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Ultimo aggiornamento: 23.12.2013
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ARGOMENTI DI MEDICINA CLINICA
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Le
tossinfezioni alimentari sono sindromi cliniche provocate dall'ingestione di
cibi contaminati da microrganismi patogeni o dalle loro tossine. Devono essere
distinte dalle intossicazioni alimentari che sono invece veri e propri
avvelenamenti provocati da sostanze chimiche nocive.
In
questo capitolo, nell'ambito delle tossinfezioni alimentari vengono comprese
tutte le principali infezioni batteriche a trasmissione oro-fecale, anche se
nella trattatistica classica si tende ad attribuire un significato più
ristretto a queste sindromi, le cui principali manifestazioni sono rappresentate
dal botulismo, dalla tossinfezione stafilococcica e dalla diarrea del
viaggiatore.
Le
tossinfezioni alimentari sono malattie assai frequenti; la loro diffusione è in
continuo aumento, verosimilmente in rapporto alle mutate abitudini alimentari
(largo uso di alimenti conservati, abitudine di consumare almeno un pasto
giornaliero in luoghi pubblici ecc.).
È importante tener presente che gli alimenti inquinati conservano
generalmente inalterati i loro caratteri organolettici e non sono quindi
identificabili sulla base del loro aspetto, colore, odore o sapore.
L'eziologia
delle tossinfezioni alimentari è classicamente attribuita ad un numero limitato
di microrganismi: Salmonella spp., Staphylococcus aurens, Clostridium
periringens, Shigella spp., Eschertchia coli, Bacillus cereus, Cl. botulinum,
Vibrio spp. ed alcune specie di Campylobacier, Yersinia ed Aeromonas. Sono stati
raramente descritti anche casi di tossinfezione alimentare da Streplococcus
faecalis ed Arizona. Le caratteristiche delle principali intossicazioni
alimentari sono riassunte in tab.01
L'agente
patogeno viene identificato solo in circa un terzo degli episodi di
tossinfezione alimentare. Tra i casi ad eziologia determinata, le salmonelle
sono gli agenti più frequentemente riscontrati (33%), seguite dallo
stafilococco (25%) e da Cl. periringens (17%).
Le
tossinfezioni alimentari si dividono in due grandi categorie:
a)
forme dovute alla presenza negli alimenti di microrganismi patogeni in attiva
moltiplicazione (es. salmonellosi);
b)
forme dovute alla presenza negli alimenti di tossine batteriche preformate (es.,
tossinfezione da stafilococco).
Per
quanto riguarda il primo gruppo, l'insorgenza di una tossinfezione è
condizionata da numerosi fattori legati sia all'agente infettante, sia
all'organismo ospite. Tra i fattori legati al microrganismo ricordiamo
soprattutto la carica batterica e la capacità dei microrganismi di aderire
all'epitelio intestinale (adesività), penetrare nelle cellule della mucosa (invasività)
ed elaborare sostanze tossiche. I fattori dell'ospite che possono influire sulla
insorgenza di una tossinfezione alimentare sono rappresentati principalmente
dall'acidità gastrica, dalla motilità intestinale, dall'immunità locale e
dall'azione competitiva della normale flora enterica. In particolare, l'azione
difensiva dell'acidità gastrica è confermata dalla particolare predisposizione
alle infezioni enteriche dei soggetti con un pH gastrico scarsamente acido,
quali i neonati ed i lattanti, i gastroresecati ed i soggetti che assumono
elevate quantità di sostanze alcalinizzanti.
In
base alle diverse caratteristiche delle feci vengono distinti due tipi
fondamentali di infezioni batteriche intestinali (tab.02
a)
la diarrea non infiammatoria, dovuta a microrganismi che non danneggiano le
cellule intestinali, ma restano nel lume, producendo esoenterotossine cosiddette
"citotoniche" che provocano, mediante un meccanismo enzimatico, una
ipersecrezione di acqua ed elettroliti con conseguente diarrea acquosa;
b)
la diarrea infiammatoria, dove sono invece in causa microrganismi che esplicano
la loro azione patogena penetrando nelle cellule della mucosa o producendo una
tossina citotossica, dotata di azione litica sulle cellule intestinali. In
questo caso le feci contengono muco, leucociti ed eventualmente anche sangue.
Le
salmonelle sono bacilli appartenenti alla famiglia delle Enterobacteriaceae,
gram-negativi, asporigeni, mobili per la presenza di flagelli peritrichi. Si
caratterizzano per la loro incapacità a fermentare il lattosio, per la capacità
di crescere in presenza di citrato e per la produzione di idrogeno solforato su
agar TSI (triplo zucchero-ferro).
Le
salmonelle sono suddivise in differenti sottotipi in base alla reattività con
antisieri diretti verso gli antigeni O (somatici, costituiti dal
lipopolisaccaride della parete cellulare) ed H (flagellari). In base alla
struttura del lipopolisaccaride, sono distinte in numerosi gruppi,
contrassegnati dalle lettere da A a Z e successivamente Z1, Z2 ecc. (tab.03
Attualmente
si conoscono circa 2200 sierotipi di salmonelle. Alcuni sono adattati
esclusivamente all'uomo o ad una determinata specie animale, mentre altri sono
in grado di infettare le specie animali più diverse. Le salmonelle ad habitat
umano sono responsabili essenzialmente di infezioni a carattere setticemico
(febbre tifoide, paratifo), mentre quelle ad habitat animale sono frequentemente
responsabili di gastroenteriti e di tossinfezioni alimentari.
Le
salmonelle possono esercitare la loro azione patogena su differenti tratti
dell'intestino, determinando sindromi cliniche diverse: l'infezione della prima
parte del tenue dà luogo all'emissione di una grande quantità di feci liquide,
quella dell'ileo terminale a diarrea con un minor volume di feci semiliquide,
mentre l'invasione dell'epitelio del colon produce una sindrome dissenterica.
I
ceppi patogeni per l'uomo sono in grado di penetrare nelle cellule epiteliali e
migrare nella lamina basale; la capacità enteroinvasiva è codificata da un
plasmide, ma è anche necessaria la presenza dei pili, che permettono l'adesione
a recettori di superficie delle cellule intestinali.
La
malattia si manifesta esclusivamente in seguito all'ingestione di un numero
elevato di salmonelle (almeno 100.000 in alcuni esperimenti su volontari); i
microrganismi sono sensibili all'azione dell'acidità gastrica dalla quale
vengono parzialmente protette dalla contemporanea ingestione di cibo. Anche la
normale flora microbica intestinale sembra possedere un effetto inibente la
colonizzazione da parte delle salmonelle, probabilmente mediante diversi
meccanismi, quali la competizione per i fattori nutritivi, la produzione di
acidi grassi a catena corta che mantengono un pH acido e la produzione di
sostanze battericide.
Una
volta raggiunto l'intestino, le salmonelle aderiscono alle cellule epiteliali
mediante i pili e penetrano quindi negli enterociti per mezzo di invaginazioni
della membrana plasmatica e la formazione di un fagosoma. I microrganismi
possono in tal modo attraversare la cellula epiteliale (che non viene
danneggiata) e raggiungere la lamina propria e le placche del Peyer, dove
stimolano in breve tempo la risposta immune cellulo-mediata, caratterizzata
principalmente dalla comparsa di polimorfonucleati.
Le
salmonelle producono una tossina termolabile, simile a quella prodotta da alcuni
ceppi di E. coli. È stato
inoltre dimostrato che l'attività secretoria delle cellule intestinali può
essere stimolata dal rilascio di prostaglandine da parte dei neutrofili presenti
nella lamina propria. Le prostaglandine agiscono mediante attivazione del
sistema dell'adenilciclasi, con conseguente secrezione nel lume intestinale di
ioni sodio ed inibizione del riassorbimento degli ioni cloro.
Nella
localizzazione delle salmonelle a livello del colon, si osservano alterazioni
della mucosa simili a quelle della colite ulcerativa. La patogenesi di queste
lesioni non è nota; si pensa che i microrganismi siano in grado di invadere e
distruggere direttamente le cellule epiteliali. Non è stato tuttavia possibile
identificare nelle salmonelle la produzione di tossine citolitiche.
In
rari casi (1-4%), provocati da S. heidelberg e da S. dublin, è stata osservata
la comparsa di batteriemia in seguito all'invasione intestinale; non sono noti i
fattori di virulenza che determinano la particolare capacità invasiva di questi
ceppi.Nei soggetti immunodepressi, quali pazienti affetti da morbo di Hodgkin,
leucemia acuta, sarcoidosi, sottoposti a terapia con corticosteroidi o a
trapianto renale e soprattutto in corso di sindrome da immunodeficienza
acquisita (AIDS), l'infezione da S. typhimurium è spesso seguita da sepsi e
localizzazioni metastatiche.
La
maggior parte delle salmonelle, tuttavia, non è in grado di superare la lamina
propria. I principali fattori capaci di limitare l'infezione sono probabilmente
rappresentati dai macrofagi e dai neutrofili, che fagocitano prontamente le
salmonelle e le distruggono. I pazienti affetti da salmonellosi sviluppano una
risposta umorale diretta contro gli antigeni O e H, che tuttavia non è in grado
di proteggere dall'infezione.
Le
salmonellosi sono ubiquitarie e presentano un picco di prevalenza nei mesi
estivi. S. tyhimurium è la specie più frequentemente isolata, seguita da S.
heidelberg, S. enteritidis, S. newport. La malattia ha in genere un carattere
epidemico, con frequente interessamento di piccole comunità. Molto pericolose
sono le epidemie intraospedaliere che possono colpire particolari soggetti
(lattanti, gestanti, immunodepressi ecc.) e che spesso sono sostenute da ceppi
poliantibioticoresistenti.
Gli
episodi epidemici sono in genere dovuti all'ingestione di cibo contaminato, come
latte, carne, pollame e uova, ma anche pesce, frutti di mare e verdure crude. La
carne può contenere salmonelle in quanto proveniente da animali malati o perché
contaminata durante o dopo la macellazione. Le salmonelle resistono bene al
congelamento, all'insaccamento ed alla salatura, pertanto la contaminazione può
verificarsi durante tutto il processo di manipolazione; l'inquinamento può
anche avvenire successivamente alla cottura. Le uova possono contaminarsi nell'ovidutto
o, più frequentemente, dopo la deposizione, ad opera di materiale fecale.
Un
ruolo importante nella trasmissione della malattia rivestono inoltre i
portatori, che possono essere costituiti da animali o dall'uomo. Per quanto
riguarda i portatori umani, va ricordato che i soggetti guariti continuano
spesso ad eliminare le salmonelle con le feci per 3 -6 mesi e sono descritti
casi di eliminazione protratta fino a 17-24 mesi. Non va infine misconosciuta
l'importanza delle mosche, che, dopo aver ingerito del cibo contaminato,
rimangono abitualmente infette per circa 3 settimane.
Le
salmonelle si ritrovano negli enterociti già dopo 12 ore dall'ingestione del
cibo contaminato. I sintomi di esordio compaiono dopo 12-48 ore e comprendono
malessere, cefalea, dolori addominali, nausea, vomito e spesso febbre, cui fa
seguito, entro 1-2 ore, la diarrea, con emissione di feci liquide o semiliquide,
a volte contenenti sangue e muco. Il vomito (alimentare, acquoso o biliare) è
particolarmente intenso e precoce nel bambino piccolo. I dolori addominali
possono essere diffusi o localizzati all'epigastrio; talora si tratta di una
banale colica, ma a volte essi sono molto intensi, con accenno a difesa della
parete. La sintomatologia regredisce in 2-4 giorni; la mortalità è inferiore
all'1% ed i casi letali si verificano in genere nei bambini e negli anziani, a
seguito di alterazioni dell'equilibrio idro-elettrolitico. Nei bambini si può
verificare batteriemia nell'8-15% dei casi, in particolare in corso di infezione
da S. heidelberg, che è inoltre responsabile di rari casi di meningite. Le
salmonellosi possono presentare particolare gravità in soggetti affetti da
anemia falciforme, che presentano deficit della fagocitosi.
La
diagnosi della tossinfezione da salmonelle si basa sul dato anamnestico di
consumo di cibi sospetti e sulla sintomatologia clinica. I1 reperto di leucociti
nelle feci permette l'esclusione delle tossinfezioni da germi produttori di
enterotossine.
L'accertamento
si fonda sulla coltura delle feci, del vomito e dei residui del cibo sospetto.
L'emocoltura è quasi sempre negativa e la sieroagglutinazione non ha valore
diagnostico per la breve durata dell'infezione. La diagnosi differenziale con la
gastroenterite da Campylobacter si basa sulla presenza di febbre più elevata e
di un maggiore numero di leucociti nelle feci, ma deve essere ovviamente
confermata dall'isolamento dell'agente patogeno. La colite deve essere
differenziata, mediante l'impiego di tecniche colturali, da quella provocata da
shigelle, Yersinia o Campylobacter.
Strettamente
correlata con le salmonellosi è la tossinfezione alimentare da Arizona,
bastoncello gram-negativo, mobile, che provoca rari casi di enterocolite,
generalmente conseguenti all'ingestione di uova o carne di pollame. La
sintomatologia è simile a quella delle gastroenteriti da salmonelle ; sono
state anche descritte batteriemie ed infezioni localizzate. I sintomi si
manifestano in genere dopo un periodo di incubazione di 24-48 ore e possono
persistere per diversi giorni.
Nel
1894, Denys per primo suggerì che Staph. aureus potesse essere responsabile di
una tossinfezione alimentare. L'ipotesi trovò conferma solo nel 1930, quando fu
dimostrato che, nel latte, nei cibi contenenti uova ed in altri alimenti
contaminati da stafilococchi e mantenuti a 30°C, si sviluppa in 4-5 ore
un'enterotossina termostabile, resistente al riscaldamento e alla bollitura.
Gli
stafilococchi sono cocchi grampositivi, non capsulati, asporigeni, immobili,
generalmente disposti a grappolo. Sono aerobi ed anaerobi facoltativi,
catalasi-positivi e fermentano il glucosio; Staph. aurens, la specie più
frequentemente responsabile di tossinfezione alimentare stafilococcica, è
coagulasi positivo e fermenta il mannitolo con produzione di acidi. Sono state
riconosciute numerose tossine prodotte da Staph. aureus, tra le quali differenti
emolisine, leucocidine, tossine ad azione dermonecrotica e letale per gli
animali, oltre a fibrinolisina, ialuronidasi, desossiribonucleasi e lipasi.
La
sintomatologia della tossinfezione alimentare è dovuta alla produzione, da
parte di microrganismi in genere appartenenti al gruppo fagico III, di
enterotossine, proteine semplici, di basso peso molecolare (26-34.000),
termostabili e moderatamente resistenti agli enzimi proteolitici. Sono stati
dimostrati 6 tipi di enterotossine (A, B. C1, C2, D, E), antigenicamente
differenziabili. L'enterotossina A è la più frequente (70% dei casi), seguita
dai tipi D e B. Lo stesso ceppo può produrre due o più enterotossine.
La
composizione aminoacidica delle enterotossine A, D ed E è simile, come pure
quella dei tipi B e C. La produzione delle enterotossine B e C è sotto
controllo plasmidico e avviene generalmente al termine della fase stazionaria,
mentre la produzione delle enterotossine A, D ed E è sotto controllo
cromosomico e avviene durante la fase di crescita logaritmica. Pertanto le
enterotossine A e D si formano nei cibi in condizioni ambientali più variabili
rispetto ai tipi B e C, sebbene queste ultime, in condizioni ottimali, vengano
prodotte in maggiori quantità.
Non
è ancora chiaro il meccanismo d'azione delle enterotossine stafilococciche.
Sembra tuttavia ipotizzabile un effetto diretto sulle cellule dell'epitelio
intestinale e, a livello del SNC, sul centro del vomito, probabilmente mediante
la stimolazione di neurorecettori locali nel tratto gastrointestinale e
trasmissione dello stimolo a livello centrale mediante il nervo vago ed il
sistema simpatico.
Recenti
studi hanno dimostrato che numerosi ceppi di Staph. aureus isolati da pazienti
con setticemia sono in grado di produrre una o più enterotossine.
È ipotizzabile quindi che le enterotossine stafilococciche possano
provocare importanti effetti tossici sistemici. Va inoltre ricordato che le
enterotossine sono attivatori policlonali dei linfociti T ed inducono il
rilascio di citochine che contribuirebbero alla patogenesi dell'infezione
sistemica.
La
sintomatologia è precoce e si manifesta dopo 1-6 ore dall'assunzione del cibo
contaminato, in quanto legata alla presenza nell'alimento di enterotossina
preformata e non allo sviluppo e alla moltiplicazione dei germi nell'organismo.
L'esordio è brusco ed è caratterizzato da malessere profondo, nausea,
scialorrea, sudorazione fredda, pallore, crampi addominali e vomito intenso
spesso accompagnato da diarrea con feci liquide. Può essere presente sangue nel
vomito o nelle feci; si possono verificare ipotensione e scadimento delle
condizioni generali. La sintomatologia regredisce in genere spontaneamente in
3-24 ore, lasciando spesso nausea ed astenia profonda per 2-3 giorni. Sono
descritti rari casi letali (0,03%) in soggetti anziani o defedati e nei bambini.
La
tossinfezione alimentare stafilococcica è una malattia ubiquitaria assai
frequente (25% dei casi di tossinfezione alimentare); si può manifestare in
qualsiasi stagione, con una leggera prevalenza durante i mesi caldi. La maggior
parte delle epidemie si verificano in comunità. I cibi più comunemente
implicati sono il latte, i dolci contenenti creme, la carne salata ed in
generale qualsiasi cibo con un alto contenuto di sale o zucchero. Perché lo
stafilococco si sviluppi è necessario che l'alimento non sia troppo acido, né
inquinato da batteri competitivi; il cibo deve inoltre essere stato mantenuto
per alcune ore ad una temperatura che permetta la moltiplicazione del
microrganismo (sono necessari almeno 100.000 batteri per grammo di cibo) e la
produzione della tossina. La sorgente di infezione è quasi sempre l'uomo, nel
quale lo stafilococco si ritrova sulla cute e le mucose.
La
diagnosi si basa sulla comparsa della classica sintomatologia poche ore dopo
l'ingestione di cibo sospetto. La diagnosi differenziale deve essere posta con
l'intossicazione da B. cerens, che ha tempi di incubazione simili, ma si
verifica solitamente in seguito ad ingestione di riso fritto.
La
diagnosi di laboratorio si fonda sull'isolamento degli stafilococchi dal cibo
contaminato o, più raramente, dal vomito o dalle feci del malato. La ricerca
dell'enterotossina negli alimenti può venire effettuata con diverse metodiche.
Non è nota la quantità di enterotossina in grado di provocare la malattia
nell'uomo; è stato tuttavia dimostrato che già 1 micro g di tossina in 100
grammi di cibo può provocare sintomi clinici. Pertanto, vengono considerati
test diagnostici validi solo quelli in grado di determinare la presenza di 1 ng
di tossina per grammo di cibo.
La
tecnica più impiegata è la classica immunodiffusione su vetrino. Essa tuttavia
comporta un notevole dispendio di reagenti, richiede lunghi tempi di esecuzione
(3-6 giorni), e, per la sua scarsa sensibilità, necessita di campioni
concentrati. Basti considerare che l'estratto di 100 g di un campione di cibo
deve essere concentrato almeno 1500 volte per determinare 1 ng di enterotossina
per grammo di cibo.
Risultati
eccellenti sono stati ottenuti con i metodi radioimmunologici che si
caratterizzano per l'elevata sensibilità e specificità (1 ng di tossina per ml
senza concentrare l'estratto di cibo). I limiti del RIA, tuttavia, sono ben
noti: tra i principali, la necessità di sottostare a rigorose norme legislative
e l'impiego di personale specializzato.
Nuove
ed interessanti prospettive sono derivate dall'avvento e dal perfezionamento
delle reazioni immunoenzimatiche caratterizzate da una notevole sensibilità e
specificità e capaci di ricercare e tipizzare agevolmente le enterotossine in
cibi e/o filtrati colturali. In particolare il sistema "sandwich a doppio
anticorpo" (l'enzima è già coniugato con un anticorpo specifico) ed il
metodo competitivo (l'enzima è legato all'enterotossina) hanno fornito i
migliori risultati. Va segnalato che la proteina A prodotta da numerosi ceppi di
stafilococchi è in grado di legarsi alla porzione Fc degli anticorpi ed
interferire nel sistema ELISA a "sandwich". È stato proposto un metodo basato sul sistema
biotina-avidina che non sembra influenzato dalla proteina A dello stafilococco.
Particolarmente
interessante appare l'applicazione del Dot immunobinding assay (DIB), una
variante del sistema ELISA su nitrocellulosa, che consente di svelare in tempi
rapidi (meno di 4 ore) quantitativi di enterotossina dell'ordine di 0,1 ng/ml
offrendo inoltre il vantaggio della lettura dei risultati ad occhio nudo ed
evitando così il ricorso a sofisticate attrezzature.
L'impiego
degli anticorpi monoclonali ha ulteriormente migliorato la specificità dei vari
test evitando l'eventuale influenza di proteine contaminanti.
Recentemente,
infine, sono state applicate, alla ricerca delle tossine negli alimenti, le
metodiche di ibridizzazione degli acidi nucleici. Notermans e coll. (1988) sono
stati in grado di preparare probes capaci di riconoscere ceppi di stafilococco
produttori di enterotossina Be C.
I
clostridi sono bacilli gram-positivi, sporigeni ed anaerobi obbligati, anche se
Cl. perfringens è in grado di sopravvivere fino a 72 ore in presenza di
ossigeno. Su agar-sangue il microrganismo produce una caratteristica emolisi
doppia, costituita da una zona interna di emolisi completa ed una esterna di
emolisi incompleta; tale fenomeno è tuttavia spesso assente nei ceppi che
provocano tossinfezione. Ulteriori caratteri differenziali di Cl. perfringens
nei confronti degli altri clostridi sono la capacità di fermentare il
saccarosio con produzione di gas, l'incapacità di liquefare la gelatina, la
produzione di solfuri e nitriti, e l'immobilità. Il microrganismo è
ubiquitario e vive allo stato saprofitario sulla cute e nell'intestino dell'uomo
e di numerosi animali.
Cl.
periringens produce 12 differenti tossine, oltre a numerose enterotossine. La
specie è stata suddivisa in 5 tipi (A-E) sulla base della produzione delle4
tossine principali, alfa, beta, epsilon e iota. La tossina alfa, prodotta da
tutti i microrganismi, è una fosfolipasi C che scinde la lecitina in
fosforilcolina e digliceride.
La
tossinfezione alimentare da Cl. perfringens è dovuta alla produzione, da parte
dei microrganismi appartenenti al tipo A, di una enterotossina proteica termo-
ed acidolabile, con peso molecolare di circa 34.000, che possiede un effetto
citotossico simile a quello della tossina prodotta dalle shigelle.
L'enterotossina è un costituente della capsula sporigena e si forma durante il
processo di sporulazione; esplica la sua maggiore attività a livello dell'ileo,
inibendo il trasporto del glucosio, provocando danni all'epitelio e perdita di
proteine nel lume intestinale. La tossina è in grado di provocare diarrea
nell'uomo e negli animali e viene ritrovata nelle feci dei soggetti malati.
È dotata di potere antigenico e provoca la produzione di anticorpi che,
negli animali, bloccano l'azione dell'enterotossina; tale potere protettivo
degli anticorpi specifici non è tuttavia stato dimostrato nell'uomo.
La
tossinfezione alimentare da Cl. periringens è particolarmente frequente in Gran
Bretagna, dove è responsabile del 30-40% circa di tutti gli episodi di
tossinfezione alimentare. Numerosi casi vengono riferiti anche negli USA, mentre
in Italia le segnalazioni sono scarse. La malattia è più frequente in autunno
ed inverno ed è in genere correlata all'ingestione di salse, o di carne o pesce
cucinati, lasciati raffreddare e quindi riscaldati prima del pasto. In seguito
alla cottura a temperature inferiori a 50°C, infatti, si vengono a creare le
condizioni per la germinazione delle spore, con la conseguente produzione di un
elevato numero di microrganismi e di enterotossina.
Il
periodo di incubazione della malattia varia da 8 a 16 ore. La sintomatologia è
caratterizzata da grave diarrea acquosa e dolori addominali crampiformi; non
sono presenti febbre o altri segni di infezione. La malattia dura in genere meno
di 24 ore ed i rari casi letali si sono verificati in pazienti debilitati.
Un
cenno a parte merita l'enterite necrotizzante provocata da Cl. perfringens tipo
C. La malattia si verifica principalmente nei mesi estivi e sembra correlata
all'ingestione di carne di maiale poco cotta. Si manifesta con una
sintomatologia grave che insorge 24 ore dopo l'ingestione del cibo contaminato
ed è caratterizzata da dolori addominali intensi, diarrea ematica, vomito e
shock; la malattia è gravata da una elevata letalità (40%), dovuta
generalmente a perforazione intestinale.
La
diagnosi di tossinfezione da Cl. perfringens dovrebbe essere presa in
considerazione in tutti i casi di diarrea non accompagnata da febbre, specie se
verificatisi in conseguenza dell'ingestione di carne riscaldata. La diagnosi
differenziale va posta con la tossinfezione stafilococcica, dalla quale si
differenzia per il più lungo periodo di incubazione, per l'assenza del vomito e
per la minore intensità del quadro clinico. La tossinfezione da Cl. perfringens
si differenzia inoltre dalla forma da salmonelle per l'assenza di febbre,
cefalea e compromissione generale.
La
diagnosi di laboratorio si basa sull'isolamento del germe dal cibo o dalle feci
degli individui malati. È
necessaria la dimostrazione della presenza dello stesso sierotipo in tutti gli
individui affetti, in quanto il microrganismo può essere presente nelle feci
del 2-6% degli individui sani. Recentemente è stato possibile evidenziare
direttamente l'enterotossina nelle feci.
Le
shigelle, appartenenti alla famiglia delle Enterobacteriaceae, sono bacilli
gram-negativi, immobili, asporigeni, anaerobi facoltativi, ossidasi-negativi. Si
differenziano dai ceppi enteroinvasivi di E. coli per la loro incapacità a
decarbossilare la lisina. Se ne conoscono 4 specie, differenziabili in base a
caratteristiche biochimiche e sierologiche: Sb. dysenteriae, Sh. flexneri, Sh.
boydii e Sh. sonnei. La tipizzazione sierologica viene effettuata sulla base dei
differenti antigeni O. di cui esistono 4 tipi (A-D).
Le
shigelle provocano una tipica sindrome dissenterica, caratterizzata da emissione
di feci contenenti sangue e pus, dolori addominali e tenesmo, conseguente
all'invasione della mucosa del colon. Le shigelle patogene sono infatti in grado
di invadere gli enterociti, all'interno dei quali si moltiplicano provocando la
morte delle cellule infettate ed una marcata risposta infiammatoria. La capacità
invasiva è codificata da un plasmide.
Le
shigelle producono inoltre una potente tossina di natura proteica con un peso
molecolare di circa 58.000-70.000; iniettata per via parenterale in animali
suscettibili provoca la paralisi degli arti e quindi la morte; è dotata di
citotossicità per alcuni tipi cellulari in coltura e provoca la secrezione di
fluidi da parte dell'intestino di conigli. La citotossicità della tossina
prodotta dalle shigelle (o tossina di Shiga) è dovuta alla sua capacità
inibente la sintesi proteica ribosomiale per inattivazione irreversibile della
subunità 60S dei ribosomi. Il meccanismo patogenetico alla base dell'aumentata
secrezione di liquidi nel lume intestinale non è noto, anche se è stato
ipotizzato da alcuni
Autori
un meccanismo di attivazione dell'adenilciclasi.
La
malattia produce un'immunità tipo-specifica, che dura tuttavia meno di un anno.
L'immunità sembra essere prevalentemente rivolta verso gli antigeni di tipo O
(lipopolisaccaride) e verso la tossina. Gli anticorpi di tipo IgM compaiono
pochi giorni dopo l'infezione, raggiungono un picco intorno alle 2-4 settimane e
scompaiono entro un anno.
La
shigellosi è una malattia infettiva altamente contagiosa, in quanto può essere
provocata da un inoculo batterico molto piccolo, pari a solo 10-100 cellule di
Sh. dysenteriae o a poche migliaia di cellule di Sh. flexneri. La malattia è
ubiquitaria; prevalgono ovunque le infezioni da Sh. sonnei e da Sh. flexneri, ma
Sh. dysenteriae tipo 1, agente eziologico della classica dissenteria bacillare,
è ancora endemica in alcuni Paesi dell'Europa orientale e centrale, in Turchia
e nelle regioni tropicali.
L'uomo
è il principale serbatoio dell'infezione e la trasmissione è prevalentemente
interumana, mentre molto più rara è la trasmissione per mezzo di cibo o acqua
contaminati. Per questo motivo la shigellosi abitualmente non rientra fra le
tossinfezioni alimentari, ma nei paesi in via di sviluppo la contaminazione dei
cibi non è eccezionale. I soggetti convalescenti possono eliminare i
microrganismi per alcuni mesi. I1 rischio di contrarre l'infezione è
particolarmente elevato per il personale dei laboratori che maneggia campioni di
feci e per gli omosessuali, nei quali è stata documentata la trasmissione
diretta fecale-orale e nei quali la malattia è una delle cause della "gay
bowel syndrome".
La
shigellosi endemica è prevalentemente una malattia infantile; può assumere
carattere epidemico in seguito all'introduzione nella popolazione di nuovi
sierotipi ed in questo caso non mostra alcuna predilezione per una particolare
età.
La
febbre può essere l'unico sintomo presente in corso di infezione da shigelle;
ad essa si associano tuttavia frequentemente i sintomi gastroenterici. La
diarrea può essere di grado moderato (particolarmente nel corso di infezione da
Sh. sonnei), con emissione di feci liquide, nelle quali sono tuttavia sempre
presenti i leucociti.
In
molti casi, tuttavia, la diarrea da acquosa diventa ematica, accompagnata da
dolori addominali, febbre, tenesmo e segni di iperperistaltismo. Nelle forme più
gravi sono presenti stato tossico, disidratazione, acidosi metabolica e shock.
L'esame endoscopico evidenzia un interessamento della mucosa del retto e del
sigma che può estendersi talvolta ai segmenti prossimali del colon.La mucosa si
presenta edematosa ed iperemica, con perdita del disegno vascolare e comparsa di
emorragie focali e mucopus di colorito bianco - grigiastro aderente alla mucosa
sottostante.Prelievi bioptici mostrano segni di congestione vascolare ed
emorragie, edema, iperplasia delle cripte, infiltrazione di cellule mononucleate
e di polimorfonucleati, microulcere nello strato epiteliale e presenza di
essudato ematico.
I1
periodo di incubazione varia a seconda del ceppo infettante. Sh. dysenteriae
provoca la malattia più grave con un tempo di incubazione di 5-7 giorni, mentre
Sh. sonnei (la specie meno virulenta) e Sh. flexneri hanno un periodo di
incubazione di 1-3 giorni. La progressione della sintomatologia clinica fino
all'insorgenza della dissenteria si verifica in poche ore nell'infezione da Sh.
dysenteriae ed in alcuni giorni per Sh. flexneri. L'infezione è generalmente
autolimitantesi, con una durata che varia tra i 3-5 giorni (Sh. sonnei) ed
alcune settimane nei casi più gravi. In conseguenza della malattia acuta, è
stata descritta anche un'enterocolite cronica con periodiche esacerbazioni e
lunghi periodi di benessere.
Le
shigelle possono provocare un'enteropatia proteino-disperdente e sono
un'importante causa di malnutrizione nei Paesi in via di sviluppo.
In
corso di shigellosi, nella prima infanzia, sono stati spesso osservati episodi
convulsivi, che si verificano, tuttavia, anche in bambini più grandi.
Recentemente, è stato ipotizzato che le convulsioni in corso di shigellosi
possano essere dovute alla produzione di una neurotossina da parte del
microrganismo.
È stata descritta, durante la fase iniziale della convalescenza, una
reazione leucemoide, con un numero di leucociti superiore a 50.000/mm alla
terza, neutrofilia e presenza in circolo di cellule immature, che si verifica in
prevalenza in soggetti giovani con infezione da Sh. dysenteriae ed è associata
ad esito letale nel 20% circa dei casi.
Alcuni
dei pazienti con reazione leucemoide vanno incontro ad episodi emolitici acuti o
ad insufficienza renale. Il test di Coombs è negativo e sono presenti
ipofibrinogenemia ed allungamento dei tempi di protrombina, tromboplastina e
trombina; non è tuttavia stata notata tendenza alle emorragie. La malattia è
spesso fatale.
La
shigellosi può essere associata ad un'artrite reattiva o alla sindrome di
Reiter, caratterizzata da artrite acuta non purulenta associata ad uretrite e
congiuntivite. Si può verificare nell'1-2% dei casi di shigellosi,
particolarmente in quelli da Sh. flexneri, ma nei soggetti HLAB-27 positivi può
raggiungere una frequenza del 20%. L'interessamento articolare si manifesta
generalmente a distanza di alcune settimane dalla sintomatologia gastroenterica
e colpisce prevalentemente le articolazioni del ginocchio e tibiotarsica. Nei
pazienti HLA-B27 positivi la sintomatologia articolare può evolvere verso una
forma cronica.
In
corso di shigellosi sono stati infine osservati rari casi di rash cutanei a tipo
"roseole" e localizzazioni d'organo (polmoniti, meningiti,
osteomieliti ecc.). Le sepsi da shigelle sono del tutto eccezionali, quasi
sempre secondarie all'interessamento intestinale; si manifestano prevalentemente
nei neonati e nei soggetti immuno compromessi.
Durante
la fase iniziale della malattia, la shigellosi deve essere differenziata dalle
altre cause di diarrea. L'emissione di feci ematiche è suggestiva di malattia
da shigelle, ma nei paesi industrializzati la sindrome dissenterica è spesso
dovuta al Campylobacter. La diagnosi di certezza si ottiene solo mediante
l'isolamento del microrganismo dalle feci. A tal fine il campione in esame deve
essere al più presto seminato su un terreno adatto quale l'agar MacConkey, in
quanto le shigelle sono poco resistenti.
E.
coli è un bacillo gram-negativo, aerobio, asporigeno, appartenente alla
famiglia delle Enterobacteriaccae, estremamente diffuso in natura, normale
saprofita dell'intestino umano, nel quale non esplica in genere potere patogeno.
Esistono
tuttavia alcuni ceppi che sono in grado di provocare nell'uomo sindromi
diarroiche; sulla base delle loro caratteristiche di virulenza, sono stati
suddivisi in 5 gruppi (tab.05
I
ceppi che appartengono al gruppo ETEC agiscono mediante colonizzazione della
mucosa e successiva produzione di due enterotossine, una termolabile ed una
termostabile, denominate rispettivamente LT ed ST. Sia la produzione di fattori
di colonizzazione che quella delle enterotossine è codificata da plasmidi.
Alcuni ceppi elaborano una sola tossina, altri le producono entrambe.
L'aderenza
dei microrganismi alle cellule intestinali è un momento indispensabile ai fini
della colonizzazione della mucosa, in quanto permette ai microrganismi di
resistere ai meccanismi peristaltici di difesa. L'aderenza si verifica per mezzo
di fimbrie o pili, organelli filamentosi, molto più sottili dei flagelli,
presenti sulla superficie di E. coli. Sono stati identificati numerosi tipi di
pili, differenziabili in base alle loro proprietà antigeniche. I microrganismi
produttori di pili sono in grado di agglutinare emazie animali con un meccanismo
resistente al mannosio e possono quindi venire facilmente identificati.
L'enterotossina
termolabile è un complesso proteico con un peso molecolare di circa 84.000 e
caratteristiche di attività, struttura ed antigenicità simili a quelle della
tossina colerica. Come quest'ultima, agisce stimolando la produzione e l'attività
dell'adenilciclasi con conseguente forte aumento dell'AMP ciclico cellulare. In
corso di infezione sono stati osservati anticorpi anti-LT, in grado di
inattivare la tossina in vitro.
Esistono
due tipi di enterotossina termostabile: il tipo STa è insolubile in metanolo e
provoca l'accumulo di liquidi nell'intestino del topolino neonato; il tipo STb
è solubile in metanolo e provoca accumulo di liquidi solo in anse ileali
porcine Il tipo prevalente nell'infezione umana è l'STa, che ha un peso
molecolare di 1000-6000 daltons e non stimola una risposta immune umorale. Il
meccanismo di azione non è stato ancora ben chiarito; la tossina è in grado di
attivare la guanilato-ciclasi, provocando un aumento della concentrazione
intracellulare del GMP ciclico.
I
ceppi ETEC sono ubiquitari, ma la malattia si osserva prevalentemente nei Paesi
in via di sviluppo, dove presenta carattere endemico. La trasmissione si
verifica mediante l'ingestione di cibo o acqua contaminata e pertanto si può
appropriatamente parlare di tossinfezione alimentare. In particolare, E. coli
enterotossico è un'importante causa di "diarrea dei viaggiatori",
sindrome particolarmente frequente in individui che si recano in Paesi tropicali
e subtropicali, specie se provenienti da Paesi ad elevato tenore
socio-economico. Si calcola che la diarrea dei viaggiatori sia provocata nel
60-70% dei casi da microrganismi del gruppo ETEC, ma sono stati osservati anche
casi da altri batteri (E. coliappartenenti ad altri gruppi, salmonelle,
shigelle, C. jejuni), da virus (rotavirus) e da protozoi (Giardia lamblia,
Cryptosporidium). In una discreta percentuale di casi (20% circa) l'eziologia
rimane indeterminata. Le zone a maggior rischio sono il Sud-Est asiatico,
l'India, il Bangladesh, alcuni Paesi dell'Africa e dell'America Centrale, in
particolare il Messico, ma la sindrome è relativamente frequente anche in Nord
Africa e in Medio Oriente. La sintomatologia si manifesta in genere nei primi
2-10 giorni del soggiorno e consiste in diarrea acquosa di grado moderato ad
esordio brusco, accompagnata da dolori addominali e talvolta da febbre. La
malattia presenta un periodo di incubazione di 13 giorni e in genere si risolve
spontaneamente entro 3-5 giorni.
La
diagnosi eziologica richiede la dimostrazione della produzione
dell'enterotossina, in quanto non esistono caratteristiche biochimiche che
permettano la differenziazione degli ETEC dai ceppi non patogeni di E. coli. La
metodica classicamente impiegata ai fini della determinazione delle
enterotossine di E. coli è la produzione di accumulo di liquidi in anse
intestinali di coniglio da parte di sopranatanti di colture. Recentemente, è
stato messo a punto un test ELISA per la determinazione della LT, mentre la
ricerca della ST, che non possiede carattere antigenico, viene effettuata
mediante prova biologica nel topino lattante (accumulo di liquidi nell'intestino
in seguito a somministrazione orale del campione in esame). Nuove prospettive
sono state aperte dall'introduzione delle tecniche di ibridizzazione degli acidi
nucleici, con l'impiego di "probe" di DNA omologhi ai geni codificanti
le tossine ai fini della determinazione della capacità tossinogenica dei ceppi
di E. coli in esame.
I
ceppi appartenenti al gruppo EIEC possiedono numerose caratteristiche
biochimiche, antigeniche e genetiche in comune con le shigelle, con le quali
vengono spesso confusi al momento della identificazione batteriologica.
I
microrganismi EIEC provocano una malattia dissenterica indistinguibile da quella
causata dalle shigelle, dovuta ad invasione delle cellule epiteliali del colon e
successiva moltiplicazione intracellulare dei microrganismi, con produzione di
fenomeni infiammatori ed ulcere mucose. I fattori di invasività sono mediati da
plasmidi.
La
malattia è rara e si manifesta sporadicamente in tutto il mondo, con una più
elevata frequenza in Brasile ed in Europa orientale.
La
diagnosi presenta notevoli difficoltà per la somiglianza dei microrganismi con
le shigelle e dovrebbe essere affidata a laboratori particolarmente attrezzati.
L'identificazione si basa sulla sierotipizzazione e sulla determinazione,
mediante ELISA, della presenza di alcune proteine di membrana associate con
l'invasività. Sono stati inoltre recentemente preparati probes di DNA che
permettono il riconoscimento dei geni codificanti fattori di invasività.
Il
meccanismo patogenetico alla base della diarrea da EPEC non è ancora ben
conosciuto. I microrganismi si ritrovano nel duodeno e nell'ileo prossimale,
sedi che non vengono in genere colonizzate da altri ceppi di E. coli. Studi
istologici eseguiti su prelievi bioptici ottenuti dal digiuno di bambini affetti
da diarrea cronica da EPEC hanno dimostrato la presenza di microcolonie
batteriche aderenti alla mucosa intestinale, con distruzione focale dei
microvilli dell'orletto a spazzola e presenza di infiltrati plasmacellulari.
L'osservazione al microscopio elettronico mette in evidenza la dissoluzione del
glicocalice ed alterazioni dei microvilli con interruzioni della membrana
plasmatica. I microrganismi sono strettamente aderenti all'enterocita ed a volte
addirittura parzialmente ricoperti dalla membrana plasmatica, ma non invadono
mai la mucosa.
I
fenomeni di adesione sembrano essere alla base di queste lesioni. In base
all'adesività a cellule Hep-2 in coltura i microrganismi appartenenti al gruppo
EPEC sono stati suddivisi in due classi: alla classe I appartengono i
microrganismi che presentano un'adesività localizzata mediata da un plasmide
denominato EAF (fattore di adesività EPEC), mentre alla classe II appartengono
i batteri che mancano del plasmide EAF ed aderiscono diffusamente o non
aderiscono affatto alle cellule Hep-2.
La
malattia si manifesta solitamente in bambini al di sotto dei 2 anni di età,
particolarmente all'interno di comunità. La sintomatologia è generalmente
caratterizzata da una diarrea cronica, con emissione di feci acquose,
accompagnata talvolta da febbre e vomito. Ai fini diagnostici è necessario
l'isolamento del microrganismo dalle feci e la successiva sierotipizzazione.
Nel
1985, Mathewson identificò alcuni ceppi di E. coli che erano in grado di
provocare "diarrea dei viaggiatori", ma non rientravano in nessuno dei
gruppi patogeni fino ad allora conosciuti. Questi ceppi vengono oggi definiti
come enteroaderenti e sono riconoscibili per il caratteristico pattern di
adesione alle cellule Hep-2, diverso da quelli osservabili con i microrganismi
del gruppo EPEC. I microrganismi EAEC non possiedono il plasmide EAF, non
producono LT, ST o tossina di Shiga e non sono in grado di invadere la mucosa
intestinale. Il meccanismo di azione ed il ruolo patogeno di questo gruppo sono
tuttora discussi.
Se
si esclude il botulismo, le tossinfezioni alimentari sono in genere malattie
autolimitate, che evolvono favorevolmente nel giro di pochi giorni. La maggior
parte richiede solo un trattamento sintomatico, basato sul digiuno durante le
fasi iniziali della malattia e sulla reidratazione per via orale o, nei casi più
gravi, con vomito persistente o diarrea profusa, per via parenterale. Per quanto
riguarda la terapia reidratante orale, l'OMS suggerisce la somministrazione di
soluzioni contenenti, per ogni litro di acqua, 3,5 g di cloruro di sodio, 2,5 g
di bicarbonato di sodio, 1,5 g di cloruro di potassio e 20 g di glucosio (o 40 g
di saccarosio). La soluzione va somministrata ogni 4-6 ore a dosi iniziali di 50
ml/kg; in fase di mantenimento si possono raggiungere dosi superiori (100-200
ml/kg). Particolarmente importante è la presenza del glucosio, che agisce
favorendo i meccanismi di riassorbimento del sodio.
È stato recentemente dimostrato che tale meccanismo può essere
potenziato dalla contemporanea somministrazione di glucosio ed aminoacidi
(glicina), come si verifica con l'impiego di polvere di riso.
Come
terapia sintomatica possono essere impiegati farmaci ad azione assorbente ed
antisecretoria. I primi (caolino, pectine, idrossido di alluminio) aumentano la
consistenza delle feci, ma non sembrano avere effetto sul decorso della
malattia. I farmaci antisecretori, quali aspirina, indometacina e subsalicilato
di bismuto, diminuiscono la quantità di liquidi secreti nel lume intestinale,
probabilmente mediante inibizione delle prostaglandine; si sono dimostrati
efficaci in alcune malattie causate da enterotossine "citotoniche"
(colera, diarrea da ETEC).
Secondo
i casi, può risultare inoltre utile la somministrazione di antispastici,
antiemetici, analettici, cardiotonici o estratti surrenalici. Non è in genere
consigliabile l'impiego di inibitori della motilità intestinale, quali oppiacei
e loperamide, che, ostacolando la peristalsi, possono prolungare la persistenza
dei microrganismi nel lume intestinale. La terapia antibiotica non è in genere
necessaria e secondo alcuni potrebbe addirittura risultare dannosa in quanto
favorirebbe l'insorgenza di una condizione di dismicrobismo intestinale.
Un
trattamento con chemio-antibiotici si rende tuttavia necessario nei casi gravi
di shigellosi e nelle salmonellosi dei bambini piccoli o dei soggetti
immunocompromessi, nei quali questi microrganismi possono dar luogo a
disseminazione sistemica. In questi casi, la scelta del farmaco antibatterico
deve essere guidata dall'antibiogramma eseguito sul ceppo isolato dalle feci del
paziente; gli antibiotici più comunemente impiegati sono il cloramfenicolo,
l'ampicillina, il cotrimossazolo, il ceftazidime, il furazolidone ed i
chinolonici.
In
corso di enteriti da Campylobacter possono essere impiegate l'eritromicina,
attiva solo se somministrata nei primi 4 giorni di malattia, o le tetracicline,
mentre il decorso della yersiniosi non sembra influenzato dalla terapia
antibiotica.
Nelle
forme dovute ad ingestione di tossine preformate il trattamento antibatterico è
ovviamente inefficace. I casi di botulismo, a causa della gravità della
sintomatologia, richiedono la instaurazione di una terapia precoce, basata
principalmente sulla somministrazione per via intramuscolare di antitossina alla
dose di 50.000 U.I. La dose deve essere ripetuta più volte, in quanto
l'antitossina neutralizza solo la tossina circolante.
Le
manifestazioni neurologiche del botulismo non risentono dell'impiego dei farmaci
anticolinesterasici; è stato proposto l'uso della guanidina alla dose di 25-30
mg/kg/die, che sembra agire mediante liberazione di acetilcolina ed
inattivazione della tossina. Sono inoltre necessarie misure di supporto atte a
mantenere costanti gli equilibri idroelettrolitico, metabolico e gassoso.
Nuove
prospettive sulla terapia delle tossinfezioni alimentari sono state recentemente
aperte da alcuni studi effettuati sugli animali: è stato dimostrato che la
somministrazione di batteriofagi specifici per ceppi patogeni di E. coli può
proteggere gli animali dall'infezione con una quantità potenzialmente letale di
microrganismi. Una terapia basata sull'impiego di batteriofagi presenterebbe,
oltre ad una elevata specificità, numerosi altri vantaggi, quali la diffusione
nell'ambiente di batteriofagi in grado di lisare ceppi batterici patogeni e la
possibilità di una sola somministrazione, in quanto il numero di batteriofagi
presenti aumenterebbe ad ogni replicazione virale all'interno delle cellule
batteriche colpite.
La
profilassi delle tossinfezioni alimentari si basa prevalentemente sull'accurata
selezione, preparazione e conservazione dei cibi. A tal fine è ovviamente
fondamentale l'igiene personale degli addetti alla preparazione dei cibi, nonché
l'identificazione e l'allontanamento dalla manipolazione degli alimenti dei
portatori di salmonelle e degli individui con stafilococcie cutanee.
Particolarmente
importante è la temperatura di conservazione dei cibi, in quanto la maggior
parte dei batteri cresce a temperature comprese fra 4 e 60°C; una adeguata
refrigerazione, così come la cottura a temperatura superiori a 60°C, può
quindi prevenire la contaminazione degli alimenti. Bisogna tuttavia tenere
presente che la cottura non elimina il pericolo della tossinfezione
stafilococcica, causata da tossine termostabili. Infine, una importante misura
preventiva consiste nella tempestiva denuncia agli organi competenti di tutti
gli episodi di tossinfezione alimentare, al fine di evitare il verificarsi di
ulteriori casi.
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F.
SORICE
Direttore
Istituto di Malattie Infettive,
Università
“La Sapienza”, Roma
V.
VULLO
Ricercatore
Istituto di Malattie Infettive,
Università
“La Sapienza”, Roma
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