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Rivoluzione
russa
(1917)
Consideriamo qui l'insieme degli eventi che portarono in Russia alla caduta
dello zar e all'instaurazione, alla fine del 1917, di un regime bolscevico e
successivamente alla fondazione dell'Unione delle Repubbliche Socialiste
Sovietiche (URSS).
Con il termine
"Rivoluzione russa" ci si riferisce in realtà a due diversi episodi
rivoluzionari: il primo (Rivoluzione di febbraio) rovesciò il regime
autocratico dello zar instaurando un governo provvisorio di ispirazione liberale
(8-12 marzo 1917, ma 23-27 febbraio secondo il calendario giuliano usato a quel
tempo in Russia); il secondo (Rivoluzione bolscevica d'ottobre), organizzato dal
Partito bolscevico, si concluse con la presa del potere da parte dei bolscevichi
e la costituzione di uno stato comunista (6-7 novembre, ma 24-25 ottobre secondo
il calendario giuliano).
GLI
ANTEFATTI
Le timide riforme
introdotte dallo zar Alessandro II avevano alimentato l'attesa e la richiesta di
ulteriori interventi innovativi sul piano istituzionale e legislativo: in
particolare gli organi rappresentativi di governo locale (zemstvo) erano
visti da più parti come l'embrione di un governo parlamentare nazionale, mentre
la soppressione della servitù della gleba sembrò preannunciare una riforma
agraria di ampio respiro. L'apertura di licei e università ai figli delle
classi non nobili, inoltre, creò in breve tempo una numerosa comunità di
giovani intellettuali di tendenze rivoluzionarie.
LA
RIVOLUZIONE DI FEBBRAIO
I terribili disagi
provocati dalla prima guerra mondiale, cui la Russia giunse largamente
impreparata, uniti all'inefficienza del governo zarista di Nicola II (con la
famiglia imperiale
soggiogata dall'ambigua figura di Rasputin) finirono con
l'esasperare la maggioranza della popolazione. Quando, nel marzo del 1917, nella
capitale Pietrogrado (ora San Pietroburgo) una dimostrazione di protesta contro
la carenza di pane degenerò in insurrezione armata appoggiata da soldati
ammutinati, il Consiglio dei ministri decise di passare il potere a un nuovo
gabinetto costituito da personalità provenienti dalla Duma (la Camera bassa
istituita nel 1905 e fino ad allora riunitasi pochissime volte). Lo zar Nicola
II, totalmente isolato, abdicò e si formò il primo governo provvisorio a
direzione moderata, sotto la guida del principe Lvov.
IL
GOVERNO PROVVISORIO E IL SOVIET DI PIETROGRADO
Il governo
provvisorio approvò immediatamente una serie di misure liberali, tra cui
l'eliminazione della polizia e della gendarmeria imperiali (sostituite da una
guardia nazionale del popolo) e l'introduzione delle libertà di riunione e di
espressione, delle quali approfittarono immediatamente i socialisti russi per
esprimere la propria opposizione alla guerra in atto e diffondere l'appello per
una "pace democratica senza riparazioni o annessioni".
In assenza del
loro leader Lenin, in esilio in Svizzera, i capi della frazione bolscevica
all'interno del Partito operaio socialdemocratico – Molotov e Stalin
– decisero di appoggiare il nuovo regime, almeno sino a quando non avesse
ostacolato gli obiettivi del movimento socialista; nel contempo promossero la
costituzione di una rete di organismi rappresentativi di base (i soviet)
sul modello del Consiglio dei deputati, degli operai e dei soldati già sorto a
Pietrogrado, che si diffusero anche fra le truppe impegnate sul fronte di
guerra, portando in breve a una situazione di caos nell'esercito che peggiorò
la già difficile situazione strategica.
Il 16 aprile 1917
Lenin raggiunse la capitale con un treno blindato messogli a disposizione dal
Comando supremo tedesco, convinto a ragione che egli avrebbe portato la Russia
fuori dal conflitto. Lenin convinse i dirigenti bolscevichi a prendere le
distanze dal nuovo governo e a rifiutare compromessi con il regime liberale e le
sue forze politiche (compresi gli esponenti moderati socialisti, i menscevichi),
per puntare direttamente alla realizzazione di uno stato comunista. Su questa
strada, il primo passo da compiere era quello di porre fine all'impegno bellico,
per poter dedicare ogni energia alla rivoluzione.
Nelle settimane
successive, la martellante propaganda bolscevica (organizzata abilmente da Lev
Trotzkij, a sua volta rientrato dall'esilio americano, e finanziata segretamente
dai tedeschi) guadagnò un ampio consenso popolare alla causa dell'uscita dalla
guerra, mettendo in crisi la linea del governo e della maggioranza menscevica
del Soviet di Pietrogrado. In primavera, l'entrata nel governo di quattro
esponenti del Soviet della capitale (tra cui Aleksandr Fëdoroviè Kerenskij, il
quale, assunta la guida del ministero della Guerra, si impegnò in una strenua
opera di convincimento presso i soldati sul carattere nazionale e non "di
classe" della guerra che stavano combattendo) non ammorbidì i toni critici
dei bolscevichi, che anzi, nel corso del primo Congresso generale dei soviet
apertosi a metà giugno, per bocca di Lenin annunciarono pubblicamente
l'intenzione di assumersi da soli la responsabilità del governo del paese,
senza collaborare con i partiti "borghesi".
Il totale
fallimento della vasta offensiva contro le forze austro-tedesche, lanciata a
fine giugno dall'esercito russo (di lì a poco sfaldatosi per le diserzioni in
massa), fece da sfondo alla prima manifestazione di forza pubblicamente operata
dai bolscevichi, che tra il 13 e il 14 luglio portarono nelle strade della
capitale centinaia di migliaia di dimostranti (tra cui l'intera guarnigione
della vicina fortezza di Kronštadt) per richiedere lo scioglimento della Duma e
l'elezione di un'Assemblea costituente.
I
BOLSCEVICHI AL POTERE
Il nuovo primo
ministro Kerenskij si apprestò allora a disinnescare il pericolo di una presa
del potere da parte del Partito bolscevico, accogliendone parte delle richieste
(proclamazione della repubblica in settembre e convocazione di un preparlamento
per decidere le riforme istituzionali) e arrestandone nel contempo i capi con
l'accusa di connivenza con il nemico (venuto a conoscenza del piano, Lenin fu
costretto a rifugiarsi temporaneamente in Finlandia).
Nel corso di
questo tentativo, il primo ministro si trovò tuttavia a dover fronteggiare il
colpo di stato di settembre del generale cosacco Kornilov, comandante supremo
dell'esercito, che tentò di occupare Pietrogrado per restaurare il regime
zarista. Kerenskij, inizialmente favorevole, cambiò idea nel timore di divenire
egli stesso vittima del moto controrivoluzionario: ordinò l'arresto del
generale già in marcia sulla capitale, chiedendo al Soviet e ai bolscevichi
della città di organizzarne la difesa. Soldati e operai andarono incontro ai
militari e, persuadendoli a fermarsi, posero fine all'"affare
Kornilov"; questi avvenimenti ebbero il duplice effetto di far perdere al
primo ministro l'appoggio degli ufficiali dell'esercito e di rafforzare
notevolmente la popolarità (oltre che la capacità operativa) delle oltre
40.000 guardie rosse bolsceviche.
Dal suo rifugio finlandese, Lenin inviò numerosi appelli al Comitato centrale del Partito bolscevico perché stringesse i tempi della conquista del potere da parte dei soviet; su proposta di Trotzkij si decise che l'azione sarebbe avvenuta in concomitanza all'apertura del secondo Congresso generale dei soviet, programmata per il 7 novembre. La notte del 6 le guardie rosse occuparono i punti-chiave della capitale, dando poi l'assalto al Palazzo d'Inverno (dove i ministri del governo provvisorio furono arrestati, a eccezione di Kerenskij, che riuscì a fuggire) e da lì annunciando il passaggio del potere in mano ai soviet.
IL
NUOVO REGIME E LA GUERRA CIVILE
Il Congresso dei
soviet (a schiacciante maggioranza bolscevica) si sostituì quale Assemblea
costituente a quella eletta poche settimane prima, nella quale i bolscevichi
erano risultati minoritari. Proclamata la Repubblica sovietica, il governo venne
affidato a un Consiglio dei commissari del popolo, al cui vertice fu nominato
Lenin. Contro il nuovo potere bolscevico Kerenskij mobilitò le truppe
rimastegli fedeli, ma venne sconfitto. Nel paese la rivoluzione incontrò
inizialmente diverse resistenze: a Mosca i bolscevichi assunsero il controllo
della città il 2 novembre e in tutta la Russia i nuovi organi di governo si
insediarono entro la fine del 1917.
L'opposizione al
bolscevismo si radicò in Ucraina, nell'area del Don e del Caucaso, alimentando
una sanguinosa guerra civile, protrattasi sino al 1920; nel corso di questo
conflitto i controrivoluzionari "bianchi" ebbero l'appoggio
finanziario e militare di molte potenze europee occidentali nella lotta contro i
"rossi" bolscevichi che, ottenuta la vittoria, dovettero ammorbidire
la propria azione di governo per evitare il totale collasso della nazione (a
questo scopo Lenin varò la Nuova politica economica nel 1921). L'ultimo atto
formale della Rivoluzione bolscevica fu la costituzione, il 30 dicembre 1922,
dell'Unione delle repubbliche socialiste sovietiche (URSS).
Intanto le prime
decisioni adottate dagli organi rivoluzionari – abolizione della proprietà
privata delle terre e loro distribuzione ai contadini, smobilitazione
dell'esercito contestualmente all'apertura di trattative di pace con la
Germania, controllo operaio sulle fabbriche, nazionalizzazione delle banche –
avevano assicurato loro un vasto sostegno in tutte le province dell'ex impero,
consolidato dalla proclamazione il 15 novembre del diritto alla separazione
volontaria dalla Russia delle nazionalità annesse con la forza dal regime
zarista.
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