La presenza di anemia è di comune riscontro nei pazienti ricoverati per sindrome
coronarica acuta ( ACS ), e sta emergendo come importante fattore prognostico
nella cardiopatia ischemica.
Sono pochi gli studi che hanno analizzato l’impatto dei livelli di emoglobina
nel mondo reale delle sindromi coronariche acute.
I Ricercatori del Policlinico S.Orsola di Bologna hanno valutato il significato
prognostico a breve termine del livello di emoglobina nel mondo reale nei
pazienti affetti da sindrome coronarica acuta.
Lo studio ha riguardato 1.074 pazienti consecutivi ricoverati per sindrome
coronarica acuta presso il Policlinico S.Orsola nell’anno 2004.
La popolazione dello studio è stata suddivisa, in base al livello di emoglobina
al ricovero, in 5 gruppi: minore o uguale a 10 ( n = 89 ), 10.1-12 ( n = 232 ),
12.1-14 ( n = 436 ), 14.1-16 ( n = 264 ), maggiore di16 g/dl ( n = 53 ).
L’outcome principale era rappresentato dalla mortalità a 30 giorni,
Un totale di 480 pazienti presentava ST sopralivellato ( STE-ACS ), mentre 584
avevano presentazione senza sopralivellamento di ST ( NSTE-ACS ).
La riduzione del livello di emoglobina era associata con l’età avanzata, il
sesso femminile, il pregresso infarto del miocardio, l’arteriopatia periferica e
l’insufficienza renale ( p <0.001 ).
Il diabete e il pregresso ictus erano correlati con il valore di emoglobina (
rispettivamente p=0.002 e p<0.001 ), con una prevalenza più alta ad entrambi gli
estremi dello spettro emoglobinico.
Una simile distribuzione ad U è stata osservata per la classe Killip maggiore
di1 ( p <0.001 ).
La pressione arteriosa sistolica e diastolica sono risultate incrementate
all’aumentare dell’emoglobina ( p<0.001 ).
Nelle prime 24 ore un ridotto livello di emoglobina era associato ad un minor
uso di Acido Acetilsalicilico, beta-bloccanti ed Ace inibitori ( tutti p<0.001
).
La relazione tra emoglobina e mortalità a 30 giorni presentava un caratteristico
andamento ad U ( p<0.001 ). Questa tendenza è stata osservata sia nel
sottogruppo STE-ACS che NSTE-ACS ( p < 0.001 ). Tuttavia, dopo aggiustamento per
tutte le covariate, non è stata confermata un’associazione indipendente tra
emoglobina e mortalità a 30 giorni ( p=0.420 ).
In conclusione, lo studio ha confermato che nel mondo reale il livello di
emoglobina al ricovero è un importante indicatore di rischio nelle sindromi
coronariche acute, ma il suo significato prognostico negativo non è separabile
dal ruolo delle altre variabili. ( 2007 )
Fonte: Vagnarelli F et al, Giornale Italiano di Cardiologia, 2007
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