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ARGOMENTI DI MEDICINA CLINICA
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Ultimo aggiornamento: 23.12.2013
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Le
iperlipoproteinemie sono malattie del metabolismo lipidico che si manifestano
con un patologico aumento delle concentrazioni delle lipoproteine plasmatiche.
Queste concentrazioni subiscono variazioni fisiologiche in rapporto alla razza,
al sesso, all'età e soprattutto alle abitudini dietetiche. L'aumento delle
lipoproteine comporta anche un aumento dei lipidi (colesterolo, trigliceridi,
fosfolipidi) del plasma.
L'iperlipidemia
può essere primaria, provocata cioè da un'alterazione propria del metabolismo
lipidico, oppure secondaria, quando sia dovuta a un'alterazione del metabolismo
lipidico causata da altre malattie o condizioni (per esempio l'ipotiroidismo, la
colestasi, la sindrome nefrosica, l'uso di farmaci estroprogestinici ecc.).
L'interesse
clinico per le iperlipoproteinemie nasce dalla dimostrazione ormai acquisita che
l'incidenza delle complicanze cliniche delle vasculopatie aterosclerotiche (in
particolare la cardiopatia ischemica) è direttamente proporzionale ai livelli
di colesterolo del siero e più precisamente del colesterolo delle lipoproteine
a bassa densità (LDL), mentre è inversamente proporzionale ai livelli di
colesterolo delle lipoproteine ad alta densità (HDL).
È stato inoltre dimostrato che l'incidenza della cardiopatia ischemica
può essere ridotta mediante una modificazione dei livelli plasmatici delle
lipoproteine e che alcune lesioni ateromasiche possono regredire dopo adeguata
terapia ipocolesterolemizzante.
Le
lipoproteine sono macromolecole formate da lipidi e proteine che si trovano nel
plasma. I lipidi più importanti sono i trigliceridi, il colesterolo (libero ed
esterificato) e i fosfolipidi; le proteine (chiamate apolipoproteine o
apoproteine) sono molocole polipeptidiche con struttura variabile. Le
lipoproteine hanno, tra l'altro, l'importante funzione di trasportare in forma
solubile nel plasma i lipidi, che sono insolubili in ambiente acquoso (come è
appunto il plasma).
I
lipidi hanno una densità (= peso per unità di volume) inferiore a quella delle
proteine e questa caratteristica fisica permette di separare le lipoproteine
dalle altre proteine del plasma. Questa separazione viene ottenuta con
l'ultracentrifugazione con la quale si ottengono classi diverse di lipoproteine
in base alla loro densità (che è tanto minore quanto maggiore è il contenuto
in lipidi).
Le
principali classi di lipoproteine del plasma (in ordine crescente di densità)
sono: i chilomicroni, le lipoproteine a bassissima densità (o VLDL), le
lipoproteine a bassa densità (o LDL) e quelle ad alta densità (o HDL).
All'interno di ciascuna di queste classi principali si possono distinguere
ulteriori sottoclassi (sempre in base alla diversa densità) (tab.01
Le
varie classi di lipoproteine differiscono tra loro non solo per caratteri fisici
(densità, dimensioni, mobilità elettroforetica), ma anche per la loro
composizione (tab.02
Le
apoproteine svolgono un ruolo fondamentale nel mantenere in soluzione i lipidi
nel plasma all'interno delle lipoproteine e nel regolare alcuni importanti
aspetti del loro metabolismo. le caratteristiche principali delle più
importanti apoproteine sono riportate in tab.03
I
chilomicroni, micelle che trasportano i grassi (in particolare í trigliceridi)
di origine alimentare, vengono sintetizzati nel duodeno e nel digiuno e quindi
secreti nel sistema linfatico. Appena prodotti dalle cellule intestinali i
chilomicroni contengono apo A-I, apo A-II, apo B-48 e apo A-IV; una volta
entrati nella circolazione i chilomicroni si arricchiscono di apo C (I, II e III)
e apo E, che vengono a loro ceduti dalle HDL. Apo B-48 è una proteina formata
da 2152 aminoacidi che è necessaria per la sintesi dei chilomicroni e viene
prodotta solo nelle cellule intestinali. Apo B-48 è uguale alla parte
aminoterminale di apo B-100.
I
chilomicroni sono rapidamente catabolizzati dalla lipasi lipoproteica
extraepatica nel giro di qualche minuto. Questa lipasi è un enzima presente
soprattutto in organi che usano gli acidi grassi dei trigliceridi (tessuto
adiposo, muscolo scheletrico, miocardio, ghiandola mammaria). La lipasi
extraepatica si trova sui capillari di questi organi e richiede apo C-II come
cofattore obbligatorio; un'altra lipasi si trova nel fegato e avrebbe
soprattutto un'azione fosfolipasica (in particolare sulle lipoproteine che già
siano state parzialmente degradate dalla lipasi lipoproteica extraepatica, i
cosiddetti remnants).
Per
effetto delle lipasi i chilomicroni perdono trigliceridi e si ritiene che dalla
loro superficie originino strutture bilamellari (formate da fosfolipidi,
colesterolo libero, apo A-I, apo A-II ed apo E) che formano le HDL nascenti.
Quello che resta dei chilomicroni (i "chilomicroni remnants") è
quindi formato soprattutto da esteri del colesterolo, apo B-48 ed apo E.
Questi
remnants si legano ad un recettore (recettore per i remnants) che si trova sulla
membrana degli epatociti e vengono quindi definitivamente degradati.
Le
VLDL o pre-beta-lipoproteine sono molto ricche di trigliceridi (circa la metà
del loro peso è formata da trigliceridi), sono prodotte nel fegato utilizzando
i lipidi di origine alimentare o quelli sintetizzati direttamente negli stessi
epatociti. Sarà utile ricordare che l'epatocita può sintetizzare trigliceridi
a partire dai carboidrati, dagli acidi grassi liberati dal tessuto adiposo o
dall'etanolo.
Anche
le VLDL come i chilomicroni subiscono l'azione delle lipasi che idrolizzano i
trigliceridi fornendo acidi grassi ai tessuti e così (attraverso passaggi
intermedi) si formano delle lipoproteine via via più piccole e con meno
trigliceridi, ma più ricche di colesterolo (VLDL remnants e Intermediate
Density lipoprotein = IDL) fino a trasformarsi in LDL. Una parte di VLDL non
viene trasformata in LDL ma viene rimossa dal circolo e catabolizzata negli
epatociti.
Le
LDL o beta-lipoproteine sono particolarmente ricche di colesterolo, ma
contengono anche piccole quantità di trigliceridi e di fosfolipidi; la
apoproteina delle LDL è esclusivamente apo B-100. Questa apoproteina è formata
da 4536 aminoacidi ed è in grado di legarsi a un recettore presente sulla
membrana cellulare. Questo recettore viene chiamato recettore per apo B,E perché
è in grado di legare non solo apo B-100, ma anche apo E.
Il
recettore per i remnants (ricordato prima), al quale si legherebbe apo E, si
trova solo negli epatociti mentre quello per apo B,E oltre che nel fegato si
trova in tutte le cellule dotate di attività metabolica. la quantità di
recettori per apo B,E è alta nelle cellule che usano il colesterolo delle LDL
per produrre ormoni a struttura steroidea (surrenale, testicolo, ovaio) o acidi
biliari (fogato). L'attività del recettore per i remnants è costante e non si
modifica per effetto di variazioni dietetiche o metaboliche, mentre quella del
recettore per apo B,E aumenta se aumenta il fabbisogno cellulare di colesterolo
e viceversa. In particolare l'attività del recettore per apo B,E nel fegato si
riduce se c'è un elevato contenuto di colesterolo nella dieta.
Il
catabolismo cellulare dei remnants dei chilomicroni e delle VLDL richiede prima
che queste lipoproteine vengano internalizzate dalla cellula tramite
l'interazione di un recettore con apo E. Apo E è una proteina formata da 299
aminoacidi che nella maggior parte dei soggetti ha una normale capacità di
legame al recettore. Questa apo E viene chiamata apo E3. Altre varianti di apo E
(apo E2 in particolare) differiscono da apo E3 per la sostituzione di un
aminoacido, che risulta in una riduzione della capacità di legame al recettore.
Queste varianti di apo E con ridotta affinità per il recettore comportano una
riduzione del catabolismo dei remnants e quindi un loro accumulo nel plasma.
Queste varianti sono di solito evidenziabili mediante isoelettrofocalizzazione
delle apoproteine delle VLDL.
Il
recettore per apo B,E è di fondamentale importanza nel regolare la
concentrazione plasmatica delle LDL. Le LDL vengono infatti legate da questo
recettore tramite apo B-100 e quindi internalizzate nella cellula dove per
azione di enzimi lisosomiali sono degradate: apo B-100 viene idrolizzata mentre
il colesterolo viene usato dalla cellula. la concentrazione del colesterolo
libero endocellulare è finemente regolata: un aumento del colesterolo
intracellulare fa ridurre la sintesi di HMG-CoA reduttasi (enzima che regola la
sintesi del colesterolo), attiva l'LCAT (enzima che esterifica il colesterolo
nella cellula) ed inibisce la sintesi di nuovi recettori per apo B,E.
Nel
soggetto normale ogni giorno attraverso questo recettore sono degradate circa
1/3 delle LDL circolanti nel plasma, mentre un'altra piccola quantità viene
eliminata con meccanismo indipendente dal recettore per apo B,E nelle cellule
del sistema reticolo-endoteliale. Quando l'attività dei recettori per apo B,E
non è sufficiente a mantenere una normale concentrazione delle LDL nel siero si
verifica un aumento compensatorio di altre vie cataboliche, in particolare
tramite il recettore "scavenger". Mentre però la via recettoriale è
una via "fisiologica" e non provoca un abnorme accumulo di colesterolo
nelle cellule, la via "scavenger" condurrebbe al deposito di
colesterolo e alla formazione di cellule schiumose e di depositi colesterinici.
Le
HDL o alfa-lipoproteine sono costituite per circa il 50% del loro peso da
apoproteine (soprattutto apo A-I e A-II) e per l'altro 50% da lipidi (in
particolare fosfolipidi). Le HDL sarebbero formate in parte dall'azione della
lipasi lipoproteica extraepatica su chilomicroni e VLDL e in parte dal fegato e
dall'intestino per sintesi diretta. Le HDL potrebbero essere il veicolo di
rimozione del colesterolo dalle cellale periferiche al fegato ottenendo così il
"trasporto inverso" rispetto a quanto avviene con le LDL.
Le
HDL circolanti sarebbero in grado di acquisire il colesterolo libero dalle
cellule; su questo colesterolo libero agisce l'LCAT (lecitin-Colesterol-Acil-Transferasi)
che lo esterifica e quindi il colesterolo esterificato viene trasferito a VLDL e
LDL. Lo scambio dei lipidi apolari (quali appunto il colesterolo esterificato e
i trigliceridi) tra le lipoproteine circolanti nel plasma viene favorito da
alcune proteine plasmatiche (lipid Transfer Proteins) che hanno un ruolo
specifico nel facilitare questi trasferimenti da una lipoproteina ad un'altra.
Un
notevole interesse ha suscitato negli ultimi anni l'osservazione che i pazienti
con compromissione vascolare aterosclerotica presentano livelli sierici più
elevati di lipoproteina a [Lp(a)].
Questa
lipoproteina è costituita da una molecola di LDL alla quale è legata la
apoproteina (a) con ponti disolfuro tra apo B-100 e la stessa (a). La
apoproteina (a) è una proteina che ha alcuni aspetti strutturali simili a
quelli del plasminogeno, ma come quest'ultimo non è però in grado di attivare
la fibrinolisi. Potrebbe pertanto, competendo con il fibrinogeno, ridurre la
fibrinolisi ed in questo modo essere pro-aterogena.
La
sequenza aminoacidica di apo (a) è formata da alcune sequenze che si ripetono,
il numero di volte che queste sequenze si ripetono è determinato geneticamente
e si conoscono quindi diverse isoforme di apo(a) che differiscono per peso
molocolare. I soggetti con apo (a) a più alto peso molecolare presentano
livelli sierici più bassi di apo(a) e viceversa. Pare che almeno per un 50% i
livelli di Lp(a) siano determinati geneticamente. Poco è noto del metabolismo
di questa lipoproteina. Si sa che viene sintetizzata nel fogato, non si conosce
come venga catabolizzata (pare che non sia interessato il recettore per apo
B,E), non esistono finora trattamenti in grado di modificare i livelli di Lp(a)
(alcuni risultati positivi sono stati ottenuti usando acido nicotinico e
neomicina, bezafibrato, progestinici).
Ogni
variazione dei lipidi plasmatici è provocata da una modificazione della
concentrazione delle lipoproteine e si può schematicamente considerare che un
aumento del colesterolo del siero è quasi sempre dovuto a un incremento delle
LDL, mentre un aumento dei trigliceridi è causato da un incremento delle VLDL
(solo in pazienti non a digiuno o con trigliceridemia superiore a 800-1000 mg/dl
oltre alle VLDL si trovano in circolo anche chilomicroni).
Da
tempo è stata proposta dalla Organizzazione Mondiale della Sanità una
classificazione delle iperlipoproteinemie in 6 diversi fenotipi (tab.04
Il
fenotipo I (o chilomicronemia) è una grave ipertrigliceridemia che può essere
dovuta a un deficit di lipasi lipoproteica o a un deficit del suo cofattore (apo
C-II).
Il
fenotipo IIa (o ipercolesterolemia) è in gran parte dei casi dovuta alle
abitudini dietetiche (tipiche delle società del benessere) in soggetti
predisposti (ipercolesterolemia poligenica), mentre in una minore percentuale di
casi (si calcola si tratti di un 2% di tutte le ipercolesterolemie) il fenotipo
IIa è provocato da un deficit dei recettori per apo B,E (ipercolesterolemia
familiare).
Il
fenotipo IIb (ipercolesterolemia con ipertrigliceridemia) può essere dovuto ad
una dieta inadeguata, ad una malattia genetica (iperlipidemia familiare
combinata, che può esprimersi con il fenotipo IIb o con il IIa o con il IV), o
ad una ipercolesterolemia familiare (da deficit dei recettori per apo B,E) con
aumento delle VLDL.
Il
fenotipo III è una forma rara dovuta alla presenza di una lipoproteina anomala
("floating beta" o "beta VLDL") che causa
ipertrigliceridemia con ipercolesterolemia. Questo fenotipo compare in soggetti
con disbetalipoproteinemia (cioè omozigoti per apo E-2) nei quali si associ
un'altra dislipidemia o altri fattori dietetici 0 metabolici.
Il
fenotipo IV (o ipertrigliceridemia) è spesso provocato dalla dieta (viene
favorito in particolare dall'eccesso di alcool) o da una malattia genetica (la
ipertrigliceridemia familiare oppure la già ricordata iperlipidemia familiare
combinata).
Il
fenotipo V è una grave ipertrigliceridemia (con presenza in circolo di un
eccesso di VLDL e di chilomicroni) provocata per lo più da eccessi alimentari o
altri disturbi metabolici (soprattutto diabete scompensato) in soggetti affetti
da ipertrigliceridemia familiare.
Si
è andata sviluppando di recente una classificazione delle iperlipidemie su una
base più strettamente genetica (quindi classificazione genotipica). Ciò è
stato possibile perché si sono sviluppate le conoscenze sul metabolismo
lipoproteico.Pur non dimenticando la classificazione fenotipica si descriveranno
più avanti le più importanti iperlipoproteinemie raggruppandole dove possibile
secondo le loro basi genetiche.
La
definizione diagnostica di queste forme morbose avviene comunque in base al
dosaggio dei livelli plasmatici del colesterolo e dei trigliceridi, del loro
rapporto e della identificazione delle lipoproteine presenti in eccesso.
Il
dosaggio del colesterolo e dei trigliceridi è quindi di fondamentale importanza
per la valutazione del metabolismo lipoproteico, ma è anche necessario che
questi dosaggi siano correttamente interpretati da un punto di vista clinico.
Per colesterolo e trigliceridi, infatti, il concetto di limite
"normale" (cioè quello che si riscontra nella maggior parte dei
soggetti clinicamente sani) va distinto dal concetto di limite
"desiderabile" (cioè quel valore che garantisce il minor rischio di
vasculopatia). Per il colesterolo questo limite massimo desiderabile in un
soggetto adulto si ritiene sia di 200 mg/dl, anche per i trigliceridi è di
circa 200 mg/dl.
Questi
limiti sono stati stabiliti sulla base di una serie di osservazioni
epidemiologiche che hanno dimostrato come l'incidenza della cardiopatia
ischemica è progressivamente crescente con l'aumentare della colesterolemia.
Anche i dati a proposito dei trigliceridi dimostrano una relazione tra
trigliceridemia e rischio di vasculopatia anche se questa relazione è meno
facilmente determinabile per la elevata variabilità della trigliceridemia e per
gli effetti che l'aumento dei trigliceridi ha sulle altre classi di lipoproteine
(formazione di remnants, LDL più dense e più piccole, HDL più ricche di
trigliceridi). Va anche tenuto in considerazione che spesso
all'ipertrigliceridemia si associano altri fattori di rischio, quali l'obesità,
il diabete, l'iperuricemia oltre che una costante riduzione del colesterolo HDL.
Sempre
ai fini di una valutazione del rischio vascolare è importante anche il dosaggio
del colesterolo delle HDL, dal momento che è stata dimostrata una relazione
inversa tra questo parametro e il rischio di vasculopatia.
Il
dosaggio di alcune apoproteine del siero può completare l'esame dell'assetto
lipoproteico in quanto apo B è presente quasi esclusivamente nelle LDL ed il
suo dosaggio riflette quindi i livelli di queste lipoproteine; mentre apo A-I,
che è presente soprattutto nelle HDL, fornisce una valutazione ulteriore di
questa classe lipoproteica.
Le
chilomicronemie si manifestano come iperlipoproteinemie di fenotipo I e sono
dovute a una ridotta rimozione dei chilomicroni, i quali, invece di essere
completamente eliminati dopo 12-14 ore di digiuno, continuano a trovarsi in
circolo anche per 24-48 ore dopo il pasto. La prima descrizione clinica ed
anatomopatologica di questa malattia risale al 1932 ma è stata di recente
oggetto di un rinnovato interesse per la dimostrazione che può essere provocata
da 2 differenti difetti: da un deficit di lipasi lipoproteica extraepatica o da
un deficit di apo C-II, il cofattore obbligatorio di questa lipasi. Entrambi i
difetti sono ereditari e vengono trasmessi in modo autosomico recessivo.
Le
chilomicronemie sono le iperlipoproteinemie di più raro riscontro; la loro età
di comparsa è di solito nell'infanzia e la sintomatologia clinica prevalente
consiste in episodi dolorosi addominali. Il dolore è di solito localizzato
all'epigastrio, insorge improvvisamente e si irradia a tutto l'addome, ma a
volte è localizzato all'ipocondrio di destra. La presenza, in qualche caso, di
nausea, febbre, leucocitosi e distensione delle anse addominali ha causato un
intervento chirurgico esplorativo. Il reperto operatorio, se non del tutto
normale, ha segnalato talora la presenza di modica quantità di liquido sieroso
o chiloso nell'addome, anche se in alcuni casi il chirurgo si è trovato di
fronte a un quadro di pancreatite acuta (anche con amilasemia normale).
Una
dieta particolarmente ricca di grassi (o l'esposizione al freddo) potrebbero
giustificare l'insorgenza di questi episodi dolorosi addominali che si
verificano in genere solo se i livelli di trigliceridi sono superiori a 2000
mg/dl e sarebbero dovuti a brusche distensioni della capsula glissoniana per
variazioni di volume del fegato.
La
pancreatite, quando presente, è di solito lieve e di breve durata e raramente
comporta deficit cronici della funzionalità endocrina o esocrina del pancreas.
Quando
la trigliceridemia supera i 2000-4000 mg/dl possono comparire degli xantomi
eruttivi, che scompaiono con il diminuire dei valori lipidemici. Si tratta di
lesioni cutanee tipiche localizzate elettivamente alla superficie estensoria
degli arti e alle natiche, e talora anche al tronco. La xantoma eruttivo ha
l'aspetto di una papula giallastra, circondata da un alone rossastro, che può
ricordare una lesione cutanea di tipo infiammatorio (foruncolo).
All'esame
obiettivo è presente in circa il 90% dei casi epato e/o splenomegalia.
È possibile osservare anche una lipaemia retinalis e cioè un
caratteristico colorito rosa-salmone dei vasi retinici (quando la
chilomicronemia sia particolarmente marcata). Xantomatosi eruttiva e lipaemia
retinalis sono segni clinici presenti nella chilomicronemia sia primitiva che
secondaria.
Il
decorso clinico, la cui gravità si mitiga con gli anni, è in genere benigno e
non si verificano in questi pazienti complicanze vascolari. Solo la pancreatite
acuta può talora divenire una complicanza fatale; anche la tolleranza ai
carboidrati è normale.
La
diagnosi di fenotipo I si basa sul dato clinico (xantomatosi eruttiva, coliche
addominali, epatosplenomegalia in tenera età), sulla presenza di chilomicroni
nel siero a digiuno e sulla dipendenza dell'iperlipemia dai lipidi alimentari.
Il siero dei pazienti con fenotipo I dopo essere stato mantenuto per una notte a
+4°C, presenta alla superficie uno strato cremoso (di spessore variabile)
formato da chilomicroni con un infranatante limpido. Lo strato cremoso con
infranatante opalescente o torbido è segno di un contemporaneo aumento di
chilomicroni e di VLDL ed è tipico del fenotipo V. La colesterolemia nel
fenotipo I è normale o leggermente aumentata mentre sono notevolmente aumentati
i livelli dei trigliceridi; il rapporto colesterolo/trigliceridi è di solito
inferiore a 0,20.
La
diagnosi viene confermata lettroforesi delle lipoproteine (che dimostra la
presenza di chilomicroni), dal dosaggio della lipasi lipoproteica e dalla
elettroforesi delle apoproteine delle VLDL per accertare la presenza di apo
C-II.
Un
test utile e pratico, ai fini di una diagnosi differenziale tra fenotipo I e V
è il PHLA-test (Post Heparin lipolytic Activity Test), che consiste nel
confrontare la mobilità elettroforetica delle diverse bande lipoproteiche,
prima e 10 minuti dopo l'iniezione endovena di 0,1 mg/kg di eparina. In un
paziente con fenotipo V, nel quale la lipasi lipoproteica è normale, si osserva
un netto aumento della mobilità di tutte le bande elettroforetiche (che manca
invece nel fenotipo I) dopo l'eparina.
La
scomparsa della sintomatologia clinica e la chiarificazione del plasma dopo
dieta priva di grassi costituisce un ulteriore elemento diagnostico a favore del
fenotipo I. In caso di deficit dell'apoproteina CII la infusione di plasma
permette di attivare la lipasi lipoproteica e di ridurre temporaneamente la
trigliceridemia.
Queste
iperlipoproteinemie sono dovute a un aumento delle beta-lipoproteine o LDL, che
provoca un incremento della colesterolemia (perché le LDL contengono
colesterolo in alta percentuale) e si esprimono con un fenotipo IIa.
Il
fenotipo IIa può essere primitivo o secondario: primitivo se dovuto ad
alterazioni geniche ereditarie, a cause ambientali (dietetiche) o al risultato
della interazione di questi due fattori.
Descriveremo
qui la ipercolesterolemia familiare e la ipercolesterolemia poligenica.
Le
forme secondarie possono essere provocate da diverse malattie (tra le più
frequenti sono: l'ipotiroidismo, la colestasi e la sindrome nefrosica).
La
forma primitiva familiare è stata indicata in passato anche come
ipercolesterolemia essenziale o xantomatosi ipercolesterolemica familiare; è
una malattia ereditaria trasmessa in modo dominante che comporta una riduzione
dell'attività dei recettori per apo B,E. L'ipercolesterolemia è presente fin
dalla nascita (e ciò consente di diagnosticare questa malattia anche nei
bambini) ed è tanto più grave quanto più grave è il difetto dell'attività
dei recettori per apo B,E; questo difetto può essere presente in forma
eterozigote od omozigote e da ciò dipende la gravità dell'ipercolesterolemia e
delle complicanze cliniche a questa correlate, in particolare la coronaropatia.
le alterazioni molecolari che causano il difetto dell'attività del recettore
sono diverse nei diversi ceppi familiari. Sono state descritte finora un po'
meno di una cinquantina di differenti alterazioni molecolari che comportano una
riduzione dell'attività del recettore per le LDL.
La
colesterolemia nell'omozigote supera di solito i 500-600 mg/dl mentre
nell'eterozigote varia tra 300 e 400 mg/dl; questi livelli di colesterolemia
riflettono attività recettoriali drasticamente ridotte o quasi nulle negli
omozigoti e ridotte a circa la metà del normale nell'eterozigote.
In
questi pazienti vi è però anche una sintesi diretta di LDL da parte del fegato
(a differenza di quanto avviene nel normale dove le LDL derivano esclusivamente
dal catabolismo delle VLDL).
I
sintomi clinici sono legati alla deposizione tessutale di colesterolo e sono
tanto più precoci quanto più grave è l'ipercolesterolemia. Gli omozigoti,
infatti, presentano manifestazioni cliniche più precoci e più gravi degli
eterozigoti. La deposizione del colesterolo può avvenire a livello della cute o
dei tendini (provocando così xantomi cutanei o tendinei), della cornea (ove si
forma il gerontoxon) e delle arterie, ove si sviluppano le lesioni
aterosclerotiche.
Nel
caso degli omozigoti l'attenzione viene richiamata per lo più dalla comparsa
nella fanciullezza di xantomi cutanei (piani e tuberosi) o tendinei; l'arco
corneale lipidico o gerontoxon è di regola presente prima dei 20 anni. Oltre
agli xantomi cutanei e tendinei, negli omozigoti sono stati descritti xantomi
sottoperiostei, fasciali ed aponeurotici. Spesso la sintomatologia più precoce
è di tipo cardiovascolare, con episodi anginosi o infartuali o addirittura
morte improvvisa, così che soltanto pochi omozigoti superano la terza decade di
vita.
Negli
eterozigoti solo tardivamente possono comparire xantomi, per lo più xantelasmi
o xantomi tendinei; i primi sintomi, però, sono quelli relativi alla
cardiopatia ischemica. I maschi presentano in elevata percentuale (59% circa)
un'angina da sforzo entro la quinta decade di vita. Le femmine eterozigoti
possono in gran parte raggiungere la tarda età senza sintomi. In certi casi
l'affezione può decorrere anche in modo asintomatico ed essere riconosciuta
solo per un esame fortuito del siero.
La
xantomatosi è un segno patognomonico della ipercolesterolemia familiare. La
xantomatosi cutanea, ed in particolare la sua precoce comparsa e la varietà di
localizzazione, caratterizza le forme più gravi di ipercolesterolemia
familiare, quelle nelle quali vi è anche una più seria compromissione
cardiovascolare.
Si
possono formare xantomi cutanei piani a localizzazione palmare, cubitale o
poplitea, di precoce insorgenza; nonché xantomi tuberosi localizzati
prevalentemente sulla superficie estensoria di gomiti e ginocchia. Tali lesioni
possono raggiungere dimensioni imponenti negli omozigoti.
Gli
xantelasmi sono xantomi piani palpebrali costituiti da una placca giallastra più
o meno estesa, che prediligono le palpebre superiori e l'angolo nasale. Possono
comparire anche in assenza di ipercolesterolemia, per lo più in soggetti
anziani e nelle donne nel periodo della postmenopausa.
La
xantomatosi tendinea può essere presente anche in assenza di quella cutanea e
quando è isolata costituisce un indice di minore gravità della forma morbosa.
Tali xantomi si trovano sui tendini dei muscoli estensori delle dita delle mani,
e più di frequente sul tendine di Achille (fig.01
L'arco
corneale lipidico o gerontoxon è un'area di aumentata densità ai margini della
cornea che si sviluppa lungo il bordo inferiore e che successivamente assume un
aspetto anulare. È
costituito da un deposito di lipidi, ma non è patognomonico
dell'ipercolesterolemia familiare perché in soggetti di una certa età compare
frequentemente anche se normolipidemici. la sua comparsa, però, in adolescenti
o in giovani adulti deve sempre far sospettare una diagnosi di
ipercolesterolemia.
La
deposizione lipidica nell'apparato cardiovascolare colpisce elettivamente il
cuore, l'aorta, le arterie coronarie, le arterie del sistema nervoso centrale,
le arterie periferiche degli arti, le arterie renali. L'interessamento delle
coronarie è il più importante, non solo per la sua precocità, ma soprattutto
per la rapidità con cui porta alle manifestazioni cliniche della cardiopatia
ischemica.
In
ordine di frequenza le manifestazioni cliniche colpiscono, dopo quello
coronarico, il distretto vascolare cerebrale. Disturbi riferibili a
compromissione del circolo vertobro-basilare sono relativamente frequenti anche
in pazienti con ipercolesterolemia modesta senza xantomatosi cutaneo-tendinea.
Sono notevolmente più rari i disturbi circolatori agli arti inferiori,
nonostante la compromissione xantomatosa delle arterie periferiche degli arti
sia stata documentata autopticamente sia negli omozigoti che negli eterozigoti.
Negli
omozigoti anche il cuore è colpito dalla xantomatosi: l'endocardio e la
superficie delle valvole cardiache possono presentare lesioni a tipo di xantoma
piano, che talora provoca vizi valvolari, in particolare stenosi aortica.
Nei
pazienti con ipercolesterolemia primitiva è frequente il riscontro di una
anamnesi familiare di colelitiasi e colecistopatia. L'ipercolesterolemia
familiare non risulta associata con altre alterazioni metaboliche, quali diabete
mellito, iperuricemia o obesità, come spesso avviene invece nelle
ipertrigliceridemie.
La
diagnosi di fenotipo IIa viene formulata in base ai reperti clinici (quando
presenti), all'aspetto limpido del siero, all'ipercolesterolemia con normale
trigliceridemia. Il rapporto colesterolo: trigliceridi è di solito superiore a
1,5; l'elettroforesi delle lipoproteine dimostra un aumento della banda beta. La
diagnosi di ipercolesterolemia familiare va posta in base ai dati anamnestici,
ai segni clinici e, se del caso, al dosaggio dell'attività dei recettori per
apo B,E. Nei pazienti con ipercolesterolemia la prognosi è strettamente
condizionata dalla compromissione dell'apparato cardiovascolare che dipende,
come già ricordato, dall'età del paziente e dall'entità
dell'ipercolesterolemia.
Ci
pare utile segnalare infine che di recente sono stati descritti alcuni casi di
ipercolesterolemia familiare dovuti non ad alterazione del recettore per apo B,E
ma ad alterazione della apoproteina B-100. In alcuni soggetti è stata descritta
la sostituzione di un aminoacido (glutamina al posto di arginina in posizione
3500) che provoca una netta riduzione della capacità di legame di apo B-100 al
suo recettore. Questa malattia resta per ora un interessante modello naturale di
ipercolesterolemia, ma potrebbe fra non molto essere identificata in numerosi
soggetti ipercolesterolemici.
Questa
forma di ipercolesterolemia è molto più diffusa della forma familiare. I
livelli di colesterolo in questi pazienti sono in genere compresi tra 200 e 300
mg/dl; non vi sono xantomi ma vi è ugualmente un incremento della incidenza
delle malattie vascolari aterosclerotiche. A questa forma morbosa va quindi
ascritto il maggior numero di eventi vascolari, dal momento che, pur trattandosi
di lesioni meno gravi ed estese di quelle presenti nei pazienti con
ipercolesterolemia familiare, la elevata frequenza con la quale si incontra
questa malattia la rende responsabile di un elevato numero di casi clinici.
Sul
piano patogenetico, in mancanza di una ben precisa alterazione metabolica che
permetta di identificare questi pazienti in modo univoco, si ritiene oggi che
l'ipercolesterolemia poligenica sia provocata da una dieta particolarmente ricca
in colesterolo e acidi grassi saturi. Questo tipo di dieta, soprattutto se
seguita fin dai primi anni di vita, associata ad una possibile ridotta
produzione epatica di recettori per le LDL fa sì che si verifichi una riduzione
del catabolismo delle LDL ed un aumento della loro concentrazione nel plasma.
Questa
iperlipoproteinemia è caratterizzata da un peculiare assetto lipoproteico, con
un aumento contemporaneo del colesterolo e dei trigliceridi plasmatici, dalla
presenza di xantomi cutanei e sottocutanei, e da un elevato rischio di
complicanze vascolari su base aterosclerotica. È una forma morbosa poco frequente, anche se non molto
rara, che si ritrova quasi sempre in soggetti adulti e colpisce con uguale
frequenza maschi e femmine. Nell'ambito di questa entità nosografica si tende
attualmente a distinguere la disbetalipoproteinemia dalla vera e propria
iperlipoproteinemia di tipo III.
La
distetalipoproteinemia è un'alterazione familiare nella quale vi è un accumulo
in circolo di remnants e un rallentamento della conversione delle VLDL in LDL.
La riduzione del catabolismo dei remnants è dovuta (come già ricordato) alla
presenza di una variante di apo E (in genere apo E2) che ha una ridotta affinità
di legame per il suo recettore specifico. Perché si verifichi l'alterazione
lipoproteica è necessario che il soggetto sia in grado di produrre solo apo E2
(possieda cioè su entrambi i cromosomi il gene per apo E2, il che equivale a
dire che è omozigote per apo E2). Se invece il soggetto è in grado di produrre
anche un'altra forma normale di apo E (apo E3 o E4, è cioè eterozigote per apo
E2) il catabolismo dei remnants non viene alterato.
Nella
disbetalipoproteinemia i livelli di colesterolo e di trigliceridi nel siero
restano sostanzialmente entro limiti normali, anche se è alterata la
distribuzione delle lipoproteine. I remnants si accumulano nell'ambito della
densità delle VLDL (d < 1,006 g/ml) e in quella delle IDl (d = 1,006 - 1,019
g/ml) mentre le LDL2 (d = 1,019 - 1,063 g/ml) sono ridotte. Quando questi
pazienti siano esposti a particolari situazioni dietetiche, ormonali o
farmacologiche o siano portatori di un'altra forma ereditaria di dislipidemia,
sviluppano una ipertrigliceridemia con ipercolesterolemia (la cosiddetta
iperlipoproteinemia di tipo III) per l'abnorme accumulo di remnants, che alla
elettroforesi delle lipoproteine danno origine al fenomeno della "larga
banda". Le VLDL in questi pazienti hanno una mobilità elettroforetica
("floating-beta" o "beta-VLDL") e contengono un'alta
percentuale di colesterolo rispetto ai trigliceridi (analoga alterazione della
composizione lipidica è presente anche nei chilomicroni); la beta-VLDL contiene
tra l'altro una elevata percentuale di apo E, la cui concentrazione sierica
totale risulta aumentata.
Caratteristici
dei pazienti con iperlipoproteinemia di tipo III sono gli xantomi striati
palmari: sono xantomi cutanei di colore giallastro, più o meno rilevati, che si
formano sulle pieghe del palmo delle mani, presenti in circa la metà dei
pazienti e patognomonici del tipo III.
In
questi pazienti si possono formare anche altri tipi di xantomi ma i più comuni
sono quelli tuberosi o tuberoeruttivi ( quando hanno una base con aspetti
infiammatori). Gli xantomi tuberosi appaiono in età adulta nelle zone di
pressione (gomiti, ginocchia, dorso delle dita delle mani) e sono lesioni
rilevate spesso circondate da altre lesioni satelliti più piccole. Una
caratteristica di questi xantomi è rappresentata dalla loro regredibilità in
corso di terapia.
Le
complicanze cardiovascolari in questi pazienti sono presenti con elevata
frequenza: l'insufficienza vascolare periferica (dovuta a lesioni dell'aorta,
delle iliache o delle femorali) sembra essere la più frequente, mentre la
cardiopatia ischemica è di poco inferiore per frequenza. Molto spesso questi
pazienti presentano anche un diabete di tipo II e iperuricemia.
La
diagnosi dell'iperlipoproteinemia di tipo III si basa, oltre che su eventuali
segni clinici, sul tipico quadro lipoproteico plasmatico. L'aspetto del siero a
digiuno è in genere opalescente o lattescente, spesso è presente una modesta
quantità di chilomicroni; colesterolemia e trigliceridemia sono oltre i valori
normali; il rapporto colesterolo/trigliceridi del siero è spesso compreso tra
0,3 e 1; l'elettroforesi delle lipoproteine dimostra la presenza di una banda
beta aumentata ed allargata.
La
diagnosi di certezza è fornita: dalla presenza di una lipoproteina con mobilità
elettroforetica beta che flotta in ultracentrifuga preparativa a densità di
1,006 g/ml; da una concentrazione dei trigliceridi plasmatici compresa tra 150 e
1000 mg/dl e rapporto tra il colesterolo delle VLDL e i trigliceridi plasmatici
superiore a 0,30; da aumentati livelli sierici di apo E con esclusiva presenza
di apo E2.
Caratteristica
del tipo III è la relativa facilità con cui è possibile ottenere una
normalizzazione del quadro lipidico plasmatico per effetto del trattamento
combinato dietetico e farmacologico.
L'ipertrigliceridemia
è presente nel fenotipo I, IIb, III, IV e V della classificazione dell'O.M.S.
Mentre i fenotipi I e III presentano caratteristiche cliniche e biochimiche
abbastanza ben definite, il fenotipo IIb, IV e V non sono sempre causati da
specifiche malattie, per cui è necessario distinguere la manifestazione morbosa
(il fenotipo) dalla malattia metabolica (il genotipo, o la malattia primitiva
ereditaria) che la provoca. Tra queste malattie ereditarie le più importanti
sono la iperlipidemia familiare combinata e l'ipertrigliceridemia familiare.
L'iperlipidemia
familiare combinata o a fenotipi multipli è così chiamata perché può causare
sia un aumento isolato del colesterolo, sia un aumento isolato dei trigliceridi,
sia un aumento combinato dei due lipidi e provocare così un fenotipo IIa e IIb
o IV.Questa malattia, infatti ( che si può individuare solo con un esteso esame
familiare), può determinare un aumento dei livelli plasmatici di VLDL, oppure
di LDL, oppure di entrambe (sia VLDL che LDL). Si tratta di una forma di
dislipidemia abbastanza frequente, a trasmissione autosomica dominante
(probabilmente monogenica), che si manifesta solo nella maturità e la cui
eziopatogenesi non è ancora del tutto chiara.
Anche
l'ipertrigliceridemia familiare, altra dislipidemia abbastanza frequente, si
trasmette in modo autosomico dominante, si manifesta solo nella maturità ed ha
una eziopatogenesi non del tutto chiara. Questa malattia ereditaria causa un
aumento delle VLDL provocando così una ipertrigliceridemia (che solo nelle
forme più gravi si accompagna a ipercolesterolemia) e quindi un fenotipo IV.
È ben dimostrato che in questi pazienti le abitudini dietetiche (in
particolare l'introito di alcool) sono in grado di influenzare sensibilmente i
livelli delle VLDL (e quindi della ipertrigliceridemia) molto più di quanto non
avvenga nei normali, tanto che in particolari situazioni (disordini dietetici,
altre alterazioni metaboliche come un diabete non ben compensato) all'incremento
delle VLDL (fenotipo IV) si associa anche una chilomicronemia (fenotipo V).
Lo
studio clinico di 70 nostri pazienti con fenotipo IIb ha dimostrato l'elevata
presenza di episodi o segni clinici riferibili sia alla cardiopatia ischemica
(47%) che alla vasculopatia periferica (21%).
È stata inoltre dimostrata un'elevata incidenza di alterazioni
cardiovascolari nel fenotipo IIb: tale incidenza sarebbe analoga se non
superiore persino a quella già elevatissima riscontrata nell'ipercolesterolemia
familiare. Nei pazienti con fenotipo IIb sono spesso presenti alterazioni del
metabolismo glucidico e della secrezione insulinica, che potrebbero però essere
imputabili in alcuni casi alla presenza di un sovrappeso corporeo.
Per
la diagnosi di fenotipo IIb è necessario documentare un aumento del colesterolo
e dei trigliceridi sierici; il plasma è limpido, a meno che i trigliceridi non
superino i 300 mg/dl; il rapporto colesterolo/trigliceridi è variabile, di
solito superiore a 1,0. L'elettroforesi dimostra l'aumento delle bande beta e
pre-beta. La diagnosi di certezza si pone con il riscontro di un aumento sia
delle LDL che delle VLDL, a tal fine può essere necessario anche l'uso
dell'ultracentrifuga preparativa. Infatti per discriminare un fenotipo IIb da un
III o IV è necessario a volte determinare la composizione o la mobilità
elettroforetica della frazione a densità inferiore a 1,006 g/ml.
L'iperlipoproteinemia
di fenotipo IV è caratterizzata da un aumento delle beta-lipoproteine o VLDL; a
ciò si può talora associare, come ricordato prima, una chilomicronemia,
realizzandosi così il quadro del fenotipo V. Il fenotipo IV, assieme al IIb, è
una iperlipoproteinemia molto diffusa; meno frequente appare il fenotipo V.
In
queste forme morbose l'ipertrigliceridemia è in alcuni casi dovuta
all'aumentata sintesi di trigliceridi endogeni mentre in altri alla diminuita
rimozione periferica degli stessi. Nella iperlipidemia familiare combinata il
difetto metabolico primitivo potrebbe risiedere in un aumento della sintesi di
apo B nel fegato. Alcuni Autori hanno di recente ipotizzato che questa malattia,
almeno in alcuni pazienti, possa essere l'espressione di uno stato di
eterozigosi per il deficit di lipasi lipoproteica. La chiarificazione della
eziopatogenesi della iperlipidemia combinata resta oggi uno dei principali
problemi della fisiopatologia del metabolismo lipoproteico.
Un
aumento secondario delle VLDL può essere provocato da diverse malattie, quali
il diabete mellito, la glicogenosi, l'ipotiroidismo, l'ipopituitarismo, la
sindrome nefrosica e le pancreatopatie; è da considerare secondario anche
l'aumento delle VLDL che può comparire in seguito ad assunzione eccessiva di
alcool, all'uso dei diuretici tiazidici di alcuni beta bloccanti e dei
contraccettivi orali. Si parlerà pertanto di ipertrigliceridemia primitiva
soltanto dopo avere escluso quelle cause che sono in grado di provocare una
aumentata sintesi endogena di VLDL o una loro ridotta rimozione.
Nelle
ipertrigliceridemie con chilomicronemia a digiuno (fenotipo V) la presenza di
chilomicroni non è costante, bensì in rapporto con il tipo di dieta, le
variazioni del peso corporeo e, spesso, con l'insorgenza di diabete conclamato.
È probabile che la chilomicronemia a digiuno, che rappresenta sempre un
avvenimento transitorio nel decorso clinico di tali pazienti, sia espressione di
un fenomeno quantitativo piuttosto che di una diversa anomalia genetica.
Come
nel fenotipo I anche nel V la presenza di xantomatosi eruttiva (fig.02
Tra
i segni clinici relativi all'apparato cardiovascolare studiati in un gruppo di
nostri pazienti, la coronaropatia risulta circa due volte più frequente nel
fenotipo IV rispetto al V; comportamento inverso presenta invece l'arteriopatia
periferica che ha nel fenotipo V una prevalenza quasi doppia rispetto a quella
del IV.
Sulla
rilevante frequenza in questi pazienti di manifestazioni cliniche della malattia
arteriosclerotica concordano quasi tutti gli studiosi, anche se esistono
notevoli differenze nell'entità della incidenza globale e distrettuale tra le
diverse casistiche.
In
tali pazienti è comune l'obesità, benché non eccessiva; anche la ridotta
tolleranza al glucosio è frequente, ed essa varia da gradi modesti di anomalie
della curva glicemica dopo carico orale di glucosio fino al quadro di un diabete
conclamato.
I
pazienti con ipertrigliceridemia presentano spesso una "sindrome
plarimetabolica" che oltre alla dislipidemia comprende l'obesità, il
diabete (o la ridotta tolleranza ai glucidi), l'iperuricemia e molto spesso si
associa a poliglobulia e ipertensione arteriosa. È questa una situazione nella quale si vengono a
riunire una serie di fattori di rischio di vasculopatia.
Di
recente questa sindrome è stata rivalutata da diversi Autori che hanno di volta
in volta messo in risalto alcuni aspetti peculiari di questa entità morbosa.
Certamente questi pazienti presentano spesso insulino resistenza e ipertensione
che potrebbero essere tra loro collegate, così come l'obesità androide o
viscerale potrebbe essere collegata all'insulino resistenza e alle complicanze
metaboliche lipidiche (aumento di trigliceridi e riduzione delle HDL).
La
diagnosi di fenotipo IV o V tiene conto dell'aspetto del siero, che può essere
opalino-lattescente (per l'aumento delle VLDL) o cremoso (per l'associarsi di
una chilomicronemia). Nel fenotipo IV la colesterolemia può essere normale o
aumentata, sempre aumentati sono i trigliceridi; il rapporto colesterolo:
trigliceridi è variabile, ma spesso è compreso tra 0,2 e 1,0. Nel fenotipo V
sono sempre aumentati sia il colesterolo che i trigliceridi plasmatici, più i
secondi del primo; il rapporto colesterolo: trigliceridi è compreso tra 0,1 e
0,4. Il tracciato elettroforetico conferma in entrambi i tipi l'aumento delle
pre-beta-lipoproteine, dimostrando, ove presenti, i chilomicroni. I livelli di
colesterolo delle HDL, come in tutti i casi di ipertrigliceridemia, sono
ridotti.
Lo
scopo della terapia ipolipidemizzante è quello di ridurre il rischio di
vasculopatia. È stato
infatti dimostrato che modificando i livelli di colesterolo sierico si ottiene
una riduzione della incidenza della cardiopatia ischemica.
Mentre
il trattamento delle iperlipoproteinemie secondarie consiste nella terapia delle
malattie di base che le determinano, nelle forme primitive si devono prima di
tutto eliminare quei fattori ambientali e dietetici, già ricordati, che possono
incrementare i livelli lipidemici.
La
dieta ipolipidemizzante prevede essenzialmente di: raggiungere il peso ideale;
ridurre i grassi a non più del 30% dell'apporto calorico totale distribuendo
questa quota calorica in parti uguali tra grassi saturi (che sono soprattutto
quelli di origine animale), poliinsaturi (di origine vegetale) e monoinsaturi
(per lo più rappresentati nelle nostre diete dall'acido oleico, che è
contenuto soprattutto nell'olio di oliva); ridurre il colesterolo della dieta a
300-500 mg/die (riducendo quindi gli alimenti di origine animale a favore dei
vegetali); ridurre o abolire l'alcool e sostituire gli zuccheri semplici con
quelli complessi (negli ipertrigliceridemici).
Quando
il solo regime dietetico non sia in grado di riportare l'assetto lipoproteico a
valori compatibili con un rischio moderato di vasculopatia è necessario
ricorrere anche a farmaci ipolipidemizzanti.
Le
linee guida per il trattamento dei pazienti dislipidemici sono state di recente
formulate da alcune Consensus Conference e riassumere come schematicamente
indicato nella tab.05
Una
volta stabilito che la terapia dietetica non è sufficiente ad ottenere gli
scopi desiderati si associa l'uso di un farmaco tenendo conto delle
caratteristiche della dislipidemia e delle proprietà dei diversi farmaci.
Passeremo
qui brevemente in rassegna i principali farmaci ipolipidemizzanti e la terapia
farmacologica delle differenti dislipidemie.
Le
resine a scambio anionico, sequestrando gli acidi biliari nell'intestino,
stimolano il fogato ad aumentarne la sintesi. Per fare questo l'epatocita deve
aumentare la captazione di LDL plasmatiche, per ottenere colesterolo da
trasformare in acidi biliari. L'aumento della captazione delle LDL avviene
tramite un aumento della attività dei recettori per apo B,E.
Attraverso
questo meccanismo le resine svolgono un effetto ipocolesterolemizzante. Tra gli
effetti collaterali delle resine si segnalano la stipsi e i disturbi
gastrointestinali in genere.
Gli
inibitori della sintesi del colesterolo, o statine, riducono nel fogato,
l'attività dell'enzima che regola la velocità di sintesi endocellulare di
colesterolo. A ciò consegue un aumento della sintesi dei recettori epatici per
le LDL e quindi un effetto ipocolesterolemizzante. Tra gli effetti collaterali
delle statine sono stati finora segnalati gli aumenti delle transaminasi (in
genere transitori) ed episodi di miolisi.
L'acido
nicotinico riduce la sintesi delle VLDL nel fegato diminuendo la mobilizzazione
di acidi grassi del tessuto adiposo. L'assunzione di tale farmaco determina, però,
anche alcuni effetti collaterali; tra i più frequenti: arrossamento cutaneo da
vasodilatazione (che si cerca di evitare con l'uso dei derivati dell'acido
nicotinico come l'acipimox), riduzione della tolleranza al glucosio, disturbi
gastrici, epatopatie, iperuricemia.
Un'altra
classe di farmaci ipolipidemizzanti è costituita dagli analoghi del clofibratoe
ciocil bezafibrato, ilfenofibrato e il gemfibrozil. Questi composti riducono la
produzione epatica di VLDL e soprattutto stimolano il loro catabolismo, inoltre
riducono i livelli di LDL e aumentano le HDL. Gli effetti collaterali più
frequenti dei fibrati sono gli aumenti (per lo più transitori) delle
transaminasi e i disturbi gastrointestinali.
La
fenformina e la meiformina, ipoglicemizzanti orali, e il benfluorex
produrrebbero il loro effetto ipolipidemizzante diminuendo la disponibilità di
acetacetato, acidi grassi e glicerolo per la sintesi lipidica.
Nel
fenotipo I la terapia è esclusivamente dietetica, essendo sufficiente un regime
a bassissimo tenore di lipidi alimentari (meno di 10 grammi al dì), sostituiti
da acidi grassi a media catena (MCT = medium chain triglycerides), per ottenere
nel giro di 24-48 ore la scomparsa della sintomatologia clinica e la
chiarificazione del plasma.
Nel
fenotipo IIa la dieta ottiene in genere una riduzione del colesterolo sierico e
delle LDL variabile dal 10 al 20%. Quando il trattamento dietetico non ottiene
risultati soddisfacenti si può ricorrere all'uso delle resine a scambio
anionico o alle statine.
Nell'ipercolesterolemia
familiare omozigote la terapia è particolarmente difficile per l'estrema
resistenza ai diversi farmaci; attualmente in questi casi viene indicato il
trapianto di fegato (per fornire al paziente nuovi epatociti in grado di
produrre recettori per apo B,E) o la LDL-aferesi (che può risultare necessaria
anche negli eterozitogi più gravi).
Nel
fenotipo IIb la dieta e la normalizzazione del peso corporeo riescono spesso a
riportare nei limiti di norma il quadro lipidemico; se vi è bisogno di
ricorrere a farmaci si preferisce una statina, l'acido nicotinico o il suo
derivato, un fibrato o il benfluorex.
Il
fenotipo III richiede un trattamento dietetico che riporti il peso corporeo a
quello ideale e una dieta di mantenimento; in genere una completa
normalizzazione dei lipidi plasmatici si ottiene con un fibrato.
Nel
fenotipo IV e V il trattamento dietetico assume un ruolo fondamentale. Se è
presente un sovrappeso il primo scopo da raggiungere è la riduzione al peso
ideale; ciò ha effetti benefici anche sulla tolleranza ai carboidrati che è,
come già detto, frequentemente ridotta in tali soggetti. L'eventuale terapia
farmacologica impiega un fibrato, l'acido nicotinico o il derivato, il
benfluorex e talora le biguanidi.
Crepaldi
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Thompson
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G.
Crepaldi
Direttore
Istituto di Medicina Interna,
Università
di Padova
E.
Manzato
Ricercatore
Confermato, Istituto di
Medicina
Interna, Università di Padova
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