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VIRAMUNE 50 mg/5 ml - Sospensione orale
Ogni ml di sospensione orale contenente 10 mg di nevirapina (come emiidrato).
Ogni flacone contiene 2,4 g di nevirapina.
Eccipienti: ogni ml di sospensione orale contiene 150 mg di saccarosio, 162 mg di sorbitolo, 1,8 mg di metile paraidrossibenzoato e 0,24 mg di propile paraidrossibenzoato.
Per l’elenco completo degli eccipienti, vedere paragrafo 6.1.
Sospensione orale.
Sospensione orale di colore da bianco a quasi bianco ed omogenea.
VIRAMUNE è indicato in associazione con altri medicinali anti-retrovirali per il trattamento di adulti, adolescenti e bambini di ogni età (vedere paragrafo 4.4).
La maggiore parte dell’esperienza con VIRAMUNE è in associazione con gli inibitori nucleosidici della transcriptasi inversa (NRTIs). La scelta di una terapia successiva a Viramune si deve basare sull’esperienza clinica e sui test di resistenza. (vedere paragrafo 5.1).
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VIRAMUNE deve essere somministrato da medici esperti nel trattamento dell’infezione da HIV.
Pazienti pediatrici
La dose totale giornaliera non deve superare 400 mg per qualsiasi paziente. VIRAMUNE può essere dosato nei pazienti pediatrici sulla base della superficie corporea (SC) o sulla base del peso corporeo nel seguente modo: se si valuta la SC secondo la formula di Mosteller, la dose orale raccomandata per i pazienti pediatrici di tutte le età è 150 mg/m² una volta al giorno per due settimane seguita da 150 mg/m² due volte al giorno.
Quantità di Viramune sospensione orale (50 mg/5 ml) da somministrare in base della superficie corporea, per il dosaggio pediatrico pari a 150 mg/m²:
Intervallo di SC (m²) | Quantità (ml) |
0,08 - 0,25 | 2,5 |
0,25 - 0,42 | 5 |
0,42 - 0,58 | 7,5 |
0,58 - 0,75 | 10 |
0,75 - 0,92 | 12,5 |
0,92 - 1,08 | 15 |
1,08 - 1,25 | 17,5 |
1,25+ | 20 |
Formula di Mosteller: SC (m²) = √ Altezza (cm) x Peso (kg)/ 3600
Per i pazienti pediatrici fino a 8 anni di età la dose raccomandata in base al peso corporeo è 4 mg/kg una volta al giorno per due settimane seguita da 7 mg/kg due volte al giorno. Per i pazienti di età pari o superiore a 8 anni la dose raccomandata è di 4 mg/kg una volta al giorno per due settimane seguita da 4 mg/kg due volte al giorno.
Quantità di Viramune sospensione orale (50 mg/5 ml) da somministrare in base al peso corporeo dopo la fase di induzione di due settimane come richiesto per il dosaggio pediatrico.
Intervallo di Peso (kg) per pazienti < 8 anni di età trattati con 7 mg/kg | Intervallo di Peso (kg) per pazienti ≥ 8 anni di età trattati con 4 mg/kg | Quantità (ml) |
1,79 - 5,36 | 3,13 - 9,38 | 2,5 |
5,36 - 8,93 | 9,38 - 15,63 | 5 |
8,93 - 12,50 | 15,63 - 21,88 | 7,5 |
12,50 - 16,07 | 21,88 - 28,12 | 10 |
16,07 - 19,64 | 28,12 - 34,37 | 12,5 |
19,64 - 23,21 | 34,37 - 40,62 | 15 |
23,21 - 26,79 | 40,62- 46,88 | 17,5 |
26,79+ | 46,88+ | 20 |
Il peso corporeo o SC di tutti i pazienti di età inferiore a 16 anni che assumono Viramune sospensione orale deve essere controllato frequentemente per verificare se è necessario un aggiustamento della dose.
Pazienti di età non inferiore a 16 anni
Il dosaggio di VIRAMUNE raccomandato è di 20 ml (200 mg) di sospensione orale una volta al giorno per i primi 14 giorni (questa fase di induzione è necessaria in quanto è stato dimostrato che così si riduce la frequenza delle eruzioni cutanee), e, in seguito, di 20 ml (200 mg) di sospensione orale due volte al giorno, in combinazione con almeno due farmaci antiretrovirali.
È importante che venga somministrata tutta la dose misurata di VIRAMUNE sospensione orale. Ciò è facilitato dall’uso della siringa che viene fornita come dosatore. Se viene utilizzato un diverso sistema dosatore (per esempio un bicchierino dispensatore o un cucchiaino per dosi maggiori) è importante che il dosatore sia risciacquato per assicurare la completa rimozione dei residui di sospensione orale.
VIRAMUNE è disponibile anche in compresse da 200 mg per i pazienti di età di 16 anni o maggiore o per bambini più grandi, particolarmente adolescenti, che pesano 50 kg o di più o la cui SC è superiore a 1,25 m².
VIRAMUNE può essere assunto con o senza cibo.
Insufficienza renale
Per i pazienti con disfunzione renale che richieda dialisi, si raccomanda un ulteriore dose di 200 mg di VIRAMUNE, successiva ad ogni trattamento di dialisi. I pazienti con CLcr ≥ 20 ml/min non necessitano di un aggiustamento posologico, vedere paragrafo 5.2.
Insufficienza epatica
VIRAMUNE non deve essere utilizzato in pazienti con grave compromissione epatica (Child-Pugh C, vedere paragrafo 4.3). Non è necessario un aggiustamento posologico per i pazienti con insufficienza epatica da lieve a moderata (vedere paragrafo 4.4 e 5.2).
Anziani
VIRAMUNE non è stato valutato in modo specifico in pazienti di età superiore a 65 anni.
Considerazioni per la corretta gestione del dosaggio
I pazienti che manifestino eruzioni cutanee durante i 14 giorni della fase di induzione con la dose di 200 mg die (4mg/kg/die o 150/mg/m²/die per pazienti in età pediatrica) non devono aumentare la dose di VIRAMUNE fino a che l’eruzione cutanea non si sia risolta. L’eruzione cutanea isolata dovrebbe essere attentamente controllata (fare riferimento al paragrafo 4.4).
I pazienti che interrompono la terapia con VIRAMUNE per più di 7 giorni devono ricominciare l’assunzione, in accordo allo schema posologico consigliato, seguendo la fase di induzione per due settimane.
Per le espressioni di tossicità che richiedono l’interruzione di VIRAMUNE, vedere il paragrafo 4.4.
Ipersensibilità al principio attivo o ad uno qualsiasi degli eccipienti.
VIRAMUNE non deve essere risomministrato ai pazienti che hanno dovuto definitivamente interrompere il trattamento a causa di eruzione cutanea grave, o eruzione cutanea associata a sintomi sistemici, reazioni di ipersensibilità, o epatite clinica in seguito alla somministrazione di nevirapina.
VIRAMUNE non deve essere utilizzato in pazienti con grave compromissione epatica (Child-Pugh C) o con AST o ALT > 5 ULN prima del trattamento, fino a quando i valori basali di AST/ALT non si siano stabilizzati a < 5 ULN.
VIRAMUNE non deve essere risomministrato nei pazienti che hanno precedentemente presentato AST o ALT > 5 ULN durante la terapia con nevirapina e che hanno mostrato nuovamente anomalie dei test di funzionalità epatica quando VIRAMUNE è stata risomministrato, (vedere paragrafo 4.4.).
Prodotti a base di erbe contenenti l’erba di S. Giovanni (Hypericum perforatum) non devono essere utilizzati durante la somministrazione di VIRAMUNE per il potenziale rischio di diminuzione delle concentrazioni plasmatiche e ridotti effetti clinici della nevirapina (vedere paragrafo 4.5).
VIRAMUNE deve essere utilizzato esclusivamente in associazione con almeno altri due farmaci antiretrovirali (vedere paragrafo 5.1).
VIRAMUNE non deve essere utilizzato come unico antiretrovirale, poiché gli antiretrovirali in monoterapia determinano resistenza virale.
Le prime 18 settimane di terapia con VIRAMUNE sono un periodo critico che richiede un attento monitoraggio dei pazienti al fine di evidenziare la potenziale insorgenza di reazioni cutanee gravi e pericolose per la vita (incluso casi di sindrome Stevens-Johnson (SJS) e necrolisi epidermica tossica (TEN)) o grave epatite/insufficienza epatica. Il massimo rischio di eventi epatici e reazioni cutanee si verifica nelle prime 6 settimane di terapia. Tuttavia il rischio di un qualunque evento epatico permane dopo questo periodo e il controllo deve continuare a intervalli regolari. L’appartenenza al sesso femminile e una conta di CD4 più elevata all’inizio della terapia, espongono i pazienti a un maggior rischio di eventi avversi a livello epatico. A meno che il beneficio non superi il rischio, la terapia con VIRAMUNE non deve essere iniziata in pazienti adulte con conta di CD4 maggiore di 250 cellule/mm³ o in pazienti adulti con conta di CD4 maggiore di 400 cellule/mm³. Questa precauzione si basa sul riscontro, in studi controllati e non, di epatotossicità grave e pericolosa per la vita.
In alcuni casi la compromissione epatica è progredita nonostante la sospensione del trattamento. I pazienti che sviluppano segni o sintomi di epatite, gravi reazioni cutanee o reazioni di ipersensibilità devono sospendere il trattamento con VIRAMUNE e sottoporsi immediatamente ad una visita medica. L’assunzione di Viramune non deve essere ripresa successivamente a gravi reazioni epatiche, cutanee o di ipersensibilità (vedere paragrafo 4.3).
Lo schema posologia deve essere rigorosamente rispettato, specialmente nei primi 14 giorni della fase di induzione (vedere paragrafo 4.2).
Reazioni cutanee
In pazienti trattati con VIRAMUNE, si sono verificate reazioni cutanee gravi e pericolose per la vita, inclusi alcuni casi fatali, principalmente durante le prime 6 settimane di terapia. Queste hanno incluso casi di sindrome di Stevens-Johnson, necrolisi epidermica tossica e reazioni di ipersensibilità caratterizzate da eruzione cutanea, sintomi sistemici e compromissioni viscerali. I pazienti devono essere attentamente controllati durante le prime 18 settimane di trattamento. Se si manifesta un’eruzione cutanea isolata, i pazienti devono essere attentamente controllati. VIRAMUNE deve essere definitivamente interrotto nei pazienti che manifestano un’eruzione cutanea grave o eruzione cutanea associata a sintomi sistemici (quali febbre, vescicole, lesioni del cavo orale, congiuntivite, edema facciale, dolori muscolari o articolari, o malessere generalizzato), incluso la sindrome Stevens-Johnson, o necrolisi epidermica tossica. VIRAMUNE deve essere definitivamente interrotto nei pazienti che manifestano reazioni di ipersensibilità (caratterizzate da eruzione cutanea con sintomi sistemici, in aggiunta a compromissioni viscerali, quali epatite, eosinofilia, granulocitopenia e disfunzione renale) vedere paragrafo 4.4.
La somministrazione di VIRAMUNE a dosi superiori a quelle consigliate potrebbe aumentare la frequenza e la gravità di reazioni cutanee, quali la sindrome di Stevens-Johnson e la necrolisi epidermica tossica.
È stata osservata rabdomiolisi in pazienti che hanno manifestato reazioni cutanee e/o epatiche associate all’uso di Viramune.
L’uso concomitante di prednisone (40 mg/die per i primi 14 giorni di somministrazione di VIRAMUNE) non riduce l’incidenza dell’eruzione cutanea associata a VIRAMUNE, e può essere associato ad un aumento nell’incidenza e gravità dell’eruzione cutanea durante le prime 6 settimane di terapia con VIRAMUNE.
Sono stati evidenziati alcuni fattori di rischio per lo sviluppo di gravi reazioni cutanee: quali la non osservanza della dose iniziale di 200 mg al giorno (4 mg/kg/die o 150 mg/m² per i pazienti in età pediatrica) durante la fase di induzione e un lungo ritardo tra i sintomi iniziali ed il consulto medico.
Le donne sembrano essere maggiormente a rischio di sviluppare eruzioni cutanee rispetto agli uomini, indipendentemente dall’assunzione di VIRAMUNE
I pazienti devono essere informati che uno maggiori effetti tossici di VIRAMUNE è l’eruzione cutanea. E che devono tempestivamente informare il proprio medico di qualsiasi episodio di eruzione cutanea. La maggior parte dei casi di eruzione cutanea associati a VIRAMUNE si verifica entro le prime 6 settimane dall’inizio della terapia. È durante questo periodo, che l’insorgenza di eruzioni cutanee deve essere attentamente monitorata nei pazienti. I pazienti devono, inoltre, essere informati che, in caso di manifestazione cutanea durante le 2 settimane del periodo di induzione, non si deve procedere all’aumento della dose fino a completa risoluzione dei segni clinici. I pazienti in età pediatrica richiedono un controllo attento, particolarmente nelle prime 18 settimane di trattamento, poiché tali pazienti non hanno la stessa capacità degli adulti di notare o riportare reazioni cutanee.
Ogni paziente che manifesti grave eruzione cutanea o eruzione associata a sintomi sistemici quali febbre, vescicole, lesioni del cavo orale, congiuntivite, edema facciale, dolori muscolari o articolari, o malessere generalizzato deve interrompere il medicinale e sottoporsi immediatamente ad una visita medica. In questi pazienti VIRAMUNE non deve essere risomministrato.
Se i pazienti presentano una sospetta eruzione cutanea associata a VIRAMUNE, devono essere effettuati i test di funzionalità epatica. Pazienti con incrementi da moderati a gravi (AST o ALT> 5 ULN) devono interrompere definitivamente il trattamento con VIRAMUNE.
Nel caso si verifichi ipersensibilità caratterizzata da eruzione cutanea con sintomi sistemici, quali febbre, artralgia, mialgia e linfoadenopatia, in aggiunta a compromissioni viscerali, quali epatite, eosinofilia, granulocitopenia e disfunzione renale, VIRAMUNE deve essere sospeso in modo permanente e non più somministrata (vedere paragrafo 4.3).
Reazioni epatiche
Nei pazienti trattati con VIRAMUNE, si è verificata epatotossicità grave e pericolosa per la vita, compresa epatite fatale fulminante. Le prime 18 settimane di trattamento sono un periodo critico che richiede uno stretto monitoraggio. Il rischio di eventi epatici è massimo nelle prime 6 settimane di terapia. Comunque il rischio continua dopo questo periodo ed il monitoraggio deve continuare ad intervalli frequenti durante il trattamento.
È stata osservata rabdomiolisi in pazienti che hanno manifestato reazioni cutanee e/o epatiche associate all’uso di Viramune.
L’aumento dei livelli di AST o ALT > 2,5 ULN e/o co-infezione con epatite B e/o C all’inizio della terapia antiretrovirale è in generale associato ad un maggiore rischio di eventi avversi epatici durante la terapia antiretrovirale, incluso con regimi di trattamento che comprendono VIRAMUNE.
Il sesso femminile e pazienti con conta di CD4 più elevata sono a maggior rischio di eventi avversi a livello epatico. Le donne corrono un rischio tre volte superiore rispetto agli uomini di sviluppare eventi epatici sintomatici, spesso associati a rash cutaneo (5,8 % verso 2,2 %) e i pazienti con conta di CD4 più elevata all’inizio della terapia con VIRAMUNE sono esposti a maggior rischio di eventi sintomatici a livello epatico con VIRAMUNE. In un’analisi retrospettiva le donne con conta di CD4 >250 cellule/mm³ presentavano un rischio di eventi avversi sintomatici a livello epatico 12 volte superiore rispetto a donne con conta di CD4 <250 cellule/mm³ (11,0 % verso 0,9 %). È stato osservato un incremento di rischio in uomini con conta di CD4 >400 cellule/mm³ (6,3 % verso 1,2 % degli uomini con conta di CD4 <400 cellule/mm³).
I pazienti devono essere informati che le reazioni epatiche costituiscono una delle maggiori espressioni di tossicità di VIRAMUNE e richiedono uno stretto controllo durante le prime 18 settimane. Devono essere informati di sospendere la terapia con VIRAMUNE e sottoporsi immediatamente ad una visita medica che includa test di funzionalità epatica in caso sorgano sintomi indicativi di epatite.
Monitoraggio epatico
Prima di iniziare la terapia con VIRAMUNE e a intervalli regolari devono essere effettuati esami clinici di laboratorio che includano test di funzionalità epatica.
Anomalie dei test di funzionalità epatica sono state riportate con VIRAMUNE, alcune nelle prime settimane di terapia.
Aumenti asintomatici degli enzimi epatici sono descritti frequentemente e non costituiscono una controindicazione all’uso di VIRAMUNE. Aumenti asintomatici dei livelli di GGT non costituiscono una controindicazione al proseguimento della terapia.
Il monitoraggio della funzionalità epatica deve essere effettuato ogni 2 settimane durante i primi 2 mesi di trattamento, una volta al 3° mese e poi regolarmente. Il monitoraggio epatico deve essere effettuato se il paziente manifesti segni o sintomi indicativi di epatite e/o ipersensibilità.
Nel caso AST o ALT ≥ 2,5 ULN prima o durante il trattamento, i test epatici devono essere controllati con maggiore frequenza durante regolari visite cliniche. VIRAMUNE non deve essere somministrato a pazienti con AST o ALT >5 ULN prima del trattamento, fino a quando i valori basali di AST/ALT non si siano stabilizzati a < 5 ULN (vedere paragrafo 4.3).
I medici ed i pazienti devono prestare attenzione ai segni prodromici o sintomi di epatite quali anoressia, nausea, ittero, bilirubinuria, feci acoliche, epatomegalia o iperestesia epatica. I pazienti devono essere istruiti di rivolgersi immediatamente al medico nel caso si verifichino questi eventi.
Nel caso AST o ALT aumentino a > 5 ULN durante il trattamento, la somministrazione di VIRAMUNE deve essere immediatamente sospesa. Qualora i livelli di AST e ALT tornino ai valori iniziali e se il paziente non ha avuto segni clinici o sintomi di epatite, rash cutaneo, sintomi costituzionali o altri dati indicativi di disfunzione dell‘organo, è possibile, valutando caso per caso, riprendere il trattamento con VIRAMUNE, alla dose iniziale di 200 mg/die per 14 giorni seguita dalla dose di 400 mg/die. In questi casi, è richiesto un più frequente monitoraggio epatico. La somministrazione di VIRAMUNE deve essere sospesa definitivamente qualora ricompaiano alterazioni della funzionalità epatica.
Nel caso si verifichi epatite clinicamente manifesta, caratterizzata da anoressia, nausea, vomito, ittero E da alterazioni dei dati di laboratorio (quali anomalie del test di funzionalità epatica moderate o gravi (escluso GGT), VIRAMUNE deve essere sospeso in modo permanente.
VIRAMUNE non deve essere risomministrato ai pazienti che hanno sospeso il trattamento a causa di epatite clinica causata dalla nevirapina.
Epatopatie
La sicurezza e l’efficacia di VIRAMUNE non sono state stabilite in pazienti con significative alterazioni epatiche concomitanti. VIRAMUNE è controindicato nei pazienti con gravi compromissioni epatiche (Child-Pugh C, vedere paragrafo 4.3). I risultati di farmacocinetica suggeriscono di somministrare con cautela VIRAMUNE a pazienti con disfunzione epatica moderata (Child-Pugh B). Il rischio di eventi avversi gravi e potenzialmente fatali a carico del fegato è aumentato nei pazienti con epatite cronica B o C trattati con terapia antiretrovirale. In caso di terapia antivirale di associazione per epatite B o C, fare riferimento alle informazioni del caso contenute nelle schede tecniche dei relativi farmaci.
Nel corso della terapia antiretrovirale di associazione la frequenza di alterazioni della funzionalità epatica nei pazienti con disfunzioni epatiche preesistenti, inclusa l’epatite cronica attiva, è aumentata e deve essere sottoposta a monitoraggio secondo la pratica standard. In presenza di deterioramento dell’epatopatia in questi pazienti, si deve prendere in considerazione la sospensione o l’interruzione del trattamento.
Altre avvertenze
Profilassi post-esposizione
Epatotossicità grave, inclusa insufficienza epatica che ha richiesto il trapianto, è stata riportata in individui non infetti da HIV che hanno ricevuto dosi multiple di VIRAMUNE in profilassi postesposizione (PEP), un’indicazione non autorizzata. L’uso di VIRAMUNE nella PEP non è stato valutato in nessuno studio specifico , soprattutto in funzione della durata del trattamento e pertanto è decisamente sconsigliato.
La terapia di associazione con VIRAMUNE non costituisce un trattamento risolutivo per i pazienti infettati da HIV-1; i pazienti possono continuare a manifestare le patologie associate all’infezione da HIV-1 in fase avanzata, incluse le infezioni opportunistiche.
La terapia di associazione con VIRAMUNE non ha dimostrato di ridurre il rischio di trasmissione dell’HIV-1 ad altri soggetti tramite contatto sessuale o di sangue infetto.
Nelle donne che assumono VIRAMUNE non devono essere usati, come unico metodo contraccettivo, contraccettivi orali e altri metodi ormonali per il controllo delle nascite, dal momento che la nevirapina potrebbe determinare una riduzione nelle concentrazioni plasmatiche di questi farmaci. Per questa ragione, e per ridurre il rischio di trasmissione del virus HIV, si raccomandano contraccettivi di barriera (per esempio preservativi). Inoltre, quando si somministra la terapia ormonale post menopausale durante la somministrazione di VIRAMUNE, si deve controllare il suo effetto terapeutico.
La terapia antiretrovirale combinata è stata associata alla ridistribuzione del grasso corporeo (lipodistrofia) in pazienti con infezione da HIV. Le conseguenze a lungo termine di questi eventi sono attualmente sconosciute. La conoscenza del meccanismo d’azione è incompleta. É stata ipotizzata una associazione tra lipomatosi viscerale e inibitori della proteasi e lipoatrofia e inibitori nucleosidici della trascrittasi inversa. Un rischio maggiore di lipodistrofia è stato associato alla presenza di fattori individuali, quali l’età avanzata, e fattori legati al farmaco, come la maggior durata del trattamento antiretrovirale e dei disturbi metabolici ad esso associati. L’esame clinico deve includere la valutazione dei segni fisici di ridistribuzione del grasso. Occorre prendere in considerazione il dosaggio dei lipidi sierici e della glicemia a digiuno. I disordini del metabolismo lipidico devono essere trattati in maniera clinicamente appropriata (vedere paragrafo 4.8).
Osteonecrosi
Sebbene l’eziologia sia considerata multifattoriale (compreso l’impiego di corticosteroidi, il consumo di alcol, l’immunosoppressione grave, un più elevato indice di massa corporea), sono stati riportati casi di osteonecrosi soprattutto nei pazienti con malattia da HIV in stadio avanzato e/o esposti per lungo tempo alla terapia antiretrovirale di combinazione (CART). Ai pazienti deve essere raccomandato di rivolgersi al medico in caso di comparsa di fastidi, dolore e rigidità alle articolazioni, o difficoltà nel movimento.
Sindrome da riattivazione immunitaria
In pazienti affetti da HIV con deficienza immunitaria grave al momento della istituzione della terapia antiretrovirale di combinazione (CART), può insorgere una reazione infiammatoria a patogeni opportunisti asintomatici o residuali e causare condizioni cliniche serie, o il peggioramento dei sintomi. Tipicamente, tali reazioni sono state osservate entro le primissime settimane o mesi dall’inizio della terapia antiretrovirale di combinazione (CART). Esempi rilevanti di ciò sono le retiniti da citomegalovirus, le infezioni micobatteriche generalizzate e/o focali e la polmonite da Pneumocystis jiroveci. Qualsiasi sintomo infiammatorio deve essere valutato e, se necessario, deve essere instaurato un opportuno trattamento.
I dati disponibili di farmacocinetica suggeriscono che l’uso concomitante di rifampicina e VIRAMUNE non è raccomandato (vedere anche paragrafo 4.5).
Saccarosio
VIRAMUNE sospensione orale contiene 150 mg di saccarosio per ml. I pazienti affetti da rari problemi ereditari di intolleranza al fruttosio, da malassorbimento di glucosio-galattosio, o da insufficienza di sucrasi isomaltasi, non devono assumere questo medicinale.
Sorbitolo
VIRAMUNE sospensione orale contiene 162 mg di sorbitolo per ml. I pazienti affetti da rari problemi ereditari di intolleranza al fruttosio, non devono assumere questo medicinale.
Metile paraidrossibenzoato e propile paraidrossibenzoato
VIRAMUNE sospensione orale contiene metile paraidrossibenzoato e propile paraidrossibenzoato, che possono causare reazioni allergiche (anche ritardate).
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La maggior parte dei dati di interazione è presentata come variazioni della percentuale (media geometrica) con un intervallo di predizione del 95% (95% IP).
Inibitori nucleosidici/nucleotidici della trascrittasi inversa (NRTIs)
Zidovudina, didanosina e zalcitabina: quando VIRAMUNE è somministrato in combinazione a zidovudina, didanosina o zalcitabina non sono richieste modifiche del dosaggio. Quando sono stati analizzati i dati su zidovudina derivati da uno studio (n = 11) in cui pazienti infettati dal virus HIV-1 hanno ricevuto VIRAMUNE 400 mg/die in combinazione con 100-200 mg t.i.d. di zidovudina, la nevirapina ha determinato una riduzione media del 24% dell’AUC della zidovudina (95% IP: -69%, +83%) e una diminuzione media pari al 26% della Cmaxdella zidovudina (95% IP: -84%, +254%). Al momento non è nota la rilevanza clinica delle riduzioni dei livelli plasmatici della zidovudina.
L’analisi per dati appaiati indica che la zidovudina non ha effetti sulla farmacocinetica della nevirapina. In uno studio clinico cross-over, la nevirapina non ha esercitato alcun effetto clinicamente rilevante sulla farmacocinetica allo steady-state sia della didanosina (n = 18) che della zalcitabina (n = 6).
Stavudina e lamivudina: i risultati di uno studio a 28 giorni (n = 22) su pazienti infettati da virus HIV trattati con VIRAMUNE, nelfinavir (750 mg t.i.d.) e stavudina (30-40 mg b.i.d.) non hanno mostrato variazioni clinicamente rilevanti nell’AUC o nel Cmax della stavudina. Inoltre, uno studio di farmacocinetica di popolazione su 90 pazienti destinati a ricevere lamivudina con VIRAMUNE o placebo non ha rivelato cambiamenti nella clearance apparente o nel volume di distribuzione della lamivudina, il che suggerisce che non vi sia alcun effetto d’induzione della nevirapina sulla clearance della lamivudina.
Inibitori non-nuceosidici della trascrittasi inversa (NNRTIs)
Efavirenz: nevirapina in associazione con efavirenz esplica in vitro una forte attività antagonistica anti HIV-1 (vedere paragrafo 5.1). Sono disponibili dati limitati di farmacocinetica (n=17) sulla cosomministrazione di nevirapina e efavirenz. Non è stata rilevata alcuna interazione farmacocinetica maggiore, è stato solo osservato un calo limitato dell’esposizione ad efavirenz. Tuttavia questa cosomministrazione non è raccomandata poiché la co-somministrazione di efavirenz e nevirapina potrebbe condurre ad un maggior rischio di effetti indesiderati. Inoltre questa co-somministrazione non migliora l’efficacia rispetto alla somministrazione di ciascun singolo NNRTI.
Inibitori della proteasi (PI):
La nevirapina è un induttore lieve-moderato dell’enzima epatico CYP3A; pertanto, è possibile che la contemporanea somministrazione con gli inibitori della proteasi (a loro volta metabolizzati da CYP3A) possa causare un’alterazione della concentrazione plasmatica di entrambi i principi attivi.
Saquinavir: i limitati dati disponibili con saquinavir capsule di gelatina molle potenziato da ritonavir non suggeriscono alcuna interazione clinicamente rilevante fra saquinavir potenziato da ritonavir e nevirapina.
Indinavir: i risultati di uno studio clinico (n = 19) su pazienti infettati da virus HIV trattati con VIRAMUNE e indinavir (800 mg ogni 8 ore) hanno dimostrato che la loro contemporanea somministrazione porta ad una diminuzione media del 31% nell’AUC dell’indinavir (95% IP: -64%, +30%), a una diminuzione media del 15% nella Cmax (95% IP: -53%, +55%) e a una diminuzione media del 44% nella Cmin (95% IP: -77%, +39%). Non sono state rilevate variazioni clinicamente rilevanti nei livelli plasmatici della nevirapina. Non sono state raggiunte conclusioni clinicamente significative riguardo l’impatto potenziale della co-somministrazione di nevirapina e indinavir. Deve essere preso in considerazione un aumento della dose di indinavir a 1000 mg ogni 8 ore quando indinavir è somministrato in combinazione con 200 mg di nevirapina b.i.d.; comunque, al momento non sono disponibili dati per stabilire se l’attività antivirale a breve o a lungo termine di indinavir 1000 mg ogni 8 ore in combinazione con nevirapina 200 mg b.i.d. sarà diversa da quella di indinavir 800 mg ogni 8 ore in combinazione con nevirapina 200 mg b.i.d..
Ritonavir: i risultati di uno studio clinico (n = 18) su pazienti infettati da virus HIV trattati con VIRAMUNE e ritonavir (600 mg b.i.d.) indicano che la loro co-somministrazione porta ad una variazione non clinicamente significativa nei livelli plasmatici di ritonavir o di nevirapina.
Nelfinavir: i risultati di uno studio a 28 giorni (n = 23) effettuato su pazienti infettati da virus HIV trattati con VIRAMUNE, stavudina (30-40 mg b.i.d.) e nelfinavir (750 mg t.i.d.) non hanno mostrato variazioni clinicamente rilevanti nei parametri farmacocinetici di nelfinavir dopo l’aggiunta di nevirapina. I livelli di nevirapina risultavano immodificati rispetto ai controlli storici. Il maggior metabolita del nelfinavir (AG1402) diminuiva quando somministrato con nevirapina. L’effetto complessivo della nevirapina sull’esposizione totale di nelfinavir più il metabolita AG1402 era una riduzione media del 20% dell’AUC (95% IP: -72%, +128%), una riduzione media del 12% della Cmax (95% IP: -61%, +100%) e una riduzione media del 35% della Cmin (95% IP: -90%, +316%).
Tipranavir: non sono stati effettuati studi di interazione specifici fra tipranavir e ritonavir a basso dosaggio (500/200 mg bid) con nevirapina. Tuttavia i dati disponibili da uno studio di fase IIa in pazienti infetti da HIV suggeriscono che non sia prevedibile un’interazione significativa fra nevirapina e tipranavir somministrato con ritonavir a basso dosaggio. Inoltre uno studio con tipranavir e ritonavir a basso dosaggio con un altro NNRTI (efavirenz) non ha mostrato alcuna interazione clinicamente rilevante. Pertanto non è necessario alcun aggiustamento posologico.
Lopinavir/ritonavir: è stato rilevato che in pazienti adulti positivi all’HIV, la nevirapina utilizzata in combinazione con lopinavir/ritonavir 400/100 mg (3 capsule) due volte al giorno ha determinato un calo dell’AUC di lopinavir del 27 % rispetto ai controlli storici. Sebbene non sia stata completamente stabilita la rilevanza clinica di questa osservazione, si raccomanda un aumento della dose di lopinavir/ritonavir a 533/133 mg (4 capsule) due volte al giorno con il cibo in combinazione con nevirapina.
I risultati di uno studio di farmacocinetica effettuato in pazienti pediatrici erano in linea con i risultati ottenuti nei pazienti adulti. Durante la co-somministrazione con nevirapina, l’AUC di lopinavir è diminuita del 22 % (rapporto dell’AUC 0,78; 0,56-1,09) e la Cmin del 55 % (rapporto della Cmin 0,45; 0,25-0,82). Nei bambini deve essere preso in considerazione un incremento della dose di lopinavir/ritonavir a 300/75 mg/m², quando utilizzati in associazione con nevirapina, soprattutto in quei pazienti nei quali si sospetti una ridotta sensibilità a lopinavir/ritonavir.
Non sono stati segnalati aumentati rischi per la sicurezza del paziente a seguito della cosomministrazione di VIRAMUNE con ciascuno di questi inibitori della proteasi, quando utilizzati in associazione.
Altri medicinali
Hypericum perforatum : i livelli sierici della nevirapina possono essere ridotti dall’uso concomitante di preparati di erbe medicinali a base di erba di San Giovanni (Hypericum perforatum). Ciò è dovuto all’induzione degli enzimi del metabolismo e/o delle proteine di trasporto del farmaco, causata dall’erba di S. Giovanni. Quindi prodotti a base di erbe che contengono l’erba di S. Giovanni non devono essere associati a VIRAMUNE. Se il paziente sta già prendendo l’erba di S. Giovanni controllare la nevirapina e se possibile i livelli virali e interrompere l’assunzione dell’erba di S. Giovanni. I livelli di nevirapina potrebbero aumentare interrompendo l’assunzione dell’erba di S. Giovanni. Il dosaggio di VIRAMUNE potrebbe necessitare di aggiustamenti. L’effetto induttivo può persistere per almeno 2 settimane dopo l’interruzione del trattamento con l’erba di S. Giovanni.
Ketoconazolo: la co-somministrazione con ketoconazolo (400 mg q.d.) seguita da una fase di induzione completa con nevirapina, ha comportato una riduzione significativa dell’esposizione a ketoconazolo allo steady state. Il valore dell’AUC di ketoconazolo diminuiva mediamente del 72% (95% IP: -95%, +101%) e il valore della Cmax diminuiva mediamente del 44% (95% IP: -86%, +158%). Nel medesimo studio (n = 21), la somministrazione di ketoconazolo ha comportato un aumento del 15-28 % nei livelli plasmatici di nevirapina rispetto a controlli storici. Ketoconazolo e VIRAMUNE non devono essere somministrati contemporaneamente. Non può essere escluso un calo simile nelle concentrazioni dell’itraconazolo.
Fluconazolo: la co-somministrazione di fluconazolo e VIRAMUNE determina un aumento dell’esposizione alla nevirapina approssimativamente del 100% rispetto ai dati storici, dove VIRAMUNE era somministrato da solo. A causa del rischio di un’aumentata esposizione alla nevirapina, occorre cautela in caso di co-somministrazione dei farmaci e i pazienti dovrebbero essere monitorati attentamente. Non sono stati osservati effetti clinici di rilievo da parte della nevirapina sul fluconazolo.
Warfarina: l’interazione tra nevirapina e l’agente antitrombotico warfarina è complessa, con la possibilità sia di aumenti che di riduzioni del tempo di coagulazione quando utilizzati in concomitanza. L’effetto netto dell’interazione può cambiare durante le prime settimane di cosomministrazione o in seguito a sospensione di VIRAMUNE; è pertanto giustificato uno stretto controllo dei parametri della coagulazione.
Rifabutina/rifampicina: uno studio in aperto (n = 14) per determinare gli effetti della nevirapina sulla farmacocinetica allo steady-state della rifampicina non ha mostrato variazioni significative nel Cmax e nell’AUC della rifampicina. Al contrario, la rifampicina ha prodotto una significativa riduzione nell’AUC (- 58 %), nel Cmax (- 50 %) e nel Cmin (- 68 %) della nevirapina rispetto ai dati storici.
I dati di farmacocinetica disponibili sconsigliano l’uso contemporaneo di rifampicina e VIRAMUNE. Quindi questi farmaci non devono essere utilizzati in associazione. I medici che utilizzano un regime con VIRAMUNE e che devono trattare pazienti infetti anche da tubercolosi, potrebbero invece considerare la somministrazione di rifabutina. Rifabutina e VIRAMUNE possono essere somministrati contemporaneamente senza aggiustamenti del dosaggio (vedere sotto). In alternativa il medico può considerare il passaggio ad una combinazione tripla di analoghi nucleosidici per un periodo di tempo variabile, secondo il regime di trattamento della tubercolosi (vedere paragrafo 4.3).
In uno studio di farmacocinetica (n = 19) la somministrazione concomitante di rifabutina seguita da una fase di piena induzione con VIRAMUNE ha determinato un aumento medio del 17% dell’AUC allo steady-state (95% IP: -53%, +191%) ed un aumento del 28% del valore medio della Cmax (95% IP: -44%, +195%) della rifabutina. È stato osservato anche un aumento del valore medio dell’AUC del metabolita 25-O-desacetil-rifabutina pari al 24% (95% IP: -83%, +787%) e un aumento del valore medio della Cmaxpari al 29% (95% IP: -67%, +400%). A causa dell’elevata variabilità interpersonale in alcuni pazienti può verificarsi un elevato aumento dell’esposizione alla rifabutina, tali soggetti possono essere a maggior rischio di tossicità della rifabutina. Pertanto la somministrazione concomitante dei due farmaci deve essere effettuata con cautela. È stato riportato un aumento della clearance apparente della nevirapina (9%) clinicamente non rilevante, rispetto ai dati storici di farmacocinetica.
Metadone: in presenza di nevirapina, la clearance di metadone orale è risultata aumentata di tre volte. L’AUC media e la Cmax media di metadone, corrette per la modifica del dosaggio, sono risultate ridotte rispettivamente del 65% (95% IP: -82%, -32%) e del 50% (95% IP: -67%, -25%). La sindrome di astinenza da narcotico è stata riportata in pazienti trattati con VIRAMUNE insieme a metadone. I pazienti sottoposti alla terapia con metadone, che iniziano il trattamento con VIRAMUNE, devono essere valutati per l’insorgenza di eventuali sintomi di crisi di astinenza e la dose di metadone deve essere modificata di conseguenza.
Contraccettivi: la nevirapina al dosaggio di 200 mg b.i.d. è stata somministrata in concomitanza ad una dose singola di contraccettivo orale contenente 0,035 mg di etinil estradiolo (EE) e 1,0 mg di noretindrone (NET). La nevirapina dopo un periodo di esposizione di 28 giorni (induzione completa) diminuiva l’AUC media dell’EE del 20% (95% IP: -57%, +52%). La nevirapina diminuiva anche l’AUC media del NET del 19% (95% IP: -50%, +30%) e la Cmax del 16% (95% IP: -49%, +37%). Non sono state valutate dosi appropriate, in termini di sicurezza ed efficacia, di contraccettivi ormonali diversi da DMPA (sia orali che somministrati per altre vie) in associazione a nevirapina (vedere paragrafo 4.4).
DMPA: in uno studio a 12 settimane, a gruppi paralleli allo steady state, effettuato su donne infette da HIV che confrontava gli effetti farmacocinetici e farmacodinamici del medrossiprogesterone acetato depot (DMPA) da solo (n = 16) e associato ad un regime stabile a base di nevirapina (n = 16), AUC, Cmax, Cmin ed emi-vita di DMPA non cambiavano in presenza di nevirapina. La co-somministrazione di nevirapina non alterava la soppressione dell’ovulazione da parte di DMPA. I parametri farmacocinetici di nevirapina AUC and Cmax aumentavano del 20% in presenza di DMPA; queste variazioni, pur statisticamente significative, non sono considerate clinicamente rilevanti.
Claritromicina: i risultati di uno studio (n = 15) sull’interazione di nevirapina e claritromicina hanno mostrato una riduzione pari al 31% del valore medio dell’AUC della claritromicina (95% IP: -57%, +9%) e pari al 56% del valore medio della Cmin (95% IP: -92%, +126%); per il metabolita attivo della claritromicina, 14-OH claritromicina, si è osservato un aumento dell’AUC media pari al 42% (95% IP: -41%, +242%) e della Cmax media pari al 47% (95% IP: -39%, +255%). Si è verificato un aumento della Cmin del 28%, dell’AUC del 26% e della Cmax del 24% della nevirapina, paragonando il dato a controlli storici. Questi risultati suggerirebbero che non è necessario alcun aggiustamento posologico né per la claritromicina né per VIRAMUNE, quando i due medicinali sono somministrati contemporaneamente. Tuttavia si raccomanda un attento monitoraggio delle alterazioni epatiche. Se possibile, deve essere presa in considerazione una terapia alternativa alla claritromicina quando si tratta un paziente per il complesso intracellulare del mycobacterium avium poiché il metabolita attivo non è in questo caso efficace.
Cimetidina: le concentrazioni plasmatiche di nevirapina allo steady-state in pazienti che hanno ricevuto un trattamento a lungo-termine con VIRAMUNE mostrano un aumento delle concentrazioni di nevirapina in pazienti che hanno ricevuto cimetidina (+ 7 %, n = 13).
Altri medicinali metabolizzati da CYP3A e CYP2B6: nevirapina è un induttore degli isoenzimi CYP3A e potenzialmente del CYP2B6, con la massima induzione entro le 2-4 settimane dall’inizio della terapia a dosi multiple. La contemporanea somministrazione di VIRAMUNE può diminuire le concentrazioni plasmatiche di altri medicinali metabolizzati tramite gli stessi isoenzimi. Quindi, si raccomanda un attento controllo dell’effetto terapeutico dei farmaci metabolizzati dal citocromo P450, quando somministrati in associazione a VIRAMUNE.
L’assorbimento di nevirapina non è alterato dal cibo, antiacidi o medicinali che sono formulati con un agente tampone alcalino.
Altre informazioni
Metaboliti: studi condotti impiegando microsomi di epatociti umani indicano che la formazione di metaboliti idrossilati della nevirapina non viene influenzata dalla presenza di dapsone, rifabutina, rifampicina e trimetoprim/sulfametossazolo. Il ketoconazolo e l’eritromicina inibiscono significativamente la formazione di metaboliti idrossilati della nevirapina.
I dati al momento disponibili su donne in gravidanza indicano assenza di malformazioni o di tossicità sul del feto/neonato. Finora non sono disponibili altri dati epidemiologici di rilievo. Studi sulla tossicità riproduttiva effettuati su ratti e conigli gravidi non hanno rilevato effetti teratogeni (vedere paragrafo 5.3). Non ci sono studi adeguati e controllati in donne in gravidanza. Si deve prescrivere con cautela VIRAMUNE a donne in gravidanza (vedere paragrafo 4.4). Poiché l’epatotossicità è più frequente in donne con una conta di cellule CD4 superiore a 250 cellule/mm³, queste valutazioni devono essere considerate al momento della decisione terapeutica (vedere paragrafo 4.4).
Le donne in età fertile non devono utilizzare contraccettivi orali come unico metodo anticoncezionale, poiché nevirapina può ridurre le concentrazioni plasmatiche di questi medicinali (vedere paragrafo 4.4 e 4.5).
La nevirapina attraversa rapidamente la placenta ed è stata trovata nel latte materno.
L’allattamento al seno è sconsigliato nelle madri infette da virus HIV per il rischio di trasmissione postnatale del virus HIV e comunque deve essere interrotto in caso di trattamento con VIRAMUNE.
Non sono stati effettuati studi sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchinari.
Le reazioni avverse correlate alla terapia con VIRAMUNE più frequentemente riportate, in tutti gli studi clinici, sono eruzione cutanea, reazioni allergiche, epatite, alterazione dei test di funzionalità epatica, nausea, vomito, diarrea, dolore addominale, debolezza, febbre, cefalea e mialgia.
L’esperienza clinica acquisita successiva alla commercializzazione di VIRAMUNE ha mostrato che le reazioni avverse più gravi sono la sindrome di Stevens-Johnson e la necrolisi epidermica tossica e grave epatite/insufficienza epatica e reazioni di ipersensibilità, caratterizzate da eruzione cutanea con sintomi costituzionali, quali febbre, artralgia, mialgia e linfoadenopatia, in aggiunta a compromissioni viscerali, quali epatite, eosinofilia, granulocitopenia e disfunzione renale. Le prime 18 settimane di trattamento sono un periodo critico che richiede un attento monitoraggio del paziente. (vedere paragrafo 4.4)
Sono state riportate le seguenti reazioni avverse la cui causa può essere correlata alla somministrazione di VIRAMUNE. La stima della frequenza si basa su dati raccolti da vari studi clinici per eventi considerati correlati al trattamento con Viramune.
La frequenza è stata definita utilizzando la seguente convenzione: molto comune (≥1/10); comune (≥1/100, <1/10); non comune (≥1/1.000, <1/100); raro (≥1/10.000, <1/1.000); molto raro (<1/10.000), non nota (la frequenza non puo essere definita sulla base dei dati disponibili).
Esami diagnostici
Comune: alterazione dei test di funzionalità epatica.
Patologie del sistema emolinfopoietico
Comune: granulocitopenia*
Non comune: anemia.
* Nello studio 1100.1090, che ha consentito la raccolta della maggior parte degli eventi avversi correlati (n=28), nei pazienti trattati con placebo si è riscontrata una maggiore incidenza di episodi di granulocitopenia (3,3%) rispetto ai pazienti trattati con nevirapina (2,5%).
Patologie del sistema nervoso
Comune: cefalea.
Patologie gastrointestinali
Comune: vomito, diarrea, dolore addominale, nausea.
Patologie della cute e del tessuto sottocutaneo
Molto comune: rash (13,6%).
Non comune: sindrome di Stevens Johnson/necrolisi epidermica tossica (0,1%), edema angioneurotico, orticaria.
Patologie del sistema muscoloscheletrico e del tessuto connettivo
Comune: mialgia.
Non comune: artralgia.
Patologie sistemiche e condizioni relative alla sede di somministrazione
Comune: debolezza, febbre.
Disturbi del sistema immunitario
Comune: ipersensibilità.
Non nota: rash con eosinofilia e sintomi sistemici, anafilassi.
Patologie epatobiliari
Comune: epatite (1,4%).
Non comune: ittero.
Raro epatite: fulminante.
La terapia antiretrovirale di combinazione è stata associata alla ridistribuzione del grasso corporeo (lipodistrofia) nei pazienti con infezione da HIV, inclusi la perdita di grasso sottocutaneo periferico e facciale, l’aumento del grasso addominale e viscerale, l’ipertrofia mammaria e l’accumulo di grasso dorsocervicale (gobba di bufalo).
La terapia antiretrovirale di combinazione è stata associata ad anormalità metaboliche come ipertrigliceridemia, ipercolesterolemia, insulino resistenza, iperglicemia e iperlattatemia (vedere paragrafo 4.4).
Quando VIRAMUNE è stato utilizzato in associazione con altri agenti antiretrovirali sono stati anche riportati i seguenti effetti: pancreatite, neuropatia periferica e trombocitopenia. Questi effetti sono comunemente associati con altri agenti antiretrovirali e possono verificarsi quando VIRAMUNE è utilizzato in associazione ad altri agenti; ad ogni modo è improbabile che questi eventi siano dovuti al trattamento con VIRAMUNE. Raramente sono state riportate sindromi di insufficienza epatica-renale.
In pazienti affetti da HIV con deficienza immunitaria grave al momento dell’inizio della terapia antiretrovirale di combinazione (CART), può insorgere una reazione infiammatoria a infezioni opportunistiche asintomatiche o residuali (vedere paragrafo 4.4).
Osteonecrosi: casi di osteonecrosi sono stati riportati soprattutto in pazienti con fattori di rischio generalmente noti, con malattia da HIV in stadio avanzato e/o esposti per lungo tempo alla terapia antiretrovirale di combinazione (CART). La frequenza di tali casi è sconosciuta (vedere paragrafo 4.4).
Cute e tessuti sottocutanei
La più comune tossicità clinica di VIRAMUNE è rappresentata da rash, che negli studi controllati si è manifestato nel 13,6% dei pazienti trattati con VIRAMUNE.
Normalmente le eruzioni cutanee sono lievi o moderate: si tratta di eruzioni cutanee eritematose maculo-papulose, associate o meno a prurito, localizzate al tronco, al viso ed alle estremità. Sono state riportate reazioni allergiche (anafilassi, angioedema e orticaria). Si possono manifestare eruzioni cutanee isolate o nell’ambito di reazioni di ipersensibilità, caratterizzate da eruzioni cutanee associate a sintomi sistemici quali febbre, artralgia, mialgia e linfoadenopatia associate a compromissioni viscerali quali, epatite, eosinofilia, granulocitopenia e disfunzione renale.
Nei pazienti trattati con VIRAMUNE, sono state osservate reazioni cutanee gravi e pericolose per la vita, inclusa la sindrome di Stevens-Johnson (SJS) e necrolisi epidermica tossica (TEN). Sono stati riportati casi fatali di SYS, TEN e reazioni di ipersensibilità. La maggior parte dei casi di eruzione cutanea grave si sono verificati entro le prime 6 settimane di trattamento e per alcuni casi è stata necessaria l’ospedalizzazione; per un paziente si è dovuto ricorrere ad un intervento chirurgico (vedere paragrafo 4.4).
Apparato epato-biliare
Aumenti nei valori dei parametri di funzionalità epatica (LFTs), quali ALT, AST, GGT, bilirubina totale e fosfatasi alcalina, rappresentano le alterazioni più frequenti dei parametri di laboratorio. Fra questi i più frequenti sono gli aumenti asintomatici dei livelli di GGT. Sono stati riportati casi di ittero.
Casi di epatite (epatotossicità grave e pericolosa per la vita, compresa l’epatite fulminante fatale) sono stati riportati in pazienti trattati con VIRAMUNE. Può essere predittivo di un evento epatico grave il riscontro di alterazioni dei test di funzionalità epatica al basale. Le prime 18 settimane di trattamento sono un periodo critico che richiede uno stretto controllo (vedere paragrafo 4.4).
Popolazione pediatrica
Sulla base dei dai di uno studio clinico condotto su 361 pazienti in età pediatrica la maggior parte dei quali trattati con ZVD e/o ddI, gli eventi avversi più frequentemente riportati correlati a VIRAMUNE erano simili a quelli osservati negli adulti. La granulocitopenia è stata osservata più frequentemente nei bambini. In uno studio clinico in aperto (ACTG 180) la granulocitopenia considerata come correlata al farmaco si è verificata in 5/37 pazienti (13,5%). Nello ACTG 245, uno studio in doppio cieco controllato verso placebo, la frequenza di granulocitopenia grave correlata al farmaco è stata di 5/305 (1,6%). In questa popolazione sono stati riportati casi isolati di sindrome di Stevens-Johnson o sindrome di transizione da Stevens-Johnson a necrolisi epidermica tossica.
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Non esistono antidoti al sovradosaggio di VIRAMUNE. Sono stati riportati casi di sovradosaggio di VIRAMUNE a seguito dell’assunzione di dosi comprese tra 800 e 6000 mg al giorno fino a 15 giorni.
I pazienti hanno accusato edema, eritema nodoso, debolezza, febbre, cefalea, insonnia, nausea, infiltrati polmonari, eruzioni cutanee, vertigini, vomito, aumento delle transaminasi e diminuzione di peso. Questi effetti cessano in seguito all’interruzione di VIRAMUNE.
Categoria farmacoterapeutica: NNRTI (non nucleosidi inibitori della transcrittasi inversa), codice ATC J05AG01.
Meccanismo di azione
La nevirapina è un inibitore non nucleosidico della transcriptasi inversa (NNRTI) del virus HIV-1. La nevirapina si lega direttamente alla transcriptasi inversa e blocca l’attività della DNA-polimerasi RNAdipendente e DNA-dipendente distruggendo il sito catalitico dell’enzima. L’attività della nevirapina non compete con quella del filamento di acido nucleico (template) su cui agisce la transcrittasi inversa e dei nucleosidi trifosfati. La transcriptasi inversa HIV-2 e le DNA polimerasi eucariotiche (quali le DNA polimerasi alfa, beta, gamma o delta umane) non vengono inibite dalla nevirapina.
Suscettibilità in vitro di HIV
L’attività antivirale di nevirapina in vitro è stata misurata in una varietà di linee cellulari incluse cellule mononucleari di sangue periferico, monociti derivati da macrofagi e linee di cellule linfoblastoidi. In studi recenti che hanno utilizzato linfociti di sangue di cordone umano e cellule embrionali renali umane 293, i valori di EC50 (concentrazione che inibisce il 50%) erano compresi tra 14-302 nMa rispetto a isolati di laboratorio e clinici di HIV-1. Nevirapina mostra attività antivirale in vitro contro gruppi di isolati M HIV-1 da clade A, B, C, D, F, G, e H e forme circolanti ricombinanti (CRF), CRF01_AE, CRF02_AG e CRF12_BF (valore mediano di EC50 pari a 63 nM). Nevirapina non esercita attività antivirale in vitro contro isolati da gruppi O HIV-1 e HIV-2.
Nevirapina in associazione con efavirenz ha evidenziato una forte attività antagonista anti-HIV-1 in vitro (vedere paragrafo 4.5) additiva all’attività antagonista dell’inibitore della proteasi ritonavir o dell’inibitore di fusione enfuvirtide. Nevirapina ha mostrato un’azione additiva all’attività sinergica anti-HIV-1 in associazione con gli inibitori della proteasi amprenavir, atazanavir, indinavir, lopinavir, nelfinavir, saquinavir and tipranavir, e gli NRTI abacavir, didanosina, emtricitabina, lamivudina, stavudina, tenofovir and zidovudina. L’attività anti-HIV-1 di nevirapina è antagonizzata dal farmaco anti-HBV adefovir e dal farmaco anti-HCV ribavirina in vitro.
Resistenza
Osservazioni in vitro hanno evidenziato l’emergere di ceppi virali HIV con ridotta sensibilità alla nevirapina (da 100 a 250 volte). In particelle HIV isolate da pazienti trattati con VIRAMUNE o VIRAMUNE + zidovudina per un periodo compreso tra 1 e 12 settimane si verificano cambiamenti del genotipo e del fenotipo. Dopo 8 settimane di monoterapia con VIRAMUNE, il 100 % dei pazienti esaminati presentava ceppi virali HIV la cui sensibilità alla nevirapina era diminuita di oltre 100 volte, ciò indipendentemente dalla dose di nevirapina utilizzata. La terapia con VIRAMUNE e zidovudina in associazione non comporta una variazione nella frequenza di insorgenza di virus resistenti alla nevirapina. Nello studio INCAS è stata esaminata la resistenza del genotipo e del fenotipo in pazienti trattati con VIRAMUNE in terapia di assocazione tripla e doppia e nei pazienti del gruppo di controllo non trattati con VIRAMUNE. I pazienti mai trattati con farmaci antiretrovirali con conta delle cellule CD4 pari a 200-600/m³ sono stati trattati sia con VIRAMUNE + zidovudina (n = 46), zidovudina + didanosina (n = 51) o con VIRAMUNE + zidovudina + didanosina (n = 51) e seguiti per almeno 52 settimane durante la terapia. Esami virologici sono stati condotti all’inizio, dopo 6 mesi e dopo 12 mesi. Il test di resistenza fenotipica condotto ha richiesto un minimo di 1000 copie/ml di HIV RNA per essere in grado di amplificare il virus. Dei tre gruppi dello studio, rispettivamente 16, 19 e 28 pazienti avevano isolati valutabili all’inizio dello studio e successivamente sono rimasti nello studio per almeno 24 settimane. Al basale, sono stati riscontrati 5 casi di resistenza fenotipica alla nevirapina; con valori di IC50 aumentati da 5 a 6,5 volte in tre casi e > a 100 volte in due. Dopo 24 settimane, tutti gli isolati disponibili dai pazienti trattati con nevirapina erano resistenti a questo agente, mentre 18/21 pazienti (86%) erano portatori di tali isolati a 30 - 60 settimane. In 16 pazienti la soppressione virale è stata al di sotto dei limiti di rilevabilità (< 20 copie/ml = 14, < 400 copie/ml = 2). Posto che la soppressione al di sotto di 20 copie/ml implichi la suscettibilità del virus a nevirapina, il 45% dei pazienti (17/38) aveva il virus misurato o presunto sensibile a nevirapina. Tutti e 11 i pazienti trattati con VIRAMUNE + zidovudina valutati per la resistenza fenotipica sono risultati resistenti a nevirapina entro sei mesi. Durante l’intero periodo di osservazione è stato osservato un caso di resistenza a didanosina. La resistenza alla zidovudina è emersa più frequentemente dopo 30-60 settimane soprattutto nei pazienti in trattamento con l’associazione di due farmaci. Sulla base dell’incremento dell’IC50 la resistenza alla zidovudina è apparsa minore nel gruppo trattato con VIRAMUNE + zidovudina + didanosina che negli altri gruppi di trattamento.
Riguardo alla resistenza alla NVP, in tutti gli isolati di cui è stata analizzata la sequenza è stata riscontrata almeno una mutazione associata alla resistenza, le mutazioni singole più comuni sono state la K103N e la Y181C. Sono state osservate associazioni di mutazioni in nove dei 12 pazienti osservati.
Questi dati emersi dallo studio INCAS mostrano che l’utilizzo di trattamenti antivirali altamente attivi è associato ad un ritardo nello sviluppo della resistenza al farmaco antiretrovirale.
La rilevanza clinica delle variazioni fenotipiche e genotipiche associate alla terapia con VIRAMUNE non è stata stabilita.
Oltre ai dati sopra esposti, esiste il rischio di una rapida insorgenza di resistenza agli inibitori non nucleosidici della transcrittasi inversa (NNRTI) in caso di fallimento virologico.
Resistenza crociata
In vitro è stata osservata una rapida insorgenza di ceppi di HIV con resistenza crociata agli inibitori non nucleosidici della transcrittasi inversa (NNRTI). Per quanto riguarda la comparsa di resistenza crociata tra la nevirapina, inibitore non nucleosidico della transcrittasi inversa, e gli inibitori nucleosidici della stessa, esistono solo dati molto limitati: in quattro pazienti, ceppi virali resistenti alla zidovudina nei tests in vitro hanno mantenuto la sensibilità alla nevirapina e in sei pazienti, ceppi virali resistenti alla nevirapina, sono risultati sensibili a zidovudina e didanosina. La resistenza crociata tra nevirapina e inibitori delle proteasi del virus HIV è improbabile a causa dei diversi enzimi bersaglio coinvolti.
La resistenza crociata tra gli inibitori non nucleosidici della transcrittasi inversa (NNRTI) attualmente autorizzati è ampiamente diffusa. Alcuni dati di resistenza genotipica indicano che nella maggior parte dei pazienti che falliscono il trattamento con un NNRTI, i ceppi virali mostrano resistenza crociata agli altri NNRTI. I dati attualmente disponibili non supportano un utilizzo sequenziale degli inibitori non nucleosidici della transcrittasi inversa (NNRTI).
Effetti farmacodinamici
VIRAMUNE è stato studiato sia in pazienti non sottoposti a precedenti terapie che in pazienti già sottoposti a trattamento anti-HIV.
I risultati di uno studio clinico (ACTG 241) hanno consentito la valutazione della terapia con tripla combinazione: VIRAMUNE, zidovudina e didanosina verso zidovudina e didanosina in 398 pazienti infettati da HIV-1 (valori medi basali: 153 cellule CD4+/mm³, RNA virale plasmatico: 4,59 log10 copie/ml) che avevano ricevuto per almeno 6 mesi un analogo nucleosidico prima dell’ammissione allo studio (mediana 115 settimane). Questo studio, condotto su pazienti precedentemente soggetti a intenso trattamento, ha mostrato un significativo miglioramento, sia nella riduzione dell’RNA virale che nell’incremento delle cellule CD4+, del gruppo trattato con la tripla combinazione rispetto al gruppo trattato con la doppia combinazione per un anno.
Una durevole risposta terapeutica per almeno un anno è stata dimostrata dallo studio INCAS, condotto su 151 pazienti affetti da HIV-1 non sottoposti a precedenti terapie, con valori di CD4+ pari a 200-600 cellule/mm³ (media 376 cellule/mm³) e carica virale plasmatica media al basale di 4,41 log10copie/ml (25.704 copie/ml), trattati con una triplice terapia a base di VIRAMUNE, zidovudina e didanosina rispetto ad una duplice terapia di combinazione con zidovudina + didanosina o rispetto ad una duplice terapia di combinazione con VIRAMUNE + zidovudina. Lo schema di trattamento prevedeva VIRAMUNE 200 mg/giorno per due settimane, seguita da 200 mg due volte al giorno o placebo; zidovudina 200 mg tre volte al giorno; didanosina 125 mg o 200 mg due volte al giorno (a seconda del peso).
Trasmissione perinatale
In due studi è stata valutata l’efficacia diVIRAMUNE nel prevenire la trasmissione materno-fetale. In questi trial le madri avevano ricevuto solo la terapia antivirale in studio.
Nello studio HIVNET 012 condotto a Kampala (Uganda) sono state randomizzate coppie madre bambino a ricevere VIRAMUNE orale (madre: 200 mg all’inizio del travaglio; neonato 2 mg/kg entro 72 ore dalla nascita), o un trattamento molto breve di zidovudina (madre: 600 mg all’inizio del travaglio e 300 mg ogni 3 ore fino al parto; neonato: 4 mg/kg 2 volte al giorno per 7 giorni).
L’incidenza cumulativa dell’infezione HIV-1 nel bambino dopo 14-16 settimane è stata del 13,1 % (n = 310) nel gruppo trattato con VIRAMUNE, rispetto al 25,1 % (n = 308) nel gruppo sottoposto ad un trattamento molto breve con zidovudina (p = 0,00063).
Nello studio SAINT condotto in Sud Africa, sono state randomizzate coppie madre-bambino a ricevere VIRAMUNE orale (madre:200 mg durante il travaglio e 200 mg da 24 a 48 ore dopo il parto; neonato: 6 mg da 24 a 48 ore dalla nascita); o un trattamento orale di breve durata con zidovudina e lamivudina (madre: zidovudina 600 mg, quindi 300 mg ogni 3 ore durante il travaglio, seguiti da 300 mg b.i.d. per i 7 giorni successivi al parto e lamivudina 150 mg b.i.d. durante il travaglio e per i 7 giorni successivi al parto; neonato: zidovudina 12 mg b.i.d. e lamivudina 6 mg b.i.d. per 7 giorni [se 17 il peso del neonato <2 kg, zidovudina 4 mg/kg b.i.d. e lamivudina 2 mg/kg b.i.d. per 7 giorni]). Non è stata riscontrata una differenza significativa nella trasmissione di HIV-1 nelle settimane dalla 6 alla 8 tra il gruppo trattato con VIRAMUNE (5,7%, n = 652) ed il gruppo trattato con zidovudina e lamivudina (3,6%, n = 649). È stato riscontrato un maggior rischio di trasmissione di HIV-1 a quei neonati le cui madri sono state trattate con VIRAMUNE o zidovudina e lamivudina meno di 2 ore prima del parto. Nello studio SAINT il 68% delle madri sottoposte a trattamento con nevirapina avevano evidenziato la presenza di ceppi resistenti approssimativamente 4 settimane dopo il parto.
La rilevanza clinica di questi dati sulla popolazione Europea non è stata stabilita. Inoltre, nel caso VIRAMUNE venga utilizzato in dose singola per prevenire la trasmissione verticale dell’infezione HIV-1, il rischio di epatotossicità nella madre e nel bambino non può essere escluso.
Uno studio randomizzato in cieco su donne già in terapia antiretrovirale in corso di gravidanza (PACTG 316) non ha indicato alcuna ulteriore riduzione della trasmissione verticale dell’HIV-1 quando la madre e il bambino ricevevano una singola dose di VIRAMUNE, rispettivamente durante il travaglio e dopo la nascita. I tassi di trasmissione dell’HIV-1 erano similmente bassi in entrambi i gruppi di trattamento (1,3% nel gruppo VIRAMUNE, 1,4% nel gruppo placebo). La trasmissione verticale non si riduceva né nelle donne con HIV-1 RNA al di sotto dei limiti di quantificazione né nelle donne con HIV-1 RNA al di sopra del limite di quantificazione prima del parto. Delle 95 donne che avevano ricevuto VIRAMUNE nel corso del parto, il 15% ha sviluppato mutazioni di resistenza alla nevirapina sei settimane dopo il parto.
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È stato dimostrato che VIRAMUNE compresse e sospensione orale hanno una biodisponibilità simile e sono quindi intercambiabili fino a dosi di 200 mg.
Assorbimento
In seguito a somministrazione orale nei volontari sani e nei pazienti adulti affetti da infezione da HIV-1, la nevirapina viene rapidamente assorbita (> 90 %). La biodisponibilità assoluta, determinata in 12 volontari sani adulti in seguito a somministrazione in dose singola, è risultata del 93 ± 9 % (media ± DS) per le compresse da 50 mg e del 91 ± 8% per la soluzione orale. Entro 4 ore dalla somministrazione di una dose singola di 200 mg è stato ottenuto un picco di concentrazione plasmatica di 2 ± 0,4 mcg/ml (7,5 mcM). In seguito a somministrazioni ripetute si nota che le concentrazioni di picco aumentano linearmente per dosi comprese tra 200 e 400 mg die. Dati riportati in letteratura relativi a 20 pazienti affetti da infezione da HIV, trattati con 200 mg di nevirapina bid, suggeriscono allo steady state una Cmax di 5,74 mcg/ml (5,00 - 7,44) e una Cmin di 3,73 mcg/ml (3,20 - 5,08) con un AUC di 109,0 h*mcg/ml (96,0-143,5). Altri dati pubblicati sostengono queste conclusioni.
L’efficacia a lungo termine sembra essere più probabile in quei pazienti in cui i livelli minimi di nevirapina sono superiori a 3,5 mcg/ml.
Distribuzione
La nevirapina è lipofila e praticamente indissociata a pH fisiologico. In seguito alla somministrazione endovenosa nei volontari sani adulti, il volume di distribuzione (Vdss) della nevirapina è risultato di 1,21 ± 0,09 l/kg, indice dell’ampia distribuzione della nevirapina nell’uomo.
La nevirapina attraversa rapidamente la placenta e si ritrova nel latte materno. A concentrazioni plasmatiche comprese tra 1 e 10 mcg/ml, la nevirapina si lega per il 60 % circa alle proteine plasmatiche. Le concentrazioni di nevirapina nel liquido cerebrospinale umano (n = 6) sono risultate pari al 45 % (± 5 %) delle concentrazioni plasmatiche; questo rapporto corrisponde circa alla frazione non legata alle proteine plasmatiche.
Biotrasformazione ed eliminazione
Studi in vivo nell’uomo e studi in vitro su microsomi di epatociti umani hanno dimostrato che la nevirapina subisce ampiamente la biotrasformazione ossidativa da parte del citocromo P450, con formazione di diversi metaboliti idrossilati. Studi in vitro su microsomi di epatociti umani indicano che il metabolismo ossidativo della nevirapina è mediato principalmente dagli isoenzimi del citocromo P450 della famiglia CYP3A, benché altri isoenzimi possano avere un ruolo secondario. In uno studio sull’escrezione mediante bilancio di massa in 8 volontari sani di sesso maschile a cui è stata somministrata nevirapina 200 mg due volte al giorno fino a raggiungere lo steady-state e successivamente una dose singola di 50 mg di nevirapina-C14, è stato individuato circa il 91,4 ± 10,5 % della dose radiomarcata, di cui l’81,3 ± 11,1 % nelle urine, che rappresentano la principale via di eliminazione, e il 10,1 ± 1,5% nelle feci. Una percentuale di radioattività nelle urine superiore all’80 % è rappresentata dai coniugati glucuronici dei metaboliti idrossilati. Pertanto la metabolizzazione ad opera del citocromo P450, la coniugazione con acido glucuronico e l’escrezione urinaria dei metaboliti glucuronidati rappresenta la principale via di biotrasformazione ed eliminazione nell’uomo. Solo una piccola frazione (< 5 %) della radioattività nelle urine (corrispondente a meno del 3 % della dose totale) è rappresentata dal farmaco tal quale, quindi l’escrezione renale svolge un ruolo secondario nell’eliminazione del principio attivo.
È dimostrato che la nevirapina è un induttore degli enzimi metabolici epatici citocromo P450 dipendenti. La farmacocinetica dell’autoinduzione è caratterizzata da un aumento medio nella clearance orale apparente della nevirapina che va da 1,5 a 2 volte quando si passa da una singola dose a 2 o 4 settimane, rispettivamente, di trattamento con 200-400 mg al giorno. L’autoinduzione causa anche una riduzione dell’emivita nell’ultima fase di eliminazione della nevirapina dal plasma, da circa 45 ore (dose singola) a circa 25 - 30 ore in seguito al trattamento a dosi ripetute di 200 - 400 mg al giorno.
Popolazioni speciali
Disfunzione renale: la farmacocinetica di una dose singola di nevirapina è stata paragonata in 23 soggetti con disfunzione renale sia lieve (50 ≤ CLcr < 80 ml/min), sia moderata (30 ≤ CLcr < 50 ml/min), che grave (CLcr < 30 ml/min), insufficienza renale o malattia renale all’ultimo stadio (ESRD) che necessita dialisi, e 8 soggetti con una funzione renale normale (CLcr > 80 ml/min).L’insufficienza renale (lieve, moderata, grave) non ha modificato in maniera significativa la farmacocinetica di nevirapina. Tuttavia, i soggetti con malattia renale all’ultimo stadio (ESRD) che necessitano dialisi hanno mostrato una riduzione del 43,5% nell’AUC di nevirapina durante una settimana di trattamento. C’è stato anche un accumulo nel plasma di idrossi-metaboliti di nevirapina. I risultati suggeriscono che integrare la terapia di VIRAMUNE con una dose addizionale di 200 mg di VIRAMUNE in seguito ad ogni trattamento di dialisi aiuterebbe a compensare l’insorgenza degli effetti della dialisi sulla clearance di nevirapina. Diversamente pazienti con CLcr ≥ 20 ml/min non richiedono un aggiustamento del dosaggio di VIRAMUNE.
Disfunzioni epatiche: è stato condotto uno studio allo steady state che confrontava 46 pazienti affetti da differenti gradi di fibrosi cistica utilizzata come indicatore di compromissione epatica, così suddivisi compromissione lieve (n=17; punteggio 1-2 della scala di Ishak), compromissione moderata (n=20; punteggio 3-4 della scala di Ishak), o compromissione grave (n=9; punteggio 5-6 della scala di Ishak, Child-Pugh A in 8 pazienti, per 1 paziente la scala di Child-Pugh non era applicabile).
I pazienti arruolati nello studio assumevano Viramune 200 mg due volte al giorno per almeno 6 settimane, prima del campionamento farmacocinetico, con una durata mediana della terapia di 3,4 anni. In questo studio l’andamento farmacocinetico della dose multipla di nevirapina e dei cinque metaboliti ossidativi non è risultato alterato.
Tuttavia, circa il 15% di questi pazienti con fibrosi epatica presentava concentrazioni di nevirapina a valle superiori a 9.000 ng/ml (2 volte superiori il valore medio usuale). I pazienti con compromissione epatica devono essere controllati con attenzione per riscontrare la tossicità indotta del farmaco.
Uno studio di farmacocinetica effettuato in pazienti negativi all’HIV, con compromissione epatica lieve e moderata (Child-Pugh A, n=6; Child-Pugh B, n=4), trattati con dose singola di 200 mg di nevirapina, ha evidenziato un significativo aumento dell’AUC della nevirapina in un paziente Child-Pugh B con ascite, suggerendo che i pazienti con funzionalità epatica in peggioramento e ascite possono essere a rischio di accumulo di nevirapina nel circolo sistemico. Poiché nevirapina a dosi multiple induce il proprio metabolismo, questo studio a dose singola può non riflettere l’impatto della compromissione epatica sulla farmacocinetica a dose multipla (vedere paragrafo 4.4).
Nello studio internazionale 2NN, è stato condotto un sottostudio di farmacocinetica su una popolazione di 1077 pazienti che includevano 391 femmine. Le pazienti mostravano una clearance della nevirapina più bassa del 13,8% rispetto ai pazienti di sesso maschile. Questa differenza non è considerata clinicamente significativa. Poiché né il peso corporeo, né l’indice di massa corporea (BMI) influenzavano la clearance della nevirapina, l’effetto legato al genere non può essere spiegato con la dimensione corporea.
La farmacocinetica della nevirapina nei pazienti adulti infettati da HIV-1 non sembra variare con l’età (intervallo: 19-68 anni) o la razza (neri, ispanici, caucasici). VIRAMUNE non è stato specificamente studiato in pazienti di età superiore ai 65 anni.
Pazienti in età pediatrica
I dati riguardanti la farmacocinetica di nevirapina in pazienti di età pediatrica derivano da due principali studi: uno studio della durata di 48 settimane condotto in Sud Africa (BI 1100.1368) su 123 pazienti positivi all’HIV-1 di età compresa tra 3 mesi e 16 anni mai sottoposti a terapia antiretrovirale e da un’analisi consolidata di cinque protocolli di Gruppi di Studi Clinici in Pazienti Pediatrici con AIDS (PACTG) che comprendevano 495 pazienti di età compresa tra 14 giorni e 19 anni.
I risultati dell’analisi alla settimana 48 dello studio condotto in Sud Africa BI 1100.1368 hanno confermato che nevirapina era ben tollerata ed efficace nel trattamento dei pazienti pediatrici che assumevano il farmaco secondo due diverse posologie: un gruppo assumeva la dose di 4/7 mg/kg, e un gruppo la dose di 150 mg/m². In entrambi i gruppi è stato osservato un marcato incremento della percentuale di cellule CD4+ alla settimana 48. Inoltre entrambi gli schemi posologici si sono dimostrati efficaci nel ridurre la carica virale. In questo studio a 48 settimane in entrambi i gruppi non sono stati osservati risultati inattesi relativi alla sicurezza del prodotto.
I dati di farmacocinetica su 33 pazienti (intervallo di età 0,77 - 13,7 anni), appartenenti al gruppo di campionatura intensiva, hanno dimostrato che la clearance di nevirapina aumenta con l’aumentare dell’età proporzionalmente all’incremento della superficie corporea. Dosaggi di nevirapina pari a 150 mg/m² BID (dopo un periodo di induzione a 150 mg/m² QD) hanno prodotto una media geometrica o un valore medio a valle delle concentrazioni di nevirapina compresi tra 4 e 6 mcg/ml (obiettivo derivato dai dati nell’adulto). Inoltre le concentrazioni di nevirapina a valle osservate erano confrontabili tra i due metodi.
L’analisi consolidata dei protocolli di Gruppi di Studi Clinici in Pazienti Pediatrici con AIDS (PACTG) 245, 356, 366, 377 e 403 ha consentito la valutazione di pazienti pediatrici con meno di 3 mesi di età (n=17) arruolati in questi studi PACTG. Le concentrazioni plasmatiche di nevirapina osservate erano comprese nell’intervallo osservato negli adulti e nella restante popolazione pediatrica, ma con maggior variabilità tra i pazienti, in particolare nel secondo mese di età.
I dati non-clinici, basati su studi convenzionali di sicurezza, farmacologia, tossicità a dosi ripetute e genotossicità, non evidenziano alcun particolare rischio per l’uomo diverso da quelli osservati negli studi clinici. Negli studi di tossicità riproduttiva, si è avuta l’evidenza di alterazioni della fertilità nel ratto. Negli studi di cancerogenesi, la nevirapina ha causato tumori del fegato nel topo e nel ratto.
Queste evidenze sono più probabilmente dovute al fatto che la nevirapina è un forte induttore degli enzimi epatici, piuttosto che ad un meccanismo di azione genotossico.
• Carbomer
• Metile paraidrossibenzoato (E218)
• Propile paraidrossibenzoato (E216)
• Sorbitolo
• Saccarosio
• Polisorbato 80
• Sodio idrossido (come aggiustatore di pH)
• Acqua depurata
Non pertinente.
3 anni.
Il prodotto deve essere utilizzato entro 6 mesi dall’apertura.
Questo medicinale non richiede alcuna condizione particolare di conservazione.
Flacone in polietilene ad alta densità (HDPE) di colore bianco con chiusura a prova di bambino (parte esterna in polietilene ad alta densità bianco, parte interna in polipropilene neutro) con una guarnizione in polietilene a bassa densità. Ogni flacone contiene 240 ml di sospensione orale.
Siringa dosatrice in polipropilene chiaro da 5 ml con pistone in gomma siliconica.
Adattatore siringa-flacone in polietilene a bassa densità chiaro.
Istruzioni per la somministrazione
I volumi di dosaggio richiesti devono essere misurati utilizzando la siringa per dispensazione acclusa e l’adattatore, come descritto nei punti 1-5 qui di seguito esposti. Il volume massimo che può essere misurato con la siringa per dispensazione è di 5 ml e, pertanto, i punti 3-5 devono essere ripetuti per volumi di dosaggio maggiori di 5 ml.
1 - Agitare delicatamente il flacone
2 - Inserire (prima premendo e poi girando) l’adattatore sul collo del flacone una volta aperto
3 - Inserire la siringa nell’adattatore
4 - Capovolgere il flacone
5 - Prelevare il volume di dose richiesto
Il flacone può essere tenuto chiuso con il tappo flessibile dell’adattatore. VIRAMUNE sospensione orale deve essere utilizzata entro 6 mesi dall’apertura del flacone.
Smaltimento
Il medicinale non utilizzato ed i rifiuti derivati da tale medicinale devono essere smaltiti in conformità alla normativa locale vigente.
Boehringer Ingelheim International GmbH
Binger Strasse 173
55216 Ingelheim am Rhein, Germania
EU/1/97/055/002 - A.I.C. n. 033999020
Data di prima autorizzazione: 18 giugno 1999
Data dell’ultimo rinnovo: 10 gennaio 2008
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