Interazioni clinicamente significative con altri farmaci vengono descritte di seguito.
Uno studio formale d'interazione farmacologica tra l'indinavir e warfarin non è stato effettuato. La concomitanza dei due trattamenti potrebbe determinare livelli più elevati di warfarin.
Rifabutina
- Uso in gravidanza
L'indinavir non è stato studiato in donne in gravidanza. Fino a quando non saranno disponibili ulteriori dati, l'indinavir deve essere usato durante la gravidanza solo se i potenziali benefici giustificano il rischio potenziale per il feto.
Non ci sono dati che indichino che l'indinavir interferisce sulla capacità di guidare e sull'uso di macchine. Tuttavia, i pazienti devono essere informati che in corso di trattamento con indinavir sono stati riportati capogiro e annebbiamento della vista.
Durante il trattamento con l'indinavir nel 14% dei pazienti si è manifestata iperbilirubinemia, soprattutto come bilirubina indiretta. Poiché non è noto se l'indinavir esacerberà l'iperbilirubinemia fisiologica nei neonati, è necessaria un'accurata valutazione sull'opportunità di usare l'indinavir in donne in gravidanza al momento del parto (vedere 04.8 Effetti indesiderati).
La somministrazione di indinavir a neonati di scimmia Rhesus ha causato un lieve aumento dell'iperbilirubinemia fisiologica transitoria, osservata in questa specie dopo la nascita. La somministrazione di indinavir a scimmie Rhesus durante il terzo trimestre di gravidanza non ha causato nei neonati un simile aumento; comunque, si è verificato un passaggio di indinavir, sia pur limitato, attraverso la placenta.
Studi sulla tossicità embrio-fetale sono stati effettuati in ratti, in conigli ed in cani (a dosaggi che causavano esposizioni sistemiche simili o poco più elevate rispetto a quelle umane) e non hanno mostrato evidenze di teratogenicità. Nel ratto non sono state osservate alterazioni somatiche o viscerali; tuttavia, è stato osservato un aumento dell'incidenza di coste soprannumerarie e di coste cervicali. Nei conigli e nei cani non sono state osservate modificazioni somatiche, viscerali o scheletriche. Nei ratti e nei conigli non sono stati osservati effetti sulla sopravvivenza embrionale/fetale o sul peso fetale. Nei cani è stato osservato un lieve incremento dell'abortività; comunque, tutti i feti degli animali trattati con il farmaco erano vitali e l'incidenza di feti vivi negli animali trattati con il farmaco era paragonabile a quella dei controlli.
- Uso durante allattamento
Le autorità sanitarie raccomandano che un neonato non venga in nessun caso allattato dalla madre con infezione da HIV, al fine di evitare la trasmissione del virus. Non è noto se l'indinavir è escreto nel latte umano. Tuttavia, è stato dimostrato che l'indinavir viene escreto nel latte di ratto ed è stato anche associato ad un basso peso corporeo del piccolo durante l'allattamento. Le madri devono essere informate che, durante il trattamento, l'allattamento deve essere sospeso.
In studi clinici controllati condotti in tutto il mondo, l'indinavir è stato somministrato da solo o in associazione con altri agenti antiretrovirali (zidovudina, didanosina, stavudina e/o lamivudina) a circa 2.000 pazienti, la maggior parte dei quali erano uomini di razza caucasica (15% donne).
L'indinavir non ha alterato il tipo, la frequenza o la severità dei principali effetti indesiderati conosciuti associati all'uso della zidovudina, della didanosina o della lamivudina.
Gli eventi clinici indesiderati segnalati dai ricercatori come possibilmente, probabilmente o sicuramente correlati al farmaco, verificatisi in una percentuale
³ 5% dei pazienti trattati con Crixivan da solo o in associazione (n = 309) per 24 settimane sono elencati di seguito. Molti di questi eventi indesiderati sono stati anche identificati come una condizione comune preesistente o di frequente osservazione clinica in questa popolazione di pazienti. Questi eventi indesiderati sono stati: nausea (35,3%), cefalea (25,2%), diarrea (24,6%), astenia/affaticamento (24,3%), rash (19,1%), alterazione del gusto (19,1%), secchezza della cute (16,2%), dolore addominale (14,6%), vomito (11,0%), capogiro (10,7%), dispepsia (10,7%), flatulenza (7,8%), insonnia (7,4%), prurito (7,4%), iperestesia (7,1%), secchezza delle fauci (6,8%), disuria (6,5%), rigurgito acido (6,5%), parestesia (5,2%) e mialgia (5,2%). Ad eccezione della secchezza della cute, del rash e dell'alterazione del gusto, l'incidenza di eventi clinici indesiderati è stata simile o più elevata tra i pazienti del gruppo di controllo trattati con analoghi nucleosidici antiretrovirali rispetto ai pazienti trattati con Crixivan da solo o in associazione. Il profilo di sicurezza complessivo è rimasto simile nei 107 pazienti trattati con Crixivan, da solo o in associazione, per 48 settimane.
Nefrolitiasi, con dolore al fianco associato o meno ad ematuria (compresa l'ematuria microscopica), è stata riportata in circa il 10% (252/2577) dei pazienti che negli studi clinici erano trattati con Crixivan al dosaggio raccomandato rispetto al 2,2 % nei bracci di controllo. In generale, questi eventi non sono stati accompagnati da disfunzione renale e si sono risolti con somministrazione di liquidi e l'interruzione temporanea della terapia (ad es., 1-3 giorni).
Esami di laboratorio
Alterazioni dei valori di laboratorio riportate dai ricercatori come possibilmente, probabilmente o sicuramente correlate al farmaco, in una percentuale ³10% dei pazienti trattati con Crixivan da solo o in associazione, sono state: aumenti del VCM, della SGOT [ALT] e della SGPT [AST] , della bilirubina indiretta e della bilirubina sierica totale; riduzione dei neutrofili; ematuria, proteinuria e cristalluria.
Casi isolati di iperbilirubinemia asintomatica (bilirubina totale ³2,5 mg/dl, 43 mmol/l), riferiti prevalentemente come bilirubina indiretta elevata e raramente associati ad aumenti della SGOT , della SGPT, o della fosfatasi alcalina, si sono verificati in circa il 14% dei pazienti trattati con Crixivan somministrato da solo o in associazione con altri agenti antiretrovirali. La maggior parte dei pazienti ha continuato il trattamento con Crixivan senza riduzioni del dosaggio e i valori della bilirubina sono gradualmente ritornati verso i valori basali. L'iperbilirubinemia si è verificata più frequentemente con dosi superiori ai 2,4g/ die rispetto a dosi inferiori ai 2,4 g/die.
Esperienza post-marketing
Le seguenti ulteriori reazioni indesiderate sono state riportate con l'entrata in commercio del farmaco.
La terapia antiretrovirale combinata, inclusi i regimi che contengono un inibitore della proteasi, è associata, in alcuni pazienti, alla ridistribuzione del grasso corporeo, inclusa la perdita del grasso sottocutaneo periferico, l'incremento del grasso intraddominale, l'ipertrofia della mammella e l'accumulo di grasso a livello dorsocervicale (gibbo). Gli inibitori della proteasi sono associati anche ad alterazioni metaboliche quali ipertrigliceridemia, ipercolesterolemia, insulino-resistenza ed iperglicemia.
- Organismo in toto/sito aspecifico: distensione addominale.
- Apparato digerente: alterazioni della funzionalità epatica, epatite, comprese rare segnalazioni di insufficienza epatica, pancreatite.
- Endocrini/metabolici: insorgenza di diabete mellito o iperglicemia, o esacerbazione del diabete mellito preesistente (vedere Speciali avvertenze e opportune precauzioni d'impiego).
- Ematologici: aumento delle emorragie spontanee in pazienti emofilici; anemia emolitica acuta (vedere Speciali avvertenze e opportune precauzioni d'impiego).
- Ipersensibilità: reazioni anafilattoidi.
- Apparato muscoloscheletrico: sono stati riportati aumenti della CPK, mialgia, miosite e, raramente, rabdomiolisi con gli inibitori della proteasi, in particolare in associazione con analoghi nucleosidici.
- Cute e annessi cutanei: rash incluso eritema multiforme e sindrome di Stevens Johnson; iperpigmentazione, alopecia, orticaria, unghie dei piedi incarnite e/o paronichia.
- Sistema nervoso/psichiatrici: parestesia del cavo orale.
Sono stati segnalati casi di sovradosaggio nell'uomo con Crixivan. I sintomi più comunemente riportati erano gastrointestinali (ad es., nausea, vomito, diarrea) e renali (ad es., nefrolitiasi, dolore al fianco, ematuria).
Non è noto se l'indinavir sia dializzabile mediante dialisi peritoneale o emodialisi.
Categoria farmacoterapeutica: inibitore della proteasi, codice ATC JO5AE02
- Meccanismo d'azione
Indinavir inibisce la proteasi dell'HIV-1 e dell'HIV-2 ricombinante, con una selettività approssimativamente dieci volte maggiore per la proteinasi dell'HIV-1 rispetto a quella dell'HIV-2. L'indinavir si lega reversibilmente al sito attivo della proteasi e inibisce con meccanismo competitivo l'enzima, prevenendo in questo modo il clivaggio del precursore virale poliproteico che si verifica durante la maturazione della particella virale neoformata. Le particelle immature risultanti non sono infettive, né in grado di instaurare nuovi cicli di infezione. Indinavir non inibisce in modo significativo le proteasi eucariotiche, quali la renina umana, la catepsina D umana, l'elastasi umana e il fattore Xa umano.
- Microbiologia
L'indinavir, a concentrazioni da 50 a 100 nM, ha mediato l'inibizione del 95% (CI95 ) della propagazione virale (rispetto al controllo infettato dal virus, non trattato) in colture di cellule linfoidi T umane e in monociti/macrofagi primari umani, infettati rispettivamente con le varianti LAI, MN e RF dell'HIV-1 e con SF 162, una variante virale con tropismo per i macrofagi. L'indinavir, a concentrazioni da 25 a 100 nM, ha mediato una inibizione del 95% della propagazione virale in colture di cellule mononucleate di sangue umano periferico attivate con mitogeni, infettate con diversi isolati clinici di HIV-1, che hanno incluso isolati resistenti alla zidovudina e agli inibitori della transcriptasi inversa non nucleosidici. L'attività sinergica antiretrovirale è stata osservata in cellule linfoidi T umane infettate con la variante LAI dell'HIV-1, incubate con indinavir e o zidovudina o didanosina o un inibitore della transcriptasi inversa non nucleosidici.
- Resistenza farmacologica
In alcuni pazienti si è verificata la perdita della soppressione dei livelli di RNA virale; tuttavia, la conta delle cellule CD4 rimaneva spesso al di sopra dei livelli di pretrattamento. Quando si verificava perdita della soppressione dei livelli di RNA virale, questa era tipicamente associata alla sostituzione in circolo del virus sensibile con le varianti virali resistenti. La resistenza era correlata con l'accumulo di mutazioni nel genoma virale, la cui espressione era rappresentata da sostituzioni aminoacidiche nella proteasi virale.
Almeno 11 siti aminoacidici della proteasi sono stati associati a resistenza all'indinavir: L10, K20, L24, M46, I54, L63, I64, A71, V82, I84 e L90. La base del loro contributo alla resistenza, comunque, è complessa. Nessuna di queste sostituzioni era necessaria o sufficiente per la resistenza. Ad esempio, una sostituzione singola o una coppia di sostituzioni non era in grado di produrre una resistenza all'indinavir misurabile (
³ quattro volte) ed il livello di resistenza era dipendente dai modi in cui sostituzioni multiple erano combinate. In generale, comunque, livelli più elevati di resistenza sono derivati dalla coespressione di numeri più elevati di sostituzioni a livello delle undici posizioni individuate. Fra i pazienti in cui si è verificato il rebound dell'RNA virale durante la monoterapia con indinavir al dosaggio di 800 mg ogni 8 ore, nella maggior parte di questi sono state osservate sostituzioni in soli tre di questi siti: V82 (ad A o F), M46 (ad I o L) e L10 (ad I o R). Altre sostituzioni sono state osservate meno frequentemente. Da quanto è apparso, le sostituzioni aminoacidiche osservate si sono presentate sequenzialmente e senza un ordine conforme, probabilmente come risultato della replicazione virale in corso.
Si deve notare che la diminuzione della soppressione dei livelli di RNA virale è stata osservata più frequentemente quando la terapia con l'indinavir veniva iniziata a dosi più basse della dose orale raccomandata di 2,4 g/die. Per questo motivo, la terapia con l'indinavir deve essere iniziata alla dose raccomandata per aumentare la soppressione della replicazione virale e, quindi, per inibire l'insorgenza di resistenza virale.
L'uso concomitante di indinavir con analoghi nucleosidici (in un paziente che non è stato mai trattato) può ridurre il rischio di sviluppo di resistenza sia nei confronti dell'indinavir che degli analoghi nucleosidici. In uno studio comparativo la terapia di associazione con analoghi nucleosidici (terapia triplice con zidovudina più didanosina) ha conferito una protezione contro la selezione del virus che presentava almeno una sostituzione aminoacidica associata a resistenza sia nei confronti dell'indinavir (da 13/24 a 2/20 a 24 settimane di terapia) che degli analoghi nucleosidici (da 10/16 a 0/20 a 24 settimane di terapia).
La terapia con l'indinavir in associazione viene preferita a causa della possibile insorgenza di resistenza.
- Resistenza crociata
Campioni prelevati da pazienti con HIV-1 in cui la sensibilità all'indinavir era diminuita, hanno mostrato resistenza crociata, diversa per tipo e grado, verso vari inibitori della proteasi dell'HIV, che comprendevano il ritonavir e il saquinavir. Una resistenza crociata completa è stata osservata tra indinavir e ritonavir, mentre la resistenza crociata con il saquinavir variava da un campione all'altro. Molte delle sostituzioni aminoacidiche della proteasi che sono state associate a resistenza verso ritonavir e saquinavir, sono state associate a resistenza anche verso l'indinavir.
- Effetti farmacodinamici
Ad oggi è stato documentato che il trattamento con indinavir, da solo o in associazione con altri agenti antiretrovirali (cioè analoghi nucleosidici), riduce la carica virale e aumenta i linfociti CD4 in pazienti con conta delle cellule CD4 inferiore a 500 cell/mm3 .
L'indinavir da solo o in associazione con analoghi nucleosidici (zidovudina/stavudina e lamivudina) ha mostrato di rallentare la progressione clinica rispetto agli analoghi nucleosidici ed ha fornito un effetto sostenuto nel tempo sulla carica virale e sulla conta dei CD4.
In pazienti precedentemente trattati con zidovudina, l'associazione di indinavir, zidovudina e lamivudina vs lamivudina in aggiunta a zidovudina ha ridotto dal 13% al 7% la probabilità di patologie indicative di AIDS o di decesso a 48 settimane. Similmente, in pazienti mai trattati con antiretrovirali, l'indinavir associato o non alla zidovudina vs la zidovudina da sola ha ridotto la probabilità di patologie indicative di AIDS o di decesso a 48 settimane dal 15% con zidovudina da sola a circa il 6% con indinavir da solo o in associazione con zidovudina.
Gli effetti sulla carica virale sono stati consistentemente più evidenti nei pazienti trattati con indinavir in associazione con analoghi nucleosidici, ma tra gli studi la percentuale di pazienti con livelli sierici di RNA virale al di sotto dei limiti di rilevabilità (500 copie/ml) variava dal 40% ad oltre l'80% a 24 settimane. In periodi prolungati di follow-up queste percentuali tendono a rimanere stabili. Similmente, gli effetti sulla conta delle cellule CD4 tendono ad essere più evidenti in pazienti trattati con indinavir in associazione con analoghi nucleosidici che non in quelli trattati con indinavir da solo. Nell'ambito degli studi questo effetto si mantiene anche per periodi prolungati di follow-up.
- Assorbimento
Indinavir, a digiuno, è rapidamente assorbito, raggiungendo la concentrazione plasmatica massima in 0,8±0,3 ore (media ± DS). A dosi comprese tra 200 ed 800 mg, sono state rilevate concentrazioni plasmatiche di indinavir maggiori rispetto ad un incremento lineare della dose. A livelli di dosaggio fra 800 mg e 1.000 mg, il discostamento dalla linearità è meno evidente. Data la breve emivita, 1,8±0,4 ore, dopo dosi multiple si è verificato solo un minimo aumento delle concentrazioni plasmatiche. La biodisponibilità di una singola dose di 800 mg di indinavir è risultata del 65% circa (IC 90%, 58-72%).
La somministrazione di indinavir con un pasto ad elevato contenuto calorico, lipidico e proteico ha determinato un assorbimento attenuato e ridotto, con una riduzione approssimativamente dell'80% dell'AUC e dell'86% della Cmax. La somministrazione con pasti leggeri (ad es., pane tostato con marmellata, succo di mela e caffè con latte scremato o parzialmente scremato e zucchero; oppure, corn flakes, latte scremato o parzialmente scremato e zucchero) ha determinato concentrazioni plasmatiche paragonabili ai corrispettivi valori dell'assunzione a digiuno.
- Distribuzione
Nell'uomo non è stato osservato un elevato legame dell'indinavir con le proteine plasmatiche (frazione libera 39%).
Non ci sono dati sull'uomo riguardo il passaggio dell'indinavir nel sistema nervoso centrale.
- Biotrasformazione
Sono stati individuati 7 principali metaboliti e le vie metaboliche sono state identificate con la glicuronidazione dell'azoto piridinico, la piridino-N-ossidazione con o senza l'idrossilazione in posizione 3' dell'anello indanico, 3'-idrossilazione dell'indano, la p-idrossilazione della parte fenilmetilica e la N-depiridometilazione con o senza 3'-idrossilazione. Studi in vitro su microsomi di epatociti umani hanno indicato che il citocromo CYP3A4 è il solo isoenzima del P450 che gioca un ruolo importante nel metabolismo ossidativo dell'indinavir. L'analisi di campioni di plasma e urine di soggetti trattati con indinavir ha indicato che i metaboliti dell'indinavir presentano una minima attività inibitoria sulla proteasi.
- Eliminazione
Quando sono state somministrate, sia a volontari che a pazienti infettati da HIV, dosi comprese tra 200 e 1.000 mg, il recupero urinario è risultato di poco superiore rispetto ad un incremento lineare della dose. A dosi maggiori del range di dosaggio clinico, la clearance renale (116ml/min) dell'indinavir è indipendente dalla concentrazione. Meno del 20% dell'indinavir viene escreto per via renale. L'escrezione urinaria media del farmaco immodificato dopo una singola dose somministrata a digiuno, è stata del 10,4% dopo una dose di 700 mg, e del 12% dopo una dose di 1.000 mg. L'indinavir è stato rapidamente eliminato, con un'emivita di 1,8 ore.
- Caratteristiche dei pazienti
Da quanto appare la farmacocinetica dell'indinavir non è influenzata dalla razza.
Non ci sono differenze clinicamente significative nella farmacocinetica dell'indinavir nelle donne HIV sieropositive rispetto agli uomini HIV sieropositivi.
Pazienti con insufficienza epatica lieve-moderata e evidenza clinica di cirrosi hanno mostrato una diminuzione del metabolismo dell'indinavir, con un aumento di circa il 60% della AUC media dopo una dose di 400mg. L'emivita media dell'indinavir è aumentata fino a circa 2,8 ore.
In uno studio su pazienti sieropositivi per l'HIV trattati con un regime di dosaggio di 800 mg ogni 8 ore, i valori raggiunti allo stato di equilibrio della AUC, delle concentrazioni plasmatiche di picco e le concentrazioni plasmatiche a 8 ore dalla somministrazione sono rispettivamente 28.713 nM h, 44 nM e 211 nM.
Cristalli sono stati rilevati nelle urine di ratti, di una scimmia e di un cane. I cristalli non erano associati a lesioni renali indotte dal farmaco. Un aumento del peso della tiroide e iperplasia follicolare tiroidea, causati da un aumento della clearance della tiroxina, sono stati osservati in ratti trattati con indinavir a dosi ³160 mg/kg/die. È stato rilevato un aumento del peso del fegato in ratti trattati con indinavir a dosi ³40 mg/kg/die, che a dosi ³320 mg/kg/die era associato ad ipertrofia epatocellulare.
Nel ratto e nel topo la dose orale massima non letale di indinavir è risultata almeno di 5.000 mg/kg, la dose più elevata valutata negli studi di tossicità acuta.
Studi sul ratto hanno indicato un passaggio limitato del farmaco nel tessuto cerebrale, una rapida distribuzione all'interno e all'esterno del sistema linfatico e un'elevata escrezione con il latte materno. La distribuzione attraverso la barriera placentare è stata significativa nel ratto ma limitata nel coniglio.
- Mutagenicità - In studi con o senza attivazione metabolica l'indinavir non ha mostrato attività mutagena o genotossica.
- Cancerogenicità - Nel topo non è stata osservata cancerogenicità ai massimi dosaggi tollerati, che forniva un'esposizione sistemica di circa 2-3 volte maggiore l'esposizione clinica. Nel ratto, a simili livelli di esposizione, è stato osservato un aumento dell'incidenza di adenoma tiroideo, probabilmente correlato ad un aumento del rilascio di TSH secondario ad un aumento della clearance di tiroxina. L'applicabilità di questi dati alll'uomo è probabilmente limitata.
Per gli eccipienti, vedere `06.1 Eccipienti'.
Crixivan 200 mg capsule dure contiene: lattosio anidro e magnesio stearato. Costituenti della capsula: gelatina, biossido di titanio, silice colloidale, sodio lauril solfato. Inchiostro da stampa: biossido di titanio (E171) e E132 indigotina.
Le capsule dure sono di color bianco traslucido e riportano in blu il marchio Crixivan 200 mg.
Non applicabile.
36 mesi per i flaconi in HPDE di Crixivan 200 mg da 180, 270, o 360 capsule dure.
Conservare nel contenitore originale. Tenere il contenitore ermeticamente chiuso per proteggere dall'umidità.
Crixivan 200mg capsule dure è fornito in flaconi in HDPE [polietilene ad alta densità], con tappo in polipropilene e una protezione in alluminio, contenenti 180, 270 o 360 capsule dure.
I flaconi contengono dei contenitori con essiccanti che devono rimanere nel flacone. Avvisare il paziente di non ingerire l'essiccante.
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4 Ottobre 1996
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5 luglio 2000
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