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Ultimo aggiornamento: 23.05.2008
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Nel
1819 Laennec definì l'edema polmonare acuto (EPA) un evento causato da
"un'infiltrazione di siero nel tessuto polmonare tale da diminuire
significativamente la permeabilità del polmone all'aria".
All'origine
di tale "infiltrazione", per rifarci alla citazione, vi sono svariate
situazioni eziopatogenetiche anche assai differenti tra loro; per tale motivo ci
pare opportuno iniziare con alcuni cenni sulle caratteristiche morfologiche e
fisiologiche del polmone.
La
parete alveolo-capillare è formata da tre strutture anatomiche distinte tra
loro (fig.01
-la
parete capillare è formata dalle cellule endoteliali dei capillari polmonari;
tra di essi vi sono piccoli spazi che mettono in comunicazione il lume dei
capillari con lo spazio interstiziale. Tali spazi possono, in determinate
circostanze, aumentare consentendo il passaggio a macromolecole od emazie;
-lo
spazio interstiziale è interposto tra le cellule alveolari e quelle endoteliali;
è poco "allentabile" e si trova in diretta comunicazione con lo
spazio interstiziale più "lasso" che circonda i bronchioli terminali
e le piccole vene e arterie;
-la
parete alveolare è costituita dalle cellule alveolari di tipo I e II, unite fra
di loro da giunzioni intercellulari piuttosto salde.
Un
cenno va ancora riservato ai linfatici polmonari i cui primi canalicoli sono
presenti nello spazio interstiziale che circonda bronchioli, piccole vene e
arterie.
Lo
scambio di fluidi attraverso la membrana semipermeabile rappresentata dalla
superficie endoteliale interposta tra il lume dei capillari e l'interstizio, si
può esprimere con l'equazione di Starling:
scambio
di liquidi =
K [(Pc-Pif)] - delta (pi greco PL - pi greco IF)]
Le
forze che concorrono a mantenere i liquidi entro i capillari sono la pressione
oncotica del plasma (PI GRECO PL) e
la pressione interstiziale (PIF), al contrario tendono a spostare i liquidi
fuori dai vasi la pressione idrostatica intracapillare (Pc) e la pressione
oncotica del liquido interstiziale (pi greco IF). Nella formula troviamo anche
il coefficiente di permeabilità (K) e quello di riflessione delle macromolecole
(DELTA); entrambi si modificano notevolmente con l'apertura delle giunzioni
intercellulari (endoteliali prima e alveolari successivamente) che si verifica
in caso di EPA.
In
caso di squilibrio tra le forze citate, con accumulo di liquidi
nell'interstizio, è il flusso linfatico che sopperisce fino ad un certo limite,
allontanando l'eccesso di fluidi.
Si
è soliti, anche se un po' schematicamente, distinguere tre fasi
nell'instaurarsi di EPA conclamato.
Nella
prima fase, all'aumentato passaggio di liquido nell'interstizio sopperisce un
incremento del drenaggio linfatico; non si crea pertanto accumulo di liquidi nei
polmoni.
In
questa fase vi è una modesta tachipnea, attribuibile verosimilmente alla
stimolazione dei recettori interstiziali J: lo stesso aumento della ventilazione
incrementa notevolmente il flusso linfatico.
Seconda
fase o fase dell'edema interstiziale: superata la possibilità di drenaggio
linfatico si crea un accumulo di liquidi nell'interstizio peri-bronchiolare,
venulare e arteriolare. In questa fase è già documentabile un aumento della
distanza tra le giunzioni intracellulari sulla versante endoteliale tale da
permettere il passaggio di macromolecole dal lume capillare all'interstizio.
Clinicamente
si osserva un aumento della tachipnea, un deterioramento degli scambi gassosi,
la comparsa, ad un esame radiografico del torace, delle strie B di Kerley, la
perdita di definizione delle ombre vasali
e l'inversione del flusso verso gli apici.
Terza
fase o fase dell'edema alveolare: un ulteriore incremento della pressione
endovasale può portare all'apertura delle giunzioni intracellulari (come si è
già detto, più resistenti) sul versante alveolare, con passaggio di liquido,
macromolecole e globuli rossi negli alveoli stessi.
Secondo
altri Autori i caratteri ematici dell'espettorato sarebbero imputabili alla
rottura di piccoli vasi venosi della mucosa bronchiale, sottoposti ad un regime
pressorio elevato.
È questo il quadro dell'edema polmonare franco, con rantoli polmonari
che dalle basi salgono verso gli apici (marea montante), grave compromissione
respiratoria (grave ipossia con possibile ipercapnia), espettorato schiumoso
rosato, quadro radiografico di velatura dei campi polmonari più accentuata agli
ili. È bene ricordare che
l'accumulo di liquidi nel polmone segue l'andamento della pressione di
perfusione che aumenta progressivamente dagli apici alle basi polmonari, ove,
appunto, è massima la formazione dell'edema (fig.02 ).
Dalle
premesse morfo-funzionali e fisiologiche testé sintetizzate, risulta evidente
che varie cause possono provocare un EPA. Consideriamole singolarmente:
Aumento
della pressione idrostatica nei capillari polmonari. È la causa più frequente di EPA e vede come
meccanismo eziopatogenetico un'alterazione cardiaca (edema cardiogeno):
-deficit
di pompa (es. infarto miocardico, cardiomiopatia dilatativa, cardiopatia
ipertensiva ecc.);
-
vizi valvolari (es. stenosi e insufficienza mitralica e aortica);
-
disturbi del ritmo cardiaco.
Aumento
di permeabilità della membrana alveolare. Si configura spesso con il quadro
della Adult Respiratory Distress Syndrome (ARDS), causata da numerosi fattori,
quali ad esempio agenti infettivi, shock, aspirazione di succo gastrico ecc.
Aumento
di permeabilità dei capillari polmonari. Può conseguire ad uno shock allergico
mediato da fattori dell'infiammazione.
Diminuzione
della pressione colloido-osmotica. L'iponchia secondaria a varie affezioni (epatopatie
croniche, sindrome nefrosica, enteropatie proteino-disperdenti ecc.) non è in
grado da sola di causare un EPA. Può però essere un fattore favorente,
associato, ad esempio, ad un modesto aumento della pressione idrostatica
capillare polmonare.
Ostacolo
al flusso linfatico. Anche in questo caso è probabile che l'evento agisca da
cofattore, più che da causa primitiva di EPA. Malattie in cui il deflusso
linfatico è alterato sono le linfangiti carcinomatose, la silicosi polmonare,
varie patologie infiammatorie ecc.
Aumento
della negatività della pressione interstiziale. Il trattamento rapido di
condizioni che hanno provocato il collasso di un polmone (specie se perduranti
da alcuni giorni), quali un pneumotorace o un versamento pleurico massivo, può
causare edema polmonare monolaterale. Anche la crisi asmatica grave potrebbe
essere una causa di edema dovuto all'aumento della negatività della pressione
interstiziale.
Altre
cause di EPA con meccanismi patogenetici poco noti.Vi sono tre condizioni in cui
l'eziopatogenesi dell'EPA non è riconducibile chiaramente ad un aumento della
permeabilità della barriera alveolo-capillare, ad una alterazione
dell'equilibrio delle forze di Starling o ad una riduzione del flusso linfatico:
Edema
polmonare da altitudine. Tale evento si manifesta nei soggetti non acclimatati
che si recano ad alte quote (superiori ai 2500 m s.l.m.) oppure in soggetti
acclimatati dopo soggiorni anche brevi a quote più basse. L'EPA insorge spesso
in individui giovani, sani, dopo sforzi fisici intensi, con una latenza di 24-48
ore.
La
patogenesi dell'edema polmonare d'alta quota resta tuttora non completamente
chiarita. Quattro elementi sono pressoché costanti, e qualsiasi interpretazione
fisiopatologica proposta deve tenerne conto:
-
la pressione arteriosa polmonare è aumentata;
-
la pressione capillare polmonare e atriale sinistra sono normali;
-
la desaturazione arteriosa di ossigeno è di grado elevato e non correggibile
con la somministrazione di ossigeno al 100%;
-la
portata cardiaca è normale o ridotta.
L'ipertensione
polmonare è solitamente causata dalla costrizione delle arteriole polmonari, ma
tale fenomeno non spiegherebbe l'edema polmonare, essendo lo sbarramento a monte
dei capillari; d'altra parte, una venocostrizione polmonare causata da
accresciuta attività vasomotoria non giustificherebbe il riscontro di una
normale pressione capillare polmonare.
Si
ritiene che nella patogenesi dell'edema polmonare d'alta quota giochino un ruolo
rilevante le arteriole preterminali: esse sono arteriole disposte a ponte fra le
arterie polmonari di piccolo calibro ed il versante venoso dei capillari
polmonari; in tal modo scavalcano le arteriole polmonari e i capillari ove
avvengono gli scambi dei gas.
L'apertura
di questi vasi determina pertanto il passaggio di sangue non ossigenato nelle
vene polmonari, con shunt destro-sinistro non correggibile con O2.
Come
conseguenza di quanto fin qui esposto, la teoria che pare attualmente più
verosimile considera l'ipotesi di una vasocostrizione arteriolare polmonare non
uniforme, causata dall'ipossia, in soggetti predisposti; a ciò conseguirebbero:
1)
Aumento del flusso sanguigno nelle aree polmonari non protette dalla
vasocostrizione, con iperperfusione e ipertensione capillare polmonare, e
secondaria trasudazione di liquido negli interstizi e negli alveoli (in effetti
anche radiograficamente l'edema in questi pazienti appare non uniforme, bensì a
chiazze).
2)
Apertura degli shunt descritti con desaturazione arteriosa di ossigeno e aumento
della pressione idrostatica capillare come conseguenza dell'elevata pressione
che dall'arteriola preterminale si scarica direttamente nelle venule polmonari.
3)
In conseguenza di ciò (punto 2) e della maggiore permeabilità capillare
causata dall'ipossiemia, aumenterebbe la trasudazione di liquido negli alveoli
con formazione di edema. Quanto esposto è riassunto nella fig.03
Nella
patogenesi dell'edema polmonare d'alta quota sarebbero altresì implicati vari
fattori umorali su cui non ci soffermeremo.
Edema
polmonare neurogeno. Numerose malattie del sistema nervoso centrale si possono
accompagnare ad EPA, senza che sia evidenziabile un deficit della pompa cardiaca
(ictus, traumi, neoplasie, processi flogistici ecc.). In tali casi è ipotizzata
una iperattività del sistema nervoso simpatico, la cui azione implicherebbe una
vasocostrizione con aumento del ritorno venoso ed una riduzione della compliance
ventricolare sinistra in grado di determinare un aumento della pressione atriale
sinistra; è stato evidenziato sperimentalmente anche un aumento della
permeabilità capillare.
Edema
polmonare da sovradosaggio di narcotici.
È causato più spesso da iniezione e. v. di eroina, ma anche da sostanze
somministrate per via orale o parenterale
usate a scopo terapeutico (metadone, morfina, destropropossifene). Sembrerebbe
maggiormente implicato nella patogenesi dell'edema un aumento di permeabilità
della membrana alveolo-capillare.
È causato da un aumento della pressione idrostatica nei capillari
polmonari secondario principalmente a vizio valvolare mitralico o ad
insufficienza del ventricolo sinistro. L'insufficienza cardiaca, a sua volta, può
derivare da un difetto di contrazione miocardica, come avviene nelle
cardiomiopatie, oppure essere la conseguenza di vizi valvolari o malattia
arterosclerotica delle coronarie.
In
altri casi la funzione miocardica risulta normale, ma il cuore non è in grado
di far fronte ad un evento acuto che determina un sovraccarico di lavoro
eccedente le sue capacità (ad esempio una crisi ipertensiva o la rottura di un
lembo valvolare o di corde tendinee).
Cronicamente
un'insufficienza cardiaca, in presenza di funzione miocardica normale, si può
osservare in malattie valvolari che causano un difetto di riempimento
ventricolare (stenosi mitralica) (tab.01
Nella
valutazione del paziente con insufficienza cardiaca occorre identificare la
causa determinante e la causa scatenante. La prima può essere congenita o
acquisita (ad esempio un vizio valvolare), in alcuni casi è presente e ben
tollerata da anni oppure addirittura sconosciuta al paziente. In queste
circostanze l'episodio di scompenso cardiaco acuto è precipitato da qualche
causa scatenante, ad esempio l'insorgenza di una fibrillazione atriale in una
stenosi mitralica. L'identificazione e, se possibile, la correzione di tali
fattori scatenanti ha spesso un valore fondamentale nella terapia dello
scompenso cardiaco acuto.
Esaminiamo
singolarmente le principali cause scatenanti.
Aritmie:
le tachiaritmie riducono il tempo di riempimento atriale; la perdita del
"calcio atriale", come si ha nella fibrillazione atriale, può
diminuire criticamente il riempimento ventricolare diastolico (specie nella
stenosi mitralica); i difetti di conduzione intraventricolare sono in grado di
deteriorare l'efficacia nella contrazione ventricolare per perdita di
sincronismo tra le varie parti del ventricolo; le bradicardie marcate, ad
esempio in caso di blocco atrioventricolare, determinano la caduta della portata
cardiaca come conseguenza della bassa frequenza cardiaca.
Infezioni:
se da un lato la congestione vascolare polmonare predispone alle infezioni
respiratorie, va notato che qualunque stato infettivo è in grado di precipitare
uno scompenso cardiaco a causa della febbre, della tachicardia e dell'aumentato
fabbisogno metabolico.
Anemia:
l'unico meccanismo di compenso dell'anemia consiste nell'aumento della portata
cardiaca, ma tale richiesta può precipitare lo scompenso di un cuore
cronicamente insufficiente.
Gravidanza:
determina un aumento della portata cardiaca con le conseguenze già descritte.
Tireotossicosi:
anche in questo caso l'eccesso di ormoni tiroidei aumenta la portata cardiaca.
Aumento
della pressione arteriosa: produce un aumento del postcarico del ventricolo
sinistro che può scompensarsi.
Altre
cause scatenanti:
-
embolia polmonare;
-
infarto miocardico;
-
carditi reumatiche recidivanti;
-
endocarditi infettive;
-
eccessivo apporto di sodio (con alimenti, farmaci per via orale o endovena);
-
eccessivo stress fisico;
-
stress emotivo;
-
ambienti troppo caldi e umidi;
-
sospensione di terapia per lo scompenso cardiaco (specie diuretici).
Non
ci soffermeremo nella descrizione dettagliata del paziente con edema polmonare
acuto, ricordiamo che si tratta di un paziente ortopnoico, "che lotta per
respirare", con cute fredda, sudata, pallida, mucose cianotiche, spesso
agitato e ansioso (nei casi più gravi, quando subentra lo stato di shock con
grave acidosi, il paziente può apparire prostrato e notevolmente obnubilato),
è spesso presente tosse secca o con espettorato schiumoso roseo, nei casi più
conclamati si ascolta un rumore come di "pentola che bolle" anche
senza l'uso del fonendoscopio.
L'ascoltazione
polmonare dimostra la presenza di rantoli polmonari che dalle basi possono
estendersi sino all'apice, non infrequentemente è presente broncospasmo (asma
cardiaco); tale reperto può porre problemi di diagnosi differenziale con l'asma
bronchiale.
L'ascoltazione
cardiaca, solitamente difficoltosa, talvolta rivela la causa dello scompenso
(aritmia, soffi ecc.). Di estrema importanza ai fini diagnostici, prognostici e
terapeutici è il rilievo della pressione arteriosa.
In
ambiente ospedaliero è necessario eseguire alcuni semplici accertamenti
d'urgenza.
ECG
che può dimostrare la causa dell'EPA (infarto miocardico, aritmie ecc.) oppure
la preesistenza di un vizio valvolare (P mitraliche).
Radiografia
del torace: si è già detto di come i reperti radiografici si correlino con gli
stadi dell'EPA; inoltre è possibile ottenere informazioni sulla morfologia e
sulle dimensioni del cuore (vedi oltre) (fig.04
Emogasanalisi:
è utile per valutare il grado di compromissione degli scambi gassosi:
l'ipossiemia è sempre presente, l'ipercapnia lo è nel 20% dei casi, l'acidosi
metabolica (da acido lattico) nel 75%; solo nelle fasi più tardive e più gravi
l'acidosi può diventare mista (metabolica + respiratoria) per incapacità ad
eliminare la CO2 con la respirazione.
Una
leucocitosi è un dato di laboratorio di comune riscontro anche in assenza di
una infezione in atto; essa consegue alla mobilizzazione del pool dei globuli
bianchi solitamente non circolanti.
Ridistribuzione
del flusso ematico polmonare nei campi superiori: è indice di aumento della
pressione atriale sinistra. Ricordiamo brevemente che in un soggetto in piedi il
flusso ematico polmonare aumenta progressivamente dagli apici alle basi
polmonari; di tale fenomeno è espressione l'aumento progressivo del calibro dei
vasi polmonari (specie venosi) che si osserva in un radiogramma toracico normale
eseguito in ortostatismo.
La
ridistribuzione si verifica come conseguenza dell'aumento della pressione in
atrio sinistro sommata all'effetto della gravità.
Secondo
alcuni Autori tali eventi determinerebbero un vasospasmo venoso, secondo altri
la ridistribuzione del flusso conseguirebbe invece alla pressione esercitata sui
vasi dall'edema interstiziale.
Tale
segno radiografico non è specifico ed è bene ricordare alcuni casi in cui la
sua interpretazione può essere erronea:
-
pazienti con enfisema polmonare in cui il danno parenchimale è maggiore nei
campi inferiori e quindi la vascolarizzazione è maggiore agli apici;
-
in caso di fibrosi polmonare risulta più difficile valutare il calibro dei
vasi;
-
se il radiogramma è stato scattato con paziente supino può non essere evidente
una ridistribuzione del flusso.
Edema
polmonare interstiziale: si verifica per pressioni atriali sinistre superiori a
20 mmHg. L'aspetto radiografico è caratterizzato dall'associazione di edema
settale, perivascolare e subpleurico.
L'edema
settale è rappresentato dalle strie di Kerley A (linee rettilinee, lunghe 3-10
cm che dagli ili si estendono obliquamente verso i campi polmonari superiori,
attribuite a collettori linfatici dilatati); strie di Kerley B (brevi linee
orizzontali presenti nei campi inferiori dei polmoni, attribuite
all'ispessimento dei setti interlobari); strie di Kerley C (sottile di segno
reticolare evidente nella parte inferiore dei campi polmonari determinato dal
sovrapporsi di immagini dei setti interlobulari congesti).
L'edema
perivasale si manifesta con opacità vascolari sfumate all'ilo e perdita di
definizione delle ombre vasali periferiche.
L'edema
subpleurico è caratterizzato dalla nettezza dei margini pleurici (della parete
toracica o interlobari) associati a opacità poco definite che si estendono nel
parenchima polmonare sottostante.
Edema
alveolare: si osserva per pressioni atriali sinistre superiori a 30 mmHg; la sua
espressione più tipica è costituita dall'edema ad "ali di farfalla"
(opacità confluenti agli ili polmonari); l'opacizzazione in genere è omogenea,
bilaterale e risparmia la periferia dei campi polmonari; talvolta può essere
asimmetrica e con aspetto nodulare oppure a chiazze.
Versamenti
pleurici: se di piccola entità possono associarsi ad insufficienza cardiaca
sinistra, ma quando sono di entità più cospicua sono generalmente secondari
(se cardiogeni) a scompenso biventricolare.
Solitamente
non pone molti problemi poiché il quadro dell'EPA è piuttosto caratteristico;
tuttavia occorre differenziare l 'EPA da tutte le altre cause di dispnea acuta,
in particolare dall'asma bronchiale con la quale può talvolta avere in comune
il reperto ascoltatorio di broncospasmo diffuso e rantoli polmonari.
Nel
differenziare i due quadri clinici è di aiuto l'anamnesi, infatti spesso il
paziente o i familiari sono al corrente di analoghi episodi e della loro natura.
Tra
i reperti obiettivi va sottolineato che la sudorazione e la cianosi sono più
frequenti nell'EPA rispetto alla crisi asmatica, mentre il torace nel secondo
caso è iperespanso, iperfonetico alla percussione ed i rumori umidi sono meno
comuni.
Dirimente
per la diagnosi è l'esecuzione di una radiografia del torace.
La
prognosi a breve termine dell'EPA è strettamente collegata con la natura della
malattia cardiaca sottostante e con la presenza o assenza di un fattore
precipitante che può essere trattato o rimosso; mentre è solitamente buona, ad
esempio, per un paziente in cui lo scompenso acuto del ventricolo sinistro è
stato provocato da una crisi ipertensiva, è pessima in caso di infarto
miocardico acuto in stato di shock (classe IV di Killip), con una mortalità
dell'85-95%.
Anche
la prognosi a lungo termine è strettamente collegata con la possibilità di
identificare e di correggere la causa determinante dell'EPA (ad esempio un vizio
valvolare). Nello stimare la prognosi a lungo termine occorre anche tenere
conto, superata la fase acuta, della risposta alla terapia di mantenimento: è
tanto migliore quanto minore il fabbisogno di cure mediche (riposo e restrizione
di sale conseguente a piccole dosi di diuretici ne consegue diuretici + digitale
conseguente a diuretici ad alte dosi + vasodilatatori ecc.).
L'edema
polmonare acuto deve essere considerato un'emergenza medica e come tale va
trattato.
Come
si è detto, le cause precipitanti l'edema vanno riconosciute e trattate (ad
esempio la correzione di un'aritmia ventricolare avrà la precedenza assoluta su
tutte le altre misure terapeutiche); data però la natura acuta e drammatica
dell'evento occorre porre in opera una serie di provvedimenti aspecifici, utili
in tutti i pazienti (salvo le controindicazioni evidenziate caso per caso).
Vale
anche la pena di sottolineare la necessità che il medico o l'équipe
medico-infermieristica che soccorre il malato non si faccia
"contagiare" dallo stato di ansia, spesso molto accentuato del
paziente stesso o dei suoi familiari.
1)
Il paziente va posto in posizione seduta (se non lo è già spontaneamente) con
la gambe penzoloni dal letto o dalla barella. Ciò riduce il ritorno venoso.
2)
Occorre somministrare ossigeno alla massima concentrazione possibile per ridurre
l'ipossiemia causata dall'interferenza alla diffusione dell'O2 provocata
dall'edema interstiziale e alveolare.
3)
In ambiente ospedaliero occorre assicurare un accesso venoso sicuro (con
un'ago-cannula o simili), eseguire ECG, rx torace, emogasanalisi, prelievi
urgenti di routine. Va tuttavia sottolineato che tali procedure non devono
ritardare la somministrazione di farmaci efficaci.
Nei
pazienti più critici può rendersi necessario il monitoraggio della pressione
venosa centrale (PVC) e della pressione capillare polmonare.
4)
Morfina: questo farmaco va somministrato diluito per via endovenosa, alla dose
di 2-5 mg per volta ad intervalli di alcuni minuti.
La
morfina diminuisce lo stato d'ansia del paziente e possiede azione
vasodilatatrice arteriolare e venosa, riducendo pertanto il postcarico ed il
precarico cardiaco.
Deve
essere considerato il farmaco di prima scelta nella terapia dell'EPA.
In
caso di depressione respiratoria, dopo la somministrazione di morfina, occorre
somministrare 1-2 fiale endovena di naloxone.
Controindicazione
relativa all'uso della morfina è l'ipotensione; controindicazione assoluta lo
stato di shock; anche l'ottundimento del sensorio deve controindicare l'uso del
farmaco, a meno che non sia già programmata l'intubazione del paziente.
Viceversa,
se la diagnosi di EPA è certa, l'ipercapnia non costituisce una
controindicazione alla morfina.
5)
Diuretici dell'ansa: furosemide, acido etacrinico e analoghi vanno somministrati
endovena (alla dose di 40-100 mg per la furosemide); la loro efficacia è legata
in un primo tempo alla riduzione del ritorno venoso (precarico) per
venodilatazione e successivamente all'azione diuretica con riduzione della
volemia.
Un'eccessiva
diuresi in pazienti con infarto miocardico acuto (specie se inferiore) o stenosi
aortica può determinare grave ipotensione o shock.
Attenzione
va posta pure alle turbe del ritmo da ipopotassiemia causata dai diuretici
dell'ansa.
6)
Farmaci vasodilatatori venosi: riducono il precarico e conseguentemente il
volume e la pressione di riempimento del ventricolo destro; sono la trinitrina e
l'isosorbide dinitrato per via sublinguale (trinitrina 0,3-0,6 mg; isosorbide 5
mg) e la nitroglicerina per via endovenosa (0,01-0,1 mg/min. in infusione
continua).
L'efficienza
contrattile del ventricolo destro è indispensabile perché si verifichi un
edema polmonare cardiogeno. Infatti nei pazienti affetti, ad esempio, da stenosi
mitralica, l'insufficienza del cuore destro secondaria a tricuspidalizzazione
previene da ulteriori episodi di edema polmonare.
7)
Farmaci vasodilatatori misti: sono indicati soprattutto se la pressione
arteriosa è elevata al fine di ridurre sia il postcarico sia il precarico.
Si
possono usare la nifepidina per via sublinguale o per os (10-20 mg) oppure, nei
casi più severi, il nitroprussiato di sodio che va somministrato diluito in una
fleboclisi da 500 ml, protetta dalla luce, in infusione continua (controllata
esattamente da una pompa per infusione) alla dose di 20 microm g/min, che può
essere aumentata di 5 microm g/min ogni 3 minuti fino a riduzione dell'EPA o
fino a che la pressione arteriosa sistolica (che va accuratamente e
frequentemente controllata) non scenda al di sotto dei 100 mm/Hg.
8)
Digitale: l'azione di tale farmaco è troppo lenta perché possa essere
realmente utile nella terapia dell'EPA; la sua indicazione principale rimane la
riduzione della frequenza ventricolare in caso di fibrillazione atriale con
elevata penetrazione ventricolare. Secondo alcuni Autori l'uso della digitale
nello scompenso del ventricolo sinistro in corso di infarto miocardico acuto
aumenterebbe la mortalità rispetto ai pazienti a cui tale farmaco non è stato
somministrato, a parità di compromissione emodinamica.
9)
Aminofillina: non tutti sono d'accordo sull'opportunità di utilizzare questo
farmaco nell'EPA, soprattutto per la sua azione tachicardizzante e aritmogena;
tuttavia la sua utilità non è trascurabile specie in quei pazienti in cui è
notevole la componente broncospastica, o in quei casi in cui non è chiara la
natura dell'asma (cardiaco o bronchiale) oppure le due componenti sono entrambe
presenti. L'efficacia dell'aminofillina (teofillina etilendiamina) si esplica
oltre che con l'azione broncodilatatrice anche con l'aumento del flusso ematico
renale e della escrezione del sodio, con un effetto inotropo positivo sul
miocardio e sui muscoli striati respiratori, specie il diaframma, con un'azione
vasodilatatrice del distretto venoso.
La
dose è 240 mg (1 fiala) endovena in 5-10 minuti o meglio in una piccola
fleboclisi, fatta seguire da infusione continua (9 mg/kg/h).
1O)
Glucagone: utile soprattutto se l'EPA è dovuto all'effetto inotropo negativo
secondario al trattamento con beta bloccanti; ad una dose iniziale di 5 mg fa
seguito l'infusione continua di 5-10 mg/ora.
Gli
interventi terapeutici descritti qui di seguito non trovano più una rilevante
applicazione, essendo ormai stati sostituiti da misure terapeutiche
farmacologiche assai efficaci; vale però la pena di ricordarli poiché in
alcune circostanze possono essere tra i pochi mezzi a disposizione del medico.
11)
Salasso: consiste nella sottrazione rapida di 300-400 ml di sangue.
Controindicato in caso di ipotensione.
12)
Applicazione di lacci emostatici rotanti: consiste nell'applicazione di lacci
emostatici o manicotti di sfigmomanometri (gonfiati a circa 10 mmHg meno della
pressione arteriosa sistolica, al fine di impedire il ritorno venoso, ma non il
flusso arterioso) alcuni centimetri sotto l'ascella e l'inguine di 3 arti; ogni
15-20 minuti un laccio viene rimosso e applicato all'arto libero.
La
procedura è controindicata in caso di shock e di preesistente compromissione
della circolazione periferica.
13)
Correzione dell'acidosi: l'acidosi metabolica (pH < 7,36) di tipo lattico è
comune in questi pazienti e non richiede correzione, a meno che non ci si trovi
di fronte a valori estremi di pH ( < 7,10) che si accompagnano spesso ad uno
stato di shock.
Il
carico di sodio che viene somministrato con il bicarbonato può aggravare una
situazione circolatoria già critica, che non tollera ulteriori aumenti del
volume extracellulare. In questi casi, come nel caso di acidosi respiratoria
grave (pH < 7,15, PaCO2 > 65-70 mmHg), è indicata la ventilazione
controllata.
14)
Ventilazione controllata: se le condizioni del paziente sono gravi con acidosi
severa (pH < 7,15) e non vi sono segni di miglioramento con la terapia e/o se
la pressione arteriosa è molto bassa (< 60 mmHg), si deve intubare il
paziente e iniziare la ventilazione controllata a pressione positiva. La
decisione di intubare il paziente, manovra tutt'altro che scevra di
inconvenienti, è sempre grave, ma va presa prima che l'acidosi e l'ipossiemia
causino arresto cardiaco da asistolia o fibrillazione ventricolare oppure uno
stato di shock irreversibile.
Tutte
le misure descritte fin qui sono volte soprattutto a ridurre l'ipossia, il
volume e la pressione di riempimento del ventricolo destro, il postcarico del
ventricolo sinistro: esse trovano applicazione nella terapia dell'EPA senza
segni di ipoperfusione periferica, normalmente iper o normoteso. Diverso è
l'approccio terapeutico al paziente con ipoperfusione periferica, spesso in
stato di shock.
Per
questi pazienti l'obiettivo della terapia è quello di aumentare la gettata
cardiaca e ridurre la pressione capillare polmonare.
Il
presidio principale è rappresentato dalla dopamina per infusione endovenosa
continua, di cui si può sfruttare l'azione dopa o beta che è dose dipendente
(rispettivamente 0,002-0,005; 0,005-0,014 mg/kg/min). Il farmaco agisce
aumentando il flusso ematico renale e splancnico e migliorando la funzione di
pompa cardiaca attraverso l'effetto inotropo positivo e la riduzione del
post-carico.
L'uso
dei diuretici in caso di shock cardiogeno può porre alcuni problemi ed andrebbe
riservato a quei pazienti con pressione capillare polmonare aumentata (CWP >
20 mmHg). Alla dopamina si possono associare vasodilatatori in infusione
endovenosa continua: nitroglicerina (12,5-50 microm g/min) oppure nitroprussiato
(15-200 microm g/min).
L'uso
dei lacci e del salasso è controindicato, cosi pure la somministrazione di
farmaci con azione inotropa negativa (calcioantagonisti) e della morfina (per
frequente presenza di acidosi e depressione respiratoria).
Se
non migliorano i segni di ipoperfusione e non vi è ripresa della diuresi vi è
indicazione alla contropulsazione aortica. Il pallone di cui è dotato
l'apparecchio (solitamente collocato in aorta discendente toracica), si gonfia
in diastole (favorendo la perfusione coronarica) e si sgonfia in sistole
(riducendo il postcarico). L'utilità della contropulsazione aortica è
essenzialmente legata alla possibilità di stabilizzare emodinamicamente il
paziente in attesa di correggere chirurgicamente eventuali anomalie acute (ad
esempio rottura di setto in corso di infarto miocardico acuto).
Ventilazione
meccanica con pressione di espirazione finale positiva (PEEP) (tab 3).
La
tab 4 riassume obiettivi e presidi terapeutici relativi alla terapia dell'EPA
cardiogeno.
Alcuni
degli interventi terapeutici descritti possono essere messi in atto al letto del
malato anche a domicilio, è quindi improcrastinabile, anche se è stato deciso
il ricovero d'urgenza, l'inizio della terapia a casa del paziente e durante il
trasporto in ospedale.
Riteniamo
che si debba procedere secondo le seguenti priorità:
punto
1: posizione del paziente;
punto
4: morfina e.v. o alternativamente i.m. (ma con minore efficacia);
punto
5: diuretici;
punto
6: vasodilatatori venosi per os o alternativamente, se la pressione arteriosa è
elevata, nifedipina s.l. o per o.s. ;
punto
8 : digitale, nei casi indicati;
punto
9. Aminofillina, nei casi indicati;
punto
11 e 12 : salasso e lacci, in assenza di altri presidi terapeutici o in caso di
inefficacia della terapia già attuata;
punto
2 : ossigenoterapia se durante il trasporto in ambulanza ma se possibile già in
domicilio).
Utilizziamo
la definizione di "edema polmonare non cardiogeno" per comodità e per
prassi, anche se è priva di significato fisiopatologico e pertanto poco
soddisfacente.
Se
la genesi dell'edema polmonare cardiogeno è l'aumento della pressione capillare
polmonare, nell'edema polmonare non cardiogeno (NCPE), che colpisce soggetti con
polmoni non precedentemente compromessi e senza insufficienza cardiaca sinistra,
vi è un danno selettivo della membrana alveolo-capillare, che può interessare
solo le cellule endoteliali oppure sia le cellule endoteliali sia quelle
alveolari; a questo ultimo substrato anatomo-patologico corrisponde il quadro
clinico della sindrome da distress respiratorio dell'adulto (ARDS).
Le
cause determinanti il danno della membrana alveolo-capillare sono molteplici e
vengono riassunte nella tab.04
L'aumento
della permeabilità della membrana è determinato in via diretta, come nel caso
di inalazione di gas tossici o aspirazione di succo gastrico, oppure
indirettamente attraverso l'aggregazione e l'attivazione all'interno dei
capillari polmonari di cellule del sangue (ad esempio in corso di sepsi da gram
negativi).
Gli
elementi corpuscolati che paiono maggiormente implicati sono i granulociti
neutrofili i quali, adesi alla superficie endoteliale, libererebbero mediatori
dell'infiammazione (leucotrieni, trombossano, prostaglandine) responsabili, in
ultima analisi, dell'aumento di permeabilità della membrana e del passaggio di
liquidi, macromolecole e cellule ematiche dal lume capillare nell'interstizio e,
con l'aggravarsi della situazione, negli alveoli.
In
tutti i casi si innesca un meccanismo che determina atelettasia alveolare,
perdita di elasticità dei polmoni, alterazioni del rapporto
ventilazione-perfusione, con conseguente ipossiemia arteriosa.
La
gravità dell'ipossiemia e della riduzione della compliance polmonare, nonché
la resistenza all'ossigenoterapia, sono correlate con l'entità del danno
anatomo-patologico: sono cioè tanto maggiori quanto più è interessato il
versante alveolare della membrana alveolo-capillare. Alle varie cause di danno
polmonare corrispondono quadri anatomopatologici e clinici estremamente simili
tra loro, poiché il polmone ha un numero assai limitato di "possibili
risposte" ad una gamma quasi illimitata di agenti lesivi.
Tra
il momento in cui avviene l'evento causale e la comparsa dei primi sintomi
intercorre solitamente un intervallo di alcune ore libero da sintomi.
I
primi segni di ARDS sono rappresentati dalla tachipnea e successivamente dalla
dispnea, l'emogasanalisi in questa fase dimostra una ipossiemia arteriosa ed
un'ipocapnia; l'ipossiemia, correggibile con O2 somministrato per maschera o con
apparato nasale, è imputabile ad una alterazione del rapporto
ventilazione-perfusione o ad un'alterazione della diffusione.
L'esame
obiettivo e quello radiografico del torace possono essere ancora normali (fig.05
Con
il passare delle ore il quadro tende ad aggravarsi, la frequenza respiratoria può
superare i 30-40 atti al minuto, con respiri superficiali, è evidente l'impegno
dei muscoli respiratori accessori; a causa della "rigidità" polmonare
molto accentuata il paziente è francamente dispnoico in assenza di evidenti
segni di scompenso ventricolare destro o sinistro (giugulari turgide, T3),
cianotico (la cianosi è sempre centrale, ad essa può associarsi, in caso di
rallentamento del circolo, una cianosi periferica).
L'obiettività
polmonare evidenzia rantoli diffusi.
L'esame
radiografico del torace dimostra infiltrati interstiziali ed alveolari
bilaterali, diffusi ad entrambi i campi polmonari, a chiazze, che rispetto
all'edema polmonare cardiogeno interessano maggiormente la periferia e meno le
zone parailari. Tale reperto, accanto al fatto di rilevare una silhouette
cardiaca non ingrandita, depone per l'ARDS piuttosto che per l'EPA cardiogeno (fig.05
Tuttavia,
poiché spesso il radiogramma è eseguito al letto del malato per le sue
condizioni critiche, l'ombra cardiaca può apparire "falsamente"
ingrandita e la diagnostica differenziale radiologica tra ARDS ed EPA cardiogeno
si fa più difficoltosa.
Con
l'aggravarsi del paziente l'ipossiemia non è più correggibile con i mezzi
descritti in precedenza e può ulteriormente aggravarsi, si ritiene che la causa
principale dell'ipossiemia arteriosa sia, a questo punto, lo shunt
destro-sinistro attraverso alveoli atelettasici oppure occupati da cellule
ematiche o fibrina. L'aumento della PaCO2 è un segno prognosticamente infausto.
Se
viene misurata la pressione capillare polmonare di incuneamento (PCWP), essa
risulta inferiore a 12 mmHg e tale valore è costante nel tempo (nell'EPA
cardiogeno solitamente è superiore a 20 mmHg).
Riassumendo,
la diagnosi di NCPE e ARDS si fa in base alla presenza di alcuni elementi:
1)anamnesi
compatibile per la presenza di uno degli eventi causali possibili (tab.05
2)
Segni clinici di distress respiratorio: tachipnea, impegno dei muscoli
respiratori accessori, in assenza di segni di scompenso cardiaco (galoppo,
ortopnea, turgore giugulare), cute calda per vasodilatazione, rantoli polmonari
diffusi.
3)
Segni radiologici descritti (fig.05A
4)
Dati di laboratorio: ipossiemia (PaO2 < 50 mmHg) refrattaria, ipocapnia
(almeno in fase iniziale), grave riduzione della compliance polmonare, PCWP <
12 mmHg.
Il
sospetto di trovarsi di fronte ad un paziente con edema polmonare non cardiogeno
deve indurre al ricovero immediato, essendo la prognosi migliore se la terapia
è precoce.
Il
trattamento si basa su due elementi: la terapia specifica (quando possibile) e
quella non specifica (sempre attuabile).
-
Il trattamento specifico comporta il riconoscimento e la terapia della causa
determinante (ad esempio una sepsi).
-
Presidi terapeutici non specifici:
Farmaci
corticosteroidei. Il loro uso non è mai stato dimostrato sicuramente efficace
in trial clinici controllati, anche se questi farmaci avrebbero alcuni
presupposti teorici per essere di utilità nell'ARDS: stabilizzare le membrane
lisosomiali, diminuire la permeabilità dell'endotelio, inibire l'aggregazione
leucocitaria.
Alcuni
Autori ne propongono l'uso precocemente e ad alte dosi in caso di shock settico,
emorragico o da embolia grassosa (30 mg/kg/die di metilprednisolone, e.v.).
Controllo
del volume vascolare. È
necessario evitare sia la deplezione sia il sovraccarico di liquidi; il
monitoraggio della PVC o della PCWP, nonché dei parametri vitali, della diuresi
ecc., può guidare l'infusione di liquidi. Di prima scelta sono i cristalloidi;
l'albumina è indicata in caso di grave iponchia e la trasfusione di emazie se
l'Hb è inferiore a 10 g/dl.
Antibiotici.
Se l'ARDS è secondaria a un fatto infettivo acuto andranno somministrati
antibiotici adeguati (terapia eziologica); molti Autori consigliano comunque una
terapia antibiotica ad ampio spettro per controllare le eventuali infezioni
polmonari.
Farmaci
vaso e cardio-attivi. Nitroprussiato, dopamina ecc. devono essere usati per
correggere eventuali anomalie cardiocircolatorie, ricordando che possono
aumentare gli shunt intrapolmonari con maggiore richiesta di FiO2.
Anticoagulanti.
Non sono stati dimostrati benefici significativi con l'uso di anticoagulanti.
Assistenza
ventilatoria. La somministrazione di O2 in questi pazienti, a differenza di
quanto avviene in quelli con ostruzione cronica delle vie aeree, non causa
depressione dei centri respiratori e rappresenta il presidio terapeutico
principale.
È opportuno scegliere il sistema più semplice e meno invasivo per
somministrare ossigeno, alla minore concentrazione possibile (FiO2), utile per
ottenere lo scopo desiderato.
L'obiettivo
che ci si può prefiggere è quello di portare la pressione arteriosa di
ossigeno (PaO2) a 60 mmHg (8 K Pa). Poiché a tale PaO2 la saturazione
dell'emoglobina è del 90%, pressioni superiori, migliorando di poco
l'ossigenazione, comporterebbero una maggiore tossicità da O2 se non
addirittura la scelta di metodi di ventilazione più invasivi.
È consigliabile iniziare con sistemi semplici (cannula nasale, maschera
facciale, maschera con reservoir inspiratorio, in ordine di efficacia) e con
flussi di O2 al lOO% da 5 a 10 litri/minuto, monitorizzando l'emogasanalisi e
regolandosi di conseguenza.
Se
questi presidi non sono sufficienti a mantenere una adeguata ossigenazione si
dovrà passare alla ventilazione meccanica, previa intubazione endotracheale del
paziente. Non riteniamo opportuno addentrarci nella disamina delle varie
possibilità e scelte che si presentano al medico, sottolineiamo solamente
alcuni principi generali.
L'obiettivo
della ventilazione meccanica è di migliorare l'ossigenazione
"aprendo" alveoli precedentemente chiusi; ciò si ottiene impiegando
grandi volumi correnti a bassa frequenza respiratoria (rispetto a quella
spontanea del paziente), solitamente con alte pressioni di insufflazione per
vincere la rigidità dell'apparato respiratorio.
In
linea generale le scelte successive possono essere:
—
respirazione a pressione positiva continua (CPAP)
alla quale consegue
-
respirazione a pressione positiva telespiratoria (PEEP)
alla quale consegue
-ossigenazione
extracorporea a membrana (ECMO)
(con
quest'ultima terapia, tuttavia, non è stato dimostrato un aumento della
sopravvivenza).
In
conclusione, il migliore trattamento del paziente con NCPE è quello di
sostegno, non essendo disponibile al momento una terapia specifica che
ripristini la normale permeabilità della membrana alveolo-capillare una volta
che il polmone è stato danneggiato.
Trattamenti
specifici per la lesione polmonare, in corso di sperimentazione, potrebbero
essere quelli con superossido dismutasi e inibitori delle prostaglandine.
Le
più frequenti complicazioni, non rare in pazienti così critici, sono
rappresentate da scompenso ventricolare sinistro, infezioni (specie polmonari),
alterazioni coagulative (CID), complicazioni legate alla ventilazione meccanica
(infezioni, pneumotorace, pneumomediastino, tossicità polmonare da O2).
La
prognosi dipende ovviamente dalla causa scatenante l'ARDS; la mortalità media
è del 50% e si pone tra due estremi, essendo l'overdose di oppiacei e lo stato
di shock le due condizioni prognosticamente rispettivamente migliore e peggiore.
La
restitutio ad integrum può essere totale in una buona percentuale dei pazienti
sopravvissuti, a distanza di alcuni mesi dall'evento acuto, in altri casi
l'evoluzione è verso la fibrosi polmonare (fig.05A
Garetto G.: Medicina d’urgenza, pag. 331 e segg., pag. 447 e segg., Ed. Medico Scientifiche, 1987.
Milne E.N.C.: The radiological distinction of cardiogenic and noncardiogenic edema. Am. J. Radiol., 144, 879, 1985.
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