagare i periodi di malattie delle vittime - ma anche la
Società stessa: un lavoratore costretto alla pensione a soli 40 anni costa alla
società ben 1 miliardo e 200 milioni di lire in più di uno pensionato all'età
prevista.
Secondo le prime ricerche, in Italia oggi soffrono per Mobbing oltre 1 milione
di lavoratori, mentre sui 5 milioni minimo è stimato il numero di persone in
qualche modo coinvolte nel fenomeno, come spettatori o amici e famigliari delle
vittime.
COSA
E’ IL MOBBING.
Il
giorno 24 febbraio 1999 il sottoscritto in qualità di R.L.S. ha partecipato al
1° seminario nazionale su: "MOBBING: una nuova causa di malattia legata al
lavoro" tenutosi presso l’Istituto di Medicina del Lavoro -L. Devoto-
dell’Università degli Studi di Milano. Visto l'interesse manifestato da vari
colleghi sull'argomento, di seguito riporto alcune parti dell'intervento che il
dott. HARALD EGE dell’associazione PRIMA di Bologna ha fatto durante il
convegno.
Il
MOBBING è una forma di terrore psicologico che viene esercitato sul posto di
lavoro attraverso attacchi ripetuti da parte dei colleghi o dei datori di
lavoro. Le forme che esso può assumere sono molteplici: dalla semplice
emarginazione alla diffusione di maldicenze, dalle continue critiche alla
sistematica persecuzione, dall'assegnazione di compiti dequalificanti alla
compromissione dell'immagine sociale nei confronti di clienti e superiori. Nei
casi più gravi si può arrivare anche al sabotaggio del lavoro e ad azioni
illegali. Lo scopo del Mobbing è quello di eliminare una persona che è, o è
divenuta, in qualche modo "scomoda", distruggendola psicologicamente e
socialmente in modo da provocarne il licenziamento o da indurla alle dimissioni.
Le ricerche hanno infatti dimostrato che le cause del terrore psicologico sul
posto di lavoro vanno ben oltre i fattori caratteriali: si fa Mobbing su una
persona perché ci si sente surclassati ingiustamente o per gelosia, ma anche
per costringerla a licenziarsi senza che si crei un caso sindacale. Esistono
vere e proprie strategie aziendali messe in atto a questo scopo. Il Mobbing ha
conseguenze di portata enorme: causa problemi psicologici alla vittima, che
accusa disturbi psicosomatici e depressione, ma anche danneggia sensibilmente
l'azienda stessa, che nota un calo significativo della produttività nei reparti
in cui qualcuno è mobbizzato dai colleghi.
Le
ricerche condotte all'estero hanno dimostrato che il mobbing può portare fino
all'invalidità psicologica, e che quindi si può parlare anche di malattie
professionali o di infortuni sul lavoro. In Svezia un'indagine statistica ha
dimostrato che tra il 10 e il 20% del totale dei suicidi in un anno hanno avuto
come causa scatenante fenomeni di Mobbing. In Svezia ed in Germania centinaia di
migliaia di vittime di Mobbing sono finite in pre-pensionamento o addirittura in
clinica psichiatrica. In casi di questo tipo, i costi non hanno investito solo
l'azienda datrice di lavoro - che ha dovuto pagare i periodi di malattie delle
vittime - ma anche la Società stessa: un lavoratore costretto alla pensione a
soli 40 anni costa alla società ben 1 miliardo e 200 milioni di lire in più di
uno pensionato all'età prevista. In questi paesi la legislazione riconosce al
lavoratore il danno derivante dall’aver subito forme di Mobbing. La
legislazione Italiana al momento è ferma al riconoscimento del "danno
biologico" derivante da forme persecutorie sul posto di lavoro.
Secondo
le prime ricerche, in Italia oggi soffrono per Mobbing oltre 1 milione di
lavoratori, mentre sui 5 milioni minimo è stimato il numero di persone in
qualche modo coinvolte nel fenomeno, come spettatori o amici e familiari delle
vittime
"Mobbing",
ovvero lo stress da persecuzione psicologica
In
un nostro precedente articolo, riferendoci ad una recente sentenza della Suprema
Corte di Cassazione, ci siamo occupati di "stress da lavoro" o da
"pendolarismo". Questa volta vogliamo occuparci, invece, di un'altra
forma di stress sulla quale si è aperto un serio dibattito fra psicologi del
lavoro. In sostanza si tratta di uno stress di cui sono vittime inconsapevoli
soprattutto lavoratori dipendenti (in Italia riguarderebbe circa un milione e
mezzo di lavoratori) che subiscono una particolare persecuzione psicologica in
ufficio o in fabbrica da parte di coloro che esercitano un potere (piccolo o
grande che sia) di comando. Tale stress psico-sociale è definito "Mobbing",
ossia "terrorismo psicologico sul posto di lavoro". Secondo il tedesco
Prof. Harald Ege, psicologo del lavoro e uno dei massimi esperti di persecuzioni
in ambienti di lavoro, "mobbing" (che nella traduzione letterale può
significare assalire, accerchiare, avvilire, rattristare) è un termine inglese
che usavano i biologi dell'800 per descrivere il comportamento degli uccelli che
per difendere il nido volano attorno all'aggressore. Negli anni ottanta questo
termine è stato ripreso nei paesi scandinavi e applicato alle persecuzioni in
azienda. Non è casuale che in alcune aziende si ricorra al "mobber"
(cioè ad un capo "aggressore") che svolga sistematicamente un'azione
psicologica su un proprio subordinato, tipo quella di criticare esageratamente
il minimo errore, seminare zizzania, minacciare ingiustificatamente, non
gratificare i successi, con lo scopo di "demoralizzarlo" per indurlo a
licenziarsi. Vi sono casi in cui il "mobber" esercita queste azioni di
"mobbing" perchè il capo vede nel proprio subordinato un possibile
ostacolo, in quanto considerato "concorrenziale" nel percorso
carrieristico. In tal caso il "mobbizzato", cioè la vittima di una
persecuzione psicologica, è portato inevitabilmente a mettersi da parte, perchè
"avvilito" e "rattristato" per quanto gli sta accadendo,
rinunciando ad una collaborazione positiva con l'azienda e quindi lasciando via
libera al proprio capo, cioè al "mobber". Lo "stress da
capo", cioè il "mobbing" stà assumendo proporzioni assai
preoccupanti, tanto da indurre un gruppo di parlamentari a presentareun progetto
di legge affinchè venga riconosciuto come malattia professionale. Il sindacato
è da tempo mobilitato per arginare questo grave fenomeno, avvalendosi anche
della collaborazione dell'Associazione italiana contro lo stress psicosociale.
Il problema che, secondo un'indagine compiuta nei paesi dell'Unione europea, stà
interessando oltre 12 milioni di lavoratori vittime di questa forma di stress e
che coinvolge anche le aziende, in quanto vengono a subire una minore resa
produttiva, è stato affrontato, ad esempio, in modo molto serio e determinato
dall'Ente nazionale per la Salute e la Sicurezza svedese che ha emanato delle
disposizioni "antimobbing", entrate in vigore sin dal 31 marzo 1994 e
che "vanno applicate in tutte quelle realtà nelle quali i lavoratori
possono essere oggetto di persecuzione durante il lavoro". (Il
testo integrale di questo interessante documento - tradotto da Roberta Clerici -
è stato pubblicato nel supplemento settimanale Lavoro.it del
quotidiano L'Unità del 31 agosto
1999). Nella Premessa ad una
Guida alle sei Sezioni che
costituiscono le raccomandazioni in ordine all'applicazione delle disposizioni
relative alle misure da adottare contro ogni forma di persecuzione sul lavoro -
disposizioni delle quali riteniamo riportarne alcuni passaggi fondamentali -
viene sottolineato che a monte di queste forme di persecuzione "possono
esserci carenze relative all'organizzazione del lavoro, del sistema informativo
interno, una gestione inadeguata del modo di lavorare, un carico di lavoro
eccessivo o, al contrario, insufficiente, il tipo di prestazione lavorativa
richiesta, carenze nella politica del personale scelta dal datore di lavoro o,
ancora, il tipo di atteggiamento tenuto dal datore di lavoro nei confronti dei
propri dipendenti e le sue eventuali reazioni. "Problemi organizzativi
persistenti e insoluti possono causare forti tensioni mentali negative nei
gruppi di lavoratori, con una diminuita capacità di tolleranza dello stress.
Questo potrebbe indurre la cosiddetta mentalità
del capro espiatorio e attivare comportamenti di rifiuto nei confronti dei
singoli lavoratori. "Le cause dei problemi vanno ricercate nelle condizioni
di lavoro reali, soprattutto nel caso in cui più persone, singolarmente, sono
state oggetto per un lungo periodo di vari tipi di persecuzione
psicologica.....". La Guida elaborata dall'Ente nazionale svedese, come si
è detto affronta le tematiche delle sei Sezioni che sono così suddivise:
Sezione
1:
definizioni. Le forme di persecuzione esercitata sul lavoratore, possono essere
determinate da vari comportamenti "quali la pressione psicologica, la
crudeltà mentale, l’isolamento sociale e le molestie, tra cui quelle
sessuali", problemi che riguardano, con sempre maggiore frequenza, la vita
lavorativa e complessivamente rientrano nel termine di violenza o persecuzione.
"Si tratta di problemi molto seri con effetti gravi e dannosi sia sui
singoli lavoratori sia sul gruppo di lavoro se non vengono valutati e gestiti in
tempo. Questi effetti possono tradursi in stati patologici, mentali e fisici,
che a volte possono diventare cronici, e sfociare addirittura in un rifiuto
della vita lavorativa e della collettività che opera nell'ambiente di
lavoro". Tra le forme più ricorrenti di peresecuzione psicologica, vengono
indicate come esempio: calunniare o diffamare un lavoratore, oppure la sua
famiglia; negare deliberatamente informazioni relative al lavoro oppure fornire
informazioni non corrette a riguardo; sabotare o impedire in maniera deliberata
l'esecuzione del lavoro; escludere in modo offensivo il lavoratore, oppure
boicottarlo o disprezzarlo; esercitare minacce, intimorire o avvilire la
persona, come nel caso di molestie sessuali; insultare, fare critiche esagerate
o assumere atteggiamenti o reazioni ostili in modo deliberato; controllare
l'operato del lavoratore senza che lo sappia e con l'intento di danneggiarlo;
applicare sanzioni penali amministrative ad un singolo lavoratore senza motivo
apparente, senza dare spiegazioni, senza tentare di risolvere insieme a lui/lei
i problemi". Sezione 2: misure
di ordine generale per prevenire qualsiasi forma di persecuzione psicologica.
Vengono riportati alcuni esempi di misure di ordine generale che il datore di
lavoro può adottare per prevenire le forme di persecuzione nei luoghi di
lavoro, come: "elaborare una politica ad hoc per l'ambiente di lavoro che,
tra l'altro, illustri le intenzioni, gli obiettivi e l'atteggiamento di ordine
generale nei confronti dei propri dipendenti; elaborare delle procedure che
garantiscano condizioni psicologiche e sociali nei luoghi di lavoro le migliori
possibili, anche per quanto concerne la situazione lavorativa e l'organizzazione
del lavoro; adottare misure per impedire che si manifestino reazioni negative
sul lavoro, ad esempio elaborando delle regole che incoraggino un clima di
rispetto e di amicizia nel luogo di lavoro. Sono soprattutto il datore di lavoro
e i suoi rappresentanti che per primi devono dare il buon esempio in tal senso.
I quadri e i dirigenti devono ricevere una formazione tale da consentire loro di
gestire le materie che rientrano nelle leggi di diritto del lavoro, gli effetti
delle varie condizioni di lavoro sulle persone, i rischi di conflitto
all'interno dei gruppi di lavoratori, in modo che siano in grado di rispondere
con prontezza con un sostegno qualificato a quei lavoratori che si trovassero in
situazioni di stress e di crisi". Nella Sezione
3 vengono sottolineati alcuni principi importanti "che devono essere
alla base della vita lavorativa di ogni individuo, e tra questi: il rifiuto di
qualsiasi atteggiamento o comportamento offensivi, a prescindere da chi sia
coinvolto o da chi ne sia il bersaglio. Riveste un'importanza particolare il
fatto che il datore di lavoro adotti misure efficaci per evitare che qualunque
lavoratore sia oggetto di forme di persecuzione da parte di altri
lavoratori". La Sezione 4
indica "Misure e procedure particolari" per prevenire problemi di
organizzazione del lavoro o di discriminazione. "Nessuno dovrebbe fare in
modo di celare eventuali forme di persecuzione, neppure in presenza di un
rischio di conflitto di lealtà. Tutti i problemi che si presentassero in un
luogo di lavoro devono essere affrontati rapidamente e in maniera pertinente e
rispettosa. Le soluzioni vanno trovate attraverso il dialogo e misure atte al
miglioramento delle condizioni di lavoro degli interessati. Se viene avanzata
qualche critica nei confronti di un dipendente, quest'ultimo ne deve essere
informato in modo che abbia l'opportunità di replicare..... Nei casi in cui
risulti ovvio che un lavoratore ha veramente provocato il risentimento di altri,
il datore di lavoro dovrebbe far presente al lavoratore in questione che è suo
dovere contribuire a creare un ambiente di lavoro sereno e un clima
vivibile..". Proseguendo, le disposizioni contenute nella Sezione 4 fanno
presente che "nella politica di prevenzione relativa all'ambiente di lavoro
il datore di lavoro deve predisporre un piano di intervento per quanto concerne
gli aspetti psicologici, sociali e organizzativi dell'ambiente di lavoro che
sono altrettanto importanti dei fattori di ordine fisico o tecnico". Gli
aspetti relativi ai rapporti umani nell'ambiente di lavoro, sono trattati nella Sezione
5 dove, fra l'altro, si legge che gli "eventuali attriti non siano
dovuti ad un'unica persona. Di regola le cause vanno esaminate in base al modo
in cui è organizzato il lavoro e non lasciare alla responsabilità di un solo
individuo. Possono fornire un importante contributo in tal senso ed essere
d'aiuto stesso tempo, però, è importante che ogni lavoratore sia consapevole
della propria capacità di contribuire ad instaurare un buon clima di lavoro,
del fatto che questo rientri nei suoi doveri. Le soluzioni ai problemi vanno
ricercate in primo luogo attraverso l'elaborazione di metodi di lavoro,
l'assegnazione del lavoro, la comunicazione, ecc. Per il raggiungimento di
questo scopo si può procedere ad un'analisi della maniera in cui lavoro è
organizzato ad esempio per quanto riguarda i doveri, i requisiti e l'autorità,
e quindi, su questa base, avviare una discussione e programmare di conseguenza.
I servizi di medicina del lavoro possono fornire un importante contributo in tal
senso ed essere di aiuto durante il processo di ricerca delle
soluzioni...". Viene fatta rilevare l'importanza che assume, di fronte ad
una forma evidente di persecuzione, l'intervento immediato del datore di lavoro
nell'affrontare quegli abusi che hanno originato la persecuzione stessa. Infine,
la Sezione 6 che ha per titolo
"Un supporto per l'individuo e il gruppo di lavoro", affronta il
problema di come un lavoratore assentatosi dal lavoro per malattia a causa degli
effetti sulla sua salute di qualche forma di persecuzione psicologica debba
essere aiutato a ritornare al suo posto di lavoro al più presto possibile.
"La normalità della vita di ogni giorno - vi si legge - e un sostegno
psicologico e personale sono sostegni fondamentali per neutralizzare le gravi
conseguenze di esperienze così traumatiche. Un rapido inserimento dipende in
gran parte dal fatto di mantenere dei contatti positivi con la persona, sia egli
in malattia o meno, e dall'opportunità che la persona ha di parlare
privatamente sia con i compagni di lavoro sia con il datore di lavoro in merito
a quanto è accaduto". Abbiamo ritenuto utile affrontare questo argomento
perchè, a causa della sua particolarità, molte volte viene sottovalutato dagli
stessi lavoratori, rispetto ad altre problematiche attinenti le malattie
professionali. Riteniamo, invece, che il problema esista in molti luoghi di
lavoro e che quindi debba essere affrontato nell'ambito della tutela non solo
della dignità, ma della salute complessiva dei singoli lavoratori.
Mobbing
Terrorismo
psicologico sul lavoro
Il
termine Mobbing, inglese, letteralmente indica "l'assalto di un gruppo ad
un individuo"; per gli studiosi del comportamento animale è
"l'esclusione di un individuo dal suo branco"; in medicina del lavoro
indica una violenza psicologica, talvolta anche fisica, perpetrata sul posto di
lavoro che a poco a poco diventa insopportabile: si comincia con un saluto
negato, battute che sono insulti, scherzi troppo pesanti, i colleghi ti ignorano
o ti guardano male, i capi sono insoddisfatti, il lavoro non gira, l'ansia di
sbagliare fa' sbagliare di più, l'insofferenza rende improduttivi ed
insopportabili. Si arriva in ufficio con l'aria cupa, lo stomaco contratto il
mal di testa, si esce poi nervosi e si perde il sonno.
Insomma, il Mobbing è una forma di terrore psicologico che viene esercitato sul
posto di lavoro attraverso attacchi ripetuti da parte dei colleghi o dei datori
di lavoro per eliminare una persona che è o è divenuta scomoda, distruggendola
psicologicamente e socialmente, in modo da provocarne il licenziamento o da
indurla alle dimissioni senza che ci sia un caso sindacale: esistono vere e
proprie strategie aziendali messe in atto a questo scopo.
Altre forme che il Mobbing può assumere vanno dalla semplice emarginazione alla
diffusione di maldicenze, dalle continue critiche alla sistematica persecuzione,
dall'assegnazione di compiti dequalificanti alla compromissione dell'immagine
sociale nei confronti dei clienti e superiori; nei casi più gravi si può
arrivare anche al sabotaggio del lavoro e ad azioni illegali.
Il Mobbing ha conseguenze di portata enorme: causa problemi psicologici alla
vittima che accusa disturbi psicosomatici e depressione, ma anche danneggia
sensibilmente l'azienda stessa che nota un calo significativo della produttività
nei reparti in cui qualcuno è "mobbizzato" dai colleghi.
Secondo le prime ricerche in Italia oggi soffrono di Mobbing oltre 1 milione di
lavoratori.
In Italia esiste da tre anni PRIMA, l'Associazione Italiana contro Mobbing e
Stress Psicosociale, fondata a Bologna dal dottor Harald Hege (tel. 051/6148919)
e coordinata a Milano dal dottor Renato Gilioli presso la Clinica del Lavoro
<<Luigi Devoto>> con sede in via S. Barnaba, 8 (tel. 02/57992644
lun-ven 8.30-12.30 e 13.30-16; e-mail: omscons@csi.inimi.it).
L'associazione intende realizzare il suo scopo (prevenzione delle cause e
assistenza e sostegno a coloro che hanno subito gli effetti del Mobbing
attraverso:
- promozione, sostegno e coordinamento di ricerche scientifiche, consulenze,
studi, pubblicazioni e seminari sul tema;
- sensibilizzazione, informazione consulenza e assistenza sullo sviluppo
post-formativo;
- prevenzione, cura e riabilitazione psicofisica, sociale e professionale delle
vittime del Mobbing attraverso terapie ambulanti e stazionarie adeguate alla
causa scatenante.
Il
"mobbing" non esiste?
Note a margine di una polemica di costume
È
difficile stabilire il momento in cui da quella incombente massa di termini
nuovi se ne stacca uno che cessa di essere un’ostilità e diventa normale
dotazione del vocabolario personale. Forse non esiste proprio, quel momento.
Sta di fatto che è frequentissimo, ormai, sentire il pescivendolo che dice a
sua moglie: “Fammi una “demo” sulle triglie per fare una “info” per il
grossista che mi ha chiesto una “memo”…
Naturalmente la lingua regina in questo campo è l’inglese e anche lì abbiamo
tutti acquisito moltissimo.
Penso con speciale tenerezza a quando sbirciando gli appunti sindacali di
Montaldo o Priano ci trovavo scritto “Nouau” o “Fartain” (evidente il
riferimento a riunioni sulle politiche industriali o sull’orario).
Fra i termini a tutt’oggi non del tutto acquisiti (e non credo solo da me) ho
notato “Mobbing”. Il saperne poco mi inquieta sempre ma in questo caso è
proprio il poco che ne so a spaventarmi. Probabilmente mi lascio suggestionare
dalle ombre cinesi o forse è stato un errore cercare sul dizionarietto che mi
regalò nel ‘60 un anziano cameriere che navigava per l’Australia col Lloyd
Triestino: Mob risulta un sostantivo che significa folla, plebe, canaglia; come
verbo fa maltrattare.
Per fortuna ho trovato sulla stampa (Repubblica del 26/05/1999, Esperienza n.
6/99, ecc.) notizie più attuali. Ma affatto tranquillizzanti… Tratterebbesi
di un comportamento emarginatorio (pesante o sottile, a seconda delle
“scuole”) ai danni di qualcuno da parte del principale o del capo o di
qualche gruppetto rampante. Molestie morali, insomma.
Ora io dico una cosa: se è un fenomeno così diffuso ed evidente come dicono
avrei dovuto notarlo anch’io nelle vicende e negli ambienti quotidiani del
lavoro. Avrei dovuto osservare che il mio capo, che è un dirigente giovane,
dinamico, moderno, formato a tener sempre nel massimo conto il sociale, lo
psicologico, l’organizzativo, pacifista tanto convinto quanto discreto
(tant’è vero che ai sit-in alla mostra navale non l’ho mai notato) si
lascia andare a preferenze e a grossolanità stilistiche.
Dovrei anche notare che il suo luogotenente (ogni capo ce l’ha, com’è
naturale), uomo proveniente dalla gavetta, grande conoscitore della “truppa”
per averne fatto parte e per la cui dignità ed emancipazione non ha ancora
finito di spendersi, si crogiola nel piacere per il raggiungimento dei
“gradi” e di colpo gli vengono meno gli slanci solidaristici.
Analogo il discorso per il cad manager, per il normalizzatore leader, per il
progettista senior e per tutti gli altri dello staff locomotiva.
Il “mobbing” è proprio il contrario di queste personalità; è disconoscere
il valore dell’altro, è approffittare delle novità normative e metodologiche
per metterlo in difficoltà, è ignorarne la presenza, è non provvedere ai suoi
bisogni logistici, elementari, è ridurre i posti a tavola, è abdicare al ruolo
di garanti dello standard di civiltà dell’ambiente, è asseragliarsi nella
torre d’avorio di qualche gergo, è credere alla rottamazione umana.
Oltrettutto si presterebbero, essi, ad anteporre meschini interessi personali o
di clan dominante all’interesse dell’azienda che consiste, soprattutto, nel
valorizzare al massimo del possibile ogni risorsa, a cominciare da quelle umane?
La mia personale conclusione su questa faccenda è semplice e secca: il
“mobbing” non esiste. È soltanto un’invenzione di giornalisti alla
ricerca di argomenti nuovi per muovere le acque della polemica di costume e di
psico/sociologi bramosi di spazio nei convegni su tanti altri (veri) problemi
del lavoro. O, più banalmente, di quei Cipputi, Fantozzi e Bean sempre in cerca
di un motivo per piagnucolare.
Mi si potrebbe dire, poi, che in America la cosa ha una sua forte
appariscenza…
Beh, d’accordo: là sono in tutto più avanti…
Eugenio Bracco
Mobbing: l’emarginazione sul posto di lavoro
Speciale
a cura di Stefano Crosara
“Terrore psicologico sul posto di lavoro”. Uno studioso tedesco ha
così definito l’insieme delle azioni e delle pratiche, talvolta molto
sottili, volte a emarginare un persona nel proprio ambiente lavorativo. Nessuna
categoria sembra immune da questo fenomeno che ha assunto a partire dagli anni
Ottanta il nome inglese di “mobbing”. Che cosa sia, quali siano le
ripercussioni psicologiche e materiali sugli individui e sulle aziende, quali
siano gli strumenti più idonei per contrastarlo: sono alcune delle domande cui
oggi si cerca di dare risposta. In Italia tutto ciò avviene in ritardo, ma una
sorta di fronte anti-mobbing sta muovendo i suoi primi passi. Ne testimoniano
alcuni studi, associazioni, inchieste e le proposte di legge in materia, ma
soprattutto il racconto di chi ha vissuto in prima persona questo genere di
problemi.
Se desideri raccontare la tua storia scrivi
alla redazione, le lettere saranno pubblicate sul Job On Line in forma
rigorosamente anonima.
Il
mal d'ufficio
ultima trovata delle filosofia buonista
di
Francesco Merlo
tratto "Sette" n° 47 del 26/11/1998, supplemento del "Corriere
della Sera"
L'ultima
trovata della filosofia buonista è il "mobbing" , il mal d'ufficio,
il malessere provocato dalle calunnie dei colleghi, dalle prepotenze dei capetti
e dei concorrenti, la maldicenza che ti ostacola la carriera, le piccole sevizie
subite quotidianamente sul lavoro, il doppiogioco del compagno.
Importata dagli Stati Uniti, questa malattia è diventata subito di moda, la Uil
ha aperto un sportello "mobbing", i medici del lavoro rilasciano
certificati diagnostici e prescrivono cure, gli esperti di diritto comparato
ricordano che in Germania chi è vittima del "mobbing" può chiedere
il prepensionamento e in Scandinavia il "mobbing" è addirittura un
reato.
Medici e sindacalisti, giornalisti e professori vorrebbero che gli uffici
italiani fossero dunque finalmente purificati dal morbo del "mobbing",
niente più calunnie e invidie, per esempio, tra gli impiegati del Comune e
della Provincia di Perugia che, rispondendo a un questionario, hanno denunciato
le violenze del "mobbing", le sue cattiverie e soprattutto i suoi
danni.
La parola inglese "mobbing" viene dal latino "mobile vulgus",
che significa appunto "il movimento della gentaglia". E il "mob",
termine inglese molto usato dagli storici, è un conflitto sociale senza capi,
un fuoco plebeo: un tipico "mob" fu, in questo senso, la cosiddetta
rivolta di Reggio Calabria nel 1970, quella famosa dei "boia chi
molla". È dunque da "mob" che si arriva a "mobbing",
all'assalto della gentaglia d'ufficio contro il novellino, il più bravo, il più
ambizioso.
Benché sgradevole, stressante, doloroso e maleodorante, il "mobbing"
è anche uno straordinario strumento di selezione, l'ordalia medievale che rende
forti e seleziona i migliori, la dura strada dell'apprendistato, della fatica,
della rabbia. In qualche modo il "mobbing" è la vita stessa di un
ufficio, perché la maldicenza e la calunnia, l'invidia e il trabocchetto sono i
"mob", gli spasmi della violenza subalterna, necessari al mediocre
come alla seppia è necessario emettere l'inchiostro per nascondersi e sfuggire
nel buio all'attacco dell'animale più feroce.
Non esiste persona di successo che non abbia incontrato e superato il "mobbing",
e che, subendo il "mobbing", non si sia forgiato.
Ricordo bene un giovane giornalista che quando arrivò nella redazione romana di
un grande quotidiano fu subito sottoposto, da capi e vicecapi, colleghi
frustrati e vecchi inaciditi dall'insuccesso, a uno stillicidio di violenze
grasse e volgari, sottili e raffinate. Lo ricordo sull'orlo del panico, con il
viso tirato e le mani sudate. Ma lo ricordo pure arrabbiato e combattivo. A ogni
"mob" che gli veniva sferrato diventava un po' più bravo: per
superare calunnie e violenze doveva attrezzarsi, spostare il proprio limite,
dimostrare, nella professione, di essere più forte della piccola calunnia
mediocre e delle meschinità dei colleghi frustrati.
La dialettica degli uffici del resto non è fatta solo di "mobbing",
ci sono anche i colleghi generosi, i saggi, i simpatici, gli imprendibili
fuoriclasse.
E infine senza "mobbing" né Kafka né Svevo avrebbero scritto i loro
capolavori e senza "mobbing" Dino Buzzati non avrebbe neppure
immaginato "Il deserto dei tartari", quel romanzo sul "mobbing"
praticato (a quei tempi) al "Corriere della Sera". Una storia che è
un omaggio straordinario alla maldicenza, alla calunnia, al dolore e alla
miseria, insomma alla vita della gentaglia d'ufficio.
Mobbing e spleen
Intervista
a:
Maria Grazia Cassitto
Articolo di:
Silvia Bassino
“…E
lunghi funerali, senza banda né tamburi,
lentamente sfilano nella mia anima; la Speranza, disfatta,
piange; e l’Angoscia atroce, dispotica, pianta
sopra il cranio chinato la sua bandiera nera.”
Spleen
Charles Baudelaire
Instaurare
un parallelismo tra “mobbing” e “spleen” è quanto mai azzardato e
fuorviante. Il primo infatti è un “meccanismo” promosso da un soggetto o un
gruppo di soggetti a discapito di una persona specifica, il secondo, lo spleen,
è insito nella condizione umana che per Baudelaire è “condizione di
irreparabile degradazione”. Nonostante le profonde differenze, le
contraddizioni e le forzature che un simile accostamento può apportare, mobbing
e spleen condividono un eguale scenario psicofisico. In entrambi i casi infatti
si sperimentano stati di prostrazione fisica e psichica intensi, senso di
angoscia, di disperazione e di inadeguatezza. La complessità del mobbing è
inoltre alimentata dalla complessità del luogo ove nasce e si sviluppa: le
organizzazioni. Mai come in questi anni si è assistito a cambiamenti
organizzativi e culturali profondi, cambiamenti che incidono sulla vita delle
persone a volte con risvolti negativi.
Per
comprendere meglio le caratteristiche di questo nuovo meccanismo – nuovo non
perché insorto da poco, ma solo perché analizzato recentemente – abbiamo
posto alcune domande a Maria Grazia Cassitto, che da anni si occupa della
tematica.
Quando
si parla di mobbing che cosa si intende? Una sorta di etichetta che comprende
una serie di comportamenti specifici, un cappello al di sotto del quale stanno
diversi tipi di molestie morali? Come possiamo definire il mobbing?
Mobbing
è termine mutuato dal mondo animale. Si riferisce a quel meccanismo per cui in
una popolazione animale un individuo viene espulso dalla comunità di
appartenenza con dei comportamenti propri di allontanamento o di aggressività o
perché considerato estraneo alla comunità animale stessa o perché ritenuto
malato e in ogni caso pericoloso. In sostanza è un meccanismo di difesa grazie
al quale un gruppo animale mantiene la sua omogeneità espellendo il “non
simile” con comportamenti lesivi che in alcuni casi portano fino alla
distruzione dell’individuo ritenuto “diverso/inadeguato”.
In
ambito organizzativo si tratta sostanzialmente di molestie morali che vengono
esercitate da parte di un individuo o di un gruppo nei confronti di un individuo
e può essere esercitato sia in orizzontale, tra pari, o in verticale,
capo-subordinato, subordinati-capo. Tale fenomeno ha acquisito una rilevanza
maggiore in quest’ultimo decennio in relazione ai cambiamenti che sono
sopravvenuti nel mondo del lavoro e nel più ampio contesto economico sociale
della società in cui viviamo.
In
passato il termine mobbing identificava soprattutto anomali rapporti
interpersonali all’interno di realtà lavorative, adesso vediamo convivere
questo tipo di mobbing con un altro tipo, che è caratterizzato da un insieme di
comportamenti sistematici tesi all’eliminazione di un soggetto o di più
soggetti da una realtà lavorativa che si sta modificando. Il mobbing oggi viene
spesso utilizzato come meccanismo per risolvere problemi di ristrutturazione
organizzativa, è un meccanismo molto più organizzato, premeditato e come tale
indubbiamente più incivile.
Quando
è nato l’interesse per questo tipo di “meccanismo” in ambiti
organizzativi e quando in Italia si è cominciato a parlare di mobbing?
Benché
in molte pubblicazioni si attribuisca agli americani il merito di aver avviato
gli studi in questo ambito, i primi a occuparsene sono stati i Paesi scandinavi,
sempre molto attenti alle problematiche dei diritti umani. Gli americani si sono
soprattutto occupati di molestie sessuali e continuano a occuparsene moltissimo,
molto meno invece di molestie morali, cioè di mobbing.
In
Svezia il professor Leymann è stato il primo che, già quindici anni fa, ha
iniziato a mettere a fuoco le caratteristiche del mobbing, quindi non solo a
individuarne esistenza e rilevanza, ma ad attribuirvi caratteristiche
specifiche, modalità di insorgenza, soggetti maggiormente colpiti e relative
conseguenze psicofisiche. Esiste ormai una legislazione in materia, regole
scritte che vigono all’interno delle realtà lavorative e che consentono sia
ai datori di lavoro sia ai dipendenti di difendersi, di prevenire, di gestire le
situazioni di mobbing qualora si manifestino. Leymann ha poi facilitato la
diffusione e l’interesse per il mobbing, che si è spostato dai Paesi
scandinavi alla Germania e in un secondo momento negli altri Paesi europei.
Sembra che in Germania anche l’uomo della strada sia al corrente e sappia che
cosa si intende per mobbing. Del resto, come esempio organizzativo, basti
pensare che la Volkswagen ha all’interno delle sue varie divisioni persone cui
rivolgersi nel caso in cui un dipendente ritenga di essere vittima di una
situazione di persecuzione e di molestie morali. Anche sul territorio nazionale
esistono sportelli d’ascolto.
Molto
meno sensibili e veloci sono stati gli altri Paesi, Francia, Olanda, Svizzera e
Italia, dove solo ultimamente inizia a diffondersi la cultura del mobbing. In
Italia il mobbing è arrivato tramite un collega e collaboratore di Leymann,
Harald Hege, ma già circa dieci anni fa Leymann era venuto da noi a fare una
conferenza. Sin da allora avevamo potuto inquadrare il problema con chiarezza,
anche perché l’abbiamo immediatamente collegato a situazioni riferite da
soggetti che si vedono quotidianamente nell’esercizio della medicina del
lavoro. Nel nostro istituto, infatti, vengono svolte visite di idoneità al
lavoro e in queste occasioni, nel corso degli anni, abbiamo assistito a una
crescita esponenziale del fenomeno mobbing. L’approccio al mobbing, come
dicevo, è entrato in Italia con Harald Hege, di origine tedesca, che lavora a
Bologna e che ha creato l’associazione – Prima – alla quale possono fare
riferimento tutte le persone che ritengono di essere vittima di mobbing.
Dei
pazienti che si rivolgono alla Clinica del Lavoro quanti lamentano situazioni
riconducibili al mobbing? E nel corso degli ultimi anni ha avuto modo di
riscontrare dei cambiamenti specifici a esso legati?
Negli
ultimi due anni la stragrande maggioranza dei pazienti che si rivolgono al
nostro Centro per lo studio, diagnosi e prevenzione del disadattamento
lavorativo riguarda situazioni di molestie morali. Inizialmente vedevamo molte
persone subire molestie morali da parte di colleghi e/o superiori, come
conseguenza di anomali rapporti interpersonali che venivano declinati nella
realtà in situazioni quali, per esempio, il capo che vittimizza un dipendente,
il gruppo di lavoro che vittimizza un collega solo perché ritenuto diverso
rispetto a banalità quali differenze di interessi sportivi, o a situazioni più
serie quali i portatori di handicap. Adesso le situazioni che con maggior
frequenza vengono portate alla nostra attenzione riguardano soggetti in
situazioni di ristrutturazioni aziendali o fusioni, tipico caso in cui si deve
eliminare personale in esubero. Il fatto che in alcune realtà lavorative esista
personale in esubero è comprensibilissimo, ma è inaccettabile che il
meccanismo a cui si fa ricorso non sia un meccanismo di chiarezza, ma
determinato dall’utilizzo di mezzi subdoli.
Ci
può fare un esempio pratico dell’utilizzo di quelli che definisce “mezzi
subdoli”?
Le
situazioni create dal meccanismo di mobbing sono le più diverse ma seguono un
percorso abbastanza tipico. Senza preavviso, si sottraggono compiti prima svolti
dalla persona “vittima” per darli ad altri collaboratori. Vengono inviate
lettere nelle quali la persona è ripresa per mancanze inesistenti o del tutto
trascurabili; si passa poi a isolare le comunicazioni e come conseguenza
immediata la persona, non ricevendo più il normale flusso di informazioni, non
è più in grado di svolgere il suo lavoro che quindi può essere ulteriormente
stigmatizzato. Infine, spesso in occasione di una breve malattia o assenza, la
persona torna e non trova più la segretaria, la stanza, addirittura la
scrivania, oppure trova la scrivania completamente vuota con il telefono non
collegato e il computer non in rete. Nessuna richiesta di spiegazioni verbali o
scritte ottiene risposta.
Sono
disponibili studi cross-culturali che evidenziano differenze e/o somiglianze tra
i diversi Paesi e la tipologia di mobbing presente?
Non
sono disponibili al momento studi cross-culturali, tuttavia da quello che noi
possiamo osservare dalla letteratura, ci sembra di vedere che il mobbing in
Italia ha caratteristiche leggermente diverse rispetto agli altri Paesi. Queste
differenze sono in parte legate al nostro modo di gestire le situazioni
personali/professionali e in parte legate al momento socioeconomico che stiamo
vivendo.
All’estero,
per quello che abbiamo letto, visto e saputo dai colleghi, è molto più tipico
e diffuso il mobbing del primo tipo, che riflette un problema di rapporti
interpersonali o di ambiente di lavoro malato tra individui, tra capo e
subordinati e viceversa. In Italia c’è sicuramente ed è ugualmente diffuso
questo tipo di molestia morale, ma emerge con maggior evidenza il secondo tipo
che appare più specificamente italiano. In Italia, infatti, è presente una
regolamentazione dei rapporti di lavoro più rigidi: per esempio la possibilità
di licenziare o di spostare le persone lontano dalle zone di residenza ha regole
diverse rispetto a realtà estere. Nel nostro Paese esiste tutta una serie di
protezioni e tutele per il lavoratore che rendono difficile licenziare e/o
spostare i lavoratori dalla sera alla mattina. Questa situazione fa sì che
l’insorgenza del secondo tipo di mobbing sia molto frequente. Questo secondo
tipo di mobbing è in un certo senso predeterminato: “Io ti voglio eliminare,
ma per tutta una serie di vincoli non posso farlo, allora io ti dequalifico, mi
accanisco sempre più fino al punto in cui non riesci più a sostenere la
situazione e ti dimetti”.
Per
quanto riguarda il confronto con altri Paesi è possibile sottolineare una
caratteristica italiana già messa in evidenza da Hege, che riguarda il ruolo
della famiglia. Rispetto alle altre realtà estere la famiglia ha per noi
connotazioni particolari: è una realtà molto più presente, molto più
interferente nella vita, molto più giudicante e protettiva, ma paradossalmente
proprio per tutti questi aspetti a volte molto più condizionante e
penalizzante. Al punto che spesso la famiglia non capisce che cosa sta
succedendo e legge quello che la vittima racconta come suoi problemi (per
esempio: “Te l’ho sempre detto anch’io che hai un caratteraccio”, oppure
“Questo è il mondo del lavoro. Ti devi abituare e non badare se ci sono
mancanze”).
All’estero
sono molto più sensibili di noi, non perché siano più bravi, ma perché
formalmente c’è una maggiore chiarezza sul percorso da compiere per invadere
il “territorio” dell’altro.
Un
altro aspetto rilevante è che spesso i nostri non parlano in famiglia di quello
che succede al lavoro. Per esempio, abbiamo visto casi di persone che,
licenziate in tronco, non dicono nulla alla famiglia e per mesi escono
regolarmente la mattina e tornano la sera fingendo di essere andati al lavoro.
Come
conseguenza del mobbing è possibile individuare una serie di patologie che
ricorrono con frequenza?
Il
mobbing ha una serie di conseguenze sulla salute psicologica e fisica delle
persone. Inizialmente è presente una forte autocentratura nell’attribuzione
della colpa, frasi tipiche e ricorrenti sono: “Sono io che mi sbaglio”,
“Sono io che non capisco”. Il secondo momento, facilitato da un supporto
famigliare scarso, è caratterizzato dalla solitudine: “Non può che capitare
a me una cosa del genere”, “È una situazione talmente delirante che può
succedere solo a me”.
A
questo stato di isolamento e autocolpevolizzazione si accompagnano disturbi del
benessere fisico che si manifestano a tre livelli: emozionale, psicosomatico, di
comportamento. Il disturbo emozionale si caratterizza inizialmente con una ampia
variabilità dell’umore, irritabilità e aggressività, ansia, depressione,
attacchi di panico, facilità al pianto, un cambiamento radicale nel modo di
reagire alle situazioni.
A
livello psicosomatico l’insonnia è uno dei primi disturbi, vi è poi tutta
una serie di alterazioni del corpo che sono molto soggettive. C’è chi
somatizza con il mal di testa, chi con mal di stomaco, c’è chi tutte le
mattine prima di andare a lavorare ha nausea e vomito, la famosa cervicale e mal
di schiena, causati dallo sforzo di “tenere duro” e che porta il tronco a
irrigidirsi. È presente in sostanza l’intera gamma dei disturbi
psicosomatici, disturbo somatico indotto o sostenuto da un disturbo emozionale.
Infine vi è la sfera del comportamento e delle relative
alterazioni/modificazioni. Casi frequenti sono, per esempio, un massivo aumento
del fumo in una persona che prima fumava poco, la perdita dell’appetito oppure
una fame smodata, l’abuso di alcol, una chiusura progressiva nei confronti
dell’esterno, non si vedono più gli amici, non si leggono più giornali e vi
è una perdita di qualsiasi interesse che porta anche a un isolamento
all’interno della famiglia. Nei casi in cui la situazione si protrae per molti
mesi, talvolta per anni, si verificano casi di perdita della progettualità, di
proiettarsi nel futuro. Le persone non vedono vie di uscita e questo è
aggravato dal fatto che si tratta spesso di persone con età avanzata rispetto
al mercato del lavoro.
Per
trovare alternative nel mondo del lavoro queste persone dovrebbero presentarsi
come figure vincenti, ma ciò è impossibile perché anche se in precedenza lo
erano state in seguito al mobbing si percepiscono come vinte. Il protrarsi e il
cronicizzarsi dei disturbi che abbiamo citato ai differenti livelli portano alla
“sindrome post-traumatica da stress”, con conseguenze drammatiche anche a
livello famigliare, divisioni, separazioni, rapporti difficoltosi con i figli.
A
livello psicologico che tipo di approccio e strumenti vengono utilizzati per la
diagnosi di questo meccanismo?
Nel
nostro Centro per il disadattamento lavorativo, che è struttura comprendente un
neuropsichiatra, uno psicologo e figure tecniche, viene fatta della diagnostica
che ha come obiettivo iniziale quello di inquadrare le effettive situazioni di
molestie morali. Ovviamente non tutti quelli che arrivano lamentando di essere
vittime del mobbing lo sono effettivamente: esistono personalità disturbate,
persone che hanno difficoltà di adattamento al modificarsi delle situazioni
oppure soggetti che si reputano degli incompresi. Gli esami che vengono
effettuati sono plurispecialistici. Si indaga la presenza di molestie morali con
un colloquio occupazionale molto approfondito, che riguarda l’intera vita
lavorativa del soggetto e con un colloquio clinico di tipo specificamente
psicologico per analizzare le caratteristiche di personalità e gli approcci
relazionali.
I
soggetti effettuano una visita neurologica con esami strumentali e accertamenti
psicodiagnostici mirati sia a valutare lo stato psichico del soggetto, i danni
subiti, sia a raccogliere elementi per una diagnosi differenziale. Oltre ai
reattivi tradizionali vengono utilizzati questionari ad hoc che riguardano i
disturbi avvertiti, le condizioni di lavoro, le caratteristiche dei rapporti
all’interno del mondo dell’organizzazione, i carichi di responsabilità, il
carico mentale e fisico, i livelli di stress e di arousal. Ove necessario
collabora con noi un medico del lavoro. Tutti questi esami occupano due
mattinate intere e una volta elaborati si discutono i risultati e i consigli
terapeutici con i soggetti. Nei diversi casi si consiglia una farmacoterapia,
una psicoterapia; se è possibile incidere sull’ambiente di lavoro si contatta
il medico competente, in alcune situazioni di forte gravità si consiglia il
ricorso alle vie legali.
Oltre
all’approfondita e articolata fase di diagnosi è compiuta anche quella di
supporto e attuazione della terapia?
Per
quanto riguarda la farmacoterapia spesso la consigliamo noi direttamente e ne
controlliamo il decorso con successivi controlli. Per quanto riguarda la
psicoterapia tendiamo a indirizzare i soggetti dove opportuno e possibile,
considerando sia gli aspetti di personalità del soggetto sia le sue
disponibilità economiche. Nella nostra sede, dalla fine dell’anno scorso, vi
sono colleghi che stanno terminando la scuola di psicoterapia quadriennale e,
sotto la supervisione dei loro docenti, seguono casi di persone in urgente stato
di necessità psicologica e di non disponibilità economica.
È
previsto un monitoraggio delle persone da parte vostra o si ripresentano loro a
distanza di tempo?
In
genere si chiede un controllo a 3, 6 mesi. Nel frattempo a Milano e Roma si sono
creati gruppi di autoaiuto, dove le persone possono trovarsi e confrontarsi.
Questo ha un forte valore terapeutico, perché permette loro di rendersi conto
che non sono gli unici a vivere delle situazioni di mobbing, che anche altri le
sperimentano e magari in forme addirittura più negative e drammatiche. Quello
che stiamo cercando di favorire è il moltiplicarsi di questi gruppi affinché
se ne creai almeno uno per regione e provincia. A Roma anche l’Istituto
Nazionale Per la Sicurezza del Lavoro (Ispesl) è diventato un centro di
riferimento per coloro che hanno questi problemi, e a loro fa capo il gruppo di
autoaiuto romano. Nei prossimi mesi se ne dovrebbe aprire uno anche in Piemonte.
Per
riassumere, quali sono i punti di riferimento in Italia per le tematiche
relative al mobbing?
Il
nostro Centro per il disadattamento lavorativo è un po’ anomalo rispetto a
tutte le altre strutture, perché operando in una reltà mista, sia ospedaliera
– che dispone di unità di diagnosi e cura – sia universitaria, possiamo non
solo fare ricerca ma seguire il paziente da quando ci chiede una visita; fare
sia l’inquadramento lavorativo sia gli accertamenti clinici, anche in regime
di ricovero per soggetti che vengono da molto lontano, fino ad arrivare al
consiglio terapeutico, al controllo successivo e all’inserimento nel gruppo
terapeutico dell’associazione di autoaiuto. L’Ispesl non ha la parte
clinico-diagnostica ma svolge un ruolo di centralità per l’Italia, ha
favorito e contribuito alla creazione dei gruppi di autoaiuto e sostiene la
ricerca e il coordinamento tra i gruppi. Infine vi è l’associazione Prima di
Bologna, dove è possibile avere un inquadramento del caso e orientamenti sia
terapeutici sia eventualmente legali. Al momento non esistono altre realtà
operative, ma la situazione sta evolvendo visto l’alto numero di persone
vittime di mobbing.
Rispetto
al passato è possibile avere qualche evidenza numerica dell’evoluzione della
situazione?
Dall’anno
scorso direi che abbiamo visto qui a Milano circa 250 persone, rispetto a un
numero molto ridotto fino a qualche anno fa. La sensibilizzazione su questa
tematica sta crescendo e vengono alla luce situazioni tenute nascoste o
incomprese in passato. Da questo punto di vista i media hanno fatto un enorme
lavoro con trasmissioni radiofoniche, televisive e articoli su carta stampata.
Per
concludere, parlando di numeri aggiungerei l’importanza e la rilevanza che il
mobbing ha da un punto di vista economico. Non bisogna infatti dimenticare che
la persona vittima di molestie morali, con la perdita di professionalità e le
conseguenze psicofisiche cui abbiamo accennato, è un costo sia per
l’organizzazione di appartenenza sia, una volta entrata nel percorso della
malattia, per l’intera società
Convegno
a Roma su un fenomeno in crescita:
colpisce il 6 per cento della popolazione
attiva
Mobbing,
le vittime
sono un milione e mezzo
Proposte di legge ferme in Parlamento,
una sola struttura
sanitaria adatta: l'unica arma sono le
associazioni anti-molestie
di CLAUDIA MORGOGLIONE
ROMA
-
Si nascondono nei ministeri più potenti come negli uffici comunali più
sperduti, sono numerosissimi in ospedali, scuole, poste o banche, se ne trovano
decine e decine perfino nelle sedi dei sindacati o di Confindustria. Un milione
e mezzo di persone, secondo le associazioni nate per combattere il fenomeno, un
milione e 200 nelle stime più prudenti di alcuni parlamentari: in ogni caso un
esercito, quello dei lavoratori vittime del mobbing. Emarginati ingiustamente,
trattati senza alcun riguardo, costretti a non far nulla o ad occuparsi di
compiti inferiori alla propria qualifica; colpiti nella serenità, schiavi dello
stress, facile preda di malattie psicosomatiche varie.
E
l'esercito continua ad ingrossarsi: secondo un'altra ricerca, il 6 per cento
della popolazione attiva rientra nella categoria. E se le speranze di approvare
uno dei provvedimenti legislativi presentati per prevenire e combattere il
fenomeno (una proposta firmata da Giorgio Benvenuto ed altri è appena approdata
in Commissione) non sono poi così certe, l'unica soluzione, per adesso, è
riunire gli sforzi, combattere collettivamente, affidarsi al volontariato. A
fronte di una giustizia lentissima e della presenza di un'unica struttura
sanitaria pubblica adatta, sull'intero territorio nazionale, con sede a Milano.
E con costi altissimi: c'è chi ha calcolato che ogni impiegato mobbizzato fa
spendere alla collettività il 190 per cento in più del suo salario lordo
annuo: la cifra comprende la sua assoluta non produttività sul lavoro, il
"prezzo" sociale e familiare della sua depressione, quello per i
farmaci, quello dell'eventuale ricorso alla magistratura.
A
tracciare il quadro, abbastanza drammatico, è stato un convegno che si è
svolto oggi a Roma alla Sala del Cenacolo, organizzato dal centro studi Europhe.
E, se i racconti in prima persona hanno fatto emergere la grande varietà di
situazioni "mobbistiche" - dall'ingegnere
prigioniero dello scantinato, al mobbizzatore
che diventa mobbizzato, a chi ha reagito fondando
un'associazione - sulle cause, e sui rimedi, non c'è stata unanimità
di vedute. Ad esempio il segretario generale della scuola superiore della
pubblica amministrazione, Raffaele Pellegrino - pur ammettendo la vastità del
fenomeno in tutti i tipi di uffici pubblici - ha sottolineato che un'azione di
prevenzione è possibile.
Più
pessimista il sociologo Domenico De Masi: "Io credo che il mobbing non sia
una degenerazione del sistema, ma un aspetto dell'attuale organizzazione del
lavoro. La burocrazia è tutto in insieme di mobbizzati che sono anche
mobbizzanti. Finché non troviamo regole nuove, l'unica arma per difendersi è
l'ironia". Infine, sul fronte legislativo, in attesa di una legge organica,
lo stesso Giorgio Benvenuto ha ammesso che "rispetto soprattutto alla
Svezia, ma anche alla Francia e alla Germania, il nostro Paese è molto
indietro".
(8
febbraio 2000)
Le
angherie di colleghi e capi fanno ammalare: Cgil e Uil avviano due indagini, il
Parlamento studia una legge
Ecco
il Mobbing
veleni in ufficio
di
BARBARA ARDU'
ROMA
-
"Quando lavoravo negli Stati Uniti notai che le grandi company, quando
volevano sbarazzarsi dei dipendenti troppo in là con gli anni, gli
organizzavano un giro per il mondo, una visita alle sedi in Europa, Australia,
Asia. Il programma di viaggio era così stretto e massacrante che al ritorno i
manager, stremati, si convincevano che era arrivata l'ora di andare in
pensione". Per Giancarlo Tapparo, senatore dei ds, il mobbing non è per
niente una novità. Ma avergli dato un nome, pur se preso in prestito alla
lingua inglese, è già un passo in avanti. Per anni l'Italia ha ignorato il
mobbing, letteralmente quel "comportamento aggressivo messo in atto da
alcune specie di uccelli nei confronti dei propri simili". Ora invece
medici del lavoro, sindacalisti e anche il Parlamento, scoprono che dietro alle
depressioni, agli attachi di panico, ai sudori, alla perdita di capelli o di
identità di cui soffre almeno il quattro per cento dei lavoratori italiani, ci
sono le angherie di colleghi e capi, consumate nel chiuso degli uffici. Un
terrore psicologico, una guerra dei nervi capace di trasformare un semplice
lavoratore in una vittima.
Così la Uil del Piemonte ha deciso di avviare un'indagine tra i suoi iscritti.
E in Lombardia, la sezione salute e sicurezza della Cgil, si prepara a inviare
un questionario ai lavoratori della regione. Mentre Giancarlo Tapparo chiederà
alla commissione Lavoro del Senato l'istituzione di un comitato che indaghi su
un fenomeno che rischia di dilagare negli uffici italiani. "Vogliamo
ascoltare i medici delle cliniche del lavoro", spiega Tapparo, "ma
anche i magistrati, perché alla fine spesso è in tribunale che finiscono i
mobizzati". L'obiettivo è studiare il fenomeno, comprenderlo,
sensibilizzare i medici e quindi presentare una proposta di legge.
Ma perché questa attenzione proprio ora? Semplice distrazione sugli studi dei
colleghi del Nord Europa che da anni vanno raccontando che il mobbing è in
agguato nei posti di lavoro, oppure qualcosa è cambiato? "Il mobbing c'è
sempre stato", conferma Domenico Marcucci della Cgil lombarda, "ma
oggi è forse più frequente. E soprattutto si consuma là dove sono in atto
fusioni di società, o ristrutturazioni aziendali con cambi di management ai
vertici delle aziende. Sembra che gli uffici italiani siano in realtà malati di
un tipo di mobbing che potremmo chiamare di tipo "verticale", messo in
atto cioè dai datori di lavoro". Per capire: se due società si fondono,
spesso, per una stessa poltrona o per una stessa scrivania ci sono due persone,
ma il posto è uno solo. Una deviazione, anche se non meno grave del mobbing
"orizzontale", quello cioé messo in atto dai colleghi di lavoro a
danno del vicino di scrivania con tecniche sottili e invisibili come le battute
e l'isolamento, comportamenti che in alcuni paesi, come gli Stati Uniti, sono
condannati.
Ma i due tipi di mobbing alle volte finiscono per intrecciarsi, per confondersi.
Come possa accadere lo spiaga bene un caso curato da Renato Gilioli, direttore
del Centro disadattamento lavorativo della Clinica del lavoro di Milano. Ogni
giorno nel suo studio, che è un osservatorio privilegiato, si presentano in
media cinque persone. Questa è la storia di uno dei suoi pazienti.
"Francesco lavorava da anni per una società finanziaria di Torino, era un
funzionario-quadro, stimato e apprezzato. Negli anni gli furono affidati compiti
delicati tanto che lui si guadagnò la stima dei vertici aziendali. Ma poi arrivò
un cambio di management: a Francesco venne chiesto di aprire e dirigere una
filiale nella provincia, dove vennero inviati tutti quei dipendenti che il nuovo
management considerava di basso profilo. E a Francesco fu fatto capire, anche se
mai in modo esplicito, che avrebbe dovuto "farli fuori". Non gli fu
detto però che nella lista c'era anche lui".
Duilio Gandolfi della Uil di Torino, che invierà agli psicologi i risultati dei
tremila questionari dei lavoratori del settore, è proprio su questo aspetto che
vuole indagare: "Le fusioni di aizende, i cambi di management, le
ristrutturazioni, spesso finiscono per creare tensione sul posto di lavoro. Poi
c'è da indagare su quei casi di riqualificazione professionale che appaiono un
po' troppo forzati e che alla fine che finiscono per diventare casi di mobbing".
Ma pensare che sia il solo settore privato a essere "ammalato" è un
errore. "Il mobbing è un fenomeno che non risparmia nessun ambito
lavorativo - spiega Domenico Marcucci - anche se colpisce soprattutto il
terziario, i quadri e gli impiegati con un'età media intorno ai quarant'anni e
un buon livello di istruzione, senza distinzione di sesso. Ma c'è, o c'è
stato, anche negli uffici pubblici. All'epoca di Tangentopoli è accaduto che
chi non condivideva la politica delle mazzette veniva emarginato, isolato dai
colleghi".
Giancarlo Tapparo, che ha contribuito alla stesura della legge sulle molestie
sessuali sui luoghi di lavoro, si è convinto che è arrivato il momento di
prepararne una anche per le "molestie morali". Ma stendere una legge
che regolamenti i comportamenti, che definisca cos'è il mobbing e che, nel
caso, sanzioni compagni o datori di lavoro, è tutt'altro che semplice. "Ci
troviamo di fronte allo stesso rischio che abbiamo dovuto affrontare quando è
stato scritto il disegno di legge sulle molestie sessuali - spiega Tapparo - e
la via che sceglieremo sarà la stessa, quella di allargare quanto più
possibile gli ambiti di informazione e prevenzione. E il modo migliore per farlo
è coinvolgere i sindacati, dandogli un ruolo di ascolto e, nel caso, di
intervento". Un po' come hanno fatto i sindacati tedeschi alla Volkswagen,
dove un capitolo sul mobbing è già stato inserito nel contratto.
Cauti anche i sindcati. "Ciò che dobbiamo evitare è di ingabbiare troppo
la materia, con il risultato di fare una legge che non si riesce ad applicare -
dice Domenico Marcucci - semmai il primo passo è riuscire a inserire il mobbing
in accordi aziendali o nazionali che facciano storia. Ma soprattutto sobbiamo
avvicinarci ai lavoratori, dobbiamo imparare ad ascoltarli, cosa che oggi spesso
non accade".
E i datori di lavoro come affrontano un fenomeno, che oltre ad avere costi
sociali finisce per diventare un boomerang, perché i lavoratori scontenti
finiscono per diventare un costo? "Per ora lo affrontano come si affronta
un tabù", dice Domenico Marcucci. E Gilioli lo conferma. "Io curo le
depressioni e tutte quelle patologie scatenate dal mobbing - dice Gilioli - che
però, bisogna dirlo e ripeterlo, non è una malattia, semmai è la causa
scatenante. Quando ricevo i pazienti li lascio raccontare e poi chiamo
direttamente i loro datori di lavoro. Il risultato? Mi trovo davanti a porte
chiuse".
(24 luglio 1999)
RISARCIMENTO DEL DANNO BIOLOGICO DA "MOBBING"
Per
angustia del luogo di lavoro e insulti da parte del caporeparto (Tribunale di
Torino, Sezione Lavoro I grado, 16 novembre 1999, Est. Ciocchetti).
La
Sig.ra E.G., dopo aver lavorato per circa sette mesi alle dipendenze della
società E.D.P., ha chiesto al Tribunale di
Torino,
Sezione Lavoro, la condanna dell’azienda al risarcimento del danno biologico,
per essere stata colpita da depressione
psichica
in seguito a maltrattamenti subiti durante la prestazione lavorativa. Ella ha
sostenuto, in particolare, di essere stata
adibita
al funzionamento di una macchina grafica collocata in uno spazio angusto,
occupato da cassoni ed altro materiale, in
situazione
di isolamento dai compagni di lavoro e di essere stata sottoposta a un
trattamento ingiurioso da parte del capo
reparto,
che reagiva alle sue segnalazioni di guasti della macchina e ai suoi rilievi
sulle condizioni di lavoro con bestemmie,
insulti
e frasi sarcastiche. Ella ha altresì fatto presente di essere stata costretta
in un primo tempo ad assentarsi e
successivamente
a dimettersi, perché caduta in una grave forma di crisi depressiva, con
frequenti stati di pianto e agorafobia,
senza
precedenti nella sua storia personale.
L’azienda
si è difesa contestando le affermazioni dell’ex dipendente e sostenendo
comunque che essa non poteva essere
chiamata
a rispondere di eventuali comportamenti scorretti del capo reparto.
Il
giudice, dopo aver sentito vari testimoni, che hanno deposto sulle condizioni di
lavoro, sul comportamento del capo
reparto
e sulle condizioni della lavoratrice, con sentenza in data 6 ottobre – 16
novembre 1999 (Est. Ciocchetti), ha accolto la
domanda,
determinando in via equitativa il risarcimento dovuto alla lavoratrice in misura
di lire dieci milioni.
Nella
motivazione della decisione il giudice ha rilevato, tra l’altro, che la
vicenda aveva formato oggetto di segnalazione
da
parte della rappresentanza sindacale aziendale e che la malattia della
lavoratrice era attestata dai certificati esibiti.
Del
pregiudizio subito dalla lavoratrice, ha affermato il giudice, deve
indubbiamente essere chiamato a rispondere il
datore
di lavoro ai sensi dell’art. 2087 cod. civ., essendo questi tenuto a garantire
l’integrità fisio-psichica dei propri dipendenti
e,
quindi, ad impedire e scoraggiare eventuali contegni aggressivi e vessatori da
parte di preposti e responsabili, nei confronti
dei
rispettivi sottoposti. Nel valutare la vicenda il giudice ha ritenuto che essa
debba essere classificata come un caso di
"mobbing",
fenomeno ormai internazionalmente noto.
"Il
termine, proveniente dalla lingua inglese e dal verbo to mob (attaccare,
assalire) e mediato dall’etologia – ha
osservato
il giudice - si riferisce al comportamento di alcune specie animali, solite
circondare minacciosamente un
membro
del gruppo per allontanarlo. Spesso nelle aziende accade qualcosa di simile,
allorché il dipendente è oggetto
ripetuto
di soprusi da parte dei superiori e, in particolare, vengono poste in essere nei
suoi confronti pratiche dirette
ad
isolarlo dall’ambiente di lavoro e, nei casi più gravi, ad espellerlo;
pratiche il cui effetto è di intaccare gravemente
l’equilibrio
psichico del prestatore, menomandone la capacità lavorativa e la fiducia in se
stesso e provocando
catastrofe
emotiva, depressione e talora persino suicidio"
«Sanzioni
per il capo arrogante»
In
inglese significa «malmenare», ma negli Stati Uniti il termine «mob» indica
anche un gruppo di malavitosi e, in senso lato, la mafia. Potrebbe essere dunque
apostrofato come «malavitoso» il datore di lavoro colpevole di mobbing, ovvero
violenze psicologiche sul luogo di lavoro. Contro questo fenomeno governi e
amministrazioni stanno cominciando ad armarsi. In Italia la prima proposta di
legge contro il mobbing è stata presentata nel 1996 da un gruppo di deputati. E
solo pochi giorni fa è stata deposititata alla Camera un'altra proposta di
legge presentata dal presidente della commissione Finanze Giorgio Benvenuto. Si
punta, in particolare, sulla prevenzione e sull'informazione, ma la proposta
prevede anche sanzioni disciplinari sia per i colpevoli sia per chi denuncia un
mobbing inesistente. In Svezia il mobbing è considerato reato dal 1993
Corriere
della sera del 15 novembre 1998
Si chiama "mobbing" ed è un nuovo fenomeno di terrorismo psicologico. La Uil apre uno sportello
Dispetti
e calunnie: quando il collega ti è nemico
Natalia
Encolpio,
PERUGIA
- Mobbing, ovvero l'arte strisciante della calunnia, dello sgambetto tra le
scrivanie e della pugnalata alle spalle in nome della carriera. Un termine
inglese per un fenomeno italiano: quello del terrorismo psicologico nei luoghi
di lavoro.
Il
mobbing esiste e colpisce: ovunque. Lo dimostra un'indagine dalla Uil-Umbria che
ha monitorato la situazione degli enti pubblici. Novecento questionari per
definire quel lato oscuro della menzogna, della tirannia subdola dove affogano
vendette e speranze. Accade così che il 34 per cento dei dipendenti del Comune
di Perugia ammetta candidamente di subire (o di avere subìto) il mobbing, alla
Provincia è il 25,43 per cento dei dipendenti la percentuale delle vittime di
questo tipo di terrorismo, mentre alla Regione è il 12,62 per cento degli
occupati, il 12 per cento dei dipendenti del Comune di Terni e solo il 10 per
cento di quelli del Municipio di Orvieto.
Un'indagine
che ha spinto la Uil ad aprire uno sportello per segnalare il mobbing, per
riconoscerne i tratti, per cercare di offrire strategie di difesa. Storie, volti
e parole che aprono uno squarcio su questo mondo soffocante e velenoso. C'è la
rampante che lotta per la sua promozione, per quel salto di carriera che ha
inseguito da anni. Finalmente arriva il trasferimento accolto da un muro di
silenzio, di diffidenza e ostilità. Non una parola offensiva ma un silenzio
incombente: nessun contatto, nessun saluto per farla sentire alle corde. Un
silenzio che l'accerchia fino a farla vacillare, a farla sentire incapace, fino
a spingerla a un errore. E così quel muro cresce, si ingigantisce, lei cede e
torna indietro, lasciando la sua scrivania e le sue speranze ad un'altra.
Pressing
psicologico ma anche vere e proprie calunnie per distruggere il rivale di turno.
La strategia è semplice: basta una parolina sulle avventure sentimentali,
sull'inaffidabilità economica, sui presunti debiti di gioco o su qualche
passioncella col vizietto per sporcare, infangare e fuggire via. L'altro sarà
in trappola e l'ambita scrivania di nuovo libera.
"Mobbing
è questo ed altro ancora - spiega Angelo Garofalo della Uil - ma il primo passo
è quello di riuscire ad identificarlo per aiutare la gente a reagire e a non
subire più. Lo scopo è quello di rendere l'Italia simile ad altri Paesi
europei: in Germania chi è vittima del mobbing può chiedere il
prepensionamento e in Scandinavia questo terrorismo psicologico è considerato
un vero e proprio reato"
Una
guida alla Rete per capirne di più: a chi
chiedere aiuto e quali sono i sintomi ricorrenti
Mobbing,
i comportamenti
di vittime e aggressori
ROMA
- Dal
mobbing, il comportamento aggressivo di colleghi o datori di lavoro, alle vere e
proprie malattie il passo è breve, ma il percorso può durare anche anni. La
vittima inizia a soffrire di depressione oppure di attacchi di panico, fino alla
lunga lista delle malattie psicosomatiche di varia intensità. Insomma si ammala
e più il conflitto va avanti, più la malattia persiste. La stigmatizzazione
del lavoratore inizia con un conflitto irrisolto e finisce con l'emarginazione,
passando attraverso varie fasi di differente gravità: l'isolamento, il
discredito, l'incomprensione. I mobizzati spesso non si accorgono di cosa stia
accadendo e il più delle volte finiscono per incolpare se stessi, isolandosi
sempre di più o portando a casa, quando possono, le loro lamentele. Per capire
cos'è il mobbing ecco alcuni siti in Rete che offrono aiuto o spiegazioni.
IN ITALIANO
La
definizione di mobbing
I comportamenti della vittima e quelli dei suoi aggressori.
Prima
E' un'associazione di volontariato di Bologna,
nata per aiutare chi ha bisogno di raccontare la sua storia e per prevenire
mobbing e stress psicosociale, ma anche per raccogliere dati e informare su un
fenomeno che è ancora troppo poco conosciuto tra i medici del lavoro.
Mobby
E' un altro gruppo di auto aiuto che offre sostegno morale ed emotivo ai
mobizzati. Spostandosi sul sito si aprono singole finestre che spiegano cos'è
il mobbing, quali sono i disturbi che provoca e a chi rivolgersi per farsi
aiutare. E' presente anche un gruppo di autoascolto e l'indirizzo della Clinica
del Lavoro di Milano (via S. Barnaba 8, 20122 Milano, tel. 02-57992644) che
offre diagnosi, terapia e riabilitazione.
Cgil:
salute, sicurezza e mobbing
Sul sito una pagina dedicata alle disposizioni emanate nel 1977 dall'Ente
nazionale per la Salute e la Sicurezza svedese.
IN INGLESE
La
Bibbia del mobbing
Ovvero il sito di The mobbing encyclopaedia dove è possibile trovare, in
inglese, tedesco e svedese la definizione di mobbing, gli studi sulle patologie
collegate, le statistiche e alcuni casi clinici.
IN FRANCESE
Il
mobbing sulla punta delle dita
Sul sito del comune di Losanna, tutto sul mobbing e in più una spiegazione sui
conflitti che nascono sul luogo di lavoro, perché non tutti sono negativi.
Inoltre i cinque segreti per resistere agli attacchi, da una buona costituzione
fisica a una forte fiducia in se stessi. (24
luglio 1999)