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ARGOMENTI DI MEDICINA CLINICA
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Ultimo aggiornamento: 26.11.2009
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L'encefalo
è una struttura racchiusa, almeno dopo la prima infanzia, in un involucro
rigido costituito dalla scatola cranica.
La
pressione intracranica (PI) è quindi la risultante dei volumi degli elementi
contenuti nella cavità stessa e cioè cervello, liquor e sangue.
È da tenere presente che il volume intracranico è essenzialmente fisso
e, di conseguenza, in base alla legge di Monro-Kellie, la variazione di volume
di uno di questi tre elementi è possibile solo se compensata da opposte
modificazioni degli altri due. La relazione tra il volume (V) del cervello, del
sangue e del liquor può essere espressa da questa semplice equazione:
V
cervello + V sangue + V liquor + V altro = K
dove
K è una costante.
Soprattutto
per la presenza del letto vascolare cerebrale, la relazione pressione-volume
intracranica non è una funzione lineare. La curva PI-Volume è di forma
complessa, la prima porzione rappresenta la fase di compenso durante la quale
l'espansione del sacco durale, il parziale svuotamento dei seni venosi e
l'eventuale aumentato riassorbimento di liquor fanno sì che ad aumenti anche
notevoli di volume del contenuto intracranico corrisponda un aumento pressorio
quasi nullo. Durante questa fase si esauriscono le capacità di compenso
dell'asse craniospinale. Nella seconda fase la curva si inflette bruscamente
assumendo un andamento esponenziale e piccoli aumenti volumetrici determinano
marcati aumenti di PI. Questa seconda porzione della curva pressione-volume è
indice delle vere proprietà elastiche del contenuto intracranico
(essenzialmente del cervello), che possono essere modificate da situazioni
patologiche quali ischemia, edema, crescita tumorale.
La
misurazione esatta della PI è tutt'altro che semplice. Molti fattori
contribuiscono a determinarla ed i sistemi di rivelazione non possono, senza
pericolo, neutralizzare tutte le difficoltà che si frappongono. Ad esempio, va
rilevato che, inserendo un ago nello spazio subaracnoideo spinale, a soggetto in
posizione seduta, si ottiene una pressione che è inferiore a quella che si
otterrebbe se la scatola cranica fosse aperta; essa tuttavia è superiore a
quella che si otterrebbe se invece fosse completamente chiusa; infatti, la
scatola cranica è imperfettamente chiusa poiché la pressione atmosferica si
trasmette parzialmente al contenuto intracranico attraverso la pressione
centrale venosa.
Grossolanamente,
il metodo più semplice per misurare la PI è quello di rilevare la pressione
liquorale mediante puntura lombare. La pressione liquorale in condizioni
normali, e alla puntura lombare eseguita in decubito orizzontale, risulta
nell'uomo variare da 80 a 180 mm H2O. A paziente in posizione verticale la
pressione sale a 375-550 mm H2O in sede lombare, mentre in sede cisternale è
subatmosferica. Oltre a fattori di ordine gravitario, la pressione liquorale è
influenzata da fattori di ordine vascolare e cioè dalla pressione arteriosa,
capillare e venosa dell'encefalo.
Nella
pratica clinica, alla misurazione della pressione liquorale mediante puntura
lombare, presa come espressione della PI, vi sono due obiezioni fondamentali:
l'una riguarda il pericolo di indurre una compressione del tronco cerebrale da
ernie, in caso di ipertensione endocranica (IE), e l'altra il fatto che la
pressione liquorale non riflette fedelmente la PI. Nella pratica neurochirurgica
si usa la puntura diretta del ventricolo, ma solo quando vi sia una IE e quando
vi sia l'indicazione chirurgica a farla. Recentemente si sono sviluppati sistemi
di misura che non richiedono necessariamente la penetrazione e l'attraversamento
del tessuto nervoso e che, contemporaneamente, tengono conto della necessità di
misurare sia cronicamente la PI, ad esempio nell'idrocefalo infantile, sia
rapidamente ed una tantum, ad esempio nei traumi cranici. Questi metodi si
basano sulla misurazione della pressione dallo spazio extradurale, mediante
sensori che riflettono variazioni di forze applicate dallo spazio intradurale.
La tecnica però oggi largamente in uso è quella della vite subaracnoidea che,
attraverso un tubo, comunica con un trasduttore esterno.
È stato inoltre introdotto recentemente, per la misurazione della PI, un
trasduttore a fibre ottiche che può essere inserito nei ventricoli, nello
spazio epidurale e nel parenchima cerebrale.
È stato accertato che i metodi di registrazione della PI dallo spazio
subaracnoideo ed epidurale tendono a sottostimare i livelli di PI molto elevata
rispetto ai valori misurati con catetere intraventricolare. In conclusione
l'informazione più accurata sul valore della PI rimane la misurazione con
catetere intraventricolare, che presenta però lo svantaggio di aumentare il
rischio di infezione.
Un
aumento della PI si può verificare per il realizzarsi di tutta una serie di
evenienze; fra queste le più importanti riguardano l'aumento della produzione
del liquido cerebrospinale, l'ostacolo al suo deflusso e riassorbimento, le
modificazioni della pressione arteriosa, l'aumento della pressione venosa, gli
aumenti di volume dell'encefalo o gli impedimenti meccanici al suo normale
incremento di volume durante lo sviluppo. Queste condizioni verranno analizzate
separatamente tenendo però presente fin d'ora che tutte quante prima o poi
finiscono o per identificarsi o per sfociare in quel multiforme e ancora non ben
definito quadro costituito dall'edema cerebrale che, per il patologo, assume il
generico significato di saturazione idrica del tessuto nervoso.
Come
è noto, il liquido cefalorachidiano viene dai plessi corioidei del IV, III
ventricolo e dei ventricoli laterali per un processo di secrezione, filtrazione
o per una combinazione dei due. Nonostante la grande mole di lavori e gli
approfonditi studi degli ultimi anni sui meccanismi biologici e fisico-chimici
della produzione del liquor, non si è giunti ad una visione definitiva. Basti
qui dire che la composizione del liquor non è uguale a quella di un dialisato
del plasma. Moderni orientamenti tendono a considerare sedi di possibile
produzione o modificazione del liquor non soltanto quelle sopra elencate, ma
anche l'ependima, il neuropilo sub-ependimale, le membrane piogliali, la parete
dei vasi negli spazi subaracnoidei.
Un
aumento patologico della produzione di liquor si realizza comunque in rarissime
evenienze, da identificare essenzialmente nella presenza di un papilloma dei
plessi corioidei o nelle flogosi iperergiche del sistema coriomeningeo
(coriomeningiti iperergiche). Queste condizioni col passare del tempo finiscono
per provocare un idrocefalo per sfiancamento degli spazi subaracnoidei e dei
ventricoli cerebrali.
Il
liquido cefalorachidiano prodotto dai plessi corioidei e probabilmente negli
spazi subaracnoidei per filtrazione attraverso i vasi piali, dai ventricoli
laterali passa attraverso i forami di Monro nel terzo ventricolo. Esso si
diffonde poi negli spazi subaracnoidei attraverso i forami di Magendie e
Luschka; supera le varie cisterne basali, lo spazio interpeduncolare e sale
lungo le superfici laterali degli emisferi nella fessura di Silvio.
Un
ostacolo al deflusso del liquor può insorgere in qualsiasi punto del percorso
delle vie liquorali. Si parlerà di "idrocefalo ostruttivo" se
l'ostacolo al deflusso si realizza nel tratto delle vie liquorali che sta fra i
ventricoli e gli spazi subaracnoidei e di "idrocefalo comunicante" se
l'ostacolo si trova a livello degli spazi subaracnoidei. La distinzione tra
idrocefalo comunicante e ostruttivo è stata introdotta da Dandy ed ha causato
parecchia confusione. Il concetto di idrocefalo comunicante era basato sul fatto
che un colorante iniettato nei ventricoli laterali poteva diffondere nello
spazio subaracnoideo lombare, dimostrando che i ventricoli laterali erano in
comunicazione con lo spazio subaracnoideo spinale. Ciò non avviene
nell'idrocefalo non comunicante (ostruttivo). La distinzione tra idrocefalo
comunicante e ostruttivo può essere però fuorviante. In realtà in entrambi è
presente un'ostruzione al flusso liquorale: ciò che li differenzia è la sede
di tale ostruzione.
L'idrocefalo
ostruttivo si produce nel caso di tumori che bloccano il forame di Monro o il
III ventricolo, di tumori o processi infiammatori, comprese le loro sequele
cicatriziali gliali, che ostruiscono l'acquedotto. A questo proposito è da
tenere presente che l'atresia dell'acquedotto può dare un idrocefalo congenito
rapidamente fatale, ma più frequentemente le conseguenze dell'atresia non si
manifestano che nell'adolescenza. Causa di idrocefalo ostruttivo possono ancora
essere tumori del IV ventricolo, sia che nascano in questa struttura sia che la
occupino provenendo dal cervelletto, e processi infiammatori interessanti i
forami di Magendie e Luschka.
L'idrocefalo
comunicante invece è prodotto da processi cronici adesivi meningei
post-meningitici i quali ostruiscono gli spazi subaracnoidei, da reazioni
meningee iperplastiche conseguenti a meningiti sierose e ad emorragie
subaracnoidee, specie alla nascita. In generale, le adesioni più importanti
sono quelle che si formano alla base, attorno al mesencefalo, in corrispondenza
dell'incisura del tentorio e nello spazio interpeduncolare in quanto queste sedi
rappresentano il punto dove il canale liquorale è più stretto e quindi più
facilmente ostruibile.
Il
termine idrocefalo tensivo o iperteso risulta più appropriato nell'indicare le
condizioni determinate da ostacolo al deflusso liquorale, indipendentemente
dalla sede di tale ostacolo. A causa dell'ostruzione il liquor si accumula con
pressione aumentata, determinando allargamento dei ventricoli soprattutto nei
corni frontali ed espansione degli emisferi cerebrali (fig.01
Il
riassorbimento del liquor si compie principalmente attraverso i villi aracnoidei
che penetrano nei laghi venosi connessi con il seno longitudinale superiore.
Probabilmente una quota di liquido cefalorachidiano sfugge dalla cavità
craniospinale attraverso gli spazi subaracnoidei che circondano i nervi cranici
e spinali e una parte ancora viene riassorbita dai villi aracnoidei spinali.
È probabile che un riassorbimento, almeno per certe sostanze, si compia
anche nelle stesse strutture che sono deputate alla produzione o modificazione
del liquor, specialmente il plesso corioideo e l'ependima. Un difetto di
riassorbimento si può verificare nel caso di diffuse infezioni aracnoidee, che
compromettono i villi rendendoli impermeabili alla filtrazione, di emorragie
subaracnoidee, specie alla nascita, o di una tromboflebite murale del seno
longitudinale superiore.
La
PI è in equilibrio con la pressione capillare che è influenzata dal tono
arteriolare. In condizioni normali aumenti della pressione arteriosa non causano
aumenti di pressione del letto capillare e perciò non aumentano la PI.
Tuttavia, in particolari condizioni, aumenti della PI possono avere un'origine
arteriosa attiva o passiva. Nel primo caso si tratta di una vera vasodilatazione
arteriolocapillare: la causa probabilmente più frequente di questa condizione
è l'accumulo locale di CO2 di qualsivoglia natura. La IE che si instaura è
dovuta all'aumento di volume del compartimento vascolare che causa una
congestione cerebrale acuta. Nel secondo caso la capacità di autoregolazione
dei vasi cerebrali è perduta e i vasi si lasciano passivamente distendere dalla
pressione arteriosa sistemica. Questa condizione si osserva nelle fasi terminali
di ipertensione endocranica scompensata, ma anche in corso di crisi di
ipertensione arteriosa maligna.
La
pressione venosa è in diretta relazione con la PI: infatti la compressione
della vena giugulare causa un immediato aumento della PI che si trasmette allo
spazio subaracnoideo lombare a meno che in esso sia presente un blocco (test di
Queckenstedt).
La
pressione venosa può aumentare per un ostacolo al deflusso venoso sia
extracranico che intracranico. Nel primo caso, affinché l'evenienza determini
un aumento della PI è necessario che l'ostacolo si trovi vicino al cuore e che
siano in questo modo rese inefficienti le vie collaterali. Nel secondo caso si
tratta in genere di un'occlusione dei seni venosi laterali o longitudinali. Il
meccanismo patogenetico conducente all'IE è da identificare sia nell'ostacolato
riassorbimento del liquor sia nell'edema cerebrale conseguenza della stasi
venosa. È tuttavia da tenere
presente che l'IE stessa, una volta instaurata, agisce comprimendo le vene e
aumentando così l'ostacolo circolatorio. Si realizza in tal modo un circolo
vizioso che contribuisce all'ingravescenza della sindrome da IE stessa.
È questa una delle cause più importanti dell'IE. Alla base si
riconoscono essenzialmente due ordini di fenomeni: i processi occupanti spazio e
l'edema cerebrale. È tuttavia da tenere presente che i primi piuttosto
raramente provocano IE solo con il loro volume. Essi agiscono più
frequentemente attraverso uno dei meccanismi già ricordati o attraverso
l'insorgenza di edema cerebrale.
I
più comuni processi occupanti spazio del sistema nervoso centrale sono: tumori,
ematomi, emorragie intraparenchimali, infarti, ascessi e granulomi; molto più
rare le cisti aracnoidee o quelle da parassiti e la radionecrosi tardiva. In
linea generale l'aumento della PI che si realizza in queste condizioni può
essere sostenuto da diversi meccanismi, il cui relativo ruolo dipende dalla
sede, dalle dimensioni e dalla velocità di crescita del processo patologico. I
processi occupanti spazio possono essere a crescita rapidissima come gli ematomi
epidurali, subdurali o intracerebrali; a crescita rapida come metastasi,
glioblastomi, medulloblastomi; a crescita lenta come meningiomi o astrocitomi
ben differenziati. I tumori a lenta crescita permettono spesso un graduale
assestamento e ridistribuzione del contenuto intracranico, cosicché possono
raggiungere anche notevoli dimensioni senza provocare IE. In questi casi si
devono realizzare condizioni di compenso locali che impediscono che si verifichi
un aumento generalizzato della PI. Queste condizioni sono essenzialmente
processi di atrofia corticale e della sostanza bianca sottocorticale. I processi
occupanti spazio a rapidissimo sviluppo determinano IE essenzialmente per
effetto della massa della lesione che si espande.Altri meccanismi attraverso i
quali lesioni occupanti spazio possono provocare IE sono: un'ostruzione del
sistema ventricolare tale da impedire il deflusso del liquor; un'ostruzione
delle vie di riassorbimento e/o del sistema venoso di drenaggio dell'encefalo;
un aumento del volume del contenuto intracranico per effetto dell'edema
cerebrale.
L'IE
da processo occupante spazio si produce patogenenicamente in modo differente a
secondo che il processo abbia sede sopra- o sottotentoriale. Nei tumori
sopratentoriali che non interferiscono precocemente con le vie di deflusso
liquorale si ammette che le venule vengano compresse con risultante stasi venosa
e conseguente aumento della pressione capillare; la riduzione del flusso che ne
consegue viene compensata almeno parzialmente dalla vasodilatazione arteriolare
conseguente all'aumento della tensione locale di CO2. Il flusso ematico viene
ristabilito così a spese di una aumentata pressione capillare, ma con lo stesso
gradiente pressorio artero-venoso. In definitiva l'aumento della PI non risulta
dipendere direttamente dal volume addizionale del tumore, ma dal mantenimento
invece di un normale flusso ematico. Nei tumori sottotentoriali maggiore
importanza riveste l'ostacolo al deflusso del liquor. Di una certa rilevanza è
l'ostruzione della vena di Galeno che può realizzarsi sia per azione diretta
del tumore sia per azione a distanza attraverso meccanismi di distorsione o
compressione. Sull'efficacia di quest'ultima possibilità si discute ancora.
Infatti è stato giustamente rilevato che se un tumore può deformare la vena di
Galeno, a maggior ragione potrebbe deformare direttamente l'acquedotto o il III
ventricolo. È comunque un dato
certo che l'ostacolo al deflussovenoso provoca una diminuzione dell'assorbimento
del liquor e quindi un ulteriore incremento della PI che a sua volta determina
un'ulteriore aumento della pressione venosa.
È questo un altro aspetto del circolo vizioso continuo che caratterizza
la fisiopatologia della IE.
A
quanto è stato detto va aggiunto, a proposito dei tumori cerebrali in
particolare, che raramente l'IE rappresenta il primo sintomo. Ciò succede solo
per i tumori che ostruiscono precocemente le vie liquorali, quali ad esempio i
tumori ventricolari o per quelli che si sviluppano in regioni emisferiche
cosiddette mute. In queste zone i tumori possono crescere fino a dare il quadro
dell'IE senza provocare con ciò una sintomatologia di focolaio.
Si
definisce edema cerebrale una condizione caratterizzata da un aumento del volume
del tessuto cerebrale per un incremento del suo contenuto di acqua in sede
prevalentemente extra- o intra-cellulare. L'edema cerebrale è la causa
principale della sindrome da IE ed accompagna diversi processi patologici:
tumori, infezioni, traumi ecc., contribuendo alla morbilità ed alla mortalità
di molte affezioni neurologiche.
Reichardt
aveva distinto dall'edema cerebrale, caratterizzato da aumento di volume del
cervello, imbibizione idrica e presenza di un trasudato perivenoso (superficie
di taglio umida), un rigonfiamento cerebrale prevalentemente localizzato nella
sostanza bianca, caratterizzato da un aumento di volume del cervello e da una
superficie di taglio secca. Il primo si riteneva dovuto ad un accumulo
extracellulare di liquido ed il secondo ad una accumulo intracellulare. Benché
il "rigonfiamento" che si trova nella catatonia acuta mortale, nello
stato di male epilettico, nell'uremia e nell'eclampsia sia molto diverso
dall'edema che si trova in altre condizioni, per esempio nei traumi, tuttavia
una netta separazione tra rigonfiamento ed edema non è oggi più accettata
dalla maggior parte degli autori. Si tratta infatti di stadi differenti dello
stesso processo di diffusione del liquido nel tessuto cerebrale. Dal punto di
vista morfologico l'elemento più impressionante dell'edema cerebrale è
rappresentato dal contrasto fra la gravità delle alterazioni macroscopiche e la
scarsità di quelle microscopiche (fig.02
Al
microscopio elettronico era stata invece constatata l'esiguità degli spazi
intercellulari della sostanza grigia e d'altro canto la grande espansione
dell'astroglia perivascolare nell'edema cerebrale.
Nasceva
così il concetto di edema intracellulare e della glia come controparte
cellulare nel cervello degli spazi extracellulari negli altri organi.
Successivamente si era osservato ancora che nella sostanza bianca edematosa vi
sono cospicui spazi che possono rappresentare o la conseguenza della rottura di
astrociti rigonfiati oppure la dilatazione di preesistenti spazi. In linea
generale quindi l'edema si presenta al microscopio elettronico prevalentemente
come intracellulare nella sostanza grigia e prevalentemente extracellulare nella
sostanza bianca.
Con
Klatzo (1967) si distinguono sulla base del meccanismo patogenetico 2 tipi di
edema: vasogenetico, conseguenza di un'alterazione della barriera
ematoencefalica (BEE) e citotossico dovuto ad un'azione diretta di noxae agenti
sulle cellule parenchimali a BEE intatta. Tale netta distinzione, sebbene valida
dal punto di vista teorico, non trova un corrispettivo reale nella pratica
clinica: infatti l'edema vasogenetico può determinare a sua volta alterazioni a
livello delle cellule parenchimali e l'edema citotossico coinvolgendo le stesse
cellule endoteliali può accompagnarsi anch'esso ad un danno della barriera.
Negli
ultimi anni poi, una maggiore conoscenza dei meccanismi patogenetici che
sottendono l'edema cerebrale ha portato ad individuare altri tre tipi di edema:
osmotico, interstiziale ed ischemico.
a)Barriera
ematoencefalica. Il concetto di BEE è nato dall'osservazione che, mentre i
capillari dei tessuti extranervosi sono liberamente permeabili a tutte le
molecole più piccole di 30 kd, i capillari del sistema nervoso centrale
mostrano una permeabilità molto minore alle stesse molecole. Il Tripan Blu,
usato classicamente come esempio non passa dal sangue al parenchima cerebrale in
condizioni normali. Per questo stesso motivo, alcuni metaboliti, come ad esempio
l'ac. glutammico, possono aumentare nel sangue, ma non nel cervello; d'altra
parte, molte sostanze passano assai più rapidamente dal sangue nel fegato o
rene che nel cervello. La funzione di barriera è legata essenzialmente al fatto
che le giunzioni fra le cellule endoteliali nei capillari cerebrali sono
"serrate". I capillari del tessuto nervoso sono cioè di tipo
"continuo", in quanto endotelio e membrana basale sono ininterrotti;
per di più non esiste un vero spazio pericapillare per l'addensarsi sul vaso
delle terminazioni dei processi astrocitari.
In
alcune aree cerebrali tuttavia, come l'area postrema, la pineale, l'eminenza
mediana dell'ipotalamo, la linea di inserzione dei plessi corioidei ecc. la BEE
non c'è e le giunzioni inter-endoteliali sono di tipo "fenestrato"
anziché "continuo".
La
permeabilità alle diverse sostanze non è determinata esclusivamente dalla loro
dimensione, ma altre caratteristiche chimiche hanno un ruolo chiave: le molecole
liposolubili e apolari, che hanno affinità per componenti della membrana
cellulare, passano facilmente la BEE, mentre quelle idrosolubili, fortemente
polari, e le proteine non passano. D'altro canto molecole che hanno alta affinità
per proteine plasmatiche come ad esempio la bilirubina, non passano la BEE anche
se sono liposolubili. Nelle cellule endoteliali e dei capillari cerebrali sono
presenti dei carriers specifici che permettono il passaggio della BEE da parte
di soluti troppo polari per superare la barriera in virtù delle loro
caratteristiche chimiche, ma di cui il tessuto cerebrale ha necessità assoluta,
ad esempio il glucosio, la colina, alcuni aminoacidi essenziali e gli ormoni
tiroidei. Inoltre proteine possono passare le BEE con il "pinocytotic
vescicular transport", ma questo è più attivo in condizioni patologiche.
Alcune sostanze infine non hanno barriera come l'etanolo, e certi gas
liposolubili come CO2, O2, N2O, Xe, Kr.
b)Edema
vasogenetico. L'edema vasogenetico è tipicamente associato ad un danno della
BEE con conseguente aumento della permeabilità a livello dei capillari
cerebrali. Ne deriva la fuoriuscita di un fluido derivato dal plasma, costituito
essenzialmente da acqua, elettroliti e proteine plasmatiche, che penetra nel
tessuto sotto la spinta della pressione arteriosa e che diffonde secondo
gradienti di pressione idrostatica ed oncotica che si sviluppano nell'ambito del
tessuto stesso. Il fluido fuoriuscito si accumula prevalentemente nella sostanza
bianca seguendo le vie di minor resistenza, dissocia le fibre mieliniche
occupando lo spazio extracellulare.Nella corteccia l'effetto dell'edema è molto
meno vistoso in quanto la sostanza grigia per il fitto intrecciarsi dei processi
cellulari offre maggior resistenza all'accumulo ed alla diffusione del fluido
stravasato.
Clinicamente
l'edema vasogenetico è quello che si trova associato a tumori, traumi cranici,
ascessi, malattie vascolari (infarti ed emorragie), encefalopatia ipertensiva.
Il danno della BEE con conseguente aumento della sua permeabilità è stato
attribuito ad una meccanica apertura delle giunzioni serrate interendoteliali,
ma sembra che il fattore più importante nell'aumento della permeabilità sia
dovuto ad un incremento del meccanismo di trasporto vescicolare (formazione di
vescicole di pinocitosi) a livello delle cellule endoteliali.
Alla
patogenesi dell'edema associato alla crescita tumorale, che può essere
considerato un tipo peculiare di edema vasogenetico contribuiscono vari processi
tra loro correlati:
1)l'alterata
permeabilità dei capillari neoformati a livello del tumore in rapporto con
l'angiogenesi tumorale: tale abnorme permeabilità ha il suo substrato
morfologico nella presenza di giunzioni interendoteliali aperte, fenestrature
dell'endotelio, alterazioni della membrana basale con assenza dei processi
gliali astrocitari. Tanto maggiore è il grado di malignità del tumore tanto
maggiori sono le alterazioni vasali e l'alterazione della BEE;
2)l'incremento
della permeabilità vasale nel tessuto peritumorale ad opera di fattori
diffusibili prodotti dalle cellule tumorali stesse, prostaglandine E2 (PGE2) e
trombossano B2. L'azione di questi fattori sulla permeabilità vasale sembra
essere inibita dal desametazone e ciò potrebbe rappresentare un motivo
dell'efficacia del trattamento steroideo nell'edema associato a tumori;
3)meccanismi
immunologici non ancora ben conosciuti connessi con la produzione di
immunomodulatori quali PGE2 e fattori simili all'interleukina-1 responsabili di
effetti citotossici e di alterazioni della permeabilità vasale;
4)alterazioni
della permeabilità vasale sono poi riconducibili a processi di tipo
infiammatorio alla periferia del tumore che comportano la liberazione di enzimi
citotossici dai granuli dei polimorfonucleati, di fattori attivanti le piastrine
con conseguente liberazione di sostanze vasoattive, la sintesi di eicosanoidi
(PG1 PG2, PGF2) e di leucotrieni ed infine la produzione di radicali liberi.
c)Edema
citotossico. Esso non è dovuto ad un danno primitivo della BEE, ma è la
conseguenza del danno prodotto da agenti nocivi sulle cellule del parenchima
nervoso (neuroni, cellule gliali), le quali si rigonfiano con concomitante
riduzione dello spazio extracellulare. Alla base vi è un disturbo della pompa
del Na+. È noto che la
ATPasi, Na+ e K+ attivata, Mg++ dipendente, inibita dall'ouabaina, detta ATPasi
di membrana, idrolizza il fosfato terminale dell'ATP e catalizza lo scambio
ADP-ATP con riflessi sul trasporto di Na+ e K+. L'astroglia è la sede
principale di questi eventi: essa avrebbe la funzione di assorbire il K+ immesso
negli spazi extra-cellulari dall'attività dei neuroni. La pompa ovviamente deve
immettere K+ nella cellula ed espellere Na+. In caso di difettoso funzionamento
della pompa del Na+, si verifica un accumulo di tale ione all'interno delle
cellule, con conseguente richiamo di acqua e rigonfiamento cellulare. Anche le
cellule endoteliali possono essere sede di tale meccanismo, poiché devono
mantenere il gradiente ionico fra plasma e cervello, il K+ è 40 volte più
concentrato nel plasma che negli spazi extracellulari del cervello. È evidente che debba esistere un meccanismo che regola
lo scambio d'acqua fra plasma e cervello. La barriera dell'acqua si trova a
livello capillare ed è sotto il controllo adrenergico, localizzato
probabilmente nel locus coerulcus. Nell'edema citotossico vi è quindi un doppio
disturbo: uno spostamento di acqua dal compartimento extra - a quello
intracellulare ed un difetto di regolazione dell'acqua fra plasma e cervello
(Klatzo, 1979; Hirano e Llena, 1983). Nell'edema citotossico non vi è passaggio
di proteine. Certe sostanze lo producono in modo tipico, come il TET
(Trietiltin), l'esadorofene, l'idrazide dell'ac. isonicotinico. Al microscopio
elettronico la BEE risulta intatta. L'edema citotossico si verifica nell'ipossia
che consegue ad esempio ad arresto cardiaco o nell'asfissia; a causa del
cedimento della pompa del Na+ ATP-dipendente si verifica un accumulo di Na+ nel
compartimento intracellulare con conseguente richiamo di acqua dallo spazio
extracellulare nel tentativo di mantenere l'equilibrio osmotico.
d)Edema
osmotico. L'edema osmotico compare quando un gradiente osmotico si crea tra il
plasma ed il tessuto cerebrale. Ciò si verifica tipicamente in condizioni di
ipo-osmolarità plasmatica, come nella intossicazione da acqua, nella
"sindrome da disequilibrium" che si verifica un caso di emodialisi
eccessivamente rapida, o ancora in caso di un'insufficiente secrezione di ADH.
L'edema che si costituisce, rappresentato da acqua senza elettroliti, fluisce
dal plasma nello spazio intracellulare secondo un gradiente osmotico,
interessando gli elementi intraparenchimali in toto. Si tratta di un fenomeno
acuto e transitorio, infatti in seguito il tessuto cerebrale cede elettroliti
anziché assumere acqua nel tentativo di mantenere l'equilibrio osmotico.
e)Edema
interstiziale o idrocefalico. Si tratta di una condizione che si accompagna alla
presenza di un idrocefalo ostruttivo ed è dovuto ad un'abnorme passaggio
trans-ependimale di liquor attraverso le pareti ventricolari con conseguente
accumulo di fluido nella sostanza bianca periventricolare. In tale condizione la
BEE risulta integra. Caratteristica è la rapida risoluzione dell'edema
interstiziale dopo derivazione liquorale.
f)Edema
ischemico. I meccanismi patogenetici dell'edema associato ad ischemia cerebrale
sono complessi.Inizialmente l'edema è di tipo citotossico, interessa solo la
corteccia e consiste in un accumulo di Na+ e di acqua nel compartimento
intracellulare con rigonfiamento degli elementi cellulari (neuroni, glia,
cellule endoteliali) e riduzione dello spazio extracellulare. La BEE rimane
integra nelle fasi iniziali dell'ischemia. Queste modificazioni sono reversibili
quando l'ischemia non è prolungata e la ricircolazione è completa. Una
prolungata ischemia ed una scarsa ricircolazione determinano invece un danno
permanente con alterazione della BEE a cui consegue lo sviluppo incontrollato di
un edema vasogenetico. Recentemente è stato osservato che il danno ischemico
sulla BEE segue un andamento bifasico, con un precoce aumento della permeabilità
(che avviene generalmente entro le prime 2 ore dopo l'insulto ischemico) seguito
da una seconda fase che avviene dopo 4-6 ore. Una possibile spiegazione di
questo fatto è che il rigonfiamento dei processi astrocitari (dovuto all'edema
intracellulare) temporaneamente impedisce la fuoriuscita di liquido e soluti
nello spazio extracellulare e che nel contempo, riducendo il lume vasale,
aggrava il danno ischemico tessutale. Quando il rigonfiamento dei processi
astrocitari si risolve, si manifesta l'alterazione della permeabilità della BEE
con fuoriuscita di liquido e proteine sieriche che caratterizza l'edema
vasogenetico. I meccanismi biochimici che accompagnano l'ischemia contribuiscono
a determinare il danno della BEE e l'edema. In particolare l'ingresso di Ca++
nel compartimento intracellulare ed il suo sequestro a livello mitocondriale
avviene a spese della fosforilazione ossidativa e favorisce la produzione da un
lato di radicali liberi e dall'altro l'attivazione di fosfolipasi di membrana
con liberazione di acido arachidonico e con la conseguente produzione a cascata
di prostacicline, trombossano e leucotrieni che a loro volta propagano il danno
ischemico e l'edema. Sebbene la seconda fase dell'edema ischemico ricordi
l'edema vasogenetico, esso caratteristicamente non risponde alla terapia
steroidea. Questa situazione ha stimolato la ricerca per altri tipi di
trattamento quali farmaci anti-infiammatori non steroidei, antagonisti dei
canali del CA++, farmaci che neutralizzano gli effetti dei radicali liberi.
Le
varie situazioni patologiche fin qui discusse possono condurre, isolatamente o
più spesso associate, alla sindrome di IE. Indipendentemente dal meccanismo con
cui si instaura, la sua fisiopatologia riconosce essenzialmente due fasi
distinte. Nella prima, o "fase di compenso", le variazioni in meno di
due fattori determinanti la PI compensano la variazione in più del terzo (legge
di Monro-Kellie). La durata di questa fase dipende dalla velocità con cui
evolve la lesione causale. Ad esempio, come è già stato detto, un tumore a
lenta evoluzione può raggiungere dimensioni notevolissime senza provocare una
sindrome da IE. Nella seconda, o "fase di scompenso", l'IE si rende
manifesta e si realizza quel circolo vizioso a cui già si è accennato.
L'aumento della PI di per sé produce pochi sintomi e segni neurologici: cefalea
e papilledema essenzialmente. Gli effetti patologici della IE sul SNC sono
determinati dalla diminuzione della pressione di perfusione cerebrale e dagli
spostamenti di massa cerebrale (ernie). Si definisce pressione di perfusione
cerebrale la pressione arteriosa sistemica meno la pressione intracranica. Un
aumento di pressione arteriosa sistemica o una diminuzione della PI provocano un
aumento della pressione di perfusione cerebrale; all'inverso una caduta della
pressione arteriosa sistemica o un aumento della PI provocano una diminuzione
della pressione di perfusione cerebrale. In condizioni normali la pressione di
perfusione deve scendere al di sotto dei 40 mmHg prima che il flusso ematico
cerebrale diminuisca, poiché l'autoregolazione dei vasi cerebrali provoca una
vasodilatazione compensatoria a livello arteriolare che consente di mantenere il
flusso cerebrale costante. D'altra parte, quando la PI sale sino ad eguagliare
la pressione arteriosa sistemica, il flusso ematico cerebrale cessa
completamente. Pertanto notevole importanza rivestono i rapporti tra pressione
intracranica e volume ematico intracerebrale, che sono tuttavia molto complessi
e non ancora completamente chiariti. Quando l'autoregolazione dei vasi cerebrali
è intatta, un aumento della PI provoca una diminuzione della pressione di
perfusione e quindi vasodilatazione a livello arteriolare.
La
diminuita resistenza al flusso ha il risultato di mantenere costante il flusso
ematico intraparenchimale. Contemporaneamente, l'aumento della PI provoca
compressione a livello delle lacune venose ai margini dei seni durali, con
conseguente congestione a livello dei vasi venosi. Quindi l'aumento della PI
provoca da un lato dilatazione arteriolare attraverso i meccanismi di
autoregolazione, e dall'altro congestione venosa con conseguente aumento di
volume del compartimento ematico cerebrale. Il risultato è che si instaura un
circolo vizioso dove un aumento di PI determina un aumento di volume ematico
cerebrale, che a sua volta determina un ulteriore incremento della PI.
Se
poi i valori della PI si avvicinano a quelli della pressione arteriosa sistemica
si verifica un brusco aumento di quest'ultima accompagnata da bradicardia e
bradipnea. Questo fenomeno viene indicato come "effetto Cushing" ed il
meccanismo con cui si instaura è neurogeno, e rappresenta un riflesso bulbare
scatenato dall'ischemia di questo segmento del nevrasse. Esso si accompagna a
vasocostrizione periferica. Quando i meccanismi di autoregolazione hanno
prodotto una vasodilatazione massiva in seguito ad un aumento della PI e alla
riduzione della pressione di perfusione non può più avvenire un ulteriore
aumento del flusso ematico cerebrale in risposta ad eventuali aumentate
richieste metaboliche locali. Ciò determina la comparsa di segni del disturbo
metabolico ipossico, con diminuzione della fosforilazione ossidativa ed aumento
della glicolisi anaerobia. Ciò costituisce un ulteriore stimolo alla
vasodilatazione, provocata dall'acidosi lattica e dall'aumento della pressione
parziale di CO2, che agiscono direttamente sulle cellule muscolari lisce dei
vasi.
Un
altro elemento di notevole importanza è il fatto che l'ipossia cerebrale,
conseguenza indiretta dell'aumentata PI, finisce per condurre ad una
"ischemia ipossica" con conseguenti lesioni cerebrali a loro volta
favorenti l'edema. Infine bisogna ricordare che in caso di patologie cerebrali,
dove spesso i meccanismi di autoregolazione sono alterati, aumenti anche minori
di PI possono provocare ischemia e ipossia cerebrale. Pertanto più sono integri
i meccanismi di autoregolazione cerebro-vascolare maggiore è l'aumento di PI
che può essere tollerato senza disturbo della funzione cerebrale. Variazioni
acute ed improvvise della PI provocano effetti più gravi di variazioni che si
instaurano lentamente. Inoltre in caso di IE i valori di PI non sono costanti,
ma subiscono fluttuazioni anche notevoli in tempi relativamente brevi.
È stato dimostrato che sono particolarmente importanti ampie variazioni
della PI che avvengono ad intervalli di 15-30 minuti e che sono indicate come
onde "A" (plateau waves). Queste mantengono per considerevoli periodi
la PI su valori assai vicini alla pressione arteriosa sistemica e spesso sono
associate a peggioramenti temporanei delle condizioni neurologiche del paziente.
La patogenesi delle "plateau waves", che tipicamente si verificano
durante stadi avanzati di ipertensione endocranica associata a processi
occupanti spazio, è da correlare ad una temporanea dilatazione arteriosa, che
può avere anche una base fisiologica. Tali onde possono avvenire durante la
fase REM del sonno quando si verifica ritenzione di CO2, oppure al risveglio,
quando la dilatazione arteriosa accompagna l'aumento del metabolismo cerebrale:
oppure possono venire precipitate da aspirazione tracheale, cambiamenti di
posizione del capo, febbre, o altri stimoli che inducano una rapida variazione
del tono vascolare cerebrale. Esse riflettono lo scompenso dell'autoregolazione
cerebrale e possono provocare una significativa diminuzione della pressione di
perfusione tale da determinare un danno irreversibile del SNC.
In
corso di IE parti dell'encefalo, in virtù delle sue proprietà
viscoso-elastiche, possono dislocarsi attraverso normali aperture della dura e
dell'osso, con formazioni di ernie cerebrali, responsabili di patologiche
compartimentazioni intracraniche, a cui possono ascriversi i più temibili e
dannosi effetti della IE.
Prima
di considerare le complicazioni meccaniche e circolatorie della IE, dovute alla
formazione di ernie cerebrali, può essere utile ricordare le normali
compartimentazioni della cavità cranica. La principale suddivisione è fra
spazio sovra e sottotentoriale la cui separazione è data dal tentorio del
cervelletto. La falce cerebrale separa lo spazio sovratentoriale in una metà
destra e sinistra, mentre la piccola ala dello sfenoide fà da limite tra la
fossa cranica anteriore e media.
Patologiche
compartimentazioni intracerebrali si verificano quando lesioni massive o ernie
cerebrali iniziano ad ostruire l'incisura del tentorio o il forame magno. Ne
risulta che le pressioni generate dal liquor e dalla pulsazione arteriosa non
vengano più liberamente trasmesse attraverso il tessuto e gli spazi fluidi
dell'asse cranio-spinale. Di conseguenza si sviluppa un gradiente di pressione
tra un compartimento e l'altro e, in tali condizioni, anche piccole variazioni
di volume determinano grandi variazioni di pressione, che a loro volta
accentuano ed accelerano il processo di erniazione. Quindi, il meccanismo che dà
luogo alla formazione di ernie cerebrali non dipende strettamente dal valore
assoluto della PI ma dal gradiente di pressione tra un compartimento
intracranico e l'altro. Ciò è particolarmente evidente, ad esempio, nelle
ernie uncali, dove gradienti locali di pressione possono far spostare parte del
lobo temporale nello iato del tentorio quando la IE è ancora compensata e
quindi in assenza di valori di PI significativamente elevati. Vi sono tre
maggiori quadri di erniazione sopratentoriale che possono essere identificati
dal loro stadio finale: 1)ernia cingolata;
2)ernia
centrale o transtentoriale; 3)ernia uncale.
L'ernia
cingolata compare quando un aumento di pressione nel settore dorsale di un
emisfero fà sì che il giro cingolato si insinui sotto il margine libero della
falce cerebrale, sopra il corpo calloso, espandendosi verso l'emisfero opposto.
L'ernia cingolata si verifica soprattutto al di sotto della parte anteriore
della falce, dove normalmente vi è uno spazio libero tra quest'ultima e il
corpo calloso ed è in rapporto con processi occupanti spazio situati nel lobo
frontale (fig.04
È possibile anche un'erniazione retroalare dei lobi frontali oltre la
piccola ala dello sfenoide con possibile compressione delle carotidi e
conseguente diffusa ischemia emisferica.
L'ernia
centrale o transtentoriale è il risultato finale di uno spostamento verso il
basso degli emisferi e dei nuclei della base con compressione e dislocamento del
diencefalo e del mesencefalo rostrocaudalmente attraverso l'incisura del
tentorio. Essa è provocata essenzialmente da lesioni dei lobi frontali,
parietali e occipitali e da lesioni extracerebrali situate in corrispondenza del
vertice e dei poli fronto-occipitali. In caso di lesioni espansive unilaterali
l'ernia cingolata in genere precede l'erniazione trastentoriale. Nell'ernia
transtentoriale, come nell'ernia uncale, si possono verificare alterazioni da
ostacolo al deflusso liquorale e di tipo circolatorio con secondarie lesioni
ischemiche e/o emorragiche a livello del tronco. In particolare il dislocamento
del mesencefalo e del ponte verso il basso determina uno stiramento delle
branche perforanti della arteria basilare, che essendo ancorata al circolo del
Willis non può spostarsi verso il basso.
L'ernia
uncale consiste nell'impegno della parte infero-mediale del lobo temporale nello
spazio tra la faccia laterale del mesencefalo ed il bordo libero del tentorio (fig.05 È
tipicamente provocata da lesioni espansive del lobo temporale e da estesi
processi occupanti spazio come ematomi subdurali ed epidurali. Se l'ernia è
unilaterale spinge il tronco contro il margine opposto del tentorio, se invece
è bilaterale il tronco è compresso dai due unci erniati. L'ernia uncale
distorce e deforma il tronco cerebrale sia per compressione diretta, sia
indiretta spingendolo contro il margine controlaterale del tentorio. Tale
evenienza si verifica specialmente se l'evoluzione dell'impegno è lenta. Questi
spostamenti danno luogo a modificazioni circolatorie e ad un ostacolo al
deflusso liquorale sia per compressione dell'acquedotto che degli spazi
subaracnoidei in modo da interferire con la circolazione del liquor. Questa
ostruzione fa sì che il liquor non possa uscire dal sistema ventricolare per
compensare aumenti di volume del cervello cosicchè la pressione nella cavità
sopratentoriale sale al di sopra di quella della fossa posteriore.
Le
alterazioni circolatorie consistono in primo luogo nella compressione
dell'arteria cerebrale posteriore che decorre lungo il margine libero del
tentorio con conseguente ischemia del lobo occipitale. Possono inoltre
verificarsi lesioni ischemiche ed emorragiche a livello del tronco con
caratteristico interessamento della sua porzione centrale dal diencefalo alla
porzione inferiore del ponte. Tali alterazioni sono particolarmente importanti
quando la lesione sopratentoriale si espande rapidamente. L'esatta patogenesi di
queste alterazioni vascolari è dibattuta e sembra possa essere sia di origine
arteriosa che venosa. I fenomeni di compressione e distorsione dei piccoli vasi
che alimentano il mesencefalo, il ponte e il bulbo, nello stadio iniziale,
possono essere reversibili, ma se persistono a lungo anche un'eventuale
risoluzione dell'erniazione può essere fatale a causa di emorragie secondarie
come risultato nel ripristino del flusso in un letto vasale precedentemente
dilatato per effetto dell'ischemia.
L'impegno
tonsillare o cono di pressione cerebellare consiste nell'erniazione delle
tonsille cerebellari attraverso il forame magno con conseguente compressione del
bulbo (fig.06x). L'ernia è di solito bilaterale e asimmetrica. In
genere si verifica per processi occupanti spazio in fossa posteriore e con PI
diffusamente elevata. L'erniazione tonsillare oltre ad un danno del bulbo per
compressione diretta, determina anche una sofferenza ischemica nel territorio di
distribuzione dell'arteria cerebellare postero-inferiore e delle arterie
vertebrali.
Ernie
sia sovratentoriali che tonsillari possono verificarsi come conseguenza di una
rachicentesi in pazienti anche con modesta IE. La sottrazione di liquor per via
lombare comporta infatti una cospicua differenza di pressione tra cavità
cranica e canale rachideo che spinge l'encefalo ad erniarsi.
Altre
erniazioni meno comuni possono ancora verificarsi. Ad esempio un'ernia può
prodursi attraverso il lembo operatorio di un tumore cerebrale o per crescita
del tumore stesso o per edema. I margini dell'apertura possono comprimere i vasi
cosicché il tessuto erniato diventa necrotico ed emorragico. Nel caso di IE
prolungata si possono anche realizzare ernie di corteccia cerebrale attraverso
fibre durali separatesi.
In
contrasto con la molteplicità dei meccanismi fisiopatogenetici, la
sintomatologia dell'IE è piuttosto uniforme.
È tuttavia utile tenere distinti i sintomi tipici dell'IE da quelli
provocati dalle sue più frequenti complicazioni: le ernie transtentoriali e
quelle delle tonsille cerebellari nel forame magno. I sintomi principali sono
rappresentati, nel primo caso da cefalea, vomito, papilla da stasi, nausea e
vertigini. Nel secondo caso, sia in relazione all'entità dell'incremento
volumetrico sia al tempo in cui esso si instaura, saranno presenti disturbi
dello stato di coscienza corrispondenti al progressivo deterioramento
rostro-caudale (Plum e Posner, 1966) in rapporto con lesioni a livelli diversi
delle strutture sottocorticali, disturbi dell'oculomozione, bradicardia,
disturbi del respiro.
La
cefalea viene generalmente attribuita non tanto alla aumentata PI, quanto
piuttosto allo stiramento delle terminazioni nervose dei vasi del poligono di
Willis e della dura madre, nonché alla distorsione dei seni venosi e delle
vene, dell'arteria meningea media, dei nervi cranici e radici cervicali. Essa
compare per lo più a crisi, specie inizialmente, per diventare poi continua.
Talora è più accentuata in alcune ore del giorno specialmente al mattino ed
aumenta nel sonno secondariamente alla ritenzione di CO2. Il dolore può essere
diffuso, localizzato o di tipo "nevralgico". Nel caso dei tumori
cerebrali la cefalea non ha alcun significato in rapporto alla localizzazione;
nei casi di tumori della fossa posteriore il dolore può essere infatti sia
occipito-cervicale che frontale, poiché il tentorio riceve un'innervazione
sensitiva anche dalla prima branca del nervo trigemino. Soggettivamente la
cefalea viene avvertita con caratteri variabili, spesso a tipo
"urente" o come "se qualcosa premesse dall'interno", o
ancora come "se il cervello battesse contro la nuca" ricordando in
quest'ultimo caso la cefalea da ipotensione ortostatica. Di solito essa viene
accentuata da tutte quelle manovre che determinano un aumento della PI, quali
l'abbassare il capo, lo starnutire, il ponzare, mentre si riduce con il vomito.
Ciò è dovuto all'iperventilazione che accompagna di solito questo sintomo.
È tuttavia da rilevare che la cefalea in alcuni casi può mancare del
tutto o essere di lieve entità e ben tollerata. Rientra infatti nella comune
pratica neurologica l'osservazione di tumori cerebrali decorsi senza cefalea. La
cefalea è comunque il sintomo più frequente sia essa in associazione ad altri
sintomi e/o segni neurologici di aumento della PI o come sintomo isolato.
Elemento di valore diagnostico non sarà tanto l'intensità o il carattere della
cefalea quanto piuttosto la sua comparsa in un soggetto che mai in precedenza ne
aveva sofferto.
Il
vomito è sintomo meno costante della cefalea, ma talora può manifestarsi in
assenza di questa, benchè non di rado si presenti all'acme di una crisi
cefalalgica. Il vomito compare per lo più al mattino, non in relazione con i
pasti spesso accompagnato da nausea. Spesso nei tumori cerebrali viene descritto
come "esplosivo, a getto" e cioè improvviso e non accompagnato da
nausea. Questa evenienza è piuttosto rara e si verifica per lo più nei tumori
della fossa posteriore, specialmente del IV ventricolo nei bambini. Esso è
dovuto all'irritazione diretta dei nuclei del nervo vago da parte della
neoplasia. Il vomito può comparire associato a cefalea in coincidenza con
bruschi movimenti del capo. In questi casi si tratta di tumori del III e del IV
ventricolo oppure di erniazione delle tonsille cerebellari e si ritiene dovuto
all'irritazione diretta da parte del processo patologico dei centri nervosi
relativi. Il vomito nei bambini è forse più caratteristico della cefalea come
sintomo di aumentata PI. Può infatti avvenire nei bambini che la cefalea dopo
un po' di tempo scompaia, per diminuzione della PI conseguenza dell'allargamento
delle suture ossee ed all'aumento di volume del capo, mentre il vomito rimane
inalterato. È molto
importante segnalare che nei bambini con tumori del IV ventricolo il vomito può
accompagnarsi a dolori addominali, specie appendicolari. Non è pertanto
eccezionale che piccoli pazienti giungano alla diagnosi di tumore in fossa
posteriore dopo aver subito un inutile intervento di appendicectomia.
La
papilla da stasi o papilledema per gli anglosassoni, è il segno obiettivo più
importante dell'ipertensione endocranica. Essa è determinata dall'ostacolo al
ritorno venoso dall'occhio con congestione delle vene retiniche e dall'edema
della papilla ottica. A questi meccanismi va ancora aggiunto il fatto che
all'aumentata PI non fa riscontro un aumento parallelo della pressione
intraoculare. L'entità dell'edema papillare è molto varia. Anzitutto è da
rilevare che, nonostante rappresenti il sintomo obiettivo più importante
dell'ipertensione endocranica, la papilla da stasi può mancare nel 20-30% dei
casi. È soprattutto quando
l'aumento di pressione endocranica si sviluppa molto lentamente che non si
instaura l'edema papillare; in questi casi in suo luogo si può avere un
accentuato grado di miopia, un aumento di pressione endo-oculare o una
compressione sui nervi ottici. Anche quando l'aumento di pressione intracranica
è molto rapido può mancare la papilla da stasi; in questi casi, però, si
trovano sovente emorragie retiniche o subjaloidee.
All'esame
oftalmoscopico l'aspetto del fondo dell'occhio è tipico. I bordi della papilla
ottica sono sfumati, più precocemente dal lato nasale. Il diametro del disco
papillare può apparire aumentato di due o tre volte con conseguente
allargamento della macchia cieca. L'escavazione fisiologica gradatamente
scompare, le vene diventano turgide e le arterie di calibro ridotto. Poiché la
superficie della papilla risulta elevata sul piano retinico, i vasi sono
obbligati ad incurvarsi verso l'indietro in corrispondenza dei bordi papillari
dando luogo al fenomeno del cosiddetto "salto dei vasi". Il
rigonfiamento e quindi il sollevamento della papilla ottica si misurano in
diottrie; tre diottrie corrispondono ad 1 mm. Generalmente si raggiungono le 2-4
diottrie, ma queste possono anche essere 6-7. La retina circostante la papilla
può essere ripiegata e mostrare emorragie lungo i vasi che giungono talora a
costituire una corona attorno alla papilla stessa. Col passare del tempo si
instaura un'atrofia delle fibre nervose e al quadro del papilledema si
sostituisce quello di un'atrofia ottica secondaria con papilla pallida,
biancastra e vasi esili. A questo stadio l'alterazione è irreversibile; pur
risolvendosi l'ipertensione endocranica, l'atrofia ottica non si modifica più.
Almeno negli stadi iniziali della papilla da stasi, vi è una dissociazione fra
l'entità del quadro oftalmoscopico e la modesta compromissione dell'acuità
visiva, che può rimanere per un certo tempo conservata. Questa dissociazione
differenzia la papilla da stasi dalla neurite ottica o neurite retrobulbare, in
cui la perdita dell'acuità visiva contrasta con lo scarso reperto obiettivo.
Tuttavia la compromissione del visus, una volta stabilitasi, progredisce
parallelamente all'instaurarsi dell'atrofia ottica. Oltre al disturbo del visus
compaiono improvvisi e fugaci oscuramenti della vista e modificazioni del campo
visivo consistenti nel già ricordato allargamento della macchia cieca ed in
difetti periferici cuneiformi "a dentellatura".Poco compromessa è
l'attività visiva centrale; infatti il reperto di un cospicuo scotoma centrale
è indicativo di neurite ottica anzichè di papilledema. La diagnosi di papilla
da stasi è facile. Questa va però differenziata verso due condizioni morbose:
l'ipermetropia e la trombosi della vena centrale retinica. Nell'ipermetropia
grave i limiti della papilla possono essere sfumati e i vasi possono apparire
incurvati ai bordi, ma ciò succede solo in un punto lungo il disco;
l'escavazione fisiologica è inoltre bene rilevabile. Nei casi dubbi,
l'osservazione nel tempo sarà utile in quanto il quadro della ipermetropia non
si modifica. Nella trombosi della vena retinica centrale, il quadro corrisponde
a quello di una grave papilla da stasi. L'elemento differenziante maggiore è
costituito dal fatto che in questa condizione è colpito un occhio solo; l'altro
è completamente normale. La papilla da stasi invece è di solito bilaterale; può
essere unilaterale negli stadi iniziali ma allora il quadro non è, per
imponenza paragonabile a quello della trombosi della vena rennica. Anche nella
sindrome di Foster-Kennedy la papilla da stasi è unilaterale, ma in questo caso
l'altro occhio mostra il quadro dell'atrofia ottica primaria. La sindrome in
questione si realizza nei tumori della superficie inferiore del lobo frontale,
che danno un'atrofia ottica per compressione diretta del nervo ottico
omolateralmente e una papilla da stasi controlaterale, conseguenza
dell'aumentata PI.
Analogo
alla papilla da stasi è il labirinto da stasi che determina la comparsa di
vertigini. L'aumento della pressione si trasmette infatti dalla cavità
intracranica all'orecchio interno.
Del
quadro clinico dell'ipertensione endocranica fanno parte anche disturbi
psichici. È opportuno
ricordare che alterazioni della personalità possono essere espressione di
lesioni a livello dei lobi frontali, corpo calloso, lobi parietali e sistema
limbico uni o bilaterale. Indipendentemente dalla sede essi compaiono
tardivamente quando la PI diviene alta e sono caratterizzati da rallentamento
dell'ideazione, tendenza al sopore, delirium, allucinazioni, stato confusionale.
Con il progredire della IE i disturbi psichici si aggravano fino allo stupore e
gradualmente fino al coma in cui compaiono irregolarità respiratorie, aumento
della pressione arteriosa e bradicardia. In questi casi l'interessamento delle
strutture del tronco e specialmente della sostanza reticolare attivatrice è
considerato la causa delle alterazioni dello stato di coscienza. Quando le
alterazioni dello stato di coscienza dominano il quadro clinico esse sono
l'espressione di aumento acuto della PI o espressione delle sue complicanze
quali le ernie tentoriali o le ernie tonsillari.
In
caso di erniazione, oltre ai classici segni clinici di aumento di PI possono
comparire, assumendo significato clinico e prognostico rilevante, anche
alterazioni del tono muscolare con ipertonia della muscolatura assiale e degli
arti con capo iperteso simili agli spasmi da decerebrazione, alterazioni del
sistema autonomico con disturbi cardiaci, respiratori e della regolazione
termica.
L'ernia
temporale spesso si accompagna a lesioni emorragiche dei corpi mammilari e
produce gravi lesioni a livello del tronco cerebrale o per compressione diretta
o indiretta contro il margine controlaterale del tentorio.Tali spostamenti hanno
per conseguenza modificazioni circolatorie quali emorragie da lacerazione dei
vasi perforanti, emorragie da compressione venosa dei vasi che alimentano e
drenano il mesencefalo e la parte superiore del ponte, ischemie del tronco più
raramente. Queste complicazioni sono spesso causa di morte improvvisa e
costituiscono l'incidente terminale più frequente nella morte per tumore
cerebrale. Il sintomo premonitore e caratteristico dell'impegno transtentoriale
è la paralisi omolaterale del terzo paio, inizialmente rappresentata dalla sola
midriasi pupillare dapprima ancora reagente e successivamente del tutto non
reagente (midriasi fissa) alla luce. La causa della precocità della midriasi
rispetto al deficit oculomotorio risiede nell'iniziale disfunzione o distruzione
delle piccole fibre pupillo-motorie (5 micrometri) rispetto alle altre fibre del
III paio (15-18 micrometri). Il nervo può essere compresso a due livelli: più
frequentemente a livello del ligamento petroclinoideo mediale, meno comunemente
nel punto dove esso passa tra l'arteria cerebellare superiore e l'arteria
cerebrale posteriore. Le fibre pupillo-motorie sono situate in superficie a
livello del punto di compressione. Lo spostamento del tronco encefalico contro
l'opposto margine libero dello iato tentoriale è causa della comparsa di una
emisindrome piramidale omolaterale dal lato dell'ernia. In alcuni casi manca la
paralisi del III paio e può essere presente paralisi dell'abducente con
diplopia nello sguardo verso il lato affetto. La paralisi dell'abducente è
strettamente legata alla congestione venosa passiva a livello dei seni venosi
basali e trasverso, che comprimono il nervo nel punto in cui esso perfora la
dura sopra il clivus o il seno cavernoso. In alcuni casi sono presenti disturbi
del campo visivo dovuti a disordini circolatori nel lobo occipitale causati
dalla compressione della arteria cerebrale posteriore livello dello iato del
tentorio. I sintomi sono l'emianopsia laterale omonima e la cecità corticale da
strozzamento bilaterale delle arterie cerebrali posteriori spesso mascherati dai
concomitanti disturbi dello stato di coscienza. I disturbi del campo visivo sono
la regola quando la pressione liquorale supera i 500 mmH2O o il papilledema
supera i 4 D.
Altri
sintomi riportati nei casi di ipertensione che si esercita nello spazio
sopratentoriale con conseguente ernia temporale sono caratteristici della
disfunzione vestibolo oculare: la deviazione coniugata degli occhi con nistagno,
in questo caso sono interessati il fascicolo longitudinale posteriore e la
sostanza reticolare. Quando l'ernia temporale si aggrava o si verifica
acutamente si hanno crisi toniche definite a tipo "rigidità
decerebrata" con iperestensione degli arti e del capo. Sono presenti,
inoltre, disturbi della coscienza con stato di coma, disturbi del respiro e
della regolazione termica a significato prognostico infausto. Per quanto
riguarda i disordini della termoregolazione essi sono caratteristici della IE
acuta mentre non compaiono nei casi di IE a lenta instaurazione e sono
espressione o di interessamento dei centri regolatori ipotalamici oppure della
catena di riflessi termoregolatori che si estende dall'area preottica attraverso
l'ipotalamo al midollo spinale. Sono infine da ricordare come possibili segni di
ernia temporale disturbi di natura ipofisaria come il diabete insipido e
disturbi elettrolitici espressione di turbe circolatorie in tale sede.
Nei
casi di impegno tonsillare i sintomi caratteristici sono la rigidità nucale, le
crisi in opistotono e i segni di compressione delle funzioni "vitali"
autonomiche.
Se
il fenomeno si realizza lentamente si ha come primo segno un ipertono dei
muscoli nucali con capo fisso in iperestensione. Il capo può anche essere
lievemente inclinato se l'impegno non è simmetrico: cosiddetto "capo da
cerimonia". L'iperestensione del capo si accompagna a dolori nucali ed
interscapolari ed è una risposta muscolare riflessa alla pressione esercitata
sulla dura a livello pontino; le lesioni situate a livelli più alti si
accompagnano, infatui, a flaccidità dei muscoli cervicali. Se l'impegno si
aggrava o si manifesta acutamente compaiono i cosiddetti "cerebellar
fits", crisi caratterizzate da opistotono ed iperestensione degli arti con
iperpronazione delle mani a tipo "rigidità decerebrata" del preparato
animale per lesione al di sotto del nucleo rosso.
La
sintomatologia neurovegetativa oltre alla perdita di coscienza presenta due fasi
distinte in relazione all'incremento della IE; nella prima fase sono presenti
aumento della pressione arteriosa sistemica, con bradicardia e bradipnea mentre
un ulteriore aumento delle PI provoca ipotensione, tachicardia e tachipnea.
L'aumento della pressione arteriosa sistemica e la bradicardia e bradipnea
conseguenti sono noti come "riflessi di Cushing" e sono di per sé
sintomi di IE scompensata. Si tratta di un fenomeno riflesso modulato a livello
del centro vasomotore bulbare e delle strutture paramediane bilaterali nella
regione caudale del IV ventricolo sensibili all'aumento della pCO2 che provoca
vasocostrizione periferica, bradicardia e bradipnea. Allorquando anche questo
meccanismo è scompensato dall'ulteriore aumento della PI compaiono tachipnea,
asma cardiaco, respiro periodico, tachicardia, exurasistoli AV, ritmi bigemini,
alterazioni del tratto ST-T mentre la pressione arteriosa cede subitaneamente
con edema polmonare, cianosi, sudorazione ed ipertermia, fino alla paralisi
respiratoria.
La
radiografia semplice del cranio è ricca di informazioni sulla IE, specie quando
questa dura da un certo tempo. Nei bambini ad esempio del tutto costante è la
separazione delle suture craniche: diastasi delle suture (fig.07
L'elettroencefalogramma
(EEG) di solito rivela bioritmi patologici non tanto legati allo stato di IE o
di edema cerebrale, quanto piuttosto alla lesione causale o alle complicanze.
Esso è più utile sul piano prognostico che diagnostico. Nelle complicanze si
hanno soprattutto diffuse onde lente, specie anteriori, monomorfe, della banda
delta. Di solito queste prevalgono su un lato. Con l'aggravarsi della situazione
tali onde diventano progressivamente più lente e tendono a generalizzarsi e
successivamente a diminuire in ampiezza fino all'appiattimento.
È comunque da tener presente che queste alterazioni EEGrafiche risultano
sovrapposte a quelle prodotte dalle lesioni causali.
Molto
ricchi di informazioni sono gli esami radiografici con mezzo di contrasto.
Con
l'angiografia è soprattutto lo stiramento dell'arteria cerebrale anteriore e
delle diramazioni silviane a denunciare lo stato idrocefalico. Con tale esame si
possono apprezzare sindromi radiologiche riferibili ad edemi marginali, edemi
locali da tumori, edemi collaterali attorno ad emorragie e rammollimenti.
Chiaramente riconoscibili sono pure le sindromi relative alle erniazioni:
nell'impegno temporale è tipico l'aspetto dell'arteria cerebrale posteriore
spinta in dentro e sotto la tenda del tentorio (fig.08
Di
fondamentale importanza si è rivelata la tomografia computerizzata (TC) sia nel
rilievo delle lesioni primarie che in quello degli idrocefali e dell'edema (fig.09
La
tomografia a risonanza magnetica nucleare (RMN) non fornisce contributi
diagnostici superiori alla TC se non per la sua maggiore capacità di
definizione di specifici distretti topografici quali la fossa cranica posteriore
(fig.11A
L'introduzione
del contrasto paramagnetico Gd-DTPA potenzia ulteriormente le possibilità della
RMN introducendo nuovi elementi semeiologici. La RMN non è tuttavia in grado
per ora di definire con certezza i margini dei tumori gliali dall'edema
perilesionale. La RMN ha una elevata sensibilità nei confronti delle
alterazioni del contenuto di acqua nei tessuti; questo la rende concettualmente
la migliore metodica nell'evidenziare l'edema o come alterazione tissutale
localizzata, espressione di neoplasie in "fase nascente" a fronte di
TC negativa o come alterazione diffusa, espressione di edema che si incontra
nelle alterazioni della barriera su base vascolare o traumatica. In quest'ultimo
caso la RMN riveste particolare importanza nell'evidenziare, attraverso le
sequenze T2 pesate l'aumento di acqua libera tissutale espressione di edema
diffuso e, attraverso le possibilità di multiplanarietà dell'esame, le ernie
parenchimali complicanza di IE post-traumatica.
La
sintomatologia dell'IE può accompagnarsi a segni neurologici di focolaio
dipendenti dalle stesse cause patogene che hanno prodotto l'ipertensione. I
medesimi sintomi possono realizzarsi anche negli edemi localizzati. Si tratta di
paralisi transitorie, emiparesi, segni piramidali mono o bilaterali, più
raramente cerebellari o extrapiramidali. Compaiono inoltre crisi epilettiche
generalizzate o jacksoniane o stati di male epilettico. Per quanto riguarda il
decorso delle sindromi da IE sottese da edema cerebrale, vi sono importanti
differenze: anzitutto si possono avere forme acute con decorso fulminante, quali
si riscontrano nelle emorragie, rotture di aneurismi, processi infiammatori,
avvelenamenti, neoplasie cerebrali maligne. La perdita di coscienza in questi
casi è precoce e rapidamente compaiono segni di compromissione del tronco. Il
quadro può essere aggravato da ostruzioni delle vie respiratorie. Di solito
l'edema cerebrale acuto compare da poche ore a uno-due giorni dopo l'evento
patogeno.
Le
forme subacute invece danno una sintomatologia progressivamente ingravescente
cosicché si possono con difficoltà differenziare dai tumori cerebrali. Fra le
cause più importanti si hanno l'ipertensione maligna, l'avvelenamento da CO.
Nell'ambito
delle encefaliti è nota una forma anatomoclinica che va sotto il nome di
"encefalite pseudotumorale". Praticamente tutte le encefaliti possono
assumere, ad un certo punto del loro decorso, un carattere pseudotumorale, ma ciò
succede particolarmente per l'encefalite necrotica, per quella emorragica, per
quella metastatica e per quella sierosa. Come è stato detto, l'evento che
conferisce il carattere pseudotumorale anche a queste forme è l'edema
cerebrale.
Esistono
poi forme ricorrenti date da crisi ripetute di IE. Questo succede specialmente
nei tumori cerebrali, nelle malattie cardio-vascolari. Se l'edema cerebrale non
si accompagna ad anossia ed a modificazioni metaboliche e circolatorie può
essere suscettibile di remissione completa, compatibilmente con la causa che
l'ha prodotto.
Se
invece si tratta di un edema complicato compaiono alterazioni irreversibili del
tessuto cerebrale quali atrofie, necrosi e sclerosi della sostanza bianca,
necrosi corticali.
Dal
punto di vista topografico si possono ancora distinguere edemi cerebrali focali,
generalizzati e diffusi. Come esempio dei primi si può ricordare l'edema che
accompagna le metastasi tumorali emisferiche e come esempio dei secondi gli
edemi da quadri di ipertensione arteriosa o tossico-allergici.
Dal
punto di vista eziologico possiamo distinguere diverse forme: da traumatismi
cerebrali, vasculopatie cerebrali, encefaliti, ipertensione arteriosa, affezioni
renali, eclampsia, intossicazioni.
Un
cenno particolare meritano quelle forme che vanno sotto il nome di
"pseudotumor cerebri" (PTC) o "ipertensione intracranica
benigna". Si tratta di un edema cerebrale diffuso con papilledema, in
assenza di segni neurologici focali e di lesioni dimostrabili
neuroradiologicamente. Colpisce prevalentemente soggetti di giovane età di
sesso femminile a tipologia obesa.
Sono
riportati 4 diversi meccanismi eziopatogenetici:
a)aumento
del contenuto ematico cerebrale provocato da una alterazione
dell'autoregolazione del flusso ematico cerebrale;
b)ipersecrezione
di liquor;
c)ostacolo
di flusso e/o riduzione del riassorbimento liquorale, attualmente ritenuta
l'ipotesi più attendibile confermata da studi con cisternografia
radioisotopica;
d)l'edema
cerebrale che comprometterebbe il riassorbimento del liquor a livello della
convessità cerebrale.
La
genesi dell'edema è incerta; è possibile che esso sia secondario al passaggio
di liquor dai ventricoli al tessuto interstiziale, ma potrebbe essere anche di
tipo vasogenetico.
Il
quadro si presenta con papilledema e talora con paralisi del VI paio di nervi
cranici, probabilmente dovuto a spostamento verso il basso del tronco
encefalico. Molto importante è il fatto che agli esami radiografici con mezzi
di contrasto e soprattutto alla TC i ventricoli appaiono piccoli e le cisterne
perimesencefaliche ridotte o obliterate. La diagnosi è principalmente clinica e
si basa sulla presenza di una sindrome da IE, con edema della papilla e sulla
mancanza di segni o sintomi focali. Il liquor è negativo. La RMN non sembra
essere in grado di identificare lesioni specifiche dello PTC: in particolare la
forma ed il volume dei ventricoli non risultano significativamente diversi dai
controlli.
La
maggior parte dei pazienti presenta una regressione della sintomatologia,
spontanea o indotta dalla terapia, in media entro 5 mesi dall'esordio. Solo una
piccola percentuale di casi (5-10%) va incontro a deficit visivi (riduzione
permanente dell'acuità visiva da atrofia o subatrofia ottica); circa il 10% dei
casi di PTC recidiva anche a distanza di anni. Si possono inoltre segnalare
altre possibili cause non tumorali di IE. Una sindrome da IE benigna è stata
osservata nei bambini, dopo sospensione di terapia corticosteroidea, o ancora in
bambini o adolescenti per eccessive dosi di tetracicline e di vitamina A.Un
aumento della pressione liquorale con papilledema è stata inoltre osservata in
caso di ipo- o iperadrenalismo, mixedema, ipoparaniroidismo e occasionalmente in
rapporto all'assunzione di estrogeni, tetracicline e fenonazine.
La
terapia della IE non è dissociabile da quella della causa che ha prodotto la
IE, che è il più delle volte di pertinenza neurochirurgica. Spesso si tratta
di pazienti in coma verso cui vanno rivolte attenzioni di ordine rianimatorio
anestesiologico: particolare attenzione deve essere prestata ad evitare le
difficoltà respiratorie e l'ostruzione delle vie aeree, poichè queste possono
dar luogo ad ipossia ed ipercapnia che aggravano l'IE.
È da ricordare inoltre che la PI può aumentare nel corso di anestesia
per interventi sul cranio.
Lo
scopo principale della terapia è quello di ridurre la IE al fine di consentire
un aumento del flusso sanguigno al cervello sino a livelli utili per
l'ossigenazione e per prevenire o eliminare le erniazioni. Alcuni provvedimenti
di ordine generale possono contribuire a ridurre la PI: il posizionamento della
testa del paziente a circa 30° sopra il livello del cuore sortisce questo
effetto, probabilmente per un aumentato drenaggio venoso.
Anche
l'iperventilazione è considerata un metodo efficace per ottenere una rapida
diminuzione della pressione parziale di CO2. Se la pressione parziale di CO2
scende al di sotto dei 20 mmHg, si possono verificare fenomeni di sofferenza
ipossica del tessuto cerebrale dovuti ad eccessiva vasocostrizione. Quindi brevi
cicli intermittenti di iperventilazione possono essere molto utili per abbassare
la PI in situazioni di emergenza, come ad esempio per scongiurare un'imminente
erniazione cerebrale.
Le
soluzioni ipertoniche provocano disidratazione cerebrale dovuta allo stabilirsi
di un gradiente di pressione osmotica tra il plasma e il tessuto cerebrale, che
è tanto maggiore quanto minore è il passaggio della sostanza attraverso la
BEE. L'effetto inizia prontamente al momento della somministrazione e perdura
per tutta la sua durata per poi dare luogo ad un effetto rebound con aumento
della PI. Ciò può essere ottenuto con svariate sostanze in soluzione
ipertonica (NaCl, Na bicarbonato, Na solfato, glucoso ecc.). Molto usato in
passato è stato il glucoso al 50%, ma il suo effetto era troppo fugace. Più
efficace si era dimostrata l'urea che però è stata abbandonata a favore del
mannitolo. Un dosaggio di 0,25 g/kg di mannitolo ogni 3-4 ore è frequentemente
efficace nel contenere la PI, ma in situazioni più gravi si deve salire a dosi
di 1-1,5 g/kg di mannitolo in 1 ora e mezza che determina una notevole riduzione
della PI, che inizia a risalire un quarto d'ora dopo la fine della
somministrazione e ritorna al livello iniziale entro le 2 ore successive.
L'osmolarità del plasma non deve comunque superare 320 mosm/1 per evitare
complicanze da iperosmolarità plasmatica. Il mannitolo determina inoltre un
aumento della pressione arteriosa mediante aumento del volume intravascolare, un
aumento della deformabilità degli eritrociti ed emodiluizione con risultante
diminuzione della viscosità ematica: queste variabili contribuiscono ad
aumentare la vasocostrizione cerebrale diminuendo la PI, mantenendo tuttavia
costante l'ossigenazione cerebrale.
L'efficacia
della terapia con soluzioni ipertoniche è limitata da due fattori:
1)la
quantità di soluto che attraversa la BEE con attenuazione del gradiente di
pressione osmotica tra sangue e tessuto cerebrale;
2)la
presenza di soluti osmoticamente attivi che compaiono nel tessuto cerebrale come
risposta adattativa all'aumentata osmolarità plasmatica.
L'effetto
rebound alla sospensione della somministrazione è in relazione ai due eventi
precedentemente descritti in quanto, quando nel sangue cessa di essere immesso
soluto ipertonico, il tessuto cerebrale risulta ipertonico rispetto al plasma e
richiama acqua. Tale effetto è minimo con il mannitolo rispetto ad altre
sostanze usate precedentemente quali urea, glucosio o glicerolo, dal momento che
il mannitolo oltrepassa pochissimo la BEE. Quindi la terapia iperosmolare è
indicata soprattutto in situazioni di IE acuta, con imminente minaccia di
scompenso; il suo impiego è più discutibile quando è necessario un effetto più
prolungato, anche perché somministrazioni ripetute comportano il rischio di
iperosmolarità plasmatica, acidosi metabolica e insufficienza renale.
I
corticosteroidi sono sicuramente efficaci nel trattamento della IE, soprattutto
nel diminuire l'edema associato a tumori e ad infezioni e infiammazioni
cerebrali. In altre patologie il loro impiego è discusso, ad esempio nel
trattamento della IE associata a traumi cranici; inoltre non sembrano essere
efficaci nella terapia dell'edema che accompagna infarti ad emorragie cerebrali.
Il loro preciso meccanismo di azione non è ancora stato stabilito: gli
steroidi, in particolare il desametazone ed il metil-prednisolone riducono la
permeabilità capillare soprattutto nel tumore e parzialmente nel tessuto
peritumorale. Questa azione potrebbe essere modulata da recettori per gli
steroidi, la cui presenza è stata dimostrata sulle cellule gliali ed
endoteliali. Inoltre la loro efficacia potrebbe essere dovuta anche
all'inibizione di quei fattori diffusibili quali PGE2 e trombossano prodotti
dalle cellule tumorali, che aumentano la permeabilità vasale ed ancora, per la
loro azione di stabilizzazione delle membrane, che ne determina un importante
ruolo nei processi infiammatori e/o immunitari, fatto che potrebbe spiegare
l'efficacia degli steroidi sia sull'edema che accompagna talune fasi della
crescita tumorale che nelle infezioni.
Il
desametazone è il farmaco più comunemente usato: il dosaggio varia da 4 a 100
mg/die, ma attualmente la terapia ad alte dosi (3-6 mg/kg/die) di desametazone
viene considerata la più indicata, anche perché la comparsa dei ben noti
effetti collaterali è in relazione alla durata della somministrazione più che
al dosaggio impiegato.
I
corticosteroidi trovano la loro indicazione soprattutto nelle situazioni di IE
subacute o croniche, mentre quando è richiesto un effetto immediato, altre
terapie, quali soluzioni ipertoniche, sono preferibili.
È stato postulato che il rapido miglioramento clinico dovuto al
trattamento steroideo sia dovuto alla riduzione dell'edema con conseguente
miglioramento del flusso cerebrale e del metabolismo locale del glucosio.
Recentemente sono stati utilizzati farmaci anti-infiammatori non steroidei come
ibuprofene e indometacina nel trattamento dell'edema associato a tumori
sperimentali e in patologia umana con risultati apprezzabili, sebbene ancora in
fase preliminare (Del Maestro, 1990).
Si
ricorda infine la possibilità di ridurre la PI con i barbiturici, metodo
introdotto negli ultimi 5-10 anni, sebbene fossero da tempo noti gli effetti di
questi farmaci sulla PI. Il loro meccanismo di azione non è completamente
conosciuto, ma almeno in parte sembra da correlare alla riduzione del
metabolismo cerebrale con conseguente diminuzione del volume ematico cerebrale;
altri effetti potenzialmente benefici dei barbiturici sono la riduzione del
fabbisogno di ossigeno, la riduzione del Ca++ intracellulare, la stabilizzazione
dei lisosomi. Il maggior rischio della terapia della IE con barbiturici è
l'ipotensione: farmaci vasopressori possono essere associati per sostenere la
pressione di perfusione cerebrale. I migliori risultati sono stati ottenuti
inducendo coma barbiturico con pentobarbital in caso di traumi cranici, infarti
ed emorragie cerebrali, ottenendo una riduzione della PI anche in situazione in
cui altre terapie erano risultate inefficaci.
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D.
Schiffer
Professore
Ordinario di Clinica Neruologica,
Direttore
Clinica Neruologica II
Università
di Torino
P.
Mortara
Ricercatore
confermato Clinica Neurologica II
Università
di Torino
L.
Orsi
Assistente
Clinica Neurologica II
Università
di Torino
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