1956 Rivoluzione ungherese

  • Quell’indimenticabile 1956


    Dopo la morte di Stalin nel marzo de1 1953 e la denuncia, da parte di Krusciov, dei crimini di Stalin al XX congresso del PCUS nel febbraio del 1956, un vento di speranza e rinnovamento percorre i paesi del blocco socialista.

    In Germania già nel giugno del 1953 a Berlino Est e in altre città tedesco-orientali uno sciopero degli operai edili si trasforma in rivolta contro il governo. La rivolta venne schiacciata con la forza dal gruppo delle forze sovietiche in Germania. In memoria dei moti nella Germania Est, la Germania Ovest dichiarò il 17 giugno come festa nazionale (fino al 1990, quando venne sostituito dal 3 ottobre, data della formale riunificazione), e la Charlottenburger Chaussee che attraversava Berlino Ovest venne ribattezzata Straße des 17. Juni.

    In Polonia nel giugno del 1956 nel polo industriale di Poznan i lavoratori protestano per le cattive condizioni di vita e i bassi salari . La rivolta viene prontamente repressa nel sangue dall'esercito (113 morti tra i lavoratori che rivendicano il pagamento di ore straordinarie). Poi il 19-21 ottobre a Varsavia, in seguito a una dura prova di forza coi dirigenti sovietici, il “revisionista” Wladyslaw Gomulka è eletto alla testa del POUP (Partito Operaio Unificato Polacco): Gomulka era stato arrestato nel 1949 sotto l'accusa di titoismo.. Nel suo discorso di insediamento afferma tra l'altro che i tumulti di Poznan non sono stati una sedizione controrivoluzionaria, ma l'espressione del legittimo malcontento dei lavoratori.

    Budapest: martedì 23 ottobre 1956

    In Ungheria ha tutto inizio proprio da una manifestazione studentesca autorizzata, a favore degli operai insorti a Poznan e riabilitati da Gomulka. Nessuno si aspetta che da questa scintilla si accenda una rivoluzione. Come per Gomulka , gli ungheresi si aspettano la riabilitazione di Imre Nagy, il presidente del consiglio ungherese destituito l’anno precedente, ed espulso dall’ufficio politico, dal comitato centrale e infine dal partito, perché “troppo liberale”. Imre Nagy l’uomo che di li a poco avrebbe preso la guida di questa sollevazione se ne sta sul lago Balaton alla festa della vendemmia.

    Lo studente Imre Mecs, condannato a morte nel 1957, ricorda quel martedì del 23 ottobre 1956 a Budapest:
    “La manifestazione del 23 ottobre venne decisa dall’assemblea tenuta la sera e la notte precedente al Politecnico. La mattina il corteo è stato proibito e la proibizione è stata ribadita per radio ogni ora. Ma abbiamo convocato ugualmente una nuova assemblea dove venne il Vice Ministro degli interni a dirci che il veto era stato revocato. Per evitare provocazioni siamo partiti subito in gruppi di dieci stretti per mano, nel frattempo arrivavano anche i giovani operai dalle fabbriche del quartiere con le bandiere nazionali bianco rosso e verde e le bandiere rosse, eravamo circa diecimila al momento della partenza. Quando siamo entrati nella piazza c’era già una folla enorme e anche la nostra organizzazione ha cominciato ad allentarsi. Anche il vicino Ponte Margherita si era riempito di gente. In piazza Ben il poeta Péter Veres ha tenuto un discorso, sono state recitate delle poesie tra queste il poema del poeta ungherese Petofi In piedi Ungheresi, non c’erano altoparlanti e non si capiva bene. Sulla caserma che dava sulla piazza molti soldati avevano spostato le tegole del tetto per affacciarsi e vedere meglio. Era un’immagine veramente suggestiva quella delle tante teste di soldati che spuntavano dal tetto”.

    Gli studenti si raccolgono intorno al monumento del poeta Sàndor Petöfi, eroe della rivoluzione del 1848, i suoi versi diventano i primi slogan della protesta: “ Giuriamo di essere liberi”. L’attività del Circolo Petofi, un gruppo di intellettuali e studenti fondato l’anno prima, era stata fondamentale nell'organizzazione della manifestazione del 23 ottobre.

    E’ il primo pomeriggio quando al folla raggiunge la piazza del parlamento, dopo molte resistenze Nagy accetta di fare un discorso. Nagy comincia a parlare nel microfono di fortuna: “ Compagni”, la folla rumoreggia e subito si corregge “ Compatrioti e amici!”
    La sua popolarità lo mette nella posizione di unica alternativa al potere oppressivo degli stalinisti che solo un anno prima lo avevano cacciato dalla guida del governo espellendolo dal partito.
    Davanti alla sede della radio avviene il primo scontro: gli studenti chiedono che siano trasmessi i sedici punti delle loro rivendicazioni. La direzione della radio rifiuta e il palazzo è preso d'assedio. La polizia di sicurezza (ÁVH) apre il fuoco sulla folla e inizia una vera e propria battaglia. Al posto del comunicato degli studenti viene trasmesso un minaccioso discorso del segretario del partito Gerõ che agisce un po’ come olio su fuoco. Alle guardie dell’AVH vengono mandate delle armi nascoste in un’ambulanza, la folla le scopre e se ne impossessa: così comincia la lotta armata.

    Ai margini del parco di Budapest si compie l’atto più espressivo ed eloquente della rivolta, la grande statua di Stalin alta sette metri viene ridotta in pezzi. Le funi non bastano a tirarla giù, si ricorre alla fiamma ossidrica per fondere le ginocchia del gigante di bronzo. Alla fine sul piedistallo rimangono solo due stivali mozzati.

    Mercoledì 24 ottobre. Primo intervento sovietico

    La situazione suggerisce l’unica soluzione possibile: il ritorno di Nagy alla testa del governo. Ma nello stesso tempo il partito ungherese decide anche di fare appello a Mosca, chiedendo l’intervento dell’Armata Rossa. I primi carri armati sovietici T34 compaiono nelle strade. Si pensa che questo schieramento dimostrativo avrebbe riportato alla calma. A Berlino Est tre anni prima era andata così.

    I primi effetti dello slancio rivoluzionario portano alla formazione del governo Nagy e alla nomina di János Kádár come segretario del partito al posto di Gerő. Nel governo ci sono delle parziali novità: vi entrano anche due esponenti del vecchio partito contadino e il grande filosofo Gyorgy Lucaks. Il Cremlino in questa fase cerca di salvare il salvabile. I suoi due ambasciatori itineranti Anastas Mikoyan e Mikhail Suslov, non contrastano apertamente il nuovo corso di Nagy.

    Da questo momento sorgono in tutto il Paese i Consigli operai che richiedono il ritiro dei sovietici e libere elezioni. L'ÁVH continua a sparare sulla folla e si innescano in vari punti del paese dei combattimenti armati. In alcune province (Borsod e Gyõr-Sopron) il potere passa in mano ai consigli e l'ÁVH viene sciolta.

    Giovedì 25 ottobre
    Il pomeriggio del 25 ottobre è il giorno dell'eccidio a piazza Kossuth davanti al parlamento, la gente parla coni soldati sovietici. ma qualcuno comincia a sparare a raffica dalle finestre, i sovietici rispondono a casaccio e muoiono decine di persone. La rivolta si estende in tutta l’Ungheria.

    Il 30 ottobre accade un altro grave episodio. Tra le molte voci incontrollate fatte circolare in quelle ore, una in particolare scatena la rabbia di alcuni gruppi: si fa credere che nella sede del partito comunista della città si nascondono gli autori dell'eccidio di cinque giorni prima. La sede in Piazza della Repubblica viene assalita, alcuni vengono uccisi sul posto. E' un episodio grave di cui si avvale la propaganda sovietica che parla di terrore bianco. Ma po i carri armati sovietici abbandonano la città, ma forse è una ritirata strategica. Si respira un’area di tregua, di stabilizzazione, si spera in una vittoria definitiva della sollevazione popolare.

    Viene proclamata la fine del regime a partito unico, Nagy afferma che si deve tornare al sistema di una collaborazione democratica dei partiti, quella esistente nel 1945, la conseguenza logica è quella di una coalizione a più partiti. Il 30 ottobre arriva anche la dichiarazione della neutralità ungherese e quindi l’uscita dal patto di Varsavia. All'Onu viene chiesto di mettere all'ordine del giorno la questione ungherese, in questo modo la rivoluzione si da un programma e in questo l'Ungheria si distingue dagli altri paesi dell'Est e dalle altre rivolte anti-staliniste. A Budapest è nato un progetto che ha due pilastri: l'indipendenza nazionale e il pluralismo politico e su questo si giocheranno le sfide dei giorni e degli anni successivi.

    Nagy decide anche di liberare il cardinale József Mindszenty tenace oppositore del regime comunista, venne arrestato una prima volta nel 1944 con l'accusa di alto tradimento. Rilasciato l'anno seguente, fu nuovamente incarcerato il 26 dicembre 1948 e condannato all'ergastolo l'anno successivo con l'accusa di cospirazione tesa a rovesciare il governo comunista ungherese. L’azione fa molto clamore anche all’estero.

    La questione all'ordine del giorno è quella del ritiro delle truppe sovietiche, il nuovo governo ungherese insiste nella sua richiesta, i funzionari e gli ufficiali russi non dicono di no ma prendono tempo. Promettono lo sgombero ma prendono tempo. Ma sullo scenario internazionale accade un fatto nuovo: l'attacco francese e britannico al Canale di Suez del 29 ottobre, ultimo atto di un colonialismo di altri tempi. In queste ore il Cremlino decide il nuovo intervento armato in Ungheria e questa volta l'obiettivo è il governo del comunista riformatore Imre Nagy. Poco tempo prima Nikita Krusciov, a titolo personale, si era espresso per la neutralità ungherese per una sorta di “finlandizzazione”. Ma ora tutto cambia.

    Domenica 4 novembre: il secondo intervento sovietico
    L’appello di Nagy alla Radio:
    “ Qui è Imre Nagy, presidente del consiglio dei ministri della Repubblica Popolare ungherese che parla. Oggi all’alba le truppe sovietiche hanno sferrato l’attacco contro la nostra capitale con l’evidente intenzione di abbattere il legittimo governo democratico ungherese. Le nostre truppe stanno combattendo il governo è al suo posto lo comunico al popolo di Ungheria e all’opinione pubblica del mondo”.

    János Kádár viene prelevato dai sovietici e portato a Mosca, secondo Miklos Vasarhelyi, collobarotore di Nagy, Kadar viene messo di fonte a una scelta: "o aiuta i sovietici in questa nuova manovra o la sua sorte è segnata, viene trattato come un prigioniero politico".

    Per qualche ora la radio ungherese trasmette disperate richieste di aiuto in tutte le lingue, arrivano poi gli arresti. Nagy viene arrestato con uno stratagemma dopo una sosta di qualche giorno nell’ambasciata iugoslava, per i dirigenti politici seguirà un periodo di confino in Romania. Poi a sorpresa il processo due anni dopo: Imre Nagy, il Generale Pal Maleter , partigiano e comunista, Ministro della Difesa del Governo insurrezionale del 1956, e Miklòs Gimes, giornalista comunista e fondatore di un giornale clandestino dopo la repressione, vengono giustiziati il 16 giugno 1958.

    Nagy e gli altri martiri del 1956 saranno seppelliti in tombe senza nome in un area del cimitero di Budapest: riquadro 301, luogo di tanti pellegrinaggi. La piena riabilitazione di Nagy e dei suoi amici avverrà solo l 16 giugno 1989 con i funerali di stato in Piazza degli erori . Quasi contemporaneamente la stella rossa viene tolta dalla guglia più alta del palazzo del Parlamento. Cambia la denominazione della Repubblica e del Partito che diventa socialista.

    Negli anni di Kadar si è fatto di tutto per dimenticare quel momento con le sue asprezze e i suoi problemi . Il regime nato dopo il 4 novembre 1956 era ancora a partito unico, anche se attraverso varie tappe aveva cercato una sua originalità. Da qui nasce la celebre definizione più cinica che ironica dell’Ungheria come “ più allegra baracca del lager” la memoria si era in parte perduta.

    In Italia
    Togliatti si trovò in una stridente contraddizione, fece prevalere la sua figura di dirigente del movimento comunista internazionale legato a Mosca, a detrimento del suo ruolo di capo del partito che aveva contribuito alla nascita della Repubblica e della Costituzione democratica in Italia. Pagò a caro prezzo questa scelta con la rottura con i socialisti . Ne seguirono gravi lacerazioni nel tessuto stesso del partito. Molti intellettuali si separarono e molti si schierarono dalla parte della rivolta. Nacque il manifesto dei 101.

    I firmatari formano un campione significativo del dissenso comunista: sono rappresentati un gruppo di storici (Renzo De Felice, Luciano Cafagna, Salvatore Francesco Romano, Piero Melograni, Roberto Zapperi, Sergio Bertelli, Francesco Sirugo, Giorgio Candeloro); gli universitari comunisti romani (Alberto Caracciolo, Alberto Asor Rosa, Mario Tronti, Enzo Siciliano); il filosofo Lucio Colletti; critici (Dario Puccini, Mario Socrate, Luciano Lucignani); artisti e studiosi d'arte (Lorenzo Vespignani e Corrado Maltese); uomini di cinema come Elio Petri; architetti come Piero Moroni; scienziati (Franco Graziosi e Luciano Angelucci); giuristi come Vezio Crisafulli.

    Anche il capo carismatico della CGIL , Giuseppe Di Vittorio solidarizzò con gli operai ungheresi. Netta fu la condanna dell’intervento sovietico anche da parte di Antonio Giolitti il nipote dello statista liberale Giovanni Giolitti, iscritto al Partito Comunista Italiano. Nel 2006, in occasione dell'anniversario dei fatti di Ungheria, Antonio Giolitti ha ricevuto l'omaggio del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano il quale, recandosi personalmente nella sua abitazione romana, ha riconosciuto che cinquant'anni prima la ragione stava dalla sua parte.

    Negli anni molte posizioni sono state riviste, e la scelta del ’56 è stata riconosciuta come “tragicamente errata” fino a quando il presidente Giorgio Napolitano non ha messo la parola conclusiva dicendo che cinquant’anni fa aveva ragione Nenni. Concetto precisato proprio durante la recente visita a Budapest fin sulla tomba di Imre Nagy. 
    (La Storia siamo noi rai.it)

     

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