4 Novembre 1966

Alluvione a Firenze

 

        

 

Quella avvenuta tra il 3 e il 4 Novembre fu la più spaventosa e terribile di tutte le alluvioni a Firenze e dintorni. In soli di giorni si riversò in tutta la regione una quantità d'acqua pari a un terzo della media annuale. Si calcola che la quantità d'acqua caduta nelle 24 ore fra il 3 e il 4 novembre fu di circa 180/200 litri per metro quadro e che il livello dell'Arno toccò gli 11 metri.

L'alluvione del 4 novembre 1966 non colpì solo il centro storico della città ma tutto il bacino dell'Arno a monte ed a valle della città. Le campagne furono allagate per giorni dopo il disastro e molti comuni minori isolati e danneggiati gravemente.

È inevitabile che più duratura nella memoria sia rimasta la tragedia, sia pure incruenta, del patrimonio artistico della città: migliaia di volumi, tra cui preziosi manoscritti o rare opere a stampa furono coperti di fango nei magazzini della Biblioteca Nazionale Centrale, e una delle più importanti opere pittoriche di tutti i tempi, Il Crocifisso di Cimabue conservato nella Basilica di Santa Croce deve considerarsi, nonostante un commovente restauro, perduto all'80%. La nafta del riscaldamento impresse le tracce del livello raggiunto dalle acque su tanti monumenti; le Porte del Paradiso del Battistero di Firenze furono spalancate dalle acque, e dalle ante sbattute violentemente si staccarono quasi tutte le formelle del Ghiberti. Innumerevoli i danni ai depositi degli uffizi, ancora non completamente risarciti dopo anni di indefessi restauri, che tra l'altro hanno portato le istituzioni fiorentine per il restauro ad essere considerate fra le principali del mondo. Un vero e proprio esercito di giovani e meno giovani di tutte le nazionalità volontariamente, subito dopo l'alluvione, arrivarono a migliaia in città per salvare le opere d'arte e i libri, strappando al fango e all'oblio la testimonianza di secoli di Arte e di Storia. Questa incredibile catena di solidarietà internazionale rimane una delle immagini più belle nella tragedia. I giovani, chiamati ben presto gli "Angeli del fango" sono anche uno dei primi esempi di mobilitazione spontanea giovanile nel XX secolo. Per la tutela del patrimonio artistico danneggiato si mise subito in moto una gara a mettere al sicuro e approntare i primi restauri ai beni danneggiati. Guidati dal lungimirante soprintendente Ugo Procacci, i laboratori fiorentini dell'Opificio delle pietre dure raggiunsero gradualmente quei livelli di avanguardia e maestranza tecnica che tutt'ora li rendono una delle strutture più importanti a livello mondiale nel campo del restauro.

Oltre ai metodi tecnico scientifici allora disponibili, e a sviluppare nuove tecnologie allora ancora embrionali, il Procacci fu uno dei primi a basare gli interventi di restauro cercando e studiando le fonti scritte lasciate dagli artefici nel corso dei secoli. La più profonda comprensione di tecniche e materiali antichi infatti si basò (secondo una scelta tanto ovvia per la nostra mentalità quanto inusitata per l'epoca) sulla lettura attenta di tutte quelle testimonianze antiche che spiegavano per filo e per segno i procedimenti utilizzati per creare i manufatti artistici. Ricettari come Teofilo monaco e trattati come il Libro dell'Arte di Cennino Cennini furono fondamentali per la conoscenza degli affreschi antichi e di altre tecniche e permisero un uso sapiente e calibrato delle tecniche aggiornate alle conoscenze moderne.

 (da Wikipedia)

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