HOME PAGE CARLOANIBALDI.COM HOME PAGE ANIBALDI.IT
ARGOMENTI DI MEDICINA CLINICA
VAI ALL'INDICE
Ultimo aggiornamento: 23.12.2013
mail to Webmaster
CARLOANIBALDI.COM
Durante
la gestazione, la somministrazione di farmaci alla madre può causare effetti
tossici sul feto, rappresentati da alterazioni malformative, da anomalie
funzionali o da lesioni distruttive di varia gravità, infine dalla morte
intrauterina. Il verificarsi o meno di questi effetti è in relazione con
l'epoca di sviluppo embriofetale nonché con le caratteristiche, la
concentrazione e la durata di azione delle sostanze impiegate.
In
particolare, i farmaci possono indurre malformazioni solamente se somministrati
nel periodo di organizzazione e di differenziazione dei singoli organi (vedi tab.01
Come
già detto, anche i farmaci somministrati alla nutrice passano nel latte,
tuttavia i casi in cui sono stati dimostrati effetti dannosi sul lattante sono
pochi, generalmente collegati con un dosaggio eccessivo del farmaco stesso o a
particolari circostanze (per esempio, in caso di infezioni intestinali del
neonato l'assorbimento enterale di molte sostanze è aumentato).
Non
sempre è facile stabilire un rapporto causale fra danni feto-neonatali e
somministrazione di farmaci durante la gestazione e l'allattamento, in quanto
molteplici fattori esogeni ed endogeni, sovente misconosciuti, possono agire
negativamente sul prodotto del concepimento, indipendentemente o in associazione
alle sostanze farmacologiche. Ad esempio, soltanto di recente è stato
riconosciuto il ruolo patogenetico di molti fattori (genetici, metabolici,
nutrizionali, infettivi, immunologici ecc.) nell'induzione del danno fetale.
Per
una più obiettiva valutazione sono stati proposti alcuni criteri allo scopo di
stabilire se un qualunque effetto dannoso sul concepito possa essere provocato
da un farmaco assunto dalla madre durante la gestazione o l'allattamento:
-l'esposizione
della madre alla sostanza deve essere associata con lesioni o con malformazioni
tipiche a carico della prole;
-l'incidenza
di anomalie o di malformazioni ad eziologia non genetica nella prole deve essere
aumentata nella popolazione esposta al farmaco rispetto ad una popolazione non
esposta di controllo;
-deve
esistere un modello animale in cui si può riprodurre la condizione osservata
nell'uomo;
-fra
l'esposizione al farmaco e l'entità del danno osservato deve esistere un
rapporto dose-effetto;
-nell'animale
da esperimento deve essere individuato il meccanismo patogenetico.
Su
questa base, la probabilità che un farmaco sia realmente dannoso dipende dal
numero di criteri che risultano soddisfatti e dalla rigorosità delle verifiche
statistiche e sperimentali. Infine, ricordiamo che le sperimentazioni in campo
umano non sono ammissibili per ragioni etiche e che i modelli animali non sempre
sono totalmente rapportabili alla biologia e alla patologia umane: per questi
motivi non esistono certezze assolute a questo proposito in campo umano, mentre
esiste una ragionevole probabilità di sicurezza d'uso, derivata da tutte le
esperienze del passato sulla gravidanza umana, positive e negative. Ovviamente,
in questa sede non è possibile una trattazione sistematica della problematica
dei farmaci che possono o devono essere somministrati durante la gestazione e
l'allattamento; pertanto ci limiteremo a riferire quanto conosciuto in merito
all'impiego in gravidanza ed in puerperio dei farmaci di più frequente impiego.
I
mutamenti che si verificano fisiologicamente nel corso della gravidanza
comportano variazioni dell'assorbimento, della distribuzione, del metabolismo e
dell'escrezione dei farmaci rispetto alle condizioni extragravidiche.
L'assorbimento
per via orale nel primo trimestre può essere notevolmente ostacolato dai
fenomeni simpatici; anche il rallentamento della funzione gastrointestinale
altera l'assorbimento enterale dei farmaci (sia prolungandone il tempo di
assorbimento, sia modificando il grado di ionizzazione delle basi e degli acidi
deboli). Invece, l'assorbimento parenterale non sembra modificato, benché
l'aumentato flusso ematico periferico possa aumentare o accelerare il tasso di
assorbimento dei farmaci inietatti per via sottocutanea o intramuscolare.
In
gravidanza, rispetto alle condizioni extra gravidiche, sovente la distribuzione
di un farmaco comporta una riduzione del rapporto fra farmaco somministrato e
concentrazione plasmatica del farmaco stesso. Ciò si verifica sia in ragione
dell'aumento del volume apparente di distribuzione intracellulare ed
extracellulare, sia a causa della diminuzione della concentrazione delle
proteine circolanti e del loro potere di legame.
In
genere, il metabolismo epatico dei farmaci durante la gravidanza risulta
aumentato, probabilmente per induzione enzimatica da parte di ormoni gravidici,
anche se in misura e con azione diversa per i diversi farmaci. Inoltre, anche la
placenta e, meno, il feto potrebbero avere un ruolo nella trasformazione dei
farmaci.
L'aumento
gravidico della filtrazione glomerulare comporta un'eliminazione accelerata
nelle urine dei farmaci idrosolubili e dei metaboliti polari di quelli
liposolubili.
Quindi,
per quanto questi accenni di farmacocinetica rappresentino una schematizzazione
forse eccessiva, in caso di farmacoterapia in gravidanza occorre sempre
somministrare una dose piena del farmaco e, forse, sarebbe necessario
considerare una variazione della dose rispetto a quella abitualmente
somministrata in condizioni extragravidiche, soprattutto per i farmaci la cui
efficacia è strettamente in rapporto con la concentrazione tissutale. A questo
proposito, un esempio è quello di alcuni antibiotici (come l'ampicillina), il
cui impiego in gravidanza, per mantenere una concentrazione plasmatica pari a
quella dello stato extragravidico, richiede la somministrazione di dosi
maggiori.
Sul
piano pratico una distinzione dei farmaci può essere fatta in base al loro
effetto nocivo sul prodotto del concepimento.
Possono
essere distinti:
1.farmaci
con effetto sicuramerite teratogeno;
2.farmaci
con effetto probabilmente teratogeno;
3.farmaci
con probabilità di azione embrio-fetotossica non necessariamente malformativa.
In
linea di principio il perdurare di una grave malattia della gestante è più
pericoloso per il concepito dell'eventuale azione non desiderata dei farmaci
indispensabili alla sua cura e, del resto, i farmaci teratogeni possono indurre
malformazioni solamente se somministrati nello specifico periodo di
vulnerabilità dell'embrione. Inoltre, i gravi effetti fetotossici dei farmaci
somministrati alla madre sono solitamente collegati a sovradosaggio e a
somministrazioni molto prolungate.
Il
numero di farmaci sicuramente teratogeni è molto ristretto. Fra i farmaci di
possibile impiego in una donna in età fertile si ricorda che gli ormoni
androgeni e i progestinici di sintesi derivati dal nortestosterone possono
provocare una mascolinizzazione del feto femmina di grado più o meno grave;
analoghi effetti, nonché anomalie del tratto urogenitale, possono essere
indotti dalla somministrazione del danazolo; peraltro, nessuna di queste
sostanze trova indicazione nella gestante.
Sia
la vitamina A ad alto dosaggio, sia i suoi analoghi, si sono dimostrati
teratogeni nell'animale da esperimento; particolarmente pericolosi dal punto di
vista malformativo risultano, anche in campo umano, alcuni analoghi (isotretionina
e etretinato), per la loro lunga emivita (circa 80-100 giorni). Per queste
ragioni è opportuno sconsigliare l'assunzione di vitamina A ad alte dosi (sola
o in associazione multivitaminica) ed è tassativa la sospensione degli analoghi
citati molti mesi prima del concepimento.
Farmaci
sovente in grado di indurre gravi anomalie embrio-fetali sono un certo numero di
farmaci citostatici, in particolare alcuni antagonisti dell'acido folico (methotrexate,
aminopterina); gli analoghi della purina e della pirimidina e gli agenti
alchilanti sono molto meno pericolosi. Ad altre sostanze (actinomicina D,
adriamicina, colchicina, podofillina, vincristina) è stata riconosciuta, oltre
ad un'azione embriotossica, anche un'azione abortigena; alle dosi abituali,
però, l'effetto è incostante.
Infine,
per il suo valore storico va ricordato il talidomide, un ipnotico che, se
somministrato nel periodo embriogenetico, è stato responsabile di numerosi casi
di morte e di gravi quadri malformativi del feto (focomelia). Attualmente questo
farmaco non è più usato nella pratica clinica comune, eccetto che nel
trattamento di certe forme di lebbra.
Si
tratta di un estrogeno di sintesi non steroideo, impiegato in passato
soprattutto nella prevenzione dell'aborto e del parto pretermine, che ha
dimostrato di determinare anomalie a carico dell'apparato urogenitale nella
prole, sia maschile sia femminile. Le figlie di madri esposte al
dietilstilbestrolo, oltre ad un certo rischio di manifestare varie forme di
patologia benigna dell'apparato genitale, sterilità e infertilità, hanno anche
una probabilità dell'ordine dell'1-2 per mille di sviluppare in epoca puberale
o adolescenziale un adenocarcinoma a cellule chiare della vagina o della
cervice. Questo farmaco attualmente non viene più impiegato in gravidanza,
tuttavia è opportuno ricordare che può essere presente nella carne e in alcuni
altri alimenti.
Gli
estrogeni e i progestinici contenuti nella maggior parte degli anticoncezionali
orali e nei preparati utilizzati in passato per la diagnosi farmacologica di
gravidanza, se assunti nei primi giorni dopo il concepimento, talvolta
potrebbero causare una sindrome malformativa multipla. Questa sindrome è
chiamata VACTERL, dalle iniziali del nome inglese degli organi o apparati
interessati (Vertebral, Anal, Cardiac, Tracheal, Esophageal, Renal, Limbs =
arti). In realtà, la sindrome VACTERL è molto rara e il suo rapporto causale
con l'assunzione di estroprogestinici non è stato dimostrato con certezza:
comunque, è sempre raccomandabile non consigliare automaticamente l'assunzione
di preparati estroprogestinici in caso di amenorrea ed è bene evitare ogni
tentativo di induzione farmacologica del flusso mestruale ogniqualvolta vi sia
un ritardo mestruale di probabile origine gravidica.
Invece,
le gravidanze insorte subito dopo la cessazione di un trattamento
estroprogestinico non sembrano comportare un maggior rischio malformativo
rispetto alla popolazione di controllo, salvo la remota possibilità di
un'eventuale patologia da ipermaturità dell'ovocita.
A
proposito degli ormoni sessuali femminili (estrogeni e progestinici inclusi,
progesteronici inclusi, pare ragionevole evitarne la somministrazione
indiscriminata nella terapia protettiva della gravidanza anche se il rischio
malformativo è molto piccolo: infatti, la loro efficacia nel migliore dei casi
è assai dubbia ed esiste il sospetto di una loro interferenza sulla
differenziazione psicosessuale del feto.
Di
recente è stato sintetizzato un antagonista del progesterone a livello
recettoriale, il mifepristone, che viene impiegato in alcuni Paesi come abortivo
chimico. Non sono noti dati in ambito umano sugli effetti embrio-fetali in caso
di fallimento nell'induzione dell'aborto (circa 15%).
Il
cortisone e i suoi derivati possono essere impiegati in gravidanza per
trattamenti a lungo termine (per esempio, in caso di asma, collagenopatie ecc.).
Nella specie umana è stato dimostrato che il rischio malformativo (labiopalatoschisi)
è dubbio o minimo, anche se il trattamento è attuato già a partire dalle
prime settimane di gestazione, e nullo se iniziato dopo il 58° giorno di età
concezionale (73° giorno di amenorrea), quando nel feto umano si è verificata
la completa saldatura del palato (vedi tab.01
Nei
casi in cui sia necessario l'impiego prolungato di cortisonici, nelle prime fasi
di gravidanza è preferibile utilizzare l'idrocortisone, il prednisone e il
prednisolone piuttosto che i corticosteroidi alogenati, in quanto i primi
vengono in parte metabolizzati a livello della placenta e quindi raggiungono Il
feto in quantità inferiore. In caso di attacco asmatico, si ricorda che il
beclometasone, utilizzabile per via inalatoria, presenta il vantaggio di un
ridottissimo assorbimento sistemico. Gli effetti negativi fetali di una terapia
cortisonica prolungata sono rappresentati dal ritardo di crescita, dalle
interferenze con lo sviluppo del sistema immunitario, infine dai segni di
soppressione surrenalica transitoria postnatale, di entità trascurabile ma
comunque da tenere presenti.
L'uso
dei cortisonici per brevi periodi di tempo non comporta alcun rischio né per la
madre né per il feto: infatti, in particolari condizioni si utilizza la
somministrazione dei cortisonici alla madre per indurre la maturazione dei
polmoni del feto fra la 28a e la 34a settimana di gravidanza. Nella sorveglianza
biochimica della gravidanza, bisogna tenere presente che l'inibizione del
surrene fetale da parte del cortisonico somministrato alla madre può comportare
il riscontro di bassi valori di estriolemia e di estrioluria anche in assenza di
sofferenza fetale.
Gli
antiepilettici sono un esempio di farmaci il cui impiego anche in gravidanza non
dovrebbe essere sospeso nell'interesse della salute materna.
Dei
farmaci di questo gruppo, quello che forse comporta qualche rischio per il feto
è la difenilidantoina: infatti, i figli di madre epilettica in trattamento con
questo farmaco mostrano alla nascita in circa il 10% dei casi segni evidenti e
nel 20% segni sfumati della cosiddetta "sindrome fetale da difenilidantoina"
(varia associazione di deficienza mentale e/o dello sviluppo fisico con quadri
malformativi polimorfi). Il meccanismo patogenetico sarebbe costituito da
un'interferenza con il metabolismo dei folati, per cui è consigliabile
associare la somministrazione di acido folico in quantità elevate in tutte le
gestanti in trattamento antiepilettico con difenilidantoina. Tuttavia, il
rapporto causale fra malformazioni fetali e difenilidantoina non è stato
definito con certezza, non potendosi escludere, fra l'altro, il potenziale
teratogenetico dell'epilessia stessa.
Invece,
il trattamento con barbiturici a basso dosaggio e benzodiazepine comporta un
rischio malformativo soltanto di poco superiore o addirittura pari a quello
della popolazione generale.
Per
gli anticonvulsivanti più recenti (acido valproico e trimetadione) si sospetta
un effetto malformativo sul feto e sono stati descritti quadri malformativi
ipoteticamente legati all'assunzione materna di questi farmaci (sindrome fetale
da trimetadione).
Oltre
ai possibili effetti malformativi descritti, gli antiepilettici possono
provocare gravi emorragie del neonato per interferenza con i fattori della
coagulazione dipendenti dalla vitamina K, per cui nell'ultimo trimestre di
gravidanza è opportuno evitare l'associazione con altri farmaci capaci di
interferire a loro volta con i processi emocoagulativi (ad esempio, salicilati e
altri antinfiammatori non steroidei ecc.). Inoltre, può essere utile la
somministrazione di vitamina K idrosolubile sia alla gestante prima del parto,
sia al neonato subito dopo la nascita.
Gli
effetti lesivi sul concepito dell'alcool ad alte dosi sono rappresentati dal
ritardo di crescita intrauterina, dalla sindrome "da astinenza"
postnatale, dalla cosiddetta "sindrome fetale malformativa da alcool"
e dalla intossicazione transplacentare acuta.
Nella
gestante, l'alcool etilico non viene più utilizzato a scopo terapeutico (in
passato si sfruttava la sua azione tocolitica in caso di minaccia di parto
pretermine); i danni fetali citati sono collegati solamente con l'assunzione
eccessiva e molto prolungata a scopo voluttuario.
Le
benzodiazepine costituiscono il gruppo di farmaci ad azione sedativa, ipnotica e
anticonvulsivante di più diffuso impiego. In genere sono considerate prive di
effetto teratogeno, sebbene esistano sporadici casi di labio-palatoschisi ed
altre malformazioni non specifiche presuntivamente associati a trattamento con
diazepam o clordiazepossido a dosi terapeutiche nei primi mesi di gestazione.
L'impiego delle benzodiazepine alle comuni dosi cliniche dopo il periodo
dell'organogenesi non comporta particolari rischi materni o fetali. Invece, la
loro somministrazione a dosi elevate in prossimità del parto può determinare
una sindrome depressiva del neonato (letargia, crisi di apnea, ipotermia ecc.),
soprattutto nei neonati pretermine e ipotetiche anomalie comportamentali.
Comunque, anche nell'imminenza del parto, dosi di diazepam (considerato come
farmaco di riferimento per tutte le benzodiazepine) fino a 30 mg nelle 15 ore
precedenti la nascita sono prive di rischi per il neonato. Piccole dosi di
barbiturici sono quasi certamente prive di effetti embrio-fetali dannosi anche
se somministrate nelle prime settimane di gestazione. Invece, l'uso a scopo
voluttuario di dosi elevate di barbiturici comporta manifestazioni "da
astinenza" fetali e neonatali analoghe a quelle conosciute per gli
stupefacenti e le sostanze affini.
Fenotiazine
e butirrofenoni molto probabilmente sono privi di effetto teratogeno, anche se
esistono sporadiche segna\lazioni di neonati malformati dopo assunzione di
questi medicamenti da parte della madre nelle prime settimane di gravidanza. Le
fenotiazine ad alte dosi non dovrebbero essere utilizzate nell'imminenza del
parto, per il rischio di depressione respiratoria e di reazioni extrapiramidali
del neonato osservate occasionalmente dopo somministrazione di dosi elevate.
L'uso prolungato di clorpromazina e di tioridazina da parte della madre è stato
ipoteticamente associato con alterazioni retiniche del neonato.
Gli
antidepressivi triciclici e gli inibitori delle monoamino-ossidasi sono
sconsigliabili durante la gestazione per motivi precauzionali, sebbene
probabilmente siano privi di effetto teratogeno. Invece, deve essere evitata
l'assunzione di sali di litio durante il primo trimestre di gravidanza e, forse,
anche nel periodo precedente il concepimento per il presunto rischio di
provocare malformazioni cardiovascolari del feto (7% dei casi).
Si
ritiene che i glicosidi digitalici non causino effetti negativi sul feto; fra i
farmaci antiaritmici vi è chi sconsiglia l'uso in gravidanza dell'amiodarone,
in quanto teoricamente in grado di danneggiare la tiroide fetale per liberazione
di iodio dalla molecola.
Le
catecolamine e la maggior parte dei farmaci vasocostrittori possono causare
episodi più o meno prolungati di asfissia fetale tramite prolungate alterazioni
della perfusione placentare, ma si tratta di fenomeno incostante ed
imprevedibile. I beta2-stimolanti (salbutamolo, ritodrina, terbutalina ecc.)
usati per la terapia dell'asma, ai dosaggi abituali non sembrano comportare
particolari problemi per il feto e per il neonato, sebbene talvolta possano
causare tachicardia materna così compromettere l'irrorazione uteroplacentare
con transitoria sofferenza asfittica intrauterina, causare iperglicemia materna
con conseguente iperinsulinemia fetale e determinare tachicardia fetale se
somministrati a dosi elevate a scopo tocolitico nella minaccia di parto
pretermine.
I
beta-bloccanti non selettivi (propranololo, timololo, pindololo ecc.) sono
potenzialmente pericolosi anche alle abituali dosi cliniche, perché possono
determinare una riduzione della pressione arteriosa e della frequenza cardiaca
fetali. Sono stati sospettati analoghi inconvenienti anche con l'impiego durante
la gestazione dei beta-bloccanti selettivi (atenololo, acebutololo ecc.).
A
proposito dei farmaci antipertensivi, l'alfa-metildopa e il labetalolo sono
considerati farmaci di sicuro impiego durante la gravidanza; anche la clonidina
e la nifedipina sono da ritenere prive di azioni dannose sul feto, per quanto
siano ancora mal conosciuti gli effetti sull'embrione durante le fasi precoci
della gestazione.
I
sali di magnesio (solfato, ascorbato, pidolato) attraversano la placenta ma, ai
dosaggi abituali, non sembrano comportare particolari problemi neonatali.
Invece, l'uno degli ACE-inibitori durante la gravidanza è molto discusso e deve
essere considerato ancora sperimentale, data la mancanza di casistiche su larga
scala.
I
diuretici tiazidici sono attualmente poco usati in ostetricia per timore dell'ipokaliemia,
della eccessiva riduzione della volemia materna e della compromissione della
perfusione uteroplacentare; in realtà sembra che ai dosaggi abituali e per
somministrazioni limitate nel tempo non manifestino particolari effetti negativi
sul feto.
L'impiego
della furosemide andrebbe riservato.ai casi di urgenza e limitato alle singole
somministrazioni periodiche (ad esempio, crisi ipertensiva grave, edema
polmonare ecc.), in quanto ad alte dosi e con uso protratto può causare
pericolosa ipovolemia materna e squilibri elettrolitici nel neonato.
Per
quanto non siano farmaci, anche la caffeina e il fumo di tabacco agiscono sul
cuore e sul circolo materno e fetale. L'abuso materno di caffeina può causare
una "sindrome da astinenza" neonatale e, secondo alcuni, potrebbe
accentuare una preesistente tendenza alla poliabortività spontanea. Gli effetti
dannosi dell'abuso di fumo di tabacco sul concepito sono un'aumentata tendenza
all'aborto e al parto pretermine, una frequenza più elevata di ritardato
accrescimento e complessivamente un aumento della mortalità perinatale.
Pertanto, anche escludendo al presente timori relativi a temute, ma ipotetiche,
azioni teratogene e cancerogene sulla prole, sembra opportuno sconsigliare alla
gestante e ai familiari anche il consumo di poche sigarette al giorno.
In
un'ipotetica graduatoria fra i farmaci utilizzabili in gravidanza, in termini di
rapporto fra possibili rischi e benefici, gli antibiotici certamente
occuperebbero uno dei posti più favorevoli, nonostante siano stati sovente
accusati di provocare danni al feto e al neonato. Ciononostante, è buona norma
sia usare le opportune cautele, sia evitare accuse faziose; pertanto, in
gravidanza si devono impiegare gli antibiotici più idonei al singolo caso
scelti sulla base dell'antibiogramma e, quando possibile, rimandare la loro
prescrizione al termine del primo trimestre.
A
scopo puramente indicativo, nella tab.03
Le
penicilline naturali, l'ampicillina e i suoi derivati, le loro associazioni col
probenecid, con l'acido clavulanico e con il
sulbactam, e l'amoxicillina sono innocue per il concepito a qualunque età
gestazionale. Le dosi di ampicillina in gravidanza devono essere raddoppiate
rispetto alle dosi utilizzate al di fuori della gestazione per un aumento della
clearance plasmatica materna secondaria all'aumento dell'eliminazione renale.
Analoghe
considerazioni possono essere fatte per l'impiego in gravidanza delle
cefalosporine: sebbene questi antibiotici superino con facilità la placenta,
non sono conosciuti casi di pericoloso accumulo del farmaco nel compartimento
fetale. Anche per alcune cefalosporine (cefuroxime, ceftazidine e altre), il
dosaggio deve essere superiore a quello delle condizioni extragravidiche. Come
per le ampicilline, anche per le cefalosporine si raccomanda una certa cautela
per l'uso in gravidanza dei preparati di più recente introduzione in commercio.
L'occasionale effetto antabuse di alcune cefalosporine recenti (cefoperazone) è
presumibilmente innocuo sia per la madre sia per il feto; conviene, peraltro,
sconsigliare l'uso di bevande alcoliche durante la terapia.
L'eritrocina,
la spiramicina e la josamicina sono considerati farmaci ragionevolmente
"sicuri" per la somministrazione ad una gestante: infatti, spiramicina
e josamicina vengono usate elettivamente per la cura della primo-infezione
toxoplasmica in gravidanza.
L'uso
cinquantennale dei sulfamidici in gravidanza li deve far considerare privi di
effetti teratogeni ed esenti da rilevante tossicità; anche il rischio teorico
di favorire l'ittero nucleare prenatale si è rivelato infondato nella pratica
clinica. Sono prudenzialmente sconsigliabili soltanto i sulfamidici a lunga
emivita plasmatica. Molte volte i sulfamidici vengono impiegati in associazione
a farmaci antifolici (trimetoprim o pirimetamina), come ad esempio nella terapia
della primo-infezione toxoplasmica in gravidanza: in questo caso è buona norma
associare acido folinico anche se alle dosi consigliate queste sostanze non
hanno finora prodotto dimostrabili effetti teratogeni o altra lesività
embrio-fetale in ambito umano.
L'esperienza
"sul campo" deve far considerare la nitrofurantoina un farmaco
antiinfettivo ragionevolmente "sicuro" per l'impiego durante la
gestazione: la sua somministrazione andrebbe evitata solamente nell'imminenza
del parto, in quanto occasionalmente può causare crisi emolitiche neonatali.
Anche
il metronidazolo è un farmaco sicuro, come confermato dal suo impiego (locale o
per via sistemica) più che ventennale in ostetricia: resta qualche
perplessità, peraltro di scarso rilievo, per l'uso durante il primo trimestre
di gravidanza a motivo di alcuni effetti osservati sperimentalmente (effetto
cancerogeno nei roditori e mutageno nei batteri). L'effetto antabuse del
metronidazolo assunto per via sistemica, legato ad un transitorio accumulo di
acetaldeide, è innocuo sia per la madre sia per il feto; peraltro, come in
condizioni extragravidiche, le bevande alcoliche vanno sconsigliate durante la
cura.
Altri
farmaci antimicrobici non garantiscono altrettanta sicurezza per l'impiego in
gravidanza, a motivo della dimostrazione di effetti tossici fetali oppure per la
mancanza di una sufficiente esperienza clinica: di conseguenza devono essere
impiegati solo dopo attenta meditazione sul rapporto rischio/beneficio, ma non
sono tassativamente controindicati durante la gestazione.
Le
tetracicline possono causare ipoplasia dello smalto, abnorme colorazione della
dentatura decidua e, forse, interferenze con l'accrescimento delle ossa lunghe
feto-neonatali, ma sono prive di ogni azione teratogena. Questi inconvenienti,
pur essendo di relativa gravità, sconsigliano l'uso delle tetracicline in
gravidanza.
Il
cloramfenicolo va usato con cautela per il rischio, anche se piccolo, di anemia
aplastica della gestante e va sostituito quando possibile con farmaci
alternativi altrettanto validi. Il paventato rischio di "sindrome
grigia" del neonato (una grave sindrome tossica denominata così dal colore
grigio della cute dei piccoli pazienti) si verifica solamente in seguito a
somministrazione diretta del cloramfenicolo al bambino, sopratutto se pretermine;
in questo caso, infatti, può verificarsi un pericoloso accumulo di sostanza
perché il rene non è ancora in grado di provvedere a tempestivo smaltimento.
Durante la gravidanza questo rischio non esiste poiché il farmaco raggiunge il
feto in concentrazioni non pericolose e inoltre viene eliminato dal feto
attraverso la placenta.
Gli
aminoglicosidi presentano, se somministrati alla gestante, un rischio di
provocare ototossicità nel feto: nella pratica clinica questo rischio si è
dimostrato certamente inferiore al 10% anche con l'uso di streptomicina e
diidrostreptomicina a dosaggi elevati (terapia antitubercolare, come praticata
molti anni orsono) e generalmente di limitata gravità. L'ototossicità
feto-neonatale è molto scarsa per la kanamicina e nulla per la gentamicina, la
tobramicina, la sisomicina e l'amikacina alle dosi cliniche abituali. Nella
gestante alcuni aminoglicosidi (gentamicina e tobramicina) devono essere
somministrati a dosi maggiori di quelle extra gravidiche, per l'aumentata
clearance plasmatica conseguente all'incremento dell'escrezione renale. In ogni
modo, anche se i rischi feto-neonatali sono inferiori a quelli un tempo temuti,
si deve riservare l'utilizzazione degli aminoglicosidi esclusivamente ai casi
con indicazione specifica.
A
proposito degli altri farmaci antitubercolari, l'uso di rifampicina, etambutolo
e isoniazide, anche nel primo trimestre di gestazione, non sembra comportare il
pericolo di effetti malformativi. A scopo precauzionale, può essere
consigliabile associare supplementi di vitamina B6 alla somministrazione di
isoniazide.
Gli
antimicotici (nistatina, clotrimazolo, miconazolo ecc.) possono essere impiegati
tranquillamente in gravidanza per uso topico. Degli antimicotici per uso
sistemico, la griseofulvina è sconsigliata nel primo trimestre (rischio di
aborto e di malformazioni), mentre per il fluconazolo, che sembrerebbe privo di
rilevanti effetti teratogeni ed embrio-fetotossici, sono cionondimeno opportune
ulteriori valutazioni più approfondite. In ogni modo, bisogna tenere presente
che le condizioni in cui sono rischiesti questi farmaci fanno passare in secondo
piano i potenziali effetti sul concepito.
Infine,
citiamo alcuni farmaci antiinfettivi entrati di recente in commercio, nessuno
dei quali ha dimostrato azione teratogena o embrio-fetotossica, anche se la
limitata esperienza deve indurre ad una certa cautela per il loro impiego nella
gestante.
L'acyclovir
non dovrebbe essere usato nel primo trimestre, tuttavia di fronte alla gravità
di un'infezione erpetica sistemica il rischio puramente teorico per il concepito
deve passare in secondo piano.
A
partire dal secondo trimestre la sua somministrazione in caso di infezione
erpetica genitale sembra essere priva di pericoli per il feto.
Come
misura cautelativa i chinolonici sono generalmente sconsigliati nel primo
trimestre di gravidanza, sia per la limitata esperienza nella gestante, sia per
i rischi teorici legati al meccanismo d'azione (inibizione della DNA-girasi, con
interferenza nelle reazioni di superavvolgimento del DNA); sono prudenzialmente
sconsigliati anche in prossimità del parto a causa dell'effetto inibitorio
sull'enzima glucuronil-transferasi del capostipite di questi farmaci (l'acido
nalidixico), con ipotetico rischio di emolisi e di ittero neonatali.
Le
vaccinazioni con anatossina (antitetanica e antidifterica) e quelle con agenti
eziologici, virus o germi, uccisi (antiinfluenzali, antipoliomielitica tipo Salk
e anticolera) in gravidanza rappresentano uno dei pochi esempi di farmacologia
fetale positiva, in quanto l'immunizzazione materna, con il passaggio
transplacentare degli anticorpi, garantisce una certa protezione al feto e al
neonato nelle prime settimane dopo il parto.
Invece,
le vaccinazioni con agenti vivi attenuati (antipoliomielitica tipo Sabin,
antitubercolare con B.C.G., antirubeolica ecc.) in gravidanza comportano rischi
fetali, per lo meno teorici, soprattutto in caso di prima vaccinazione. Nella
pratica clinica, è stato possibile escludere qualunque effetto teratogeno della
vaccinazione antirubeolica eseguita accidentalmente in gravidanza; nonostante
ciò, questa vaccinazione resta prudenzialmente sconsigliata durante la
gestazione. Analoghe considerazioni possono essere formulate per le vaccinazioni
contro il morbillo e la parotite epidemica.
Le
vaccinazioni antivaiolosa e antifebbre gialla in gravidanza devono essere
eseguite solamente in caso di inderogabile necessità: in caso di vaccinazione
antivaiolosa, si ricorda che le possibili reazioni vaccinali possono essere
ridotte dalla somministrazione di IgG specifiche antivirus vaccinico.
Nonostante
si impieghino germi uccisi, in gravidanza le vaccinazioni antitifica,
antiparatifica e antidissenterica sono sconsigliate per il pericolo di vivaci
reazioni febbrili, che possono favorire l'aborto e il parto pretermine. Non
sembra superfluo ricordare che durante la gestazione, in caso di necessità, si
può assicurare molte volte una profilassi passiva alle gravide non immuni con
la somministrazione di immunoglobuline umane specifiche.
Qualora
sia necessaria una terapia anticoagulante in una donna gravida, nel primo
trimestre è opportuno somministrare eparina, successivamente possono essere
utilizzati anche i dicumarolici e nelle ultime tre-quattro settimane di
gravidanza è necessario tornare alla somministrazione di eparina. Infatti, gli
anticoagulanti sintetici sono pericolosi nel primo trimestre e in prossimità
del parto: nel primo trimestre possono talvolta determinare malformazioni
(ipoplasia nasale, condrodisplasia, idrocefalia ecc.) e in prossimità del parto
possono essere responsabili di gravi emorragie fetali e neonatali in rapporto al
trauma ostetrico.
Fra
i farmaci antidiabetici, l'insulina è considerata un farmaco sicuro, poiché
non supera la placenta: solamente lo shock insulinico materno può essere
pericoloso fino a provocare la morte del feto. Gli antidiabetici orali non sono
consigliati durante la gravidanza, anche se non è stato confermato un ipotetico
rapporto causa/effetto con gli sporadici casi di malformazione segnalati:
infatti, oltre ad un motivo prudenziale, gli antidiabetici orali non consentono
un adeguato controllo glicemico e possono causare un'iperplasia delle cellule
pancreatiche fetali responsabile dopo il parto di gravi crisi ipoglicemiche
neonatali. Si rammenta che un accurato controllo del metabolismo glicemico
rappresenta la base della terapia antidiabetica in gravidanza, poiché il
diabete stesso costituisce una condizione teratogenica.
Per
quanto riguarda le terapie antitiroidee, si ricorda che dosi dell'ordine di
200-300 mg/die di propiltiouracile o di 30 mg/die di metimazolo possono essere
somministrate in gravidanza con relativa tranquillità dal punto di vista di
ipotetici effetti fetotossici. Qualora il compenso dell'ipertiroidismo materno
in gravidanza richieda dosi di farmaci antitiroidei superiori a quelle riferite,
è preferibile ricorrere all'associazione con altri farmaci (beta-bloccanti,
sedativi) oppure, raramente, alla tiroidectomia subtotale.
Degli
antiemetici attualmente in commercio, la metoclopramide sembra priva di effetti
dannosi anche se somministrata nel primo trimestre di gravidanza. L'associazione
di diciclomina, doxilamina e piridossina, che si era dimostrata un farmaco
sicuro in molti decenni d'uso è stata ritirata dalla produzione soltanto per
una pretestuosità legata a problemi commerciali e legali: infatti alcuni
Clinici consigliano ancora la combinazione dei singoli componenti del prodotto
ritirato dal commercio (Debendox). Fra gli altri farmaci del tratto
gastrointestinale, la cimetidina, gli antiacidi e il caolino sono considerati
farmaci privi di effetti dannosi sul feto: fra gli antiacidi in gravidanza sono
da preferire i preparati di magnesio e vanno evitati i prodotti ad alto
contenuto di sodio (bicarbonato di sodio, citrato trisodico).
L'aminofillina,la
teofillina e il cromoglicato di sodio possono essere somministrati con sicurezza
ad una gestante: la somministrazione di metilxantine andrebbe sospesa in
prossimità del parto per l'ipotetico rischio di provocare una sindrome di
eccitazione neonatale.
La
codeina può essere usata tranquillamente durante tutta la gravidanza, ma è
prudenzialmente sconsigliata l'assunzione prolungata di dosaggi elevati in
prossimità del parto (depressione e sindrome da astinenza del neonato).
L'acido
acetilsalicilico alle dosi abituali, sia per uso saltuario sia per uso
protratto, è considerato privo di effetti dannosi sul feto: si ricorda che
viene impiegato a basse dosi, in pazienti selezionate, nella prevenzione delle
complicazioni della gestosi EPH. I comuni analgesici-antipiretici e gli
antiinfiammatori non steroidei non vengono impiegati solamente per ragioni
precauzionali, anche se non esistono prove che ai dosaggi abituali questi
farmaci esercitino effetti teratogeni o fetotossici. Generalmente, queste
sostanze inibiscono l'enzima prostaglandin-sintetasi: questo effetto può
ritardare l'inizio del travaglio di parto e nel neonato provoca una rapida
chiusura del dotto arterioso di Botallo. Quest'ultimo effetto, se oltre che nel
neonato si verificasse anche nel feto, potrebbe portare a pericolosa
ipertensione polmonare; in realtà sembra che ciò si verifichi solamente in
meno dell'1% dei neonati e solo per dosi elevate e ripetute dei farmaci.
Cionondimeno, l'uso di questi farmaci nell'ultimo periodo della gravidanza va
riservato a casi selezionati nei quali non vi siano altre alternative.
I
derivati fenotiazinici quaternari, usati per la loro azione antiistaminica, sono
considerati ragionevolmente sicuri per l'impiego in gravidanza poiché passano
con difficoltà la placenta.
La
bromocriptina si è dimostrata un farmaco privo di rischi per il concepito anche
in caso di somministrazione durante il primo trimestre di gestazione e per
impiego protratto nel tempo.
Infine,
per quanto riguarda le sostanze immunodepressive, ricordiamo che l'azatioprina e
la ciclosporina A hanno dimostrato un potenziale teratogeno minimo o assente
nella specie umana.
Come
i farmaci somministrati alla gestante raggiungono il feto attraverso la
placenta, così anche quelli utilizzati dalla nutrice arrivano al lattante
attraverso il latte materno. È
stato calcolato che la quantità che passa nel latte corrisponde solamente a
circa 1'1-2% del farmaco assunto dalla nutrice nelle 24 ore. Cionondimeno, anche
in considerazione dei dubbi che ancora permangono sui possibili effetti a carico
del bambino, è buona norma adottare alcune regole di condotta in caso di
necessità di prescrizioni farmacologiche alla nutrice:
-evitare
l'autoprescrizione di farmaci;
-evitare
preparati in associazione quando un solo farmaco è sufficiente per ottenere
l'azione desiderata;
-scegliere
sempre fra i medicamenti di una categoria quelli più conosciuti;
-consigliare
l'assunzione del farmaco immediatamente al termine della poppata, di modo che la
sua concentrazione plasmatica al momento della poppata successiva sia diminuita
rispetto al valore di picco.
Nella
tab.04
Gli
effetti dannosi sul lattante sono stati dimostrati soltanto per pochi farmaci
assunti dalla nutrice, generalmente somministrati a dosi elevate e per periodi
prolungati di tempo. I farmaci assunti saltuariamente (quattro-cinque volte) di
norma non comportano particolari rischi: invece, occorre maggiore cautela per i
farmaci che devono essere somministrati ripetutamente e per lunghi periodi.
La
penicillina naturale e le penicilline semisintetiche raggiungono il latte in
quantità farmacologicamente inefficaci, ma possono indurre nel lattante
reazioni allergiche e dismicrobismi intestinali. Oxacillina, cloxacillina e
dicloxacillina, per il loro elevato grado di legame con le proteine plasmatiche
della nutrice (94-98%) passano nel latte in dose trascurabile. Analoghe
considerazioni possono essere fatte per l'uso delle cefalosporine e anche per
esse non sono stati segnalati effetti indesiderati degni di nota a carico del
lattante. Anche fra le cefalosporine dovrebbero essere impiegate quelle con
maggior legame alle sieroproteine materne (ad esempio, ceftriaxone, cefotetan,
cefoperazone ecc.).
In
seguito alla somministrazione di tetracicline alla nutrice esiste il rischio
ipotetico di discolorazione dei denti e di ritardo della crescita ossea del
bambino; tuttavia, non esistono studi epidemiologici che confermino questo
teorico effetto dannoso, probabilmente anche per la bassa biodisponibilità dei
metaboliti presenti nel latte (effetto chelante del calcio).
Le
concentrazioni di cloramfenicolo e di tiamfenicolo nel latte sono insufficienti
(quasi il 50% è costituito da metaboliti inattivi) a provocare una "gray
sindrome" del lattante, ma potrebbero forse causare un'aplasia midollare,
particolarmente nel neonato pretermine, in cui l'immaturità degli emuntori
epatico e renale può determinare un accumulo del farmaco. Inoltre, questi
antibiotici possono essere responsabili di dismicrobismi intestinali nel
lattante. L'eritromicina e gli altri macrolidi sono innocui per il lattante,
anche se passano nel latte in discreta quantità. Per la somministrazione di
lincosamidi alla nutrice viene segnalata la possibilità di dismicrobismi
intestinali del lattante.
Tutti
i sulfamidici passano con diversa concentrazione nel latte e nel neonato possono
spiazzare la bilirubina dal legame con le albumine, con un rischio ipotetico di
favorire l'ittero nucleare: tale effetto è più pericoloso per i sulfamidici a
lunga durata d'azione ed è invece nullo per quelli a breve emivita.
L'assunzione di sulfamidici da parte della nutrice può causare crisi emolitiche
nei lattanti con carenza di glucoso-6-fosfato-deidrogenasi eritrocitaria. Il
trimetoprim, sovente associato ai sulfamidici, può talvolta determinare effetti
antifolici soprattutto nei neonati pretermine (accumulo per insufficiente
escrezione renale): tali effetti possono essere annullati dalla contemporanea
somministrazione di acido folinico, che non interferisce con l'effetto
antiinfettivo del trimetoprim.
L'uso
di aminoglicosidi da parte della nutrice è considerato sicuro per il bambino
che viene allattato al seno come conseguenza dello scarso passaggio nel latte e
del ridottissimo assorbimento intestinale, tuttavia bisogna tenere presente che
in caso di flogosi gastroenterica del lattante l'assorbimento dal lume
intestinale è aumentato, con un ipotetico rischio di danno acustico o renale.
Dei
farmaci antitubercolari, l'acido paminosalicilico non viene escreto nel latte,
mentre la streptomicina e l'isoniazide sembrano in grado di causare effetti
tossici nel lattante solamente in caso di concentrazione plasmatica materna
molto elevata ( per esempio in caso di insufficienza renale). Esiste un rischio
teorico per il neonato di manifestare epatite o neurite periferica in seguito
all'assunzione di isoniazide da parte della madre: per ridurre questo ipotetico
rischio, si consiglia di somministrare contemporaneamente della piridossina e di
far assumere il farmaco subito dopo la poppata, evitando la poppata successiva e
svuotando meccanicamente la mammella.
Fra
i chemioterapici delle vie urinarie, la nitrofurantoina si è confermata un
farmaco ragionevolmente sicuro anche per l'impiego durante l'allattamento, con
l'esclusione prudenziale delle nutrici di lattanti con carenza dell'enzima
glucoso-6-fosfatodeidrogenasi, nei quali eccezionalmente può causare
manifestazioni emolitiche. Invece, l'uso dell'acido nalidixico e, per analogia,
quello dei chinolonici (suoi derivati) sono prudenzialmente sconsigliati durante
l'allattamento, per la teorica possibilità di provocare emolisi e ittero nel
neonato, probabilmente correlati all'azione inibitrice di questi farmaci
sull'enzima glucuronil-transferasi.
Il
metronidazolo passa nel latte e raggiunge in esso una concentrazione superiore a
quella plasmatica, con possibilità di accumulo per somministrazioni ripetute:
in caso di necessità di somministrazione per via orale, viene consigliata
l'assunzione in singola dose di due grammi di farmaco e la sospensione
dell'allattamento al seno per 12-24 ore.
Gli
antimicotici per impiego topico sono considerati sicuri per l'assunzione in una
donna che allatta. Fra quelli somministrati per via orale, viene considerata
ragionevolmente sicura solamente la nistatina, a motivo dello scarso
assorbimento intestinale. Il chetoconazolo viene sconsigliato poiché passa nel
latte e può provocare effetti tossici a carico del lattante, mentre mancano
dati precisi sulla sicurezza o sulla tossicità degli altri anti-micotici.
Non
esistono dati conclusivi sugli effetti a carico del lattante della
somministrazione di acyclovir alla nutrice, tuttavia esistono prove di un suo
accumulo nel latte, per cui il suo impiego durante l'allattamento è piuttosto
controverso. In ogni modo, in caso di assoluta necessità la gravità delle
condizioni materne ne giustifica l'impiego, indipendentemente dall'ipotetico
rischio per il lattante (che comunque può essere ridotto ricorrendo
all'allattamento artificiale, temporaneamente o definitivamente).
Salicilati,
derivati pirazolonici e antinfiammatori non steroidei in genere passano nel
latte, ma alle dosi abituali sono privi di rischi sostanziali per il lattante,
soprattutto in caso di assunzione occasionale da parte della nutrice. In caso di
assunzione di dosi elevate oppure di terapia protratta nel tempo, si può
ridurre il rischio ipotetico di un'interferenza con la funzione piastrinica del
bambino facendo assumere il farmaco immediatamente dopo la poppata.
Precauzionalmente può essere consigliabile evitare l'uso dell'indometacina
nelle nutrici, poiché esistono sporadiche segnalazioni di convulsioni del
lattante forse provocate dal predetto farmaco.
Gli
oppioidi e i loro derivati sintetici sono privi di rischio se sono impiegati
alle dosi cliniche abituali. Si ricorda che alle madri tossicomani durante
l'allattamento può essere somministrato metadone alle dosi cliniche, a scopo di
disassuefazione o di mantenimento: il lattante non corre particolari rischi in
quanto durante la vita intrauterina ha acquisito una tolleranza a dosi di
oppiaceo ben maggiori di quelle presenti nel latte dopo assunzione di dosi
cliniche di metadone da parte della nutrice.
L'assunzione
di litio è controindicata durante l'allattamento, poiché questo metallo passa
nel latte in quantità rilevante (concentrazione pari alla metà di quella
plasmatica), può causare ipotonia e letargia nel lattante e potrebbe esercitare
un'azione negativa sullo sviluppo cerebrale del bambino. Anche se, un accurato
controllo della litiemia della nutrice riduce i rischi per il bambino, in caso
di necessità di terapia con il litio è opportuno ricorrere all'allattamento
artificiale.
Barbiturici,
fenotiazine e benzodiazepine passano nel latte senza comportare particolari
effetti negativi nel bambino, per lo meno per i trattamenti di breve durata. Gli
effetti e i trattamenti di lunga durata non sono conosciuti ma probabilmente
sono trascurabili. Sono prudenzialmente sconsigliate le benzodiazepine
liposolubili e a lunga emivita (ad esempio il diazepam), in quanto possono
causare letargia e calo ponderale del lattante, soprattutto per impiego
prolungato e ad alte dosi da parte della nutrice.
La
digitale è considerata un farmaco ragionevolmente sicuro per l'impiego durante
l'allattamento, poiché passa nel latte in quantità tale da non influenzare il
lattante; alcuni consigliano la somministrazione del farmaco durante le ore
notturne per ridurre la quantità di digitale assunta dal bambino.
I
farmaci antiaritmici vengono escreti nel latte in quantità rilevante,
raggiungendo talvolta concentrazioni superiori a quelle plasmatiche: tuttavia
non sono segnalati effetti negativi degni di rilievo a carico del lattante.
Il
propranololo e i beta-bloccanti in genere passano nel latte senza provocare
rilevanti effetti farmacologici nel neonato. Restano delle perplessità a
proposito della loro azione sullo sviluppo del sistema nervoso centrale del
bambino, specialmente in caso di terapie di lunga durata.
La
reserpina assunta dalla nutrice può causare effetti indesiderati a carico del
lattante, come diarrea, sonnolenza e congestione nasale (da tenere presente
quest'ultima poiché il neonato respira soltanto attraverso il naso).
L'alfa-metildopa
è presente nel latte dopo somministrazione alla madre, tuttavia non sembra
comportare particolari effetti negativi a carico del bambino. In mancanza di
dati sufficienti, è presumibile che anche la maggior parte degli
anti-ipertensivi di più recente produzione sia sicura per l'impiego durante
l'allattamento, purché siano utilizzati ai comuni dosaggi clinici e purché sia
garantita un'attenta sorveglianza del neonato.
L'uso
dei diuretici non è controindicato durante l'allattamento, anche se è bene
evitare la somministrazione di dosi elevate o i trattamenti prolungati per il
rischio ipotetico di causare squilibri elettrolitici a carico del lattante.
La
somministrazione di insulina, adrenalina o ACTH alla nutrice è priva di rischi
per il bambino, poiché questi ormoni sono inattivati o distrutti nell'intestino
del lattante. Anche la tiroxina è priva di rischi alle abituali dosi impiegate
in clinica, nonostante passi nel latte e venga assorbita dall'intestino del
neonato.
La
quantità di estrogeni e di progestinici che passa nel latte è pari a circa
l'1% della dose somministrata alla madre. Gli estrogeni erano impiegati in
passato, ad alte dosi, per l'inibizione della lattazione e pertanto non erano
associati ad alcun rischio per il lattante. Le associazioni estroprogestiniche a
basso dosaggio, attualmente disponibili a scopo contraccettivo, sono da
considerare quasi del tutto prive di rischio per il lattante, se non quello,
peraltro remoto, di provocare un ittero. Tuttavia, bisogna ricordare che il loro
uso può comportare il blocco della lattogenesi, se iniziato prima che la
lattazione sia ben stabilita, o comunque una riduzione della quantità del latte
prodotto, se iniziato dopo. L'assunzione quotidiana da parte della nutrice di
piccole dosi di progestinico a fine contraccettivo (minipillola) non sembra
provocare effetti negativi nel lattante (salvo, forse, occasionali episodi di
ittero) e non interferisce con la lattazione.
I
corticosteroidi somministrati alla madre sembrano privi di effetti negativi sul
lattante (salvo sporadiche segnalazioni di episodi di ittero e di ritardata
crescita neonatale) nei trattamenti a breve termine, mentre mancano dati sugli
effetti di trattamenti prolungati.
L'eparina
e gli eparinoidi sono anticoagulanti sicuri per l'impiego durante
l'allattamento, poiché non passano nel latte, e, comunque, non sono attivi per
via orale.
I
dicumarolici somministrati alla nutrice sono presenti nel latte e possono
causare fenomeni emorragici neonatali in caso di somministrazione protratta; a
questo proposito, si raccomanda il controllo emocoagulatorio accurato del
lattante. Soltanto la warfarina è quasi del tutto priva di pericoli per il
bambino, poiché passa nel latte in quantità trascurabili, probabilmente per
l'alto grado di legame con le sieroproteine (98%).
Fra
i farmaci di questo gruppo, i lassativi che agiscono determinando un aumento
della massa del contenuto intestinale (come crusca, mucillagini ecc.) sono
sicuramente privi di effetto sul lattante.
Per
gli antrachinonici e la fenolftaleina si osserva un modesto effetto lassativo a
carico del neonato solamente in caso di assunzione di alte dosi da parte della
nutrice. Mancano dati precisi a proposito dell' olio di ricino.
Non
è stato dimostrato il passaggio nel latte del bisacodil e del sodio-picosolfato,
per cui la somministrazione di questi lassativi alla donna che allatta dovrebbe
essere esente da inconvenienti a carico del lattante; cionondimeno alcuni
pediatri sostengono che la frequenza degli spasmi intestinali del bambino è
aumentata se la nutrice assume questi farmaci.
I
lassativi salini (solfato di sodio o di magnesio) sono efficaci e sono privi di
effetti non desiderati a carico del lattante; da tenere presente che, anche se
non sufficientemente documentata dal punto di vista scientifico, questa terapia
derivativa è tradizionalmente considerata un supporto coadiuvante
nell'inibizione della lattazione.
Il
propiltiouracile e il metimazolo sono generalmente controindicati durante
l'allattamento per il rischio di inibizione della tiroide del lattante.
Tuttavia, in casi selezionati l'allattamento al seno può essere accettato come
"rischio calcolato", esercitando una stretta sorveglianza della
funzionalità tiroidea del lattante e, talvolta, ricorrendo anche alla
somministrazione di ormone tiroide.
Fra
i preparati ergotinici, trattamenti di breve durata con ergonovina o
metilergonovina si sono dimostrati privi di effetti negativi sul lattante;
invece, i preparati ergotinici meno recenti hanno determinato, soprattutto se
assunti a forti dosi (ad esempio, l'ergotamina), manifestazioni tossiche a
carico del neonato.
La
bromocriptina assunta regolarmente dalla nutrice come terapia di un prolattinoma,
non ha manifestato effetti negativi sul lattante degni di rilievo; comunque, si
ricorda che l'impiego più comune della bromocriptina durante il puerperio è
l'inibizione della lattazione, per cui generalmente non vi sono motivi per cui
il lattante assuma latte contenente questo farmaco. Analoghe considerazioni
valgono per la piridossina, sulla cui efficacia nell'impiego ad alte dosi
(maggiori di 200 mg/die) per l'inibizione della lattazione mancano, peraltro,
conferme definitive.
I
preparati antiepilettici (difenilidantoina, barbiturici, carbamazepina ecc.)
passano nel latte, ma ai comuni dosaggi clinici non sembrano comportare
particolari effetti indesiderati per il lattante; comunque, è consigliabile la
sorveglianza dei livelli plasmatici di questi farmaci nel lattante, allo scopo
di evitare fenomeni di accumulo, il cui effetto a lunga scadenza è tuttora
sconosciuto.
Gli
antidiabetici orali vengono raramente impiegati durante l'allattamento: è
probabile che, seppur con minime differenze, tutti i farmaci di questo gruppo
ricalchino il comportamento della tolbutamide, che è presente nel latte in
quantità minima (meno dell' 1% della dose somministrata alla nutrice), ma può
causare ipoglicemia nel lattante.
La
teofillina, passando nel latte, può causare ipereccitabilità nel lattante;
pertanto la somministrazione di teofillina (o di aminofillina) ad una nutrice
dovrebbe essere effettuata al termine di una poppata, al fine di evitare
eccessive concentrazioni di farmaco nel latte (presenti, invece, quando la
poppata è attuata poco dopo il raggiungimento del picco di concentrazione
plasmatica). Inoltre, sarebbe opportuno che le nutrici che assumono teofillina o
aminofillina si astenessero dalle bevande contenenti metilxantine (come caffè,
cioccolata, tè, coca cola), per evitare fenomeni di accumulo, potenzialmente
pericolosi per i neonati che metabolizzano più lentamente questi composti
(soprattutto quelli di basso peso e quelli nati pretermine).
Fra
i farmaci del tratto gastroenterico, la metoclopramide (e i farmaci simili), la
cimetidina e la ranitidina sono presumibilmente privi di effetti rilevanti sul
lattante, anche per somministrazioni protratte.
Gli
antistaminici e le fenotiazine sono presenti nel latte in quantità cospicue,
talvolta superiori a quelle presenti nel plasma della nutrice, tuttavia non
sembrano influenzare il benessere del lattante.
La
nicotina passa nel latte in quantità ridotte e, inoltre, è scarsamente
assorbita dal tratto gastroenterico, per cui non comporta rischi particolari per
il lattante se la nutrice non ne abusa. Da non dimenticare che il consumo di
più di 20 sigarette al giorno può comportare una notevole riduzione della
produzione di latte e che l'allattamento può rappresentare un periodo
favorevole per persuadere la donna a smettere di fumare.
L'alcool
può essere pericoloso per il lattante (sonnolenza ecc.) solamente in caso di
uso smodato da parte della nutrice; inoltre, può ostacolare l'eiezione del
latte inibendo la produzione di ossitocina secondaria al riflesso di suzione.
Anche
la caffeina comporta effetti tossici per il lattante (irritabilità, insonnia)
solamente in caso di assunzione eccessiva da parte della nutrice, mentre l'uso
di due-tre tazze di caffè al giorno non comporta rischi neonatali (vedi
paragrafo precedente).
Al
termine di questa panoramica sull'uso dei farmaci in gravidanza e durante
l'allattamento, si può dire che senza voler esagerare né in un senso (farmacoterapia
ad oltranza) e neppure nel senso opposto (astensionismo terapeutico) è
attualmente possibile, in caso di necessità, ricorrere ai farmaci senza correre
particolari rischi per il concepito.
Abbiamo
visto che durante la gravidanza i farmaci assolutamente pericolosi per
l'embrione e per il feto sono pochi e, del resto, la persistenza di una malattia
materna è quasi sempre più pericolosa per il concepito degli effetti
indesiderati dei farmaci necessari per curarla. Inoltre, sono sempre più
numerosi gli esempi di "farmacologia materno-fetale positiva", cioè
di effetti positivi per il concepito di un farmaco somministrato alla madre:
ricordiamo, ad esempio, i corticosteroidi o i metaboliti della bromexina per
indurre la maturazione polmonare, la digitale per prevenire lo scompenso
cardiaco, gli antibiotici per curare le fetopatie infettive ecc.
Anche
l'allattamento al seno non deve costituire una condizione di pericoloso
astensionismo terapeutico per il timore di danni iatrogenici al lattante;
possiamo già affermare con sicurezza che i farmaci assolutamente controindicati
sono pochissimi e che una somministrazione oculata di farmaci alla gestante non
è mai pericolosa per il bambino.
Forse,
il termine nodale di tutto questo discorso è proprio la "oculatezza",
dal momento che ci muoviamo in un campo in cui bisogna usare grande cautela, per
non esporsi inutilmente ad accuse di astensionismo colpevole e per orientarsi
correttamente in un clima di terroristica ed improduttiva "colpevolizzazione";
infatti, non è detto che le accuse di oggi si confermino nelle certezze di
domani e viceversa.
Per
questi motivi, è opportuno che il Medico e lo Specialista siano continuamente
aggiornati su questo argomento, per poter scegliere con consapevole rigore e con
responsabile atteggiamento i farmaci più utili fra quelli disponibili, per lo
meno ogni volta che esiste una ragionevole alternativa.
Bennett P.N.: Drugs and human lactation. Elsevier, Amsterdam, 1988.
Brent R.L.: Editor’s note. Teratology, 17, 183, 1978.
Briggs C.G., Freeman R.K., Yaffe
S.J.: Drugs in pregnancy. 2a ed., Williams & Wilkins, Baltimore , 1986.
Burrow
G.N., Ferris T.F.: Medical complications during pregnancy. 3a
ed., Saunders Company, Philadelphia, 1988.
Gabbe
S.G., niebyl J.R., Simpson J.L. Obstretics. Normal and problem pregnancies. Churchill
Livingstone, New York, 1986.
Hawkins
D.F.: Drugs and pregnancy. Human teratogenesis and related problems. 2a
ed., Churchill Livingstone, Edinburgh, 1987.
Kuemmerle H.P., Brendel K.: Clinical
pharmacology in pregnancy. Thieme-Stratton,
New York, 1984.
Onnis A., Grella P., Marchesoni D.: I farmaci in gravidanza. Piccin Editore, Padova, 1983.
Pecorari D., Diani F., Tanganelli E.: Medicina dell’età prenatale e del puerperio. Piccin Editore, Padova, 1990.
Schoenauer S., Cicinelli E., Piscitelli L.; I farmaci anti-infettivi in gravidanza e allattamento. C.I.C. Edizioni Internazionali, Roma, 1988.
Wilson J.T.: Farmaci e allattamento. Il Pensiero Scientifico, Roma, 1982.
Wood S.M., Beely L.: Come prescrivere i farmaci in gravidanza. Il Pensiero Scientifico, Roma, 1983.
D. PECORARI
Università di
Verona
G. CARLOMAGNO
Scuola Autonoma
di Ostetricia
Isernia
F. DIANI
Clinica Ostetrica
e Ginecologica
Università di
Verona
E. TANGANELLI
Ospedale di Motta
di Livenza, (Treviso)
I FASCIA |
"L'assunzione di questi farmaci negli studi eseguiti sull'uomo non ha evidenziato un aumento del rischio teratogeno per il feto" |
-ACIDO ACETILSALICILICO +
MAGNESIO IDROSSIDO -ACIDO ACETILSALICILICO -ACIDO NALIDIXICO -ALOPERIDOLO -AMOXICILLINA -AMPICILLINA -ATROPINA SOLFATO -BACAMPICILLINA (CLORIDRATO) -BROMOCRIPTINA (MESILATO) -CEFALEXINA -CEFALOTINA (SALE SODICO) -CIPROEPTADINA (CLORIDRATO) -CLINDAMICINA -CLOXACILLINA (SALE SODICO) -CLORPROMAZINA (CLORIDRATO) -DIGOSSINA -DIXIRAZINA -DICLOXACILLINA (SALE SODICO) -EPARINA CALCICA -ETAMBUTOLO (CLORIDRATO) -ERITROMICINA -FENOSSIMETILPENICILLINA -FENOTEROLO -FLUFENAZINA -IDROSSIPROGESTERONE CAPROATO -IMIPRAMINA (CLORIDRATO) -INSULINA -ISONIAZIDE -LEVOTIROXINA -MEDROSSIPROGESTERONE (ACETATO) -METILDOPA (LEVOGIRA) -MICONAZOLO -NISTATINA -NITROFURANTOINA -PERFENAZINA (ENANTATO) -PERICIAZINA -PIRVINIO PAMOATO -PROCICLIDINA (CLORIDRATO) -PROMETAZINA (CLORIDRATO) -SALBUTAMOLO -SPIRAMICINA -SPIRONOLATTONE -TEOFILLINA -TERBUTALINA (SOLFATO) -TIORIDAZINA -TRIMIPRAMINA |
"Farmaci che sono stati ampiamente utilizzati in gravidanza e per i quali si può desumere l'assenza di effetti teratogeni sul feto ma per i quali non esistono studi definitivi a tal proposito" |
-ACIDO
CHENURSODESOSSICOLICO (SALE DI MAGNESIO) -ACIDO TRANEXAMICO -ACIDO URSODESOSSICOLICO -ALCINONIDE -ALLOPURINOLO -AMILORIDE + IDROCLOROTIAZIDE -AMINOFILLINA -AMITRIPTILINA (CLORIDRATO) -AZANIDAZOLO -AZTREONAM -BETAISTINA -BETAMETASONE -BUTRIPTILINA (CLORIDRATO) -CALCITONINA -CEFACLORO -CEFADROXIL -CEFAMANDOLO (NAFATO SODICO) -CEFATRIZINA -CEFAZOLINA (SALE SODICO) -CEFOTAXIMA (SALE SODICO) -CEFRADINA -CEFTEZOLO (SALE SODICO) -CIMETIDINA -CLENBUTEROLO (CLORIDRATO) -CLOMIPRAMINA (CLORIDRATO) -CLONAZEPAM -CLONIDINA -CLORAMFENICOLO -CLORPROPAMIDE -CLORTALIDONE -DESAMETASONE -DIAZEPAM -DIFLUCORTOLONE (VALERATO) -DIIDROERGOTAMINA (MESILATO) -DIIDROTACHISTEROLO -DIPROFILLINA -DISOPIRAMIDE -ERGOTAMINA -ERITRITILE TETRANITRATO -ETINILESTRADIOLO -FENOBARBITAL -FENQUIZONE SALE MONOPOTASSICO -FENTIAZAC -FLOROGLUCINOLO -FLUMETASONE (PIVALATO) -FLUOCINOLONE -FLUOCORTOLONE -FLUOROMETOLONE -FOSFOMICINA TROMETANOLO (SALE DI TROMETANOLO) -GLIBENCLAMIDE -GLICICLAMIDE -GLICLAZIDE -GLIPIZIDE -GONADORELINA -IBUPROFENE -IDROCORTISONE (ACETATO) -INDOMETACINA -IPRATROPIO BROMURO -ISOSORBIDE MONONITRATO -LABETALOLO (CLORIDRATO) -LEVOMEPROMAZINA -LINCOMICINA (CLORIDRATO) -LOPERAMIDE (CLORIDRATO) -JOSAMICINA -KETOPROFENE -MEDROGESTONE -MEPINDOLOLO (SOLFATO) -METADONE (CLORIDRATO) -METERGOLINA -METILPREDNISOLONE -METOCLOPRAMIDE (CLORIDRATO) -METRONIDAZOLO -MIANSERINA (CLORIDRATO) -MORFINA -NALOXONE (CLORIDRATO) -NAPROSSENE -NEOSTIGMINA METILSOLFATO -NICLOSAMIDE -NIFEDIPINA -NIFURATEL -NITROGLICERINA -NORTRIPTILINA (CLORIDRATO) -ORFENADRINA CLORIDRATO -PAROMOMICINA (SOLFATO) -PENTAERITRITILE TETRANITRATO -PENTAZOCINA -PINDOLOLO -PIPERACILLINA (SALE SODICO) -PIRANTEL -PREDNISOLONE -PREDNISONE -PROCAINAMIDE (CLORIDRATO) -PROGESTERONE -PROTAMINA -SOTALOLO (CLORIDRATO) -SPECTINOMICINA (DICLORIDRATO PENTAIDRATO) -SULINDAC -SULPIRIDE -TENITRAMINA -TETRACOSACTIDE (ESACETATO) -TIMOLOLO (MALEATO) -TRIAMCINOLONE -TRIAMTERENE -VANCOMICINA (CLORIDRATO) -VERAPAMIL (CLORIDRATO) |
III FASCIA |
"Assenza di dati sull'utilizzo di questi farmaci a causa del loro uso limitato in gravidanza. La loro somministrazione nell'animale non ha evidenziato danni fetali" |
-ACEBUTOLOLO
(CLORIDRATO) -ACICLOVIR -ACIDO NIFLUMICO -ACIDO PIROMIDICO -ACIDO TIAPROFENICO -AMICACINA (SOLFATO) -AMINEPTINA (CLORIDRATO) -AMIODARONE (CLORIDRATO) -ATENOLOLO -BACLOFENE -BAMIFILLINA (CLORIDRATO) -BARBEXACLONE -BEKANAMICINA (SOLFATO) -BIPERIDENE -BUMETANIDE -BUPRENORFINA (CLORIDRATO) -CAPTOPRIL -CARBAMAZEPINA -CEFOPERAZONE (SALE SODICO) -CEFTAZIDIMA (PENTAIDRATO) -CEFTIZOXIMA (SALE SODICO) -CEFTRIAXONE (SALE DISODICO) -CHINIDINA -CICLOFENILE -CICLOSPORINA -CIMETROPIO BROMURO -CINOXACINA -CIPROTERONE (ACETATO) -CLOMIFENE (CITRATO) -CLOTIAPINA -COLESTIRAMINA (CLORIDRATO) -DIAZOSSIDO -DICLOFENAC -ENALAPRIL -ESTRADIOLO -ESTRIOLO -ESTROGENI CONIUGATI -ETOSUCCIMIDE -ETOZOLINA -FENITOINA (SALE SODICO) -FUROSEMIDE -GEMFIBROZIL -GENTAMICINA (SOLFATO) -IDROSSICLOROCHINA (SOLFATO) -INDAPAMIDE -INDENOLOLO (CLORIDRATO) -LISURIDE (MALEATO ACIDO) -MEBENDAZOLO -MEXILETINA (CLORIDRATO) -MEZLOCILLINA (SALE SODICO MONOIDRATO) -MIDECAMICINA -MIDODRINA (CLORIDRATO) -METOPROLOLO -MIOCAMICINA -NADOLOLO -NETILMICINA (SOLFATO) -NICARDIPINA (CLORIDRATO) -NIMESULIDE -NORFLOXACINA -ORNIDAZOLO -OXATOMIDE -PAROXETINA -PIMOZIDE -PIPERAZINA -PIRETANIDE -PIROXICAM -PIZOTIFENE (MALATO ACIDO) -PRAJMALIO BITARTRATO -PRALIDOSSINA METILSOLFATO -PRIMIDONE -PROCATEROLO (CLORIDRATO EMIDRATO) -PROGLUMETACINA (DIMALEATO) -PROPAFENONE (CLORIDRATO) -RANITIDINA -REPROTEROLO (CLORIDRATO) -TIAPRIDE (CLORIDRATO) -TICLOPIDINA (CLORIDRATO) -TINIDAZOLO -TOBRAMICINA (SOLFATO) -TRAZODONE (CLORIDRATO) -TERFENADINA |
"L'assunzione di questi farmaci ha fornito, nella sperimentazione sull'animale, risultati interlocutori o dannosi per il feto, incerto il loro effetto nell'uomo" |
-ACETAZOLAMIDE -AURANOFIN -AZATIOPRINA -ACIDO PIPEMIDICO -COLCHICINA -CLOROCHINA (DIFOSFATO) -DISULFIRAM -DOMPERIDONE -DICLOFENAMIDE -DILTIAZEM (CLORIDRATO) -DANTROLENE (SALE SODICO) -DEFEROXAMINA (MESILATO) -FLURBIPROFENE -GLUCAGONE (CLORIDRATO) -KETOCONAZOLO -LEVODOPA -RIFAMPICINA -PIPAMPERONE (DICLORIDRATO) |
"Farmaci che hanno dimostrato, nell'uomo, effetti nocivi sul feto se assunti in gravidanza" |
-BUSULFANO -CICLOFOSFAMIDE (MONOIDRATO) -CLORAMBUCIL -CLORTETRACICLINA (CLORIDRATO) -DANAZOLO -DEMECLOCICLINA (CLORIDRATO) -ISOTRETINOINA -LITIO CARBONATO -LOMUSTINA -MELFALAN -METOTREXATO -MINOCICLINA (DICLORIDRATO) -NORETISTERONE -PIPOBROMANO -PROCARBAZINA (CLORIDRATO) -RAMIPRIL -STREPTOMICINA (SOLFATO) -TESTOSTERONE (PROPIONATO) -VALPROMIDE -WARFARIN (SALE SODICO) |
TORNA ALL'INDICE TORNA ALL' HOME PAGE