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ARGOMENTI DI MEDICINA CLINICA
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Ultimo aggiornamento: 23.12.2013
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Le
infezioni delle vie urinarie (IVU) stanno assumendo per il medico sempre
maggiore rilievo essenzialmente per due ragioni: la prima è di ordine puramente
epidemiologico (ogni anno in Italia sono diagnosticati quasi due milioni di casi
di IVU); esse sono seconde solo a quelle dell'apparato respiratorio e
rappresentano il tipo di infezione più frequentemente acquisita in ambito
ospedaliero.
La
seconda è invece di interesse strettamente clinico e prognostico e riguarda la
frequenza con cui tali forme morbose, lungi dall'essere entità nosologiche a sé
stanti ad evoluzione quasi sempre favorevole, costituiscono piuttosto la
manifestazione unica o quanto meno la più appariscente di gravi alterazioni
anatomo-funzionali dell'apparato urinario.
Le infezioni urinarie incidono con diversa frequenza nei due sessi e nelle
diverse età della vita, costituiscono da sole il 25% della patologia dei primi
due anni di vita ed il 16% di tutta la patologia pediatrica.
Tale
rapporto relativo decresce nell'età adulta e diventa inferiore al 6-7% per il
prevalere nell'età anziana delle malattie cardiovascolari, neoplastiche,
dismetaboliche e cronico-degenerative.
Si
definisce infezione delle vie urinarie il reperto di una batteriuria
significativa accompagnata o meno da una sintomatologia clinica. Una batteriuria
è significativa quando la conta dei microrganismi è superiore o uguale a 10
alla quinta colonie per ml di urine.
Questo
valore limite fu proposto da Kuss nel 1959 e successivamente accettato da tutti.
Tuttavia,
con il moltiplicarsi dei farmaci ad azione antibiotica, il loro impiego nelle
varie situazioni morbose è divenuto tanto frequente e cosi massiccio da
interferire con la flora batterica sia patogena sia residente nei vari distretti
dell'organismo.
È cosi che il valore stabilito da Kuss è stato oggi rivisto e per lo più
si considera significativa una conta di 10.000 germi per ml di urina.
Gli
agenti etiologici delle infezioni urinarie sono nella quasi totalità dei casi
batteri.
Altri
microrganismi sono stati isolati dalle urine ma non sembrano essere patogeni per
l'apparato urinario.
Tra i batteri senz'altro quelli che più frequentemente vengono isolati (80-90%)
sono Gram-negativi.
Fino
ad oggi l'Escherichia coli è stata la specie batterica più frequentemente
isolata dalle urine infette, in particolare con i sierotipi 0, l, 2, 4, 7 e 75.
Negli ultimi anni nelle infezioni complicate si sta assistendo ad una variazione
del panorama etiologico. In particolare si assiste ad un aumento delle infezioni
sostenute da germi opportunisti (Pseudomonas, Proteus, Serratia) e da germi
Gram-positivi. Tali microrganismi sono di facile reperimento nell'ambiente in
genere e in particolare nella cute; la loro ubiquità fa sì che essi incidano
significativamente nelle infezioni acquisite in ambiente ospedaliero, in seguito
a manovre strumentali.
Nelle infezioni ad andamento cronico infine non è raro ritrovare una flora
batterica mista; ciò soprattutto è dovuto alla frequenza con cui
questo tipo di infezioni viene trattata, cioè con prolungati e ripetuti cicli
di terapia antibiotica nel tentativo di una loro definitiva eradicazione.
Perché
l'infezione si determini, una flora batterica deve:
1)poter
raggiungere l'apparato urinario;
2)essere
capace di moltiplicarsi nell'ambiente;
3)essere
in grado di competere con i meccanismi di difesa presenti (tab.04
Le
urine sono abitualmente sterili. Cariche batteriche possono giungere
nell'apparato urinario da varie sedi dell'organismo attraverso la via ematica,
la via linfatica per un circolo enterourinario o la via ascendente.
In
condizioni di normale urodinamica, la permanenza di questi microrganismi nella
via escretrice è così breve da essere eliminati con il flusso di urina prima
che, moltiplicandosi, possano raggiungere una carica significativa da divenire
patogeni.
Questo
può avvenire solo:
1)quando
a livello dell'apparato urinario esistono condizioni particolarmente favorevoli
al rapido accrescimento batterico;
2)quando per situazioni patologiche diverse si verifica una riduzione dei poteri
di difesa locali e/o sistemici;
3)quando
la carica batterica che raggiunge l'apparato urinario è di tale entità da
essere di per sé primitivamente patogena.
I
fattori predisponenti l'insorgere di IVU
si distinguono in:
a)fisiologici;
6)patologici;
c)iatrogeni.
Nel
sesso femminile la brevità dell'uretra e la sua collocazione sono indubbiamente
all'origine di una maggiore predisposizione alle infezioni urinarie. In tale
situazione anatomica, infatti, l'ingresso in vescica di microrganismi residenti
nell'introitus vaginale costituisce una evenienza facile a realizzarsi
spontaneamente, e più ancora in corso di rapporto sessuale. In gravidanza un
ulteriore fattore favorente è rappresentato dalla reversibile stasi ureterale
legata alla riduzione della normale peristalsi ureterale ormonalmente indotta
(progesterone) e dalla compressione meccanica dell'uretere da parte dell'utero
negli ultimi mesi di gravidanza.
Con
l'avanzare dell'età si riduce progressivamente la capacità di sorveglianza del
sistema immune sugli agenti infettivi, mentre aumenta l'incidenza di malattie
metaboliche e di ipertensione a loro volta responsabili di immunodeficienza
relativa. Inoltre, con l'invecchiamento compaiono con estrema frequenza turbe
minzionali dovute nel maschio a patologia prostatica, e nella donna pluripara a
cistocele. Infine ricordiamo come le particolari caratteristiche biochimiche
della midollare (scarso flusso ematico, elevato pH, iperosmolarità)
neutralizzando alcuni fattori del complemento e inibendo la chemiotassi
leucocitaria, riducono la risposta immunitaria, favorendo cosi la persistenza e
la cronicizzazione dell'infezione in tale sede.
Un'attiva
peristalsi della via escretrice ed un suo svuotamento periodico e completo
costituiscono il più efficace mezzo di difesa dell'apparato urinario alle
infezioni.
Qualsiasi
fattore patologico intrinseco od anche estrinseco a detto apparato che causi
ostruzione e di conseguenza ostacolo al deflusso e ristagno di urina favorisce
l'insorgenza di infezione.
In
tali condizioni infatti una carica batterica, comunque giunta nella via
escretrice, anche se di scarsa entità, crescendo in modo esponenziale, in breve
tempo raggiunge valori francamente infettanti tali cioè da superare i
meccanismi di difesa.
La
calcolosi urinaria è indubbiamente la patologia che più frequentemente è
causa di IVU, associando all'ostruzione il trauma sull'urotelio; inoltre, tutta
la patologia malformativa sia della via escretrice superiore che del tratto
urinario inferiore, nonché tutta la patologia acquisita neoplastica e non,
responsabili di una alterata urodinamica con ristagno di urine, costituiscono
eventi patologici per i quali la complicanza infettiva è la regola. Da ciò ne
deriva che in presenza di infezione urinaria recidivante o ad andamento cronico,
e in particolare in età pediatrica, è necessario accertare in tutti i casi
l'integrità anatomica e/o funzionale dell'apparato urinario.
La
valutazione anatomica o funzionale dell'apparato urinario frequentemente obbliga
ad esplorazioni endoscopiche talvolta semplici e agevoli, quali la
uretrocistoscopia, talvolta più complesse, quali la uretero-pieloscopia. Per
quanto delicatamente tali manovre vengano effettuate, e la strumentazione
impiegata venga accuratamente sterilizzata, l'endoscopia dell'apparato urinario
è non raramente complicata da IVU.
I
microtraumi, le piccole erosioni dell'epitelio, l'inevitabile trasporto della
flora batterica abitualmente presente nel tratto distale dell'uretra,
all'interno della via escretrice, l'irrigazione a pressione non fisiologica con
la rimozione dei glicosaminoglicani di superficie, costituiscono importanti
fattori di rischio per il realizzarsi di fenomeni infettivi secondari.
Il
problema diviene ancora più grave in corso di manovre endoscopiche ottenute a
scopo terapeutico, in quanto i fattori di rischio sopra menzionati divengono
inevitabili, e, il più delle volte, di tale entità, che l'infezione secondaria
diviene la regola. Appare evidente da quanto detto l'importanza di attuare
sempre in occasione di manovre endoscopiche, in particolare se effettuate a
scopo terapeutico, tutte le precauzioni possibili idonee a prevenire questo tipo
di complicanze.
Queste
prevedono anzitutto in presenza di una infezione preesistente una adeguata
terapia di esse, ed inoltre una accurata profilassi della possibile infezione
secondaria.
La
sintomatologia clinica non sempre è sufficiente per una diagnosi di infezione
urinaria, per cui è spesso necessario ricorrere ad indagini di laboratorio e
strumentali al fine non solo di accertare la presenza di IVU, ma di ricercare i
fattori favorenti, definirne la forma clinica e valutarne il rischio di
complicanze. Tali indagini sono:
Esame
delle urine. L'esame del sedimento urinario evidenzia una leucocituria al di
sopra dei valori fisiologici (200.000/h o 5 per campo): ciò è indice generico
di infiammazione delle vie urinarie, ma non sempre di infezione. La presenza di
una cilindruria leucocitaria, rappresentando il cilindro lo stampo più o meno
esteso del tubulo renale, è indice di una flogosi che non interessa solo la via
escretrice ma anche il parenchima renale. Al contrario la sola presenza di
cellule di sfaldamento delle basse e/o alte vie è indice di un interessamento
esclusivo o prevalente della via escretrice.
La
presenza di batteri senza segni evidenti di flogosi non è costantemente segno
di infezione, potendo essere l'esito di una cattiva conservazione del campione,
fin dall'inizio raccolto in contenitore igienicamente inidoneo.
Invece
la proteinuria e la microematuria, seppur quasi sempre presenti in corso di
infezione, non sono indicative se non quando si ritrovino associate ai reperti
sopra menzionati.
La
presenza di nitriti invece è un segno estremamente indicativo, essendo questi
un prodotto del metabolismo di quei germi che più frequentemente sono
responsabili di infezione.
Urinocoltura.
La diagnosi di infezione urinaria è basata sulla dimostrazione certa di un
numero significativo di microrganismi nell'urina vescicale. La urinocoltura
consente una determinazione accurata del numero totale dei microrganismi per ml
di urina, e permette l'identificazione della specie batterica. Il campione in
esame, perché l'urinocoltura risulti attendibile, deve essere raccolto in
contenitore idoneo per sterilità e caratteristiche e il prelievo effettuato
secondo modalità che garantiscono la non contaminazione da parte dei batteri
comunemente presenti nell'uretra, sui genitali esterni e sul perineo.
Le
urine sono prelevate dal soggetto con:
1)mitto
intermedio (nella quasi totalità dei casi);
2)puntura
sovrapubica (in casi selezionati, in particolare in età pediatrica);
3)catetere
(nei soggetti immunodepressi e/o portatori di catetere).
La
batteriuria è significativa quando:
a)la
conta è > 100.000 col/ml, per urine prelevate con mitto intermedio o per
cateterismo, considerando però valori inferiori fortemente sospetti;
b)la
conta è > 10 col/ml per urine prelevate con puntura sovrapubica.
L'esame
colturale deve essere eseguito non oltre 30' dalla raccolta dei campioni, per
non avere risultati alterati. La conta delle colonie perde ogni significato se
il paziente assume farmaci antibatterici.
Localizzazione
della infezione (diagnosi di sede delle IVU). Stabilire se il paziente è
affetto da infezione delle vie urinarie alte o basse, e se è presente
interessamento parenchimale o meno, è di estrema importanza per le implicazioni
cliniche, prognostiche e terapeutiche che ciò comporta.
Tale
distinzione non sempre è possibile sulla base dei soli elementi clinici, anche
se la presenza di febbre elevata e di dolore lombare faranno propendere per la
diagnosi di pielonefrite acuta.
Per evidenziare la sede dell'infezione sono stati proposti sia metodi diretti,
invasivi e con possibili effetti collaterali, sia metodi indiretti.
Tra
i primi ricordiamo l'esame colturale su urina raccolta con cateterismo degli
ureteri (test di Stamey) o dopo lavaggio vescicale con soluzioni disinfettanti
(test di Farley).
Tra
i metodi indiretti i più attendibili sono la ricerca di enzimuria (LDH,
lisozima, NAG, Beta2 microglobulina) indice di danno o necrosi tubulare, la
ricerca di anticorpi sierici specifici e la ricerca nel sedimento urinario di
batteri rivestiti da anticorpi (Antibody Coated Bacteria test o test di Thomas).
In
particolare questo ultimo test ha dimostrato una accuratezza dell'80% nella
diagnosi di infezione renale, ma può essere positivo in tutte quelle situazioni
in cui i microrganismi superano l'urotelio venendo a contatto con il circolo
linfatico (cistite ulcerosa, prostatiti ecc.).
Anche
la radiologia può essere inclusa tra i metodi indiretti in quanto, rilevando
alterazioni morfofunzionali di uno dei distretti dell'apparato urinario, può
far propendere verso una infezione di quella sede, od anche, mostrando
l'assoluta integrità anatomofunzionale dell'apparato urinario superiore,
orientare verso la sede bassa di essa.
Di
una infezione urinaria bisogna indicare la sede (parenchimale, alte vie
escretrici, basse vie escretrici, prostata), il decorso (acuto, cronico,
ricorrente) e se si tratta di forma semplice o complicata, intendendo come tali
tutti quei casi in cui la presenza di concomitante patologia a carico
dell'apparato urinario renda difficile se non impossibile la risoluzione dell'IVU.
Il
quadro clinico con cui una infezione urinaria si manifesta è quanto mai vario e
può andare dalla assenza completa di sintomatologia (batteriuria asintomatica),
alla presenza di soli sintomi locali (disuria, pollachiuria, stimolo imperioso,
stranguria) che tuttavia non sono specifici di IVU, alla presenza di sintomi di
tipo generale (febbre, dolore) che sono caratteristici di interessamento
parenchimale. A seconda della sede in cui primitivamente si instaura il processo
infettivo, l'evoluzione del quadro clinico assume importanza e caratteristiche
diverse soprattutto in relazione all'interessamento successivo dei vari segmenti
dell'apparato urinario.
Se
la vescica, luogo fisiologico di relativa stasi, costituisce il punto della via
escretrice in cui con maggiore frequenza si realizzano le condizioni ideali per
l'instaurarsi di un processo infettivo, non è certamente infrequente che ciò
si determini anche lungo i vari segmenti della via escretrice alta, in relazione
a condizioni patologiche responsabili di un ostacolo al fisiologico deflusso
delle urine. Un processo infettivo che interessi primitivamente la vescica
rimane abitualmente localizzato ad essa. La giunzione uretero-vescicale, in
assenza di alterazioni patologiche e malformative che ne modificano le
caratteristiche anatomo-strutturali, è capace di mantenere una perfetta
continenza anche alle più alte pressioni endovescicali opponendosi al reflusso
vescicoureterale ed al propagarsi del processo infettivo.
L'infezione,
interessando direttamente tale struttura, può determinare una temporanea
modificazione delle sue peculiari caratteristiche funzionali e quindi essere
essa stessa causa di reflusso, ma ciò si verifica raramente, in situazioni di
relativa immaturità della giunzione ureterovescicale o in presenza di
situazioni malformative che da sole sarebbero comunque insufficienti ad alterare
i meccanismi antireflusso.
Il
contrario si verifica quando l'infezione interessa primitivamente la via
escretrice alta: a qualsiasi livello essa si determini, infatti, si propaga
rapidamente a tutto l'apparato urinario e il continuo e costante defluire di
urina ad alto contenuto batterico costituisce il presupposto all'insorgenza di
un vero e proprio processo infettivo cronico della vescica, in particolare in
presenza di un residuo anche di lieve entità.
L'infezione
della via escretrice superiore inoltre si diffonde altrettanto rapidamente al
parenchima renale con tutte le conseguenze che ne derivano in termini di
prognosi e di terapia.
Già
si è detto come l'infezione si instauri abitualmente dopo che una ostruzione
anatomica o funzionale delle vie escretrici abbia condotto ad una stasi
urinaria. Nel tratto a monte dell'ostacolo le alte pressioni esistenti
favoriscono veri e propri reflussi di urina infetta dalle vie escretrici verso
il parenchima. Si giunge così alla formazione di focolai batterici parenchimali
ed alla pielonefrite conclamata.
In
presenza di infezione, quindi, non si potrà in alcun caso prescindere da uno
studio, il più accurato possibile e complesso, dello stato anatomico e
funzionale dell'apparato urinario, al fine di non incorrere nel rischio di
misconoscere quelle situazioni patologiche sulle quali l'IVU si instaura e le
cui complicanze, più o meno lontane, non raramente possono essere non solo
definitive ma anche tanto gravi da compromettere la vita futura del paziente.
Se
in prima istanza è giusto considerare l'infezione un sintomo di altre affezioni
dell'apparato urinario è pur vero che essa costituisce anche, di per sé, un
evento patologico responsabile di sintomatologia fastidiosa ed invalidante e, se
localizzata alle alte vie escretrici, di possibili danni irreversibili sul
parenchima renale.
La
pielonefrite cronica con evoluzione verso la sclerosi e l'esclusione funzionale
del rene è la complicanza più temibile. Si tratta di un processo lento ma che
viene accelerato nella sua progressione dalla presenza di fenomeni ostruttivi
non risolti tempestivamente. Ciò è particolarmente importante in età
pediatrica dove l'infezione è quasi sempre il primo segno di un'uropatia
malformativa più o meno importante.
È dimostrato come in soggetti con IVU secondaria a malformazioni, le
alterazioni funzionali renali sono reversibili se l'intervento chirurgico
correttore viene effettuato entro il 1° anno di vita, permangono invariate se
questo viene realizzato tra il 1° ed il 3° anno e sono invece destinate
inevitabilmente a peggiorare se la diagnosi e la successiva correzione
chirurgica vengono ritardate oltre questo periodo.
La
pielonefrite cronica bilaterale è seconda solo alle glomerulonefriti come causa
di insufficienza renale cronica (IRC); nel 19,1% dei pazienti oggi in
trattamento dialitico il primum movens è stato un'infezione urinaria ostruita o
non.
Anche
se solo monolaterale la pielonefrite cronica costituisce un evento patologico
estremamente grave: essa può determinare una ipertensione arteriosa, che se non
trattata in tempo ed adeguatamente è causa di una compromissione vascolare del
rene controlaterale e quindi di IRC.
La
presenza di infezione costituisce una delle tante condizioni che, modificando le
caratteristiche fisico-chimiche delle urine, favoriscono la precipitazione dei
sali disciolti e quindi la produzione di calcoli.
L'IVU
agisce fondamentalmente attraverso due meccanismi:
1)modificando
il pH urinario verso l'alcalinità (liberazione di ammoniaca per idrolisi
dell'urea da parte della ureasi di derivazione batterica) contribuisce alla
realizzazione di quelle condizioni che rendono meno solubili i fosfati e quindi
favorisce una più facile precipitazione di essi sotto forma di cristalli;
2)producendo
residui organici in quantità considerevoli fornisce i nuclei di attrazione sui
quali i cristalli si accumulano e si aggregano in formazioni litiasiche sempre
più voluminose, fino alla realizzazione di quelle calcolosi racemiche che tanta
parte hanno nella distruzione funzionale del rene.
Infine
si ricorda il grave pericolo che le IVU in gravidanza costituiscono sia per la
gestante sia per il feto.
Batteriurie
anche asintomatiche che si verificano nel 10-13% delle gravide, misconosciute,
possono essere responsabili di pielonefriti croniche complicate o meno con
calcolosi, di parto pretermine o peggio di gestosi con aumento della mortalità
perinatale.
In
gravidanza ogni donna dovrebbe essere sottoposta ad esame colturale delle urine
dopo il III mese di gestazione ed essere adeguatamente trattata al primo esame
positivo.
Considerando
quanto finora detto appare evidente quanto sia importante in presenza di
infezione stabilire un programma terapeutico che dia le più ampie garanzie per
una definitiva guarigione di essa. Il trattamento della infezione urinaria
costituisce tuttavia uno dei più gravi problemi di ordine medico che si
incontrano in terapia urologica in relazione ai numerosi fattori che si
oppongono ad esso.
Tre
ordini di fattori ostacolano il trattamento delle infezioni urinarie:
1)dipendenti
dall'apparato urinario;
2)dipendenti
dalla flora batterica.
3)dipendenti
dall'organismo.
Per
quanto riguarda i primi, anzitutto ricordiamo la stasi urinaria a qualsiasi
livello della via escretrice essa si determini, anche quando dovesse interessare
un solo calice.
Abbiamo
già visto il ruolo che essa assume nel determinismo della infezione, non meno
importante è quello che essa riveste nell'ostacolarne il trattamento.
I
meccanismi attraverso i quali la stasi rende difficile la terapia dell'infezione
possono essere molteplici, ma il principale è l'ostacolo che viene a
realizzarsi al rapido ricambio del contenuto in quel determinato settore della
via escretrice, vanificando così uno dei più validi mezzi con cui l'apparato
urinario si difende dalla infezione.
La
presenza di una calcolosi costituisce un ostacolo quasi insormontabile al
trattamento dell'infezione e ciò perché anzitutto essa è quasi costantemente
causa di stasi, perché costituisce un fattore meccanico di flogosi ed inoltre
perché nel contesto della formazione litiasica è molto spesso presente una
flora batterica.
Altro
fattore di ostacolo al trattamento dipendente dall'apparato urinario è la
frequenza con cui si stabiliscono focolai batterici parenchimali, in particolare
a livello della porzione midollare del rene. In questa sede è presente una
iperosmolarità fisiologica, l'ambiente è ricco di ammoniaca e quindi a pH
decisamente alcalino, esiste uno scarso flusso ematico e una bassa pressione di
filtrazione.
Tutto
ciò si oppone all'eliminazione dei focolai batterici attraverso vari
meccanismi: anzitutto la iperosmolarità facilita la formazione delle forme L o
protoplasti, vale a dire la forma disidratata dei germi, e ne permette la
sopravvivenza in quanto in ambiente iperosmolare si determina un ostacolo se non
l'arresto dei movimenti ameboidi e quindi anche della fagocitosi.
L'ambiente
alcalino poi porta alla distruzione di alcuni componenti del complemento (il IV
in particolare), inattivandolo e quindi opponendosi in modo determinante al
meccanismo della immunità umorale.
Infine
lo scarso flusso ematico e la bassa pressione di filtrazione presente a livello
della midollare del rene sono responsabili di una insufficiente concentrazione
di farmaci ad azione antibatterica in questa sede, tanto che solo antibiotici
estremamente attivi possono presumibilmente raggiungere la midollare in
concentrazioni superiori alle minime inibenti la flora batterica presente. Tale
situazione, a sua volta, oltre a non garantire la sterilizzazione dei focolai
batterici, facilita anche la formazione delle forme L, quando il meccanismo di
azione degli antibiotici usati sia del tipo capsulare (agiscono alterando la
capsula batterica).
I
protoplasti o forme L possono, con meccanismi e per ragioni non ancora del tutto
noti, riacquistare la loro forma batterica originaria e quindi essere
responsabili del mantenimento o quanto meno della recidiva dell'infezione
dell'apparato urinario.
Tra
i fattori che ostacolano il trattamento della infezione, più direttamente
dipendenti dalle caratteristiche della flora batterica abitualmente
responsabile, dobbiamo ricordare anzitutto l'ampia varietà dei possibili agenti
batterici.
Praticamente
tutta la flora Gram negativa e i germi più significativi di quella Gram
positiva possono essere di normale reperto nella infezione delle urine. In
particolare nelle infezioni ad andamento cronico, la frequenza del
polimicrobismo rende estremamente complesse la scelta del farmaco e la condotta
terapeutica.
Inoltre
la insorgenza della resistenza a livello dell'apparato urinario è notevolmente
più frequente che in altri settori dell'organismo. Questa può essere di tipo
cromosomico, vale a dire la selezione di mutanti resistenti, fenomeno che può
verificarsi in corso di un trattamento antibiotico, con la totale scomparsa dei
cloni sensibili e così lo sviluppo di quelli naturalmente resistenti, finché
questi si sostituiranno completamente ai primi dando origine ad una popolazione
batterica resistente alla terapia in corso.
Altri
meccanismi di resistenza particolarmente frequenti a livello dell'apparato
urinario sono quelli conosciuti come fenomeni di combinazione genetica quali la
trasduzione, la coniugazione e la trasformazione.
Il
trasferimento di molecole di DNA sia che esso avvenga mediante fagi, od anche
mediante ponti protoplasmatici, può essere responsabile del trasferimento dei
caratteri di resistenza da una specie all'altra.
È ovvio che questo meccanismo si realizza con particolare frequenza dove
esistono infezioni polimicrobiche e cioè in particolare a livello
dell'intestino e dell'apparato urinario.
Un
altro meccanismo di resistenza enormemente importante per l'apparato urinario
consiste nella proprietà della maggior parte dei germi di produrre, sotto lo
stimolo antibiotico, enzimi quali amidasi, lattamasi, esterasi,
adeniltransferasi, fosfotrasferasi, neutralizzanti l'antibiotico stesso
attraverso una modificazione della sua struttura chimica. Questo meccanismo ha
grande importanza pratica in quanto attraverso esso batteri sia Gram positivi
sia Gram negativi, a seguito della terapia antibiotica praticata, possono
divenire resistenti ad un gran numero di farmaci (penicillina, cefalosporine,
cloramfenicolo, aminoglucosidi).
Ultime
recenti acquisizioni in tema di biologia batterica riguardano la esistenza del
glicocalice, struttura questa che può ostacolare il trattamento di una
infezione urinaria.
Il
glicocalice di superficie è una formazione di origine batterica, contenente
polisaccaridi, che per prima interagisce con il microambiente del germe e
concorre alla virulenza batterica.
Il
glicocalice concorre nel determinare la sede dell'infezione, le recidive delle
IVU e favorisce le IVU iatrogene. Esso infatti conferisce al germe una spiccata
adesione alle superfici in genere, ma soprattutto a quelle esogene come protesi
e cateteri, si oppone all'azione dei polimorfonucleati, degli anticorpi e di
alcuni antibiotici ed infine protegge il germe dall'azione di enzimi litici
extracellulari.
Ulteriori
fattori di ostacolo al trattamento della infezione urinaria sono le alterazioni
delle condizioni generali del paziente, quali quelle che si possono verificare
per altra patologia concomitante od anche semplicemente in modo fisiologico in
età avanzata.
Di
particolare valore sono da questo punto di vista una riduzione dei meccanismi di
difesa, una più o meno marcata alterazione della funzionalità epatica e renale
od anche un difettoso assorbimento gastroenterico che riduce l'efficacia di un
trattamento effettuato per somministrazione orale.
Da
quanto finora detto appare evidente come risulti impegnativo lo stabilire un
programma terapeutico che possa dare sufficienti garanzie per il conseguimento
di una sterilizzazione permanente delle urine.
Come
primo atto si dovrà provvedere alla rimozione chirurgica di tutte le formazioni
litiasiche nonché delle cause di stasi eventualmente presenti.
Successivamente
è indispensabile instaurare una terapia chemio-antibiotica idonea, comunque
tale che dia la massima garanzia di successo. In particolare nella scelta del
farmaco da impiegare sarà necessario considerare tutta una serie di parametri
legati alle caratteristiche farmacodinamiche e tossiche dei vari farmaci, ai
dati di funzionalità renale ed epatica del paziente, ed infine alle
caratteristiche di sensibilità della flora batterica isolata.
La
scelta del farmaco da impiegare costituisce senza dubbio il momento più
importante della condotta terapeutica. Essa è intimamente connessa alla esatta
valutazione del quadro batteriologico e quindi alla urinocoltura e
all'antibiogramma.
L'urinocoltura
mediante l'identificazione e la valutazione quantitativa del o dei germi
presenti fornisce esatte informazioni sul tipo e sulla gravità della infezione.
L'antibiogramma poi, indicando la gamma degli antibiotici attivi, permette di
attuare una terapia mirata, nonché la possibilità di scegliere nei casi più
complessi l'associazione più adatta al dominio dell'infezione.
Un
monitoraggio della infezione effettuato mediante queste indagini, non solo
fornisce importanti informazioni per l'esatta valutazione del quadro clinico, ma
costituisce soprattutto la base indispensabile al ritmico "aggiustamento
del tiro", che in questi casi è di capitale importanza per il
conseguimento della guarigione e per evitare i possibili danni che potrebbero
derivare al paziente da lunghi e ripetuti trattamenti antibiotici.
Abbiamo
visto come a livello dell'apparato urinario molteplici fattori possono
ostacolare il trattamento dell'infezione; molti di essi possono essere, se non
evitati, almeno ridotti nella loro importanza da una razionale condotta
terapeutica.
Si
è già detto come le condizioni fisiologiche della midollare del rene fanno sì
che in questa sede il dominio dei focolai batterici presenti sia quasi
esclusivamente devoluto ai farmaci antibatterici somministrati, la cui
concentrazione d'altra parte non potrà mai raggiungere livelli molto elevati,
molto spesso anzi essi rimangono inferiori alla concentrazione minima inibente
la flora batterica in causa.
È ovvio dunque quanto sia importante in questi casi conoscere non solo
la gamma degli antibiotici ai quali risultano sensibili i germi responsabili del
processo infettivo, ma soprattutto il grado di attività di ciascuno di essi al
fine di dare la preferenza a quello che ha le maggiori garanzie di successo.
È intuitivo come la scelta debba cadere sul farmaco che in relazione
anche alle caratteristiche di alcalinità dell'ambiente sia in grado di
esplicare la sua azione antibatterica alle più basse concentrazioni.
L'antibiogramma
in questi casi non potrà essere effettuato con la più semplice metodica dei
dischetti in terreno solido, ma mediante una attenta valutazione per ciascun
antibiotico in studio, della concentrazione minima inibente la flora batterica
isolata.
Allo
scopo di ridurre la possibilità di formazione delle forme L a livello della
midollare del rene, nella scelta del farmaco da impiegare fra quelli indicati
come possibili dall'antibiogramma, oltre ai parametri di intensità di azione e
di attività in ambiente alcalino cui abbiamo prima accennato, è necessario
valutare anche il meccanismo di azione di essi al fine di escludere, nei limiti
del possibile, quelli che, agendo in modo peculiare sulla capsula, possono
costituire un ulteriore fattore facilitante l'originarsi delle forme L.
La
conoscenza delle concentrazioni minime inibenti dei farmaci se assume
particolare importanza nelle infezioni interessanti il parenchima renale per le
ragioni riferite, non minor valore ha nel trattamento delle infezioni della via
escretrice inferiore. Infatti l'attività di un antibiotico valutata con il
metodo dei dischetti è normalmente stabilita in stretta relazione alle
concentrazioni che è possibile ottenere nel siero, come quota libera, con le
normali dosi terapeutiche di esso.
Nelle
urine tuttavia la concentrazione di sostanza attiva per la maggior parte degli
antibiotici è enormemente superiore a quella che si riscontra nel siero.
È ovvio che tale prerogativa permette di far cadere la nostra scelta,
nel trattamento delle infezioni dell'apparato urinario inferiore, anche su
antibiotici meno tossici che, pur inattivi allo studio col metodo dei dischetti,
posseggono tuttavia una concentrazione minima inibente decisamente inferiore
alle concentrazioni che è possibile ottenere nelle urine dopo somministrazioni
di dosi terapeutiche di essi.
Purtroppo
le informazioni che scaturiscono dall'antibiogramma non sempre sono determinati
al conseguimento della guarigione. Infatti non è raro osservare sostanziali
differenze di comportamento della flora batterica responsabile nei confronti
della antibiotico-sensibilità, valutata in vitro, rispetto agli effetti su di
essa della terapia. Se ciò può apparire una limitazione della importanza di
queste indagini non bisogna dimenticare come ciò sia intimamente legato alla
interferenza dei numerosi fattori che entrano in gioco una volta che un farmaco
venga somministrato all'organismo. È
ovvio che di essi si debba tenere conto adottando di volta in volta una
strategia terapeutica che preveda tutti quegli accorgimenti in grado di rendere
la risposta in vitro se non identica almeno il più vicino possibile a quella
ottenuta dalle prove in vitro.
Nonostante
quanto ora detto è indubbio che i dati emergenti dall'urinocoltura e
dall'antibiogramma, quando questi siano effettuati secondo tecniche accurate,
con identificazione dei vari ceppi presenti, valutazione quantitativa di
ciascuno di essi e studio della antibiotico-sensibilità effettuato
separatamente per ciascun tipo di germe presente, costituiscono il presupposto
per una terapia che ha le migliori possibilità di condurre ad una definitiva
guarigione dell'infezione.
Non
meno importante, accanto alla scelta del farmaco ad azione antibatterica più
idoneo, è la terapia coadiuvante rappresentata fondamentalmente dalla
iperdiuresi dalla somministrazione di sostanze antiureasiche, di sostanze
acidificanti o alcalinizzanti le urine. La iperdiuresi, oltre a determinare una
considerevole diminuzione della concentrazione batterica per ml di urine,
comporta un più frequente ricambio del contenuto della via escretrice. Inoltre
essa può indurre un abbassamento della iperosmolarità fisiologica della
midollare renale, contribuendo così a realizzare in questa sede le migliori
condizioni per la sterilizzazione dei focolai batterici parenchimali.
La
modificazione del pH infine costituisce un provvedimento indispensabile
soprattutto in relazione al tipo di farmaco impiegato.
È infatti noto come l'azione antibatterica dei vari antibiotici possa
subire notevoli variazioni in relazione al pH dell'ambiente in cui i detti
farmaci svolgono la loro azione.
Mentre
è possibile ottenere abbastanza facilmente una modificazione del pH nelle urine
non altrettanto può dirsi per il parenchima renale. Fra i farmaci
alcalinizzanti le urine ricordiamo: il citrato di sodio, il citrato di potassio,
il bicarbonato di sodio, la citropiperazina ecc.; tra i farmaci acidificanti
invece: il cloruro di ammonio, l'acido fosforico medicinale, la metionina, la
vitamina C ecc.
Nelle
forme ad andamento cronico la condotta terapeutica può seguire fondamentalmente
due schemi diversi e cioè:
1)una
terapia ciclica prolungata nel tempo effettuata ai massimi dosaggi consentiti
dalle caratteristiche del farmaco di volta in volta impiegato e dalle condizioni
del paziente soprattutto di funzionalità epatica e renale;
2)una
terapia continua a basso dosaggio con somministrazioni preferibilmente serali.
L'urinocoltura,
impiegata quale monitoraggio dell'infezione, può essere attuata solo quando la
condotta terapeutica preveda una terapia ciclica.
Adottando
questa metodica infatti è possibile seguire l'andamento del quadro
batteriologico mediante urinocolture praticate alla fine di ogni ciclo
(controllo della efficacia della terapia) e prima dell'inizio del successivo
(guida alla scelta del farmaco).
Quando
invece si attua una terapia continua a basso dosaggio con somministrazioni
preferibilmente serali, al contrario di quanto può verificarsi per altri
liquidi organici, nelle urine in ogni momento saranno presenti, molto spesso,
livelli del farmaco tanto elevati, che se pur inefficaci sul piano terapeutico,
possono essere responsabili di una azione batteriostatica in vitro, tale da
rendere impossibile un effettivo monitoraggio dell'infezione, se non si ricorre
ad una temporanea sospensione della terapia.
Fra
le due metodiche di trattamento menzionate la prima è quella che ha le maggiori
probabilità di determinare una definitiva sterilizzazione delle urine, per cui
pensiamo che debba essere quella da seguire come primo impiego. Solo quando con
essa non sia possibile ottenere i risultati desiderati è necessario ricorrere
alla terapia continua a basso dosaggio con lo scopo di ridurre al minimo i danni
dell'infezione attraverso un contenimento della carica batterica.
Chishom
G.D., Verduci Editore.
Convegno
Essex: Infezioni delle vie urinarie, Napoli, 1977.
Covelli
I., Mandler F., Visconti A.: Microbiologia clinica dell’apparato
urogenitale.
Ottolenghi
A.: Urologia Pediatrica, Piccin Editore.
Resmit Caldamone: Decision Making in Urology.
Sanna
A.: Quaderni di Microbiologia Clinica.
T.LOTTI
Direttore
Clinica Urologia
II
Facoltà di Medicina e Chirurgia,
Università
di Napoli
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