HOME PAGE CARLOANIBALDI.COM HOME PAGE ANIBALDI.IT
ARGOMENTI DI MEDICINA CLINICA
VAI ALL'INDICE
Ultimo aggiornamento: 23.12.2013
mail to Webmaster
I
farmaci inotropi: positivi sono in grado di aumentare la contrattilità delle
fibre muscolari. Per circa 200 anni a tale fine sono stati utilizzati i
glucosidi digitalici, passando dagli infusi di foglie alle formulazioni attuali,
che permettono la scelta della durata di azione, della via di eliminazione e
posseggono un assorbimento piuttosto costante. Tuttavia, la digitale non è il
farmaco inotropo ideale: controindicazioni, effetti tossici di rilievo,
ristretto indice terapeutico ne limitano le possibilità di impiego. La ricerca
farmacologica si è pertanto indirizzata verso nuove molecole in grado di
sostituire o di associarsi alla digitale.
Il
farmaco ideale dovrebbe possedere alcune caratteristiche irrinunciabili:
-
aumento della contrattilità miocardica, con un costo energetico moderato;
-
effetto di lunga durata, senza fenomeni di tolleranza;
-
possibilità di somministrazione orale, con dosaggio mono- o bi-giornaliero,
prevedibile e stabile nel tempo;
-
indice terapeutico elevato;
-
effetti indesiderati modesti;
-
facilità del monitoraggio terapeutico;
-
scarsità di controindicazioni;
Prendiamo
in considerazione in questo capitolo i farmaci inotropi: positivi vecchi e nuovi
(tab.01
La
principale caratteristica del tessuto muscolare cardiaco è la sua capacità di
rispondere ad una stimolazione elettrica con la contrazione e lo sviluppo di
tensione. Le strutture della muscolatura miocardica sono altamente specializzate
ai fini della trasformazione dell'energia chimica in lavoro meccanico.
La
funzione contrattile di una fibrocellula miocardica è determinata dai seguenti
elementi strutturali:
1)
il sarcolemma che delimita la cellula;
2)
il cosiddetto sistema a T che attraversa la cellula come invaginazione del
sarcolemma ed è in rapporto con l'ambiente extracellulare;
3)
il sistema tubulare del reticolo sarcoplasmatico che attraversa
longitudinalmente la cellula;
4)
l'apparato contrattile delle miofibrille;
5)
un elevato numero di mitocondri che provvedono al rifornimento energetico degli
elementi contrattili.
La
contrazione di una miofibrilla è resa possibile da cambiamenti in serie nella
struttura terziaria e quaternaria delle proteine caratteristiche del muscolo,
cioè della miosina che costituisce i filamenti spessi e della actina che
costituisce i filamenti sottili del sarcomero. Non si tratta di un vero
accorciamento di proteine ma dello scorrimento a cannocchiale di proteine
collegate fra loro in modo da compenetrarsi.
Le
singole unità contrattili di una fibra miocardica (sarcomeri) sono delimitate
le une dalle altre dalle strie Z in corrispondenza delle quali terminano i
filamenti di actina (fig 1).
Le
cellule sono saldamente connesse fra loro in corrispondenza delle strie
intercalari che presentano fasce di aderenza (desmosomi), la cui funzione è di
adesione intercellulare alla trazione, e spazi più sottili (nessi), la cui
funzione è la diffusione degli impulsi bioelettrici a miocellule contigue. Il
sistema di membrane e canalicoli delle fibrocellule miocardiche, costituito,
come si è detto, da tre parti (sarcolemma, tubuli trasversali, reticolo
sarcoplasmatico), rappresenta il presupposto strutturale dell'accoppiamento
elettromeccanico. Esso consente infatti al processo bioelettrico di eccitazione,
che si svolge alla superficie della cellula, di determinare la contrazione
sincrona di tutte le miofibrille del muscolo cardiaco.
Per
accoppiamento eccitazione-contrazione si intende il processo che a partire da
uno stimolo eccitatorio elettrico (potenziale d'azione) produce una risposta
meccanica (contrazione). I Ca++ ioni sono i mediatori di tale fenomeno: durante
la fase lenta del potenziale d'azione il sarcolemma diviene permeabile agli ioni
Ca++ che penetrano all'interno della cellula, in virtù del gradiente di
concentrazione, attraverso i canali del calcio.
La
quantità di ioni che penetrano in questo modo all'interno della cellula
cardiaca non è sufficiente per l'attivazione coordinata di tutti i
miofilamenti. Deve quindi esistere un sistema di "amplificazione"
intracellulare: esso è rappresentato dal reticolo sarcoplasmatico, il quale,
per mediazione dello stesso calcio, rilascia un'ulteriore quantità di Ca++ in
esso accumulato, sufficiente a determinare la contrazione dei miofilamenti.
Il
segnale per la contrazione di una fibrocellula miocardica viene trasmesso dalla
membrana cellulare alle miofibrille che si trovano all'interno della cellula
stessa attraverso flussi ionici. Lo ione che determina l'inizio e la fine della
contrazione è il Ca++. Si ha contrazione quando la concentrazione di Ca++ nel
citoplasma passa da 10 elevato a -7 M a 10 elevato a -5 M, rilasciamento per il
fenomeno inverso.
Si
devono distinguere tre successivi processi:
1)
la scarica e la ricarica del potenziale di membrana della cellula mediato dallo
scambio transmembranico di Na+ e K+;
2)
l'accoppiamento elettromeccanico condizionato dall'afflusso transmembranico di
Ca++ e dalla liberazione del Ca++ sarcoplasmatico;
3)
l'attivazione dell'ATPasi miofibrillare Ca++-dipendente provocata dall'aumento
della concentrazione citoplasmatica di Ca++ e la conseguente attivazione del
sistema contrattile.
Vediamo
ora più in particolare questi tre processi.
Il
sarcolemma, che a riposo possiede scarsa permeabilità agli ioni, è però
permeabile agli ioni K+ che fuoriescono in virtù del gradiente di
concentrazione. L'interno della cellula è pertanto negativo rispetto
all'esterno, il potenziale a riposo è di - 90 mVolt:
Il
Na+ è presente in concentrazioni più elevate nel liquido extracellulare (140
mM) rispetto a quello intracellulare (30 mM) e quindi tende ad entrare
all'interno della cellula. Questa migrazione però non può avvenire perché, a
riposo, i canali per il Na+ sono chiusi o inattivati. La loro attivazione, con
ingresso del Na+, avviene all'arrivo di uno stimolo elettrico eccitatorio. Il
Na+ penetrando così all'interno della cellula porta cariche positive e quindi
determina un'inversione della polarità (la cellula diviene positiva
all'interno).
Questa
fase di depolarizzazione è molto rapida. Ad essa fa seguito una
ripolarizzazione veloce dovuta alla caduta della conduttanza per il Na+ e ad un
aumento della permeabilità cellulare al Cl- che è più concentrato all'esterno
(140 mM) che all'interno della cellula (30 mM).
La
ripolarizzazione veloce è seguita da un plateau del potenziale d'azione.
Durante questa fase, piuttosto lunga, si registra un potenziale uguale o appena
al di sotto dello zero. Tale fenomeno è dovuto al fatto che si instaura una
corrente depolarizzante prodotta dall'ingresso del Ca++ nella cellula, che si
contrappone nella fase iniziale del plateau alla corrente ripolarizzante del Cl-
e nell'ultima parte del plateau a quella ripolarizzante del K+ (che comincia a
fuoriuscire mantenendo così il potenziale vicino alla neutralità). Il Ca++
durante il plateau penetra all'interno della cellula sia perché si
"aprono" i canali lenti, sia in virtù del gradiente di
concentrazione.
L'ultima
fase del potenziale d'azione e di ripolarizzazione veloce, è caratterizzata
dalla chiusura dei canali per il Ca++ e dalla riapertura dei canali per il K+
con fuoriuscita di questo ione: l'interno della cellula torna ad essere negativo
rispetto all'esterno (fig.02
Il
processo di rilasciamento dell'apparato contrattile (diastole) che segue alla
contrazione (sistole) necessita dell'allontanamento del Ca++ dalle proteine
contrattili e ciò avviene in due modi:
l)
riaccumulo del Ca++ nel reticolo sarcoplasmatico;
2)
espulsione nello spazio extracellulare contro il gradiente di concentrazione,
sia direttamente mediante l'ATPasi Ca++ specifica, sia indirettamente mediante
lo scambio Na+-Ca++ accoppiato con l'ATPasi Na+-K+ dipendente. In entrambi i
casi l'estrusione del Ca++ dalla cellula miocardica avviene con dispendio di
energia (ATP).
In
questi complessi sistemi di trasporto del Ca++ intervengono due proteine: il
fosfolambano e la calmodulina.
I
filamenti spessi formati da miosina si trovano in rigido ordine tra i filamenti
sottili formati da actina che li circondano da tutte le parti (fig.01
"teste"
della miosina, sono capaci di compiere movimenti "articolari" (fig.05
La
lunghezza dei sarcomeri nella fibrocellula miocardica normale è di 2,2 microm
in diastole e di 1,9 microm in sistole (in condizioni di contrazione media), con
un accorciamento quindi di circa il 15%.
In
fase di rilasciamento l'actina e la miosina non possono reagire fra di loro in
quanto un'altra proteina, la tropomiosina, avvolgendosi intorno ai filamenti di
actina, ne impedisce l'unione con la miosina.
Una
quarta proteina regolatrice è la troponina, la quale, quando la concentrazione
di calcio supera il valore limite di 10 elevato a -7 M, si carica di Ca++ e si
lega alla tropomiosina in modo tale da liberare l'effetto inibitorio di
quest'ultima sulla formazione di ponti fra actina e miosina (fig.06
La
quantità di calcio disponibile per questo processo determina quindi la misura e
la durata della contrazione muscolare. L'energia necessaria per lo svolgimento
di questo lavoro deriva dalla scissione dell'ATP ad opera dell'attività
ATPasica posseduta dalla miosina stessa.
I
canali di membrana sono costituiti da proteine, solitamente ad alto peso
molecolare, inserite nello spessore della membrana cellulare. Si crea in questo
modo un "canale" idrofilico che permette il passaggio di ioni e
piccole molecole cariche elettrostaticamente.
I
canali mettono in comunicazione l'interno e l'esterno della cellula oppure
diversi compartimenti cellulari. I canali possono essere aperti o chiusi e
cambiare stato in risposta ad almeno tre fattori in grado di provocare
modificazioni nella conformazione delle proteine che li costituiscono:
1)
interazione tra una molecola (ligando), rappresentata da un mediatore, un ormone
o altro, che si lega ad un recettore;
2)
modificazioni di potenziale della membrana cellulare, quali l'arrivo di un
impulso nervoso o di un potenziale d'azione;
3)
modificazioni intracitosoliche di concentrazione di ioni, pH o altri
messaggeri.(fig.08x).
Quanto
succintamente detto ha valore generale per tutti i canali di membrana; entrando
nel merito dei canali per il Ca++, si ritiene che ne esistano almeno di due
tipi.
Uno
posto sulla membrana plasmatica, in grado di aprirsi e permettere l'ingresso
degli ioni Ca++ in risposta a modificazioni di voltaggio (potenziale d'azione)
ed a ligandi specifici. Il secondo tipo (la cui esistenza è al momento solo
postulata) si troverebbe sulle membrane del reticolo sarcoplasmatico e si
attiverebbe in risposta a potenziali di azione. L'apertura di questi canali (che
sono selettivi tra ioni bivalenti e monovalenti, ma permettono il passaggio di
Mg++ e Ba++) sarebbe responsabile del rapido aumento del Ca++ intracitosolico
durante il potenziale d'azione della cellula muscolare.
I
cenni di ultrastruttura del miocardio sopra riferiti permettono di comprendere
la differenza tra tensione o forza di contrazione e contrattilità o velocità
di accorciamento delle fibre.
La
tensione è in rapporto al numero dei siti attivi, cioè dei punti in cui il
legame del Ca++ alla troponina favorisce la formazione del complesso
actina-miosina.
Entro
ampi limiti quanto maggiore è la distensione delle fibre (per aumento del
ritorno venoso - precarico - o per ostacolo allo svuotamento - postcarico) tanto
maggiore è il numero dei siti attivi che vengono in contatto, quindi maggiore
è la tensione sviluppata (legge di Frank-Starling) (fig.09
Viceversa
l'inotropismo o contrattilità è indipendente dal riempimento o dallo
svuotamento ed è in funzione della velocità con cui i siti attivi vengono a
contatto.
La
tensione influenza in modo diretto la capacità di pompa del cuore cioè il
volume ematico spostato ad inotropismo costante. La tachicardia, e in genere
l'intervento del simpatico e delle catecolamine, aumentano il livello della
contrattilità cioè di inotropismo.
Con
l'interazione della tensione e della contrattilità il cuore sano può modulare
il suo rendimento, sotto forma di gettata cardiaca, aumentandola fino a 5-8
volte, come avviene nello sforzo massimo, senza variare la sua pressione
sistolica e diastolica.
Il
lavoro sviluppato dal cuore durante la contrazione produce quindi energia
meccanica, sotto forma di velocità iniziale impartita dai ventricoli al sangue
che entra nei due grandi vasi arteriosi, e sotto forma di calore. Il cuore
normale opera ad un livello di inotropismo che non è il massimo possibile, per
lo meno a riposo, ma è il più economico.
In
condizioni di attività con aumentata richiesta di O2 da parte dell'organismo,
la stimolazione simpatica del cuore, che eleva il livello di inotropismo, e
l'accresciuto ritorno venoso al cuore, che sposta la curva di Frank-Starling
aumentando la tensione, sono i due fattori predominanti nell'incrementare la
gettata cardiaca.
Il
cuore sano è quindi capace di un'autoregolazione della propria efficienza, che
riveste però un carattere temporaneo, per controllare situazioni di stress
cardiovascolare reversibile, sia fisiologiche (ad esempio l'attività
muscolare), sia patologiche (ad esempio la febbre).
Esistono
situazioni morbose in cui, per la cronica presenza di condizioni di alterata
funzione cardiaca, il cuore stesso mette in opera meccanismi permanenti di
aggiustamento che gli consentono prestazioni sufficienti a garantire le
richieste metaboliche dell'organismo. L'evoluzione verso l'insufficienza
cardiaca, cioè verso l'incapacità di mantenere uno stato di equilibrio anche a
riposo è talvolta inevitabile.
I
meccanismi, con cui una situazione patologica è in grado di modificare in modo
permanente e definitivo il funzionamento del cuore, sono essenzialmente
riconducibili a quattro gruppi.
1)
Turbe primitive della contrattilità per alterazione del muscolo cardiaco (su
base ischemica, infiammatoria, degenerativa, dismetabolica ecc.).
2)
Alterazione del riempimento ventricolare per cortocircuito o per reflusso
valvolare con conseguente aumento del volume diastolico (precarico) e
dilatazione con sovraccarico di volume, con o senza ipertrofia della sezione
cardiaca interessata (ad esempio comunicazione interventricolare, insufficienza
aortica).
3)
Alterazione dello svuotamento sistolico ventricolare per ostacolo all'espulsione
del sangue da un ventricolo (come avviene nelle stenosi valvolari orifiziali,
nella ipertensione arteriosa sistemica o polmonare) con aumento dell'impedenza
(postcarico), sovraccarico di pressione, ed ipertrofia del ventricolo
interessato, in un primo tempo senza dilatazione (che compare poi tardivamente
in fase di peggioramento).
4)
Ostacolato riempimento diastolico con riduzione della rilassanza ventricolare o
compliance, come si osserva nelle miocardiopatie restrittive. Tale meccanismo
gioca però anche un ruolo nella cardiopatia ischemica.
L'insufficienza
cardiaca è caratterizzata da una diminuzione della normale riserva cardiaca,
che è tanto minore quanto più è grave il quadro di insufficienza (classi
funzionali I - II - III secondo la New York Heart Association - NYHA).
Successivamente, quando i meccanismi di compenso diventano del tutto
insufficienti, il cuore è incapace di mantenere una gettata adeguata alle
richieste metaboliche dell'organismo anche in condizioni di riposo (classe IV -
NYHA).
I
segni emodinamici di insufficienza cardiaca sono:
1)
pressioni atriale media e venosa elevate (>10 mmHg);
2)
ipertensione telediastolica ventricolare sinistra (>12 mmHg);
3)
ridotto volume sistolico;
4)
elevata frequenza cardiaca;
5)
ridotto indice e gettata cardiaca (<2,5 l/min/m2);
6)
ridotta frazione di eiezione (<50%);
7)
aumento del consumo miocardico di O2.
Nello
scompenso cardiaco si verificano sia un aumento eccessivo del precarico
(secondario a numerosi meccanismi ormonali e renali con ritenzione di acqua e
sodio), a cui consegue una ridotta efficienza di pompa, sia modificazioni del
postcarico, ugualmente negative.
Infatti,
le resistenze periferiche arteriolari risultano elevate nello scompenso cardiaco
a causa dell'aumento delle catecolamine: non a livello miocardico, dove anzi vi
è una deplezione da stimolazione cronica, ma a livello sistemico per secrezione
surrenalica. Tale aumento delle resistenze periferiche arteriolari (postcarico),
che dovrebbe garantire una sufficiente perfusione tissutale, comporta invece un
ulteriore incremento del consumo di O2 per la maggiore tensione a cui il
ventricolo sinistro è sottoposto.
Le
basi ultrastrutturali dello scompenso cardiaco si comprendono tenendo presenti i
meccanismi della contrazione prima esposti.
Il
cuore scompensato è dilatato oltre il limite massimo tollerabile per
un'efficiente curva di Frank-Starling. L'allungamento delle fibre miocardiche è
tale che i sarcomeri si "sgranano" e actina e miosina perdono contatto
fra loro.
Le
sedi in cui avviene il legame dell'actina sulla miosina sono quindi diminuite
per singola miofibrilla, inoltre è rallentata la velocità di unione delle
proteine contrattili: la contrazione cardiaca risulta quindi insufficiente (fig.09
Il
trattamento farmacologico dello scompenso cardiaco, considerate le premesse
fisiopatologiche fin qui esposte, poggia su tre cardini:
1)
ridurre il precarico (con farmaci ad azione diuretica e vasodilatatori venosi);
2)
ridurre il postcarico (con farmaci vasodilatatori arteriosi);
3)
aumentare la contrattilità miocardica (con farmaci inotropi positivi).
Tratteremo
in dettaglio, in questo capitolo, il terzo gruppo di farmaci; tra questi
figurano, accanto a farmaci ben noti e di sperimentata efficacia, quali i
glucosidi digitalici per i quali alcuni Autori stanno però restringendo le
indicazioni, altre molecole di recente o futura commercializzazione in Italia,
di cui solo nei prossimi anni potremo conoscere appieno pregi e difetti.
Sono
farmaci in grado di migliorare la contrattilità del miocardio scompensato.
Vi
sono essenzialmente tre gruppi:
1)
i glucosidi digitalici;
2)
i simpaticomimetici;
3)
una classe di nuovi farmaci, i cui capostipiti sono l'amrinone ed il milrinone
(non ancora in commercio in Italia), che per definizione non rientrano nelle
prime due.
Con
la denominazione di digitale viene designato l'intero gruppo dei glicosidi
cardioattivi.
Tutti
questi medicamenti posseggono infatti una uguale azione inotropa positiva che è
legata alla comune presenza della struttura ciclica della genina o aglicone,
derivata dal nucleo del ciclopentanoperidrofenantrene; si differenziano invece
per le proprietà farmacocinetiche dipendenti dal numero, da 1 a 4, e dal tipo
di molecole glicidiche legate all'aglicone.
Il
numero dei gruppi ossidrilici (-OH) presenti nella componente glicidica
condiziona la polarità della molecola: tanto più è ricca di ossidrili tanto
più è polare e quindi maggiormente idrosolubile.
Ai
due estremi si collocano la digitossina e la ouabaina, rispettivamente povera e
ricca di gruppi -OH; la digossina è in posizione intermedia (fig.10
Un
glucoside digitalico polare idrosolubile ha le seguenti caratteristiche:
1)
non è assorbito dal tratto gastroenterico, in quanto per l'assorbimento
intestinale è necessaria una certa liposolubilità (essendo la membrana
cellulare costituita da lipidi e proteine);
2)
è assorbito per via parenterale;
3)
viene eliminato completamente attraverso il rene;
4)
ha un'emivita breve.
Viceversa
un glucoside poco polare è lipofilo ed ha le seguenti caratteristiche:
1)
assorbimento totale attraverso il tubo digerente;
2)
eliminazione in parte attraverso il fegato;
3)
emivita lunga.
È accettato dalla maggioranza degli Autori che l'effetto diretto
inotropo positivo della digitale sia dovuto ad una inibizione della ATPasi
Na+-K+ dipendente di membrana: a tale evento consegue un aumento della
concentrazione di calcio intracellulare ed una facilitazione della corrente,
dovuta ai canali lenti del calcio, durante la fase di plateau.
La
digitale non esercita effetti diretti sulle proteine contrattili né sulla loro
interazione, né interviene sul metabolismo energetico.
La
digitale legandosi specificamente alla ATPasi Na+-K+ dipendente ne blocca
l'attività enzimatica ed impedisce il trasporto attivo, contro gradiente, dei
due cationi monovalenti, ne consegue un accumulo di Na+ ed una riduzione del K+
intracellulare.
Il
Ca++ che si trova all'interno della cellula è scambiato con il Na+
extracellulare con un sistema di trasporto condizionato dal gradiente
transcellulare; quando il Na+ intracellulare è aumentato, come avviene per
effetto della digitale, si ha una riduzione nello scambio fra Na+ extracellulare
e Ca++ intracellulare, con un effetto finale di incremento del Ca++
intracellulare (fig.11
Lo
ione non resta nel citoplasma ma viene accumulato nel reticolo sarcoplasmatico,
risultandone una maggiore disponibilità ad ogni potenziale d'azione per
attivare l'apparato contrattile.
Anche
una riduzione della concentrazione intracellulare del K+ ha un'azione inotropa
positiva, inibendo il trasporto all'esterno del Na+.
Inoltre,
con meccanismi non ancora chiariti, si è osservato che l'aumento della
concentrazione del Ca++ intracellulare aumenta il trasporto del Ca++
dall'esterno all'interno della cellula attraverso i canali lenti del calcio
voltaggio-dipendenti, durante la fase 2 di plateau del potenziale d'azione.
Complessivamente,
la digitale causa una diminuzione dell'elettronegatività intracellulare,
riducendo la velocità di salita della fase 0, accorcia la durata della fase 2
di plateau, accorcia la durata della fase 3 di ripolarizzazione rapida, aumenta
la pendenza della fase 4 (fig.12
Gli
effetti bioelettrici della digitale descritti spiegano le modificazioni che essa
induce sul potenziale d'azione, e quindi sull'ECG di superficie, e ne
giustificano le potenzialità sia terapeutiche che tossiche.
Come
già detto la digitale ha un effetto inotropo positivo e nel cuore scompensato
migliora o normalizza la funzione di pompa ventricolare.
Nell'insufficienza
cardiaca l'effetto iniziale è, come nel cuore sano, l'incremento del consumo di
ossigeno a causa dell'aumento della velocità di contrazione e della tensione
parietale.
In
seguito però la gettata sistolica migliora e il residuo telediastolico si
riduce, quindi diminuisce l'area di sezione del ventricolo; ciò comporta,
secondo la legge di Laplace, una riduzione della tensione di parere e del
consumo di O2, maggiore dell'incremento prodotto dall'aumentato livello
inotropico.
Inoltre,
migliorando il compenso, si riduce l'iperattività simpatica reattiva legata,
nello scompenso, alla ridotta gettata cardiaca. La normalizzazione del tono
simpatico determina un rallentamento della frequenza cardiaca e una diminuzione
del tono vasocostrittore arteriolare e venoso: azione indiretta vasodilatatrice
periferica che supera l'azione diretta vasocostrittrice della digitale.
La
riduzione del precarico, del postcarico e della frequenza cardiaca sono tutti
elementi di diminuzione del consumo di O2.
Anche
il miglioramento dell'emodinamica renale, che consegue all'aumento di flusso
ematico ed alla riduzione della vasocostrizione arteriolare renale, diminuisce
il riassorbimento di acqua e di sodio proprio dell'insufficienza cardiaca e
contribuisce quindi a ridurre la pressione venosa e gli edemi.
La
digitale riduce il periodo refrattario dell'atrio e del ventricolo ma aumenta
quello del nodo atrioventricolare, sia direttamente che indirettamente (per
azione vagale), e quindi rallenta la trasmissione di impulsi dall'atrio al
ventricolo in caso di fibrillazione e flutter atriali (effetto cronotropo
negativo della digitale).
La
digitale ha un effetto batmotropo negativo: riduce l'eccitabilità sia atriale
che ventricolare, a dosi elevate; analogamente riduce la velocità di
conduzione, agendo sia sugli atrii sia sui ventricoli (effetto dromotropo
negativo).
Tali
azioni sono riconducibili alla riduzione della elettronegatività del potenziale
di riposo e al rallentamento di velocità di salita della fase 0, come già
detto.
Il
periodo refrattario, sia atriale sia ventricolare, è accorciato (riduzione del
tempo di durata della fase 2 e della fase 3), ciò ha il suo corrispettivo
elettrocardiografico nell'accorciamento del tratto QT, con ST tipicamente
sottoslivellato a concavità verso l'alto.
Il
periodo refrattario è invece allungato a livello del nodo atrioventricolare, il
che spiega, assieme alla ridotta velocità di conduzione nel nodo
atrioventricolare (sia diretta sia vago-mediata) l'allungamento del PQ all'ECG
di superficie. Purtroppo le stesse modificazioni bioelettriche responsabili
dell'azione terapeutica possono innescare effetti indesiderati tossici,
restringendo il margine fra dose terapeutica e dose tossica.
L'automatismo
a livello atriale e ventricolare (la capacità cioè della cellula di produrre
spontaneamente un potenziale d'azione), è aumentato dalla digitale che possiede
un'azione depolarizzante di membrana (aumenta cioè l'inclinazione della curva
di autodepolarizzazione in fase 4): ciò fa sì che la cellula raggiunga prima
il potenziale di soglia critico al quale si sviluppa il potenziale di azione.
Tale
fenomeno è alla base delle aritmie ipercinetiche, sopraventricolari e
ventricolari, che sono una frequente e grave complicazione dell'intossicazione
digitalica.
La
digitale, per qualunque via idonea venga somministrata, si diffonde nel plasma
ove raggiunge rapidamente la sua massima concentrazione, di qui passa poi in
diversi organi e tessuti che costituiscono il primo compartimento di
distribuzione.
La
concentrazione della digitale in questi tessuti non è uniforme, infatti risulta
massima nel rene e minore nel cuore, fegato, polmone e muscoli scheletrici. In
un secondo tempo passa nei tessuti più periferici che costituiscono il secondo
compartimento dell'organismo: in particolare la cute.
In
taluni tessuti, quali l'adiposo, si distribuisce in maniera assai scarsa.
È importante invece tenere presente che si può distribuire nel liquido
anasarcatico extracellulare, con rapido rientro nel distretto vascolare dopo
drastica terapia diuretica.
I
fattori che regolano le modalità di distribuzione della digitale dal sangue ai
tessuti sono:
-
il legame con le proteine plasmatiche;
-
l'emivita del farmaco;
-
la modalità di eliminazione del farmaco.
Le
caratteristiche dei digitalici più utilizzati sono riportate in tab.02
Tra
il momento dell'assunzione della digitale per via orale e quello della comparsa
dei suoi effetti trascorre un variabile intervallo di tempo detto periodo di
latenza (tab.03
In
caso di somministrazione per via endovenosa va ricordato che l'iniezione rapida
comporta inizialmente vasocostrizioe arteriosa con aumento delle resistenze
periferiche.
Ciò
va particolarmente tenuto presente in situazioni acute tipo l'edema polmonare.
La
digitalizzazione può avvenire in modo rapido, con somministrazioni endovenose
ravvicinate, raggiungendo in poche ore una digitalizzazione completa oppure in
modo lento per os.
Occorre
ricordare che se si somministra giornalmente la stessa dose di un farmaco con
emivita di 36 ore, come la digossina, la cui eliminazione è circa il 33% al
giorno e l'assorbimento per os l'80%, la dose assorbita e quella eliminata si
pongono in equilibrio raggiungendo un livello costante dopo una settimana di
trattamento (steady state).
Tuttavia,
se l'intervallo fra le varie somministrazioni è superiore all'emivita del
farmaco, la concentrazione ematica scende rapidamente per poi risalire in modo
irregolare alla ripresa. Pertanto l'abitudine di sospendere due giorni su sette
la digitale può essere giustificata per la digitossina, ma è un errore da
evitare quando si somministra la digossina.
La
dose di attacco conviene sia somministrata 2 o 3 volte al dì per la digitale a
più breve emivita (digossina). Le preparazioni a lunga emivita (digitossina) e
la terapia di mantenimento possono essere somministrate in un'unica dose
giornaliera (tab.04x).
La
posologia va ridotta nell'anziano (a circa metà o 2/3 della dose piena) e
quando coesista una insufficienza dell'organo emuntore (renale per la digossina
e beta-metildigossina, epatica per la beta-metildigossina e digitossina).
La
monitorizzazione della terapia è particolarmente importante in quanto, come già
detto, vi è un ristretto margine fra dose terapeutica e dose tossica.
I
tre criteri da seguire sono:
1)
Criterio clinico: miglioramento dello scompenso, controllo della frequenza
cardiaca specie nella fibrillazione e nel flutter atriale persistente.
2)
Criterio laboratoristico: dosaggio ematico del farmaco.
3)
Attenta ricerca dei segni di effetto digitalico specie all'ECG e dei segni di
intossicazione digitalica di cui si dirà in seguito.
Il
range terapeutico della digossinemia è compreso tra 1-2 ng/ml e tra 10-20 ng/ml
per la digitossinemia, dosate con metodo RIA.
Il
dosaggio della digitalemia va interpretato con estrema cautela ed attenzione per
tre motivi:
1)
vengono dosate anche alcune sostanze endogene che hanno in comune l'anello del
ciclopentanoperidrofenantrene;
2)
la dose di digitale ematica correla, ma solo parzialmente, con la quantità di
digitale legata al miocardio;
3)
gli effetti sia terapeutici sia tossici possono manifestarsi con differenti
quantità di digitale a livello miocardico.
Da
tenere in grande considerazione sono anche le interazioni fra la digitale ed
altri farmaci (vedi tab.05
L'acido
etacrinico, i tiazidici e la furosemide inducono ipopotassiemia e ipomagnesiemia
che possono favorire la comparsa di aritmie ventricolari: dal bigeminismo
extrasistolico alle più gravi tachicardie ventricolari fino alla fibrillazione
ventricolare.
I
diuretici inoltre provocano una deplezione di cloro e sodio. La natriopenia ha
ripercussioni negative sulla capacità contrattile del cuore.
Come
già ricordato la drastica riduzione del liquido extracellulare è in grado di
aumentare la digitalemia e favorire l'intossicazione. L'associazione dei
diuretici risparmiatori di potassio (spironolattone, amiloride, canrenoato di
potassio) evita l'ipotassiemia e riduce l'emivita dei digitalici.
Studi
di farmacodinamica dimostrano che l'effetto terapeutico della digitale è dose
dipendente fino ad un plateau massimo oltre il quale un ulteriore aumento non
produce più effetti consistenti.
Esistono
innumerevoli situazioni in grado di modificare la risposta alla digitale: si
possono verificare intossicazioni digitaliche con una digitalemia bassa oppure
viceversa, casi di refrattarietà (scarsa risposta) con digitalemia alta.
Una
scarsa risposta alla digitale si osserva in caso di:
1)
miocardiopatie;
2)
amiloidosi cardiaca primitiva;
3)
ipertiroidismo;
4)
beri beri;
5)
presenza di anticorpi antidigitale.
Cause
di ipersensibilità alla digitale, in cui si può manifestare una intossicazione
anche con dosaggio adeguato o addirittura con digitalemia bassa, sono invece:
1)
cardiopatia ischemica (ipossia);
2)
miocardiopatie;
3)
amiloidosi cardiaca primitiva;
4)
età avanzata;
5)
ipopotassiemia;
6)
ipomagnesiemia;
7)
ipercalcemia;
8)
ipotiroidismo;
9)
aumento dell'uptake miocardico.
L'intossicazione
digitalica, che è legata alla dose introdotta e non alla velocità di
introduzione, è una delle malattie iatrogeniche più gravi e più frequenti.
L'indice terapeutico è molto ristretto: la dose terapeutica è circa il 50-60%
della dose tossica; i cardiopatici più gravi hanno indici ancora minori, con un
margine di sicurezza molto limitato (fig.13
Fra
le cause più frequenti di intossicazione vi sono:
-
errate posologie;
-
errata assunzione da parte del paziente;
-
interazione con altri farmaci;
-
turbe elettrolitiche;
-
riduzione di funzionalità dei parenchimi emuntori.
Il
quadro clinico dell'intossicazione digitalica si presenta con due gruppi
maggiori di sintomi e di segni: quelli extracardiaci e quelli cardiaci, questi
ultimi assai più temibili.
I
sintomi extracardiaci sono di tre tipi: gastrointestinali, a carico del sistema
nervoso centrale, a carico degli organi di senso.
Gli
effetti indesiderati gastrointestinali, in ordine di comparsa, sono costituiti
da: scialorrea, nausea (abitualmente di tipo centrale per stimolazione della
chemoreceptor trigger zone), vomito, anoressia, diarrea. Gli stessi sintomi
possono essere la conseguenza dell'ipertensione venosa mesenterico-portale
conseguente allo scompenso cardiaco, quindi da soli non sono patognomonici.
I
sintomi a carico del sistema nervoso centrale sono: vomito di tipo centrale,
ronzio auricolare, torpore, agitazione psicomotoria, tremori, nevralgia del
trigemino; più rara è la sintomatologia oculare centrale da nevrite ottica
retrobulbare.
I
disturbi degli organi di senso sono abitualmente oculari: visione gialla o
azzurra.
Gli
effetti indesiderati cardiaci della digitale sono assai più importanti, per le
conseguenze che possono arrivare all'exitus.
La
tossicità digitalica si manifesta con due meccanismi basilari interessanti
l'ettrogenesi:
1)
azione diretta sulle cellule cardiache attraverso gli effetti sul potenziale
d'azione, sull'automaticità, sulla conduzione;
2)
azione indiretta mediata del sistema nervoso autonomo.
Le
aritmie ipercinetiche indotte dalla digitale sono prodotte dall'aumentato
automatismo e dal fenomeno del postpotenziale precoce e tardivo.
Esse
sono:
-
tachicardia atriale con blocco;
-
tachicardia giunzionale;
-
tachicardia ventricolare;
-
fibrillazione atriale;
-
flutter atriale;
-
extrasistolia ventricolare per lo più a tipo bigemino;
-
fibrillazione ventricolare.
Le
aritmie ipocinetiche riconoscono le seguenti cause:
-
rallentamento dell'attività sinusale;
-
allungamento del periodo di conduzione intra-atriale;
-
depressione della conduzione atrioventricolare;
-
allungamento del periodo refrattario giunzionale;
-
sensibilizzazione del nodo del seno all'acetilcolina;
-
azione colinergica o vagale sul nodo del seno e sul nodo atrio-ventricolare.
Le
turbe del ritmo che ne possono derivare sono:
-
bradicardia sinusale e arresto sinusale;
-
blocchi seno-atriali e atrio-ventricolari.
Il
primo provvedimento in caso di turbe del ritmo indotte dalla digitale è
ovviamente la sospensione del farmaco.
Il
trattamento elettivo è la somministrazione di frammenti FAB di anticorpi
anti-digitale (non disponibili in Italia). La colestiramina può aumentare la
velocità di eliminazione della digitossina.
Nelle
aritmie ipocinetiche trovano indicazione l'atropina e i farmaci
simpaticomimetici. In caso di blocchi avanzati può essere indispensabile
l'impianto di un pace-maker provvisorio.
Nelle
aritmie ipercinetiche il trattamento varia a secondo della turba del ritmo e
della compromissione emodinamica.
In
ogni caso bisogna tenere presente che la cardioversione elettrica è
controindicata in caso di intossicazione digitalica e va riservata solo a
situazioni estreme (fibrillazione ventricolare).
Importante
è normalizzare gli elettroliti ed in ogni caso somministrare cloruro di
potassio in infusione lenta per mantenere la kaliemia ai livelli superiori della
norma.
La
difenilidantoina è considerata il farmaco di elezione nelle forme
caratterizzate da alterazioni dell'automatismo atriale e ventricolare.
Altri
farmaci utili sono la lidocaina nella tachicardia ventricolare, il propranololo
nella tachicardie atriali e ventricolari.
L'indicazione
principe è lo scompenso cardiaco in paziente con fibrillazione atriale a rapida
penetrazione ventricolare (se però la turba del ritmo è di recente insorgenza
ed essa stessa è la causa dello scompenso cardiaco, il trattamento elettivo è
la cardioversione elettrica).
Lo
scompenso cardiaco in ritmo sinusale è sempre stato considerato una chiara
indicazione al trattamento digitalico, oggi però molti Autori mettono in dubbio
tale indicazione.
La
digitale viene inoltre utilizzata nel trattamento e nella profilassi di alcune
aritmie di tipo ipercinetico.
Si
può asserire che la digitale è sempre controindicata tranne nei casi in cui vi
sia una netta indicazione, per cui, ad esempio, è da abolire l'abitudine ancora
in voga di prescrivere la digitale nel paziente anziano come terapia preventiva
in corso di interventi chirurgici o di fatti polmonitici in assenza di un quadro
conclamato di scompenso.
La
controindicazione più importante è l'intossicazione digitalica stessa:
ribadire tale concetto non è assurdo in quanto proprio la comparsa di
un'aritmia ipercinetica, dovuta a intossicazione digitalica, può venire
interpretata come insufficiente digitalizzazione.
Altre
controindicazioni alla somministrazione sono:
-
cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva, in quanto può aumentare il grado di
ostruzione;
-
tachicardia sopraventricolare e fibrillazione atriale che insorgono nei pazienti
con preeccitazione ventricolare (Wolff-Parkinson-White), in quanto la digitale,
in presenza di fibrillazione atriale, può rallentare il passaggio degli impulsi
attraverso il nodo AV, facilitando invece il passaggio lungo il fascio di Kent e
favorendo la fibrillazione ventricolare;
-
situazioni in cui è nota la scarsa utilità terapeutica con facilità
all'intossicazione; ad esempio: cuore polmonare cronico, alcune cardiomiopatie
dilatative, amiloidosi cardiaca, tireotossicosi, beri-beri;
-
nell'angina e nell'infarto in ritmo sinusale senza scompenso la digitale è
controindicata perché può peggiorare l'ischemia aumentando il consumo di
ossigeno, inoltre può favorire le aritmie;
-
in caso di turbe elettrolitiche, in particolare l'ipopotassiemia.
In
alcuni casi poi, come già detto, la posologia va ridotta e va posta particolare
cura nel monitorare la terapia: pazienti con insufficienza renale (se si usa
digossina), con insufficienza respiratoria e anossia, durante il trattamento con
farmaci che aumentano la tossicità della digitale.
Il
sistema nervoso autonomo simpatico ha un importante ruolo fisiologico nella
regolazione dello stato di inotropismo del miocardio tramite l'interazione delle
catecolamine endogene con i recettori miocardici alfa- e beta-adrenergici.
Normalmente
la catecolamina endogena noradrenalina è liberata dalle terminazioni nervose
simpatiche del cuore. Le catecolamine circolanti, compresa l'adrenalina di
provenienza dalla zona midollare del surrene, dalle fibre post-gangliari
simpatiche e dai residui cromaffini nei paragangli simpatici (organi di
Zuckerkandl), hanno un ruolo meno importante.
Le
catecolamine hanno tutte lo stesso nucleo catecolico (3-4 diidrobenzene); si
differenziano tra loro per la struttura della catena laterale aminica (fig.14
La
sintesi delle catecolamine avviene partendo da un aminoacido essenziale, la
fenilalanina che viene trasformata in tirosina poi in DOPA, in dopamina ed
infine in noradrenalina ed adrenalina.
Questa
biosintesi si arresta a livelli diversi: essa si ferma alla dopamina nei neuroni
dopaminergici, a livello di noradrenalina nelle fibre postgangliari simpatiche,
mentre prosegue sino all'adrenalina nella midollare del surrene.
Nello
scompenso cardiaco severo i depositi miocardici di catecolamine sono depleti a
causa dell'attività simpatica persistente ed in tale situazione le catecolamine
circolanti assumono un ruolo predominante. Infatti, il livello di catecolamine
circolanti nello scompenso cardiaco è correlato abbastanza bene con il grado di
compromissione emodinamica.
La
funzione cardiaca normale a riposo appare poco modificata dalle catecolamine
circolanti ed in particolare non viene modificata dal blocco farmacologico dei
recettori beta.
All'opposto,
in pazienti con scompenso cardiaco, il trattamento con betabloccanti crea un
importante deficit della funzione miocardica.
Gli
effetti del sistema simpatico sono mediati sia dai recettori alfa sia dai
recettori beta localizzati nel sarcolemma.
Il
miocardio possiede prevalentemente recettori beta-adrenergici, mentre i muscoli
lisci dei vasi sono ricchi di recettori alfa.
Entrambi
i recettori alfa e beta sono stati suddivisi in due sottotipi: rispettivamente
alfa1 e alfa2, beta1 e beta2. I recettori beta1 sono presenti nel miocardio,
mentre i beta2 si trovano nella muscolatura liscia dell'apparato respiratorio e
vascolare (dove la loro stimolazione causa rispettivamente broncodilatazione e
vasodilatazione) e nelle terminazioni nervose presinaptiche, qui la loro
stimolazione provoca un fenomeno di amplificazione con dismissione
intrasinaptica di maggiori quantità di neurotrasmettitori.
Nel
cuore umano i recettori beta2 sono circa il 15%, ed il loro ruolo non è ancora
chiarito.
I
recettori adrenergici alfa1 sono responsabili della maggior parte degli effetti
alfa del simpatico quali la contrazione delle cellule muscolari lisce, sia
vascolari sia non vascolari.
I
recettori alfa2 sono presenti nelle fibre simpatiche postgangliari ed in
posizione postsinaptica in certi letti vascolari.
L'attivazione
degli alfa2 recettori presinaptici inibisce la liberazione della noradrenalina
dalle terminazioni nervose e si oppone alla vasocostrizione, riducendo così le
resistenze periferiche ed il carico anterogrado ventricolare sinistro, mentre la
stimolazione degli alfa2 recettori postsinaptici produce una vasocostrizione.
I
recettori vascolari specifici per la dopamina attualmente definiti
dopamino1-recettori (o DA1-recettori) sono responsabili di una vasodilatazione
principalmente in sede renale, mesenterica, coronarica e cerebrale.
Recettori
distinti, situati sulle terminazioni nervose sinaptiche ed attualmente definiti
dopamino2-recettori (o DA2-recettori), sono i responsabili dell'inibizione
dell'attività dei neuroni simpatici operata dalla dopamina.
Anche
questa azione, in definitiva, si traduce in una vasodilatazione per blocco della
liberazione di noradrenalina. L'attivazione dei DA2-recettori inibisce inoltre
la liberazione di prolattina ed induce il vomito.
L'effetto
inotropo positivo delle catecolamine (o amine simpaticomimetiche) è conseguenza
principalmente della stimolazione dei recettori miocardici beta1-adrenergici.
Analogamente
a quanto avviene per i glicosidi digitalici, il loro effetto consiste in un
aumento della forza sviluppata ed in una maggior velocità di salita della
pressione endoventricolare durante la contrazione cardiaca.
I
simpaticomimetici hanno alcune importanti caratteristiche che li differenziano
dai digitalici:
1)
manifestano il loro effetto molto rapidamente poiché i recettori
beta1-adrenergici sono situati sulla superficie esterna del sarcolemma;
2)
sviluppano un effetto inotropo positivo molto superiore a quello dei digitalici;
3)
accorciano la durata della contrazione ed il tempo di rilasciamento diastolico;
4)
hanno un'azione cronotropa positiva aumentando la frequenza di scarica del nodo
seno-atriale. La tachicardia che ne risulta, con il relativo aumento del consumo
di O2, limita la dose tollerata e quindi l'effetto inotropo che si può
sfruttare a scopo terapeutico;
5)
facilitano ed inducono aritmie ipercinetiche anche a dosi terapeutiche.
Il
meccanismo d'azione degli agonisti adrenergici, legandosi con i recettori di
membrana beta1, consiste nell'attivazione della adenilicociclasi (fig.15
L'aumento
dell'AMPciclico intracellulare (secondo messaggero) determina:
1)
aumento della corrente lenta del calcio durante la fase di plateu portando più
calcio intracellulare durante il potenziale d'azione;
2)
aumento della captazione dei calcio-ioni da parte del reticolo sarcoplasmatico
alla fine della fase di contrazione (fig.16
I
farmaci agonisti adrenergici possono produrre altri effetti, in aggiunta a
quello cardiocinetico, stimolando vari recettori:
1)
recettori beta2-adrenergici vasali: riduzione delle resistenze vascolari
periferiche, cioè vasodilatazione;
2)
recettori alfa-adrenergici: vasocostrizione.
3)
recettori dopaminergici mesenterici e renali: miglioramento del flusso renale e
della diuresi.
Somministrata
endovena è in grado di aumentare in misura significativa la contrattilità e la
perfomance cardiaca stimolando i recettori beta1-adrenergici; esercitando però
contemporaneamente un effetto alfa-adrenergico determina un aumento della
pressione arteriosa che può risultare utile solo quando l'insufficienza
cardiaca si accompagna a grave ipotensione, come nello shock.
In
tale condizione, però, risulta più vantaggiosa la dopamina che, oltre ad
aumentare il livello della pressione arteriosa determina anche un aumento della
portata cardiaca; la noradrenalina al contrario non la modifica o addirittura ne
provoca una riduzione quando il miocardio, anche se stimolato, non è più in
grado di far fronte all'aumento delle resistenze vasali.
L'adrenalina
provoca facilmente aritmie pericolose.
La
dose per infusione venosa continua è di 2-8 mg/min, il farmaco va diluito in
soluzione fisiologica.
Particolare
attenzione va posta nell'evitare l'azione locale per uscita del liquido dalla
vena, in quanto causa necrosi tissutali.
Le
sue indicazioni sono attualmente limitate all'arresto cardiaco, allo shock
anafilattico ed alle crisi broncospatiche resistenti alle altre terapie.
Ha
un intenso effetto stimolante sia sui recettori adrenergici beta1 sia su quelli
beta2.
Oltre
ad aumentare significativamente la contrattilità cardiaca, ha un'importante
azione tachicardizzante ed aritmogena e causa una riduzione della pressione
arteriosa media.
Questa
sua azione vasodilatante si manifesta però soprattutto a livello muscolare e
polmonare, quindi non comporta un miglioramento della perfusione dei distretti
nobili (cervello, cuore, reni). Al contrario, si possono manifestare fenomeni di
ischemia legati alla deviazione del flusso ed al concomitante incremento del
consumo di O2 da parte del cuore (aumento della frequenza e della pressione
sistolica) ed alla diminuita perfusione coronarica (diminuzione della pressione
diastolica).
Trova
indicazione nella correzione acuta di un eccesso di azione dei farmaci
beta-bloccanti, quando non sia possibile il pronto impianto di un pace-maker
temporaneo nei blocchi atrioventricolari nodali sintomatici non sensibili
all'atropina; nelle tachicardie ventricolari con torsione di punta. La dose da
somministrare è di 0,01-0,02 microg/kg/min. per infusione endovenosa lenta.
L'isoproterenolo è controindicato nell'ipertiroidismo, nel feocromocitoma,
nelle altre aritmie ipercinetiche, nell'ipotensione arteriosa.
È un precursore della noradrenalina. Il suo effetto inotropo è dovuto
in parte alla stimolazione dei recettori adrenergici beta1 del sarcolemma ed in
parte alla liberazione di noradrenalina dai depositi miocardici.
La
sua efficacia può risultare limitata nello scompenso cardiaco di lunga durata
dove questi depositi sono in genere ridotti.
La
dopamina provoca tre ordini di effetti, mediati rispettivamente dai recettori
beta-adrenergici (stimolazione cardiaca), dopaminergici (vasodilatazione renale
e splancnica) ed alfa-adrenergici (vasocostrizione sistemica).
Il
fatto che l'attività della dopamina sui diversi recettori si manifesti a
concentrazioni plasmatiche diverse fa presupporre l'esistenza di un progressivo
reclutamento dei recettori in rapporto al dosaggio del farmaco.
I
primi recettori attivati sono i DA1 e i DA2, seguiti dai beta1 ed infine dagli
alfa.
La
dopamina a basse dosi (1-5 microg/kg/min) causa un aumento della perfusione
renale, con azione diuretica, senza apprezzabili effetti sulla frequenza
cardiaca, sulla pressione arteriosa e sull'inotropismo.
A
dosi maggiori (5-10 microg/kg/min) sono evidenti gli effetti cardiaci
sull'inotropismo, con aumento della contrattilità, della gettata e modesto
incremento della frequenza. A dosi ancora più elevate si ha in genere un netto
aumento delle resistenze periferiche (azione alfa-adrenergica) specialmente a
livello cutaneo e muscolare.
A
tali dosi il tono alfa-adrenergico vasocostrittore prevale su quello
dopaminergico e di conseguenza si verifica una diminuzione del flusso anche a
livello renale, seppure in misura molto minore rispetto alle altre catecolamine.
L'interdipendenza
delle varie azioni recettoriali con la possibile prevalenza dell'una sull'altra
e la variabilità individuale della risposta rendono necessari:
1)
l'infusione mediante pompa per garantire la precisione della somministrazione;
2)
un costante monitoraggio emodinamico.
La
dopamina può essere diluita in soluzione fisiologica o glucosata, non con il
bicarbonato che la inattiva. Essa viene rapidamente metabolizzata dalla dopamina
beta-idrossilasi e dalla monoaminoossidasi ed eliminata poi per via renale. La
breve emivita del farmaco facilita il controllo della terapia.
La
dopamina e la dobutamina (non ancora in vendita in Italia) rappresentano
attualmente i farmaci cardiocinetici di impiego più corrente nello shock e
nello scompenso cardiaco refrattario.
La
dopamina in particolare è indicata nello shock secondario a infarto miocardico
acuto, nelle condizioni di deficit di pompa dopo interventi cardiochirurgici,
nelle condizioni di oliguria con shock, nello scompenso cardiaco acuto e
cronico.
Come
già detto la terapia va monitorizzata in quanto nel corso della
somministrazione si possono verificare effetti collaterali indesiderati quali
ipertensione, tachicardia, aritmie ipercinetiche, angina specie con dosi elevate
in pazienti affetti da cardiopatia ischemica.
E'
un farmaco controindicato negli ipertiroidei e nei pazienti con anamnesi nota di
aritmie maggiori.
Particolare
cautela va posta nell'evitare gli stravasi nel luogo di infusione, che possono
causare necrosi tissutali, e nel ridurre il dosaggio di infusione in modo
graduale per evitare importanti fenomeni ipotensivi.
Tra
le associazioni farmacologiche favorevolmente sfruttabili in terapia vi sono
quelle con vasodilatatori venosi ed arteriosi (ad esempio nitroprussiato e
trinitroglicerina).
È un farmaco simpaticomimetico di sintesi, utilizzabile solo per via
parenterale, costituito da una miscela racemica che, come tale, ha un'efficacia
corrispondente alla somma di quelle dei singoli isomeri.
I
singoli isomeri sono composti vasoattivi estremamente potenti, ma la miscela
recemica utilizzata possiede effetti vascolari.
Tale
apparente paradosso può essere spiegato dal fatto che l'isomero levogiro è un
potente agente alfa-agonista, quindi ipertensivizzante, mentre l'isomero
destrogiro esercita una azione beta2-agonista ipotensiva; le due azioni tendono
pertanto ad annullarsi reciprocamente senza indurre alcuna variazione delle
resistenze vascolari sistemiche, né alcun aumento o diminuzione della pressione
arteriosa.
Come
per la dopamina il suo effetto è immediato, l'emivita estremamente breve e
l'azione cessa immediatamente con la sospensione dell'infusione; l'eliminazione
avviene per via renale.
Gli
effetti emodinamici possono ridursi dopo alcune ore dall'inizio del trattamento,
tanto da richiedere il continuo incremento della posologia.
A
parità di effetto emodinamico la dobutamina provoca tachicardia e aritmie in
misura molto inferiore rispetto alla dopamina ed all'isoproterenolo. Rappresenta
quindi il cardiocinetico ideale per ottenere un effetto inotropo positivo
immediato nel cuore scompensato, quando non sia presente ipotensione arteriosa.
La
peculiarità più interessante della dobutamina nello scompenso cardiaco è
quella di migliorare il gradiente fra la pressione diastolica (di perfusione
coronarica) e la pressione di riempimento ventricolare sinistro, e di esercitare
un effetto inotropo positivo spiccato senza aumentare significativamente la
frequenza sinusale e senza ridurre conseguentemente il tempo diastolico totale,
favorendo in tal modo la perfusione coronarica. Queste caratteristiche rendono
la dobutamina un farmaco utile nello shock cardiogeno conseguente all'infarto
miocardico acuto.
Nell'insufficienza
cardiaca viene infusa alla velocità di 2,5-15 microg/kg/min; si osserva un
aumento della portata cardiaca dose dipendente, senza aumenti di frequenza
significativi fino ad un dosaggio di 6 microg/kg/min, e una riduzione della
pressione di incuneamento capillare polmonare, per diminuzione della pressione
telediastolica ventricolare sinistra conseguente alla migliorata performance
cardiaca.
Gli
effetti indesiderati: (ipertensione, tachicardia, angor, cefalea, nausea) sono
sovrapponibili a quelli della dopamina.
L'ibopamina,
estere dusobutirrico della N-metil-dopamina, è un farmaco attivo per via orale
che ha dimostrato multiple azioni sui recettori, simili a quelle esercitate
dalla dopamina. L'ibopamina è in grado di attraversare la barriera intestinale
e viene poi idrolizzata da alcune esterasi plasmatiche con formazione di un
metabolita attivo.
Il
picco di concentrazione plasmatica è raggiunto dopo 30-60 min con successivo
decremento entro due ore: l'effetto emodinamico può persistere per cinque ore.
Rispetto alla dopamina è più attiva sui recettori DA1, DA2 e beta, ma meno
sugli alfa. Non modifica sostanzialmente la frequenza cardiaca e la pressione
arteriosa, determina un miglioramento della funzione cardiaca e della diuresi;
tali azioni si mantengono nel tempo, anche dopo mesi di trattamento.
Fra
gli effetti indesiderati vi è la pirosi gastrica; è inoltre segnalato da
alcuni Autori l'incremento dell'extrasistolia ventricolare, specie nei cuori
ischemici.
Il
dosaggio è di 100 mg 2 o 3 volte al dì.
L'ibopamina
può avere un ruolo importante nel trattamento a lungo termine dello scompenso
cardiaco; tuttavia, indagini controllate sono ancora necessarie per definire con
esattezza le indicazioni precise ed i limiti di una terapia protratta.
Altri
due composti simpaticomimetici, anch'essi utilizzabili per via orale, sono
ancora in fase di studio: il prenalterolo e il pirbuterolo.
È un farmaco simpaticomimetico che produce, nello scompenso cardiaco,
effetti emodinamici utili conseguenti, più che all'azione inotropo positiva,
alla vasodilataizone periferica, mediata dalla stimolazione dei recettori
beta2-adrenergici. La presenza di effetti collaterali sul sistema nervoso
centrale (tremori, irritabilità) ne limita la tollerabilità, mentre l'ampia
variabilità nella risposta individuale ne limita la validità terapeutica.
E'
un agente inotropo positivo beta1-mimetico specifico. Il meccanismo di azione e
la sua efficacia si sono rivelati corrispondenti a quelli della dobutamina.
Questo farmaco migliora gli indici di contrattilità cardiaca interferendo solo
minimamente con il consumo di O2, con la frequenza cardiaca e con la pressione
arteriosa. Non avendo azione dopaminergica non modifica il flusso renale nè
l'eliminazione del sodio.
L'efficacia
è stata dimostrata per somministrazioni orali acute, ma va ancora vagliata la
persistenza dell'azione terapeutica nel tempo. Anche per il prenalterolo sono
stati descritti incrementi dell'attività ectopica ventricolare.
Sebbene
molte amine simpaticomimetiche abbiano dimostrato di avere un buon effetto
inotropo positivo per un breve periodo di tempo, esse possono perdere la loro
azione emodinamica per somministrazioni prolungate.
Il
fenomeno della tachifilassi, dovuto alla progressiva perdita di sensibilità dei
recettori beta-adrenergici con conseguente mancata risposta ai
simpaticomimetici, rappresenta, in pratica, un grosso limite all'uso prolungato
di questa categoria di farmaci.
Esso
sembra imputabile sia ad una riduzione del numero dei recettori
beta-adrenergici, sia ad una minore capacità del recettore stimolato nel
promuovere l'azione dell'adenilato-ciclasi. Questo fenomeno è stato osservato
in vitro, ma pare sia di primaria importanza anche in vivo.
È stato dimostrato, nel miocardio di cani con scompenso cardiaco
artificialmente indotto ed in quello di pazienti con grave scompenso cardiaco,
che vi è una ridotta sensibilità ai simpaticomimetici, associata ad una
riduzione del numero dei recettori beta: ciò probabilmente è dovuto alla loro
continua stimolazione da parte dell'alta concentrazione di catecolamine
circolanti.
La
comparsa di tolleranza si è osservata anche durante la somministrazione per un
breve periodo di dobutamina: mantenendo una concentrazione plasmatica costante
del farmaco il 43% dell'effetto emodinamico è perso dopo infusione continua per
96 ore. Una possibile eccezione allo sviluppo della tachifilassi per i
simpaticomimetici pare sia rappresentata dalla ibopamina, per cui è stata
dimostrata l'efficacia anche dopo mesi di terapia, e per la levodopa che è
convertita a dopamina in situ.
Il
fatto che alcuni simpaticomimetici si comportano da agonisti completi ed altri
da agonisti parziali può giocare un ruolo importante nel fenomeno di ridotta
sensibilità del recettore (down regulation).
Un
agonista parziale produce una stimolazione recettoriale meno intensa rispetto a
un agonista completo. Se i recettori sono occupati da un agonista parziale è
impossibile la stimolazione da parte di un agonista completo (più intensa), per
cui l'agonista parziale si comporta in parte come un beta-bloccante.
Confrontati
con gli agonisti completi, gli agonisti parziali attivano i recettori in maniera
meno efficace ed un maggior numero di recettori deve essere attivato per avere
un analogo effetto emodinamico.
Di
conseguenza, una riduzione nel numero dei recettori dovuto alla down regulation
causa una maggiore perdita di risposta ad un agonista parziale rispetto ad un
agonista completo. Sulla distanza quindi un'amina simpaticomimetica mantiene la
propria attività se dotata di un'azione agonistica totale e se la
somministrazione è intermittente piuttosto che continua.
I
recettori alfal-adrenergici sono presenti in abbondanza nel miocardio e, quando
vengono stimolati, si osserva un effetto inotropo positivo. Non è noto come
avvenga questa azione, però si sa che questi recettori non agiscono tramite le
stesse tappe biochimiche dei recettori beta e non attivano l'adenilato-ciclasi.
Alcuni Autori avanzano l'ipotesi che l'azione dei recettori alfa1-adrenergici
sia mediata dal sistema del fosfatidilinositolo, che agirebbe come secondo
messaggero.
La
stimolazione dei recettori alfa-adrenergici del miocardio differisce
qualitativamente da quella dei recettori beta: l'effetto alfa si sviluppa
lentamente e si manifesta con l'allungamento della contrazione, mentre con
l'effetto beta si ha immediatamente un accorciamento del tempo di contrazione.
La
stimolazione alfa, all'opposto della stimolazione beta, non aumenta
l'automaticità del nodo del seno e quindi non produce un'azione cronotropo
positiva. Inoltre, gli effetti degli agonisti alfa-adrenergici sono più
pronunciati a basse frequenze ed in associazione a ipotiroidismo, ipotermia,
blocco farmacologico beta-recettoriale.
L'importanza
fisiologica dei recettori alfa-miocardici resta ancora da definire con certezza.
In
campo terapeutico, poiché la stimolazione dei recettori alfa causa una
vasocostrizione periferica intensa, è improbabile che gli alfa-agonisti possano
essere utilizzati nel trattamento dello scompenso cardiaco. Tuttavia, come
descritto per la dobutamina, una moderata attività alfa-agonista può produrre
un utile aumento di contrattilità, senza interferenze sul cronotropismo, e, se
associata ad una terapia vasodilatatrice, senza aumento delle resistenze
sistemiche vascolari.
Il
terzo gruppo di farmaci inotropi di nuova generazione, diverso dai digitalici e
dai simpaticomimetici, ha come capostipiti l'amrinone e il milrinone, molecole
studiate dal punto di vista farmacologico, tossicologico e clinico soprattutto
negli USA.
Essi
sono derivati bipiridinici con struttura chimica del tutto originale (vedi fig.17
L'amrinone
è il primo farmaco di questa nuova classe di agenti inotropi ad essere stato
scoperto ed è quello più a lungo studiato (è attualmente disponibile un'ampia
letteratura di carattere sperimentale e clinico); recentemente introdotto in
terapia negli USA, in forma iniettabile, è ora in procinto di essere registrato
anche in Italia.
L'attività
inotropa positiva dell'amrinone deriva da un meccanismo d'azione non mediato da
legami recettoriali.
Oggi
si ritiene che il meccanismo d'azione sia legato alla capacità di inibire la
fosfodiesterasi, determinando di conseguenza un aumento della disponibilità
intracellulare di AMPciclico (fig.16
L'effetto
finale, comune agli altri farmaci inotropi positivi già descritti, è l'aumento
di Ca++ intracellulare disponibile per la contrazione.
Il
fatto che sia l'azione inotropo positiva sia quella vasodilatatrice sono
correlate ad un aumento dei livelli intracellulari di AMP-ciclico, è confermato
dall'osservazione sperimentale che il carbacol, un agente muscarinico che
inibisce l'adenilato-ciclasi, deprime l'effetto inotropo positivo dell'amrinone.
Inoltre, le modificazioni osservate con la somministrazione di amrinone sono
quelle che ci si aspetta dall'incremento dell'AMPciclico. A livello delle
fibrocellule muscolari dei vasi arteriosi di resistenza, infatti, l'aumento
intracellulare dell'AMPciclico produce effetti opposti a quelli mediati
dall'AMPciclico a livello del sarcoplasma e della membrana sarcolemmatica: nelle
cellule muscolari lisce dei vasi si osserva una riduzione del flusso dei
calcio-ioni attraverso i canali del calcio diretto all'interno della cellula ed
un accelerato allontanamento dal distretto intracellulare.
La
diminuita disponibilità di Ca++ è responsabile del ridotto tono muscolare e
del rilasciamento della muscolatura liscia vasale (vedi fig.18
Alcuni
ricercatori sostengono che l'amrinone possiede la proprietà di intervenire
direttamente sul ricambio intracellulare del calcio, facilitandone l'ingresso
nelle fibrocellule miocardiche. Su eritrociti di cane è stato effettivamente
dimostrato che il trattamento con amrinone aumenta il flusso intracellulare di
calcio. In conclusione, è verosimile che l'amrinone esplichi la propria attività
inotropa e vasodilatatrice per inibizione della fosfodiesterasi F III, tuttavia
non si può escludere che, per quanto riguarda l'effetto inotropo, esso possa
intervenire anche direttamente, modificando la disponibilità intracellulare
dello ione calcio (nel cuore sono note 3 fosfodiesterasi di cui solo la III è
specifica per l'AMPciclico; amrinone e milrinone inibiscono elettivamente il
tipo III, le xantine agiscono invece su tutte le fosfodiesterasi).
L'azione
inotropa positiva è diminuita da un pretrattamento con antagonisti dei canali
del calcio o dall'immersione del preparato in vitro in un mezzo povero di calcio
ioni. Gli effetti dell'amrinone sulle proprietà bioelettriche delle
fibrocellule a risposta "rapida" (cioè delle fibre del Purkinje e
delle fibre del miocardio di lavoro) sono risultati di poca importanza.
Sperimentazioni in vitro hanno dimostrato scarso effetto sulle diverse fasi del
potenziale di azione delle fibre del Purkinje, senza alterazioni
dell'eccitabilità, dell'automaticità, dell'insorgenza di post-potenziali. Tale
fatto pone l'amrinone in una posizione di vantaggio rispetto ai digitalici e dai
simpaticomimetici in quanto meno aritmogeno.
Diversamente
agisce l'amrinone sulle fibrocellule a risposta "lenta" infatti sulle
fibrocellule del nodo del seno determina incremento della velocità di
depolarizzazione diastolica con conseguente aumento dell'attività automatica,
dell'ampiezza del potenziale di azione e della velocità di ascesa della fase 0.
L'amrinone
quindi determina un aumento della frequenza cardiaca.
L'azione,
come si è detto, è verosimilmente sia di tipo diretto sui canali del calcio
sia di tipo indiretto, mediata dall'aumento di concentrazione intracellulare di
AMPciclico.
A
livello del nodo atrio-ventricolare l'amrinone determina un significativo
accorciamento della durata del periodo refrattario effettivo e funzionale, con
conseguente effetto facilitante la conduzione dello stimolo attraverso tale
struttura.
Pertanto
in caso di fibrillazione e flutter atriale l'effetto facilitante la penetrazione
atrio-ventricolare deve essere controbilanciato dalla contemporanea
somministrazione di digitalici, che aumentano la refrattarietà del nodo AV.
All'elettrocardiogramma
di superficie non sono state osservate variazioni significative degli intervalli
PR, QRS e del QTc, così come non sono risultati influenzati dal farmaco gli
intervalli AH e HV ed il tempo di recupero del nodo del seno. Come già detto,
il farmaco aumenta la frequenza di scarica del nodo del seno, ma in maniera
inferiore rispetto ai simpaticomimetici: l'incremento medio della frequenza
cardiaca è del 2%.
Anche
la potenzialità aritmogena dell'amrinone risulta limitata.
Studi
di farmacocinetica dimostrano che il farmaco è ben assorbito per os, con picco
della concentrazione plasmatica dopo un'ora dall'assunzione.
L'emivita
dell'amrinone varia da circa 2 ore nei soggetti sani a oltre 12 nei soggetti con
grave scompenso cardiaco. Esso viene metabolizzato con un processo di
coniugazione a livello epatico e poi eliminato prevalentemente per via renale,
in maggior parte immodificato.
La
somministrazione orale o venosa dell'amrinone nei pazienti con scompenso
cardiaco causa un significativo aumento dell'indice cardiaco e della gettata
cardiaca, una riduzione della pressione telediastolica ventricolare sinistra ed
una riduzione delle resistenze vascolari sistemiche. La frequenza cardiaca e la
pressione arteriosa sistemica sono poco modificate.
È ancora dibattuto quanto il miglioramento emodinamico globale sia
dovuto al migliorato inotropismo cardiaco e quanto invece alla riduzione del
postcarico, per la vasodilatazione arteriosa, e del precarico, per la
vasodilatazione venosa. Alcuni ricercatori hanno riscontrato quasi
esclusivamente un effetto sul postcarico, altri invece hanno dimostrato un
miglioramento del livello inotropico.
È logico pensare ad una associazione dei due fenomeni ed alla possibilità
che diversi dosaggi del farmaco e la variabilità delle condizioni emodinamiche
dei pazienti prima del trattamento possano fare predominare l'uno o l'altro
effetto. Inoltre, è stato documentato un miglioramento della performance
cardiaca durante sforzo sia in caso di somministrazione venosa a breve termine,
sia in caso di somministrazione orale protratta.
Sul
lungo periodo sono stati osservati fenomeni di tachifilassi: non tutti gli
sperimentatori sono concordi nel considerare utile la terapia a lungo termine.
Alcune ricerche hanno dimostrato un rapido deterioramento delle condizioni
emodinamiche alla sospensione del farmaco nei pazienti trattati per molto tempo,
tanto che è stato ipotizzato che una terapia protratta possa accelerare
l'evoluzione della storia naturale dello scompenso. Indagini controllate non
dimostrano variazioni di mortalità fra il gruppo dei trattati con amrinone e
quello con placebo.
Sebbene
tutti i farmaci inotropi positivi possono potenzialmente aumentare il consumo di
O2, ciò non è stato dimostrato per l'amrinone, quando usato in situazioni di
scompenso, verosimilmente a causa dell'effetto positivo esercitato sulla
riduzione del volume cardiaco e del postcarico. Nel cuore ischemico non
scompensato invece il farmaco può aumentare il consumo di O3 e peggiorare una
malattia coronarica concomitante.
Dati
sperimentali dimostrano che l'infusione venosa continua determina, con effetto
immediato, un incremento dell'indice cardiaco dal 30% al 60% (a seconda delle
casistiche), e una riduzione del consumo di O2 del 30%; gli effetti collaterali
indesiderati sono scarsi (tab.06
In
conclusione, considerando l'esperienza dei diversi gruppi di ricerca, è
possibile affermare che l'amrinone è un farmaco dotato di comprovata efficacia
terapeutica; tale qualità, unitamente al favorevole rapporto rischio/beneficio,
lo rende idoneo alla terapia a breve termine dello scompenso cardiaco acuto
refrattario alla terapia convenzionale.
Il
trattamento orale a lungo termine, invece, non è stato approvato dal F.D.A.
americano a causa degli importanti e frequenti effetti collaterali non
controbilanciati da una efficacia terapeutica sicuramente comprovata. Una
discreta percentuale di soggetti ha manifestato intolleranza gastroenterica,
piastrinopenia dose-dipendente (imputabile ad un meccanismo tossico con ridotta
vita media delle piastrine), alterazioni della funzionalità epatica, febbre,
cefalea, parestesie, aritmie (dubbie).
La
posologia della somministrazione endovenosa è la seguente: inizio terapia bolo
endovenoso di 0,75 mg/kg in 3 minuti, dose di mantenimento 5-10 microg/kg/min.
dose giornaliera massima 10 mg/kg.
La
somministrazione deve avvenire sotto monitorizzazione del ritmo cardiaco e dei
principali parametri emodinamica.
È un farmaco derivato dall'anello bipiridinico, assai simile come
molecola all'amrinone di cui rappresenta un'evoluzione farmacologica in quanto,
confrontato con il predecessore, presenta tre vantaggi:
1)
è 15 volte più potente a parità di dosaggio;
2)
mantiene un'efficacia nel tempo per somministrazioni prolungate anche per os;
3)
presenta minori effetti collaterali.
Sono
stati dimostrati effetti inotropo positivo e vasodilatatore, sia dopo
somministrazione orale che endovenosa ampiamente sovrapponibili a quelli
dell'amrinone.
Anche
per il milrinone tali effetti sono accentuati dall'adrenalina e ridotti dal
verapamile e dagli agonisti muscarinici (carbacol); è quindi verosimile che il
meccanismo d'azione si esplichi tramite l'aumento dell'AMPciclico. In pazienti
con grave scompenso cardiaco, il milrinone ha un effetto analogo alla dobutamina
nell'aumentare la gettata cardiaca, ma un più importante effetto vasodilatatore
periferico.
Paragonato
al nitroprussiato, ad analogo effetto vasodilatatore corrisponde una maggiore
azione sulla gettata cardiaca dimostrando così un effetto inotropo positivo
diretto.
Tale
effetto è stato studiato anche con la tecnica dell'infusione intracoronarica di
milrinone, che dimostra un miglioramento della contrattilità senza un effetto
vasodilatatore periferico.
Ai
pazienti, trattati con milrinone intracoronarico, è stato poi somministrato il
farmaco in infusione venosa, ottenendo in tal modo una riduzione delle
resistenze periferiche e un ulteriore incremento della gettata; ciò dimostra
che l'effetto emodinamico totale è dovuto all'azione combinata sull'inotropismo
e sulla vasodilatazione.
Vi
sono anche dimostrazioni sperimentali che il farmaco migliora gli indici di
compliance ventricolare diastolica. Nei pazienti con grave scompenso cardiaco
non aumenta il consumo di O2 ed esercita un'azione di vasodilatazione
coronarica.
Il
flusso renale e la diuresi sono aumentati durante il trattamento, l'incremento
della frequenza cardiaca è risultato del 10% circa.
È stato inoltre documentato che l'effetto inotropo del milrinone non si
esaurisce nel tempo e che non si manifestano fenomeni di tachifilassi.
La
sospensione del trattamento dopo terapia prolungata causa un deterioramento
immediato delle condizioni emodinamiche che vengono nuovamente normalizzate
dalla ripresa della terapia.
Come
per l'amrinone il trattamento con milrinone non arresta la progressione della
malattia né prolunga la sopravvivenza. Gli effetti emodinamici sono evidenti
dopo 10-30 minuti della somministrazione orale; la durata d'azione è stata
valutata in 5 ore circa.
Dopo
somministrazione orale di una dose di 10 mg si registra il picco di
concentrazione plasmatica a distanza di 100 minuti circa; ad esso corrisponde il
massimo incremento dell'indice cardiaco (+50%) e la massima riduzione della
pressione capillare polmonare
(-43%).
La
dose di 10 mg sembrerebbe, fra le diverse valutate, la più idonea al
trattamento cronico, infatti a distanza di 6 ore dalla somministrazione, gli
effetti emodinamici sono ancora chiaramente apprezzabili (indice cardiaco + 20%
rispetto alle condizioni basali e pressione capillare polmonare - 15%). In
considerazione dell'emivita del farmaco la posologia consigliata per un
trattamento cronico è di 10 mg ogni 6 ore. Il milrinone è meglio tollerato
rispetto all'amrinone: non causa febbre né piastrinopenia e l'intolleranza
gastrica è rara; il potere aritmogeno è basso.
L'eliminazione
del farmaco avviene prevalentemente per via renale in gran parte immodificato,
in piccola parte coniugato a livello epatico.
Abbiamo
sino ad ora esaminato i 3 gruppi principali di farmaci inotropi positivi di
comprovata efficacia e di pratica utilizzazione.
Resta
ancora da menzionare, per completezza, un quarto gruppo di farmaci ad azione
inotropa positiva con differente meccanismo d'azione che possiamo considerare,
al momento, di scarsa importanza pratica, in quanto presentano un minore indice
terapeutico oppure sono ancora in fase di sperimentazione.
Oltre
ai noti recettori beta-adrenergici, altri recettori cardiaci del sarcolemma,
compresi quelli per il glucagone e l'istamina, sono legati al sistema
dell'adenilatociclasi e quando vengono stimolati sono in grado di aumentare
l'AMPciclico endocellulare.
Il
glucagone è un ormone polipeptidico pancreatico in grado di aumentare
l'AMPciclico e di esercitare pertanto un effetto inotropo positivo.
È un farmaco che può trovare indicazione nello scompenso precipitato
dall'uso incongruo di beta bloccanti; la sua utilizzazione è però limitata dai
seguenti fattori negativi: fenomeno di tachifilassi, alta percentuale di effetti
collaterali metabolici e gastrointestinali, bassa efficacia sull'inotropismo.
L'istamina
possiede recettori H2 che, se stimolati, incrementano l'AMPciclico. Agonisti
istaminergici sono stati sperimentati nell'animale, ma l'alta percentuale di
effetti collaterali ne preclude l'utilizzazione terapeutica nell'uomo.
La
forskolina è un biterpene estratto dalle radici di una pianta indiana, agisce
direttamente come stimolatore dell'adenilato-ciclasi e induce un aumento
dell'AMPciclico, senza mediazione recettoriale, causando incremento
dell'inotropismo cardiaco e vasodilatazione periferica. Attivo sia per vena sia
per os presenta caratteristiche attraenti, ma è limitato nelle possibilità di
impiego dall'importante effetto cronotropo positivo che esercita.
Il
cuore normale possiede riserve di catecolamine endogene, che vengono dismesse
sotto stimolazione simpatica.
Alcuni
farmaci simpaticomimetici, come il metaraminolo e la tiramina, agiscono
liberando tali depositi di catecolamine. Questi farmaci hanno però valore
terapeutico limitato in quanto sono soggetti al fenomeno della tachifilassi ed
inoltre il cuore cronicamente scompensato, le cui riserve sono già esaurite ed
i cui recettori beta-adrenergici hanno già subito il fenomeno della down
regulation, non risponde più ai simpaticomimetici indiretti.
L'AMPciclico,
sperimentato in vitro su fibre miocardiche, produce un effetto sull'inotropismo
analogo a quello dei simpaticomimetici. Anche la somministrazione in vivo si è
dimostrata efficace, pur essendo l'effetto terapeutico limitato dalla rapida
degradazione da parte della fosfodiesterasi.
Un
nucleotide ciclico di sintesi, analogo all'AMPciclico (l'AMPciclico
dibutirrico), è resistente all'inattivazione della fosfodiesterasi e mantiene a
lungo il suo effetto inotropo positivo. E' stato somministrato sperimentalmente
per infusione venosa a pazienti con scompenso cardiaco ottenendo discreti
risultati.
Le
cellule muscolari cardiache contengono almeno tre enzimi che sono in grado di
inattivare l'AMPciclico degradandolo: essi sono chiamati fosfodiesterasi. Gli
inibitori della fosfodiesterasi, riducendo la degradazione dell'AMPciclico, ne
causano una aumentata concentrazione intracellulare che migliora il livello di
inotropismo, con il meccanismo già precedentemente descritto.
Composti
di largo impiego che agiscono da inibitori della fosfodiesterasi sono la
teofillina (1-3 dimetilxantina) e la caffeina (1-3-7 trimetilxantina).
L'azione
inotropa positiva delle metilxantine deriva da numerosi e complessi effetti che
queste sostanze producono:
1)
inibiscono la fosfodiesterasi aumentando la concentrazione di AMPciclico
intracellulare di calcio;
2)
antagonizzano direttamente l'effetto dell'adenosina, un nucleotide endocellulare
derivato dal catabolismo dell'ATP, che possiede un effetto vasodilatatore
coronarico ed un'azione inotropa negativa;
3)
riducono il processo di immagazzinamento del calcio nel reticolo sarcoplasmatico
aumentando la disponibilità del calcio a legarsi con la troponina;
4)
aumentano l'affinità delle proteine contrattili per il calcio con una azione
diretta sulla troponina;
5)
stimolano la sintesi e la dismissione delle catecolamine endogene;
6)
potenziano gli effetti degli agonisti beta-adrenergici.
L'interazione
dei differenti meccanismi sopra esposti porta come risultato finale ad un
migliore livello inotropico del miocardio, anche se resta ancora controverso
quale sia l'effetto farmacologico dominante. Nel caso degli inibitori selettivi
della fosfodiesterasi F III precedentemente descritti (amrinone e milrinone)
l'effetto inotropo positivo è correlato con i livelli di AMPciclico; per le
metilxantine, invece, è stato osservato che l'effetto inotropo positivo si
manifesta già a dosaggi inferiori a quelli richiesti per inibire in vitro la
fosfodiesterasi. È stata
data particolare importanza all'azione della teofillina come antangonista
competitivo per i recettori dell'adenosina (che come si è detto possiede
un'azione inotropa negativa), però questo meccanismo non si osserva per altre
xantine che pure hanno un'azione inotropa.
Le
metilxantine, pur possedendo un effetto inotropo positivo, non sono di grande
utilità terapeutica nello scompenso cardiaco: la loro azione è relativamente
debole, hanno effetti collaterali gastroenterici e neurologici, esercitano una
spiccata azione cronotropa positiva aumentando il consumo di O2, sono
potenzialmente aritmogene.
Altri
inibitori della fosfodiesterasi, con effetti simili ai due capostipiti amrinone
e milrinone, sono in fase di sperimentazione; fra questi vi sono due derivati
imidazolonici: fenoximone (MDL 17043) e piroximone (MDL 19205); un derivato
imidazopiridinico: sulmazolo (ARL 115 BS) ed un derivato imidazochinolinico (RO
13-6438).
Gli
effetti farmacologici ed emodinamici del fenoximone sono assai simili a quelli
dei derivati bipiridinici amrinone e milrinone. Anche questo composto è un
inibitore della fosfodiesterasi F III, ma in più è stata dimostrata, ad alte
dosi, una azione di inibizione della ATPasi-Na-K dipendente.
Come
per l'amrinone ed il milrinone gli effetti farmacologici del fenoximone non sono
inibiti dai beta-bloccanti, dalla deplezione catecolaminica, dal blocco dei
recettori istaminergici. È
stata dimostrata, inoltre, sperimentalmente un'azione vasodilatatrice diretta.
Dosi sufficienti a produrre un effetto inotropo positivo si sono dimostrate
incapaci di causare un incremento cronotropo significativo.
L'aumento
del volume telediastolico durante trattamento infusionale ha anche suggerito un
ulteriore meccanismo: il miglioramento della compliance ventricolare miocardica.
Il farmaco si è dimostrato attivo per os, la comparsa dell'effetto si ha dopo
10 minuti ed il picco dopo 1 ora dalla somministrazione.
Gli
effetti emodinamici persistono per almeno 8 ore dopo una singola dose orale, pur
in presenza di concentrazioni plasmatiche assai basse, forse perché il
fenoximone viene rapidamente metabolizzato a piroximone, un composto ancora
attivo.
La
terapia orale a lungo termine è complicata da un'alta percentuale di effetti
collaterali, fra cui nausea, vomito e diarrea. È stata descritta anche piastrinopenia, con frequenza
inferiore all'amrinone.
Il
piroximone (MDL 19205) è un altro farmaco imidazolonico, metabolita del
fenoximone. Agisce sia inibendo la fosfodiesterasi, sia inducendo
vasodilatazione periferica.
Il
suo profilo farmacologico è simile, per quanto riguarda gli effetti
emodinamici, al fenoximone; in confronto alla dobutamina ha un maggior effetto
nel ridurre la pressione polmonare di incuneamento capillare. E' attivo per os
con una potenza 5-10 volte superiore al fenoximone. Gli effetti collaterali non
sono ancora stati sufficientemente studiati.
Il
sulmazolo (ARL 115 BS) è una molecola fenil-imidazolpiridinica con azione
simile a milrinone ed amrinone, attiva sia per via parenterale che per os.
All'efficacia
cardiocinetica, paragonabile a quella della dobutamina, si aggiungono le
proprietà di vasodilatatore arterioso; l'azione aritmogena e l'aumento della
frequenza cardiaca sono minimi.
Il
suo meccanismo d'azione non è probabilmente unico, oltre alla inibizione della
fosfodiesterasi include, anche se ciò non è stato del tutto chiarito, una
facilitazione nella utilizzazione del calcio e una liberazione di catecolamine
endogene. L'efficacia come inotropo positivo è ben documentata, mentre restano
incerte le controindicazioni. Si sono riscontrati disturbi gastroenterici,
piastrinopenia, alterazioni del visus. L'effetto più preoccupante, attualmente
sotto verifica critica, è l'induzione nei roditori di neoplasie epatiche.
È un farmaco sperimentale con struttura chimica imidazochinolinica ed
effetto inotropo positivo e vasodilatatore. Agisce inibendo la fosfodiesterasi.
I suoi effetti collaterali, in particolare la cospicua tachicardia e la
fastidiosa ipotensione ortostatica, ne limitano il valore terapeutico.
Sono
stati ricercati, in base a presupposti teorici, dei farmaci che, per mezzo di
modificazioni strutturali della molecola della nifedipina, un ben noto
calcio-antagonista, si comportassero in maniera diametralmente opposta.
Tali
farmaci agiscono favorendo, invece che bloccando, il passaggio di calcio
all'interno della cellula e quindi stimolando la contrattilità miocardica, in
conseguenza del ruolo ben stabilito che ha il Ca++ nell'accoppiamento
eccitazione-contrazione. Il più interessante tra questi farmaci è il BAY
K8644, un analogo della nifedipina, che possiede una spiccata azione inotropa
positiva, ma anche vasocostrittrice. La sua attività cardiotonica non è dovuta
a stimolazione dei recettori alfa o beta, ma ad un incremento dell'afflusso dei
calcio-ioni attraverso i canali lenti. Tuttavia, poiché il BAY K8644 provoca
anche la costrizione delle arterie coronariche, non sembra presentare possibilità
per una utilizzazione pratica.
Trattiamo
qui di alcuni farmaci che, pur non avendo effetti inotropi positivi diretti,
rientrano nel gruppo di farmaci utilizzabili nello scompenso cardiaco.
Essi
sono nuovi derivati dopaminici, dotati di uno spettro di attività diverso da
quello della dopamina stessa: possiedono un'azione vasodilatatrice agendo
esclusivamente sui recettori DA1 e sui DA2. Benché privi di proprietà inotropa
positiva migliorano pertanto l'efficacia cardiaca riducendo il postcarico. Uno
di questi dopamino-derivati è la propil-butil-didopamina
(PBDA). In pazienti con scompenso cardiaco si è dimostrata efficace nel ridurre
il postcarico migliorando l'efficienza ventricolare, riducendo la pressione
telediastolica ed aumentando la gettata cardiaca senza indurre tachicardia
riflessa.
La
necessità della somministrazione endovenosa ed il ristretto margine tra la dose
terapeutica e la dose che induce vomito ne limitano l'utilità clinica.
Altri
farmaci con meccanismo analogo e maggiore azione vasodilatatrice, quali il
fenoldopam, sono attualmente in fase di sperimentazione.
Fra
i farmaci attualmente in studio vi sono alcuni beta1-agonisti parziali di nuova
generazione che hanno la caratteristica di comportarsi con effetti ambivalenti e
funzione modulatrice di regolazione, ciò li differenzia dai simpaticomimetici
tradizionali prima descritti.
Il
prototipo di questo gruppo è lo xamoterolo (Corwin), la cui azione è duplice:
come beta-agonista esercita un'azione inotropa positiva, quando vi è un
abbassamento di attività simpaticoadrenergica; però, essendo un agonista solo
parziale, agisce come beta1-bloccante quando l'attività adrenergica è maggiore
appunto del suo effetto agonista parziale. Per queste caratteristiche trova
indicazione nello scompenso cardiaco associato ad angina pectoris.
Studi
sull'efficacia a lungo termine sono in corso; tuttavia, dati i presupposti
farmacologici è già ipotizzabile che vada incontro al fenomeno della
tachifilassi proprio per la parzialità del suo agonismo.
I
digitalici occupano ancora un posto di primo piano nella terapia dello scompenso
cardiaco, anche perché, pur presentando ancora qualche punto oscuro e
controverso su certi aspetti della loro azione elettrofisiologica, annoverano
ormai una esperienza di impiego di duecento anni.
D'altra
parte il basso margine terapeutico e l'alta incidenza di effetti tossici, oltre
agli attuali dubbi sulla loro efficacia nello scompenso cronico in ritmo
sinusale, pongono limiti importanti alla loro utilizzazione.
Nella
ricerca di composti più attivi e meno tossici l'attenzione è caduta su nuovi
farmaci.
Il
gruppo dei simpaticomimetici è ormai entrato nell'uso comune specie in
situazioni acute, per via endovenosa, mentre ancora da accertare resta
l'efficacia a lungo termine dei prodotti per os.
Anche
per questo gruppo però gli effetti secondari (specie per quanto riguarda
l'aumento di consumo di O2 e la potenzialità aritmogena) richiedono cautela sul
loro uso indiscriminato.
La
più nuova classe di agenti inotropi non digitalici e non simpaticomimetici, il
cui capostipite è l'amrinone, sta offrendo promettenti prospettive,
suscettibili di favorevoli sviluppi.
La
vasta letteratura di carattere sperimentale e clinico, evidenzia i molti
vantaggi, ma anche alcuni effetti collaterali da non trascurare e meccanismi
d'azione ancora poco chiari.
Il
farmaco inotropo positivo ideale, che presenti una efficacia durevole nel tempo
ed una assenza di effetti collaterali, non è per ora riconoscibile fra quelli
noti ed utilizzati, pur esistendo una serie di farmaci che agiscono su diversi
punti di attacco o recettori e che sono di documentata efficacia.
Compito
del ricercatore resta quello di trovare e valutare nuove molecole che più si
avvicinano al farmaco ideale; compito del cardiologo e del medico pratico è di
usare i farmaci a disposizione con competenza e conoscenza dei meccanismi
elettrofisiologici, delle indicazioni, controindicazioni, effetti collaterali ed
interazioni, allo scopo di migliorare il quadro emodinamico e di conseguenza la
qualità di vita del paziente con insufficienza cardiaca.
F. OLLIVERI
B. TARTAGLINO
Divisione
di Medicina d’Urgenza e Pronto Soccorso,
Ospedale
Maggiore si San Giovanni Battista
E
della Città di Torino
Sede
Molinette
TORNA ALL'INDICE
TORNA ALL' HOME
PAGE CARLOANIBALDI.COM