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ARGOMENTI DI MEDICINA CLINICA
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Ultimo aggiornamento: 23.12.2013
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Per
ipotiroidismo s'intende una condizione morbosa prodotta dalla insufficiente
formazione, secrezione ed azione degli ormoni tiroidei, sia essa sostenuta da
una lesione primitiva della ghiandola tiroide (ipotiroidismo primario) sia dalla
mancata stimolazione di una tiroide intrinsecamente normale da parte del suo
stimolo fisiologico, l'ormone tireotropo ipofisario o TSH (ipotiroidismo
secondario).
Nell'ambito
dell'ipotiroidismo primario si distingue un ipotiroidismo tireoprivo, quando
l'insufficiente secrezione di ormone tiroideo sia in relazione con una riduzione
quantitativa del tessuto tiroideo funzionante, comprende tutte le forme
caratterizzate clinicamente dall'assenza di gozzo, e un ipotiroidismo con gozzo,
nel quale l'insufficiente produzione di ormone tiroideo è legata ad una
alterazione biochimica intraghiandolare, e il gozzo è la espressione clinica di
un tentativo di compenso.
Nell'ambito
dell'ipotiroidismo secondario o centrale si distingue una forma primitivamente
pituitarica e una forma primitivamente ipotalamica (anche detta ipotiroidismo
terziario) nel quale l'ipofisi è integra, ma è mancante il TRH.
Infine
una forma estremamente rara di ipotiroidismo è legata ad una resistenza dei
tessuti periferici all'azione dell'ormone tiroideo. La tab.01
Nella
presente rassegna si è inteso effettuare una revisione di alcuni aspetti di
patogenesi e di fisiopatologia dell'ipotiroidismo. Non verrà invece trattato se
non occasionalmente il quadro clinico, sia perché esso è noto e
caratteristico, anche se con sfumature diverse a seconda delle diverse età e
del diverso meccanismo con cui l'ipotiroidismo si presenta, sia perché esistono
già pregevoli descrizioni in letteratura.
Nell'ipotiroidismo
primario i bassi livelli ematici di tiroxina (T4) e di triiodotironina (T3) non
sono più capaci di controbilanciare a livello delle cellule tireotrope
dell'ipofisi l'effetto stimolante del TRH ipotalamico, per cui grandi quantità
di TSH vengono prodotte e secrete in circolo.
La
elevata concentrazione del TSH nel siero è un reperto praticamente
patognomonico della malattia e ne rappresenta senza dubbio l'indice
laboratoristico più precoce e più sensibile. La somministrazione di TRH
esogeno è seguita da un aumento del TSH superiore al normale con una tipica
risposta esagerata e prolungata per la grande capacità secretoria delle cellule
tireotrope ipertrofiche.
Studi
sogli animali da esperimento e nell'uomo hanno chiaramente dimostrato che
riduzioni anche modeste dei livelli degli ormoni tiroidei all'interno del range
di normalità sono già accompagnati da una elevazione del TSH. In patologia
questo comportamento è esemplificato dal cosiddetto ipotiroidismo compensato o
subclinico in cui i livelli di T3 e T4 totali sono ancora ampiamente normali, ma
il TSH è elevato e presenta una risposta superiore al normale allo stimolo con
TRH. In queste condizioni è stato anche dimostrato che vi è quasi sempre una
parallela riduzione dei livelli di ormoni liberi, cioè di quella frazione che
circola non legata alle proteine vettrici e come è noto rappresenta la frazione
metabolicamente attiva, e in particolare della tiroxina libera (FT4).
Quando
il tessuto tiroideo funzionante è quantitativamente ridotto o quando esiste un
difetto biochimico intraghiandolare il contenuto iodico tiroideo è
parallelamente ridotto. In queste circostanze vi è un aumento della produzione
di monoiodotirosina (MIT) rispetto alla diiodotirosina (DIT) e della T3 rispetto
alla T4.
Questo
effetto è legato all'esistenza all'interno della tiroide di un meccanismo
autoregolatorio intrinseco, inteso teleologicamente a risparmiare l'elemento
indispensabile per la sintesi ormonale, quando la sua disponibilità sia
ridotta: la sintesi di T3 è notevolmente vantaggiosa in quanto la T3 ha una
potenza metabolica che è due-tre volte superiore a quella della T4, pur
richiedendo per la sua sintesi un atomo di iodio in meno; pertanto per ogni
molecola di T3 prodotta al posto di una di T4 si ha un risparmio di 12 atomi di
iodio.
La
concentrazione sierica di T4 e ancora più quella di FT4 è quindi precocemente
e nettamente abbassata, mentre la concentrazione di T3 e anche di FT3 si
mantiene normale più a lungo. Pertanto nella diagnosi dell'ipotiroidismo è
molto più importante e sensibile la determinazione della T4 e dell'FT4 nel
siero rispetto a quella di T3 e FT3.
Nelle
aree di severa endemia gozzigena un numero abnormemente elevato di individui,
che può raggiungere il 5-8% della popolazione, presenta un insieme di anomalie
irreversibili dello sviluppo fisico ed intellettuale, definito col nome di
cretinismo endemico. L'etiopatogenesi del cretinismo endemico è solo
parzialmente chiarita e la diagnosi è solo descrittiva e basata su criteri
epidemiologici.
Secondo
l'Organizzazione Mondiale della Sanità il cretinismo endemico è definito da
tre criteri:
1.
Epidemiologia: è associato con gozzo endemico e con severa deficienza iodica.
2.
Clinica: domina il quadro la deficienza mentale variamente associata a: I)
predominante sindrome neurologica, che consiste in difetti dell'udito e della
parola e disordini della stazione eretta e dell'andatura; II) predominante
ipotiroidismo e difetto di crescita. In alcune regioni predomina l'uno o l'altro
di questi aspetti, in altre una mescolanza dei due.
3.
Prevenzione: nelle zone in cui la deficienza iodica è stata corretta, il
cretinismo endemico è scomparso.
In
passato veniva accettata la distinzione fra cretinismo neurologico con
predominanti od esclusivi disordini neurologici e cretinismo mixedematoso con
predominanza di severo ipotiroidismo.
I
primi, presenti per esempio nella Nuova Guinea, sono caratterizzati da ritardo
mentale estremo, con gravi difetti motori, andatura spastica od atassica,
strabismo. La prevalenza di gozzo non è diversa da quella dei soggetti non
cretini della stessa area; non ci sono segni evidenti di ipotiroidismo, anche se
talora la T4 è un po' abbassata, e il TSH lievemente elevato (ipotiroidismo
subclinico).
I
cretini mixedematosi invece, presenti ad esempio nello Zaire, hanno un severo
ipotiroidismo, nanismo, gozzo assente e anzi solo piccoli residui di tessuto
tiroideo, T4 molto basso, TSH elevato, il ritardo mentale è molto minore. In
altre zone (Svizzera, Nepal) le due forme di cretinismo sono variamente
associate.
Nelle
zone di severo gozzo endemico, comunque, deficit neuromotori ed intellettivi si
possono frequentemente osservare in individui che non mostrano altri segni di
cretinismo. È probabile
quindi che il cretinismo endemico costituisca l'estrema espressione di uno
spettro di anomalie dello sviluppo fisico ed intellettuale e delle funzioni
tiroidee osservate negli abitanti delle zone di severo gozzo endemico e
deficienza iodica.
La
deficienza iodica è fondamentale nella etiologia del cretinismo endemico.
È stata documentata una stretta relazione fra gravità della deficienza
iodica e prevalenza del gozzo e del cretinismo endemico. Inoltre è stata
chiaramente documentata la scomparsa del cretinismo con la iodio-profilassi. La
distribuzione di sale iodato praticata ormai da molti anni in molte nazioni
europee (Svizzera, Jugoslavia ecc.) ha portato alla scomparsa del cretinismo e
del gozzo endemico da queste regioni.
In
alcune zone endemiche dell'Africa è stata utilizzata per motivi di praticità
l'iniezione di olio iodato, in particolare alle gravide, ottenendo la
normalizzazione dei parametri biochimici tiroidei e la nascita di bambini
normali.
Accanto
alla deficienza iodica sembra importante, specie in alcune zone, l'effetto di
gozzigeni naturali presenti in alcuni alimenti vegetali (Brassicacee). Queste
contengono sostanze che vengono metabolizzate a tiocianato, che agendo per
competizione sulla pompa dello ioduro determina un blocco della captazione
tiroidea dello iodio, aggravandone quindi il deficit.
Numerose
osservazioni hanno chiaramente dimostrato che il cretinismo congenito è dovuto
alla presenza di severa insufficienza tiroidea negli ultimi mesi della vita
fetale e nei primi mesi di vita extrauterina, in un periodo cioè cruciale per
lo sviluppo nervoso centrale.
Alcuni
aspetti del problema rimangono tuttavia ancora non chiariti. In primo luogo la
mancanza di gozzo in molti soggetti con cretinismo specie di tipo mixedematoso
che anzi hanno una tiroide atrofica, in contrasto con i soggetti gozzuti non
cretini della stessa area. Si è pensato ad una atrofia per esaurimento
funzionale durante la gravidanza. Tuttavia in modelli animali non è mai stata
osservata atrofia in una tiroide sovrastimolata. La sistematica assenza di
anticorpi antitiroidei nei cretini rende l'autoimmunità una spiegazione molto
improbabile del danno tiroideo in questi soggetti. Infine rimane poco chiaro il
meccanismo con cui la severa deficienza iodica possa dare il cretinismo
neurologico, in cui il difetto tiroideo è modesto. La totale assenza della
tiroide, per esempio nella agenesia tiroidea sporadica, pur portando ad un grave
mixedema, non è accompagnata dai segni neurologici del cretinismo. D'altro
canto, come è stato più sopra riportato, la correzione della deficienza iodica
previene sia i segni biochimici sia le lesioni neurologiche del cretinismo
endemico.
Vale
la pena di ricordare come soprattutto nei Paesi industrializzati la frequenza
del gozzo endemico e del relativo ipotiroidismo si sia ora notevolmente ridotta
(e il cretinismo endemico praticamente scomparso) non solo per la profilassi con
sale iodato già attuata da anni in molte regioni, ma anche per la facilità
degli scambi commerciali che ha portato a disposizione della popolazione cibi più
ricchi di iodio ("profilassi silenziosa").
Ma
per quelle regioni ove queste previdenze non sono state ancora attuate il
problema del gozzo e del cretinismo endemico esiste tuttora ed è molto grave
(Africa centrale, America centro-meridionale ecc.).
Oltre
che in forma endemica, l'ipotiroidismo congenito può verificarsi anche in forma
sporadica e può essere o no accompagnato da gozzo. In passato la precocità
della diagnosi di ipotiroidismo neonatale e della terapia dipendeva
essenzialmente dall'acume del medico, ma purtroppo sfuggiva finché il difetto
di suzione o di crescita chiariva il quadro. Le nostre conoscenze sulla causa e
sulla prevalenza dell'ipotiroidismo congenito sporadico e le possibilità
terapeutiche sono notevolmente aumentate negli ultimi 15 anni, come conseguenza
della istituzione di programmi di screening neonatale effettuate ormai in molte
regioni del mondo. In Italia lo screening copre oltre il 90% della popolazione
in quasi tutte le regioni del Nord e del Centro, è meno completo, ma in fase di
rapida estensione, nelle altre regioni. Dal 1977 al 1987 sono stati individuati
in Italia circa 1000 casi di ipotiroidismo congenito con una prevalenza di 1
caso ogni 3000 nati. Questa percentuale è simile a quella trovata in altre
regioni del globo.
Come
è ormai noto lo screening dell'ipotiroidismo congenito che è collegato con lo
screening di altre malattie metaboliche congenite si attua su macchie di sangue
prelevate dal tallone e raccolte su carta da filtro, abitualmente al 4°-5°
giorno di vita. Su tali macchie è possibile dosare la T4 o il TSH o entrambi.
Questo ultimo sistema, che è ovviamente il più costoso ma che permette una
diagnosi più precisa, è quello utilizzato per il 60% in Italia. Nel restante
40% viene dosato il solo TSH, sistema che non consente di rilevare i casi di
ipotiroidismo secondario, che tuttavia sono estremamente rari (3-4% di tutti gli
IC) e comunque non così gravi da compromettere lo sviluppo intellettivo e
somatico se non riconosciuti e trattati molto precocemente. Lo screening con
solo T4 è poco praticato sia in Italia che altrove per l'alto numero di falsi
positivi. In caso di alterato risultato viene effettuato un richiamo con un
secondo dosaggio su siero per conferma ed eventuale scintigrafia tiroidea, e
viene iniziata la terapia. Questa procedura fa sì che la terapia venga
necessariamente iniziata con un certo ritardo che può arrivare anche a 20-30
giorni dalla nascita. Poiché questo periodo è uno dei più importanti per lo
sviluppo del sistema nervoso, questo ritardo nella terapia rappresenta un
notevole limite della procedura di screening che si spera possa essere
migliorata in futuro.
Un
altro problema dello screening neonatale è quello dell'ipotiroidismo neonatale
transitorio (IT) cioé confermato nel controllo ma destinato a regredire
spontaneamente in tempi brevi. L'ipotiroidismo transitorio può essere causato
da deficienza iodica, dal passaggio placentare di gozzigeni naturali o
farmacologici, da un eccesso di iodio assunto dalla madre, da anticorpi
anti-tiroide materni, da anticorpi bloccanti il recettore del TSH. Inoltre l'IT
può essere dovuto a fattori neonatali, essendo frequente in nati pretermine o a
basso peso. L'incidenza dell'IT varia dall'1-2% dei casi di IC nelle zone ricche
di iodio come l'America al 20% dell'Italia o di altre nazioni Europee
relativamente iodocarenti.
Il
riconoscere la transitorietà dell'ipotiroidismo riscontrato con lo screening è
importante per evitare una terapia "a vita" non necessaria. A tal fine
si attuano una breve sospensione della terapia e nuovi test a 2-3 anni di età.
La
causa più comune di ipotiroidismo congenito sporadico permanente (80-90% dei
casi) è la disgenesia tiroidea (tab.02
La
seconda causa di ipotiroidismo congenito è la disormonogenesi tiroidea per un
difetto di una delle tappe necessarie alla sintesi dell'ormone tiroideo.
Sono
stati descritti numerosi difetti biochimici congeniti della ormonosintesi
tiroidea in genere familiari ed ereditari a trasmissione autosomica recessiva.
L'ipotiroidismo si verifica quando il difetto è particolarmente grave come
avviene in genere nello stato omozigote. Negli eterozigoti invece il difetto è
più modesto e porta alla formazione di un gozzo eutiroideo nel quale il difetto
è svelabile solo con opportune prove diagnostiche.
Classicamente
si distinguono quattro diversi difetti congeniti della ormonosintesi tiroidea:
1.
difetto del meccanismo di trasporto dello iodio dal plasma alle cellule tiroidee
o difetto della "pompa dello ioduro". Il sistema di trasporto dello
iodio è un sistema attivo che richiede energia e che è comune anche alle
ghiandole salivari e alla mucosa gastrica. La diagnosi di difetto di questo
sistema è ottenuta dal riscontro della mancata captazione del radioiodio nella
saliva;
2.
difetto di organificazione (o difetto di perossidasi) con incapacità di legare
lo iodio alla molecola della tirosina. Lo ioduro che in tal modo rimane libero
si accumula all'interno della ghiandola e può essere scaricato dalla tiroide
mediante la somministrazione di ioni analoghi come il perclorato di potassio od
il tiocianato. Una forma lieve di questo difetto, accompagnata da sordomutismo
per difetto uditivo di trasmissione, è conosciuta col nome di sindrome di
Pendred. Il sordomutismo non è dovuto all'ipotiroidismo, del resto non
costante, ma ad un secondo difetto genetico associato;
3.
difetto della reazione accoppiante delle molecole di iodotirosine (MIT e DIT) a
formare iodotironine (T3 e T4). Questa forma può essere individuata con
notevole difficoltà anche dal punto di vista laboratoristico, perché manca una
prova diagnostica specifica;
4.
difetto del meccanismo di dealogenazione delle iodotirosine liberate dal
processo di idrolisi della tireoglobulina che porta alla secrezione di T3 e T4.
Normalmente le iodotirosine vengono private del loro iodio che viene riciclato
per una nuova ormonosintesi. Nel difetto in questione invece le iodotirosine
integre passano in circolo portando ad un deficit iodico intratiroideo, a
difettosa sintesi ormonale, a gozzo ed ipotiroidismo. Il difetto può essere
messo in luce mediante cromatografia delle urine, in quanto il difetto è
presente anche nei tessuti periferici e la somministrazione di iodotirosine
radioattive è seguita dalla loro eliminazione come tali nelle urine.
Negli
ultimi anni sono comparse in letteratura numerose descrizioni di pazienti con
gozzo ed ipotiroidismo, congenito e spesso familiare, non facilmente
inquadrabili nei tipi di difetto enzimatico surriferiti. Può essere quindi
utile ricorrere ad una classificazione più generale, come la seguente proposta
da Salvatore e Stanbury:
1.
alterazioni della biosintesi delle proteine tiroidee:
a)
difetto della sintesi delle catene polipeptidiche;
b)
difetto della incorporazione dei carboidrati e del trasporto nel lume
follicolare;
2.
alterazioni della iodazione e della sintesi delle iodotironine:
a)
difetto del trasporto attivo dello iodio;
b)
aumento delle perdite dello iodio (difetto di disiodasi);
c)
difetto di organificazione;
d)
difetto della reazione accoppiante;
3.
alterazioni del riassorbimento e della idrolisi della tireoglobulina:
a)
difetto di endocitosi;
b)
difetto di proteolisi (proteine iodate anomale in circolo).
Alcune
forme di ipotiroidismo congenito, per esempio ipoplasia, disgenesia, ectopia o
difetti dell'ormonogenesi, quando il grado del difetto è modesto, possono
manifestarsi solo in età giovanile sia sul piano biochimico sia sul piano
clinico.
L'ipotiroidismo
acquisito è più frequente dell'ipotiroidismo congenito e può essere dovuto in
ordine decrescente di frequenza a tiroidite, a cause iatrogene, a gozzigeni, a
difetto od eccesso di iodio, molto raramente a tumori che distruggono la
tiroide.
La
tiroidite cronica autoimmune venne descritta per la prima volta nel 1912 da
Hashimoto che riportò 4 pazienti con gozzo nei quali l'istologia della tiroide
era caratterizzata da una diffusa infiltrazione linfocitaria, atrofia delle
cellule parenchimali, fibrosi e colorazione eosinofila di alcune cellule
parenchimali.
Sono
state successivamente descritte numerose varianti (vedi tab.03
La
tiroidite post-partum è una forma di tiroidite autoimmune spesso transitoria,
che si verifica nel corso di una malattia occulta: in alcuni casi può evolvere
verso la forma manifesta e l'ipotiroidismo permanente. Durante la gravidanza i
fenomeni autoimmuni si attenuano e dopo il parto si può verificare la comparsa
della malattia come espressione di una riaccensione dell'autoimmunità (fenomeno
di rimbalzo).
Il
mixedema spontaneo dell'adulto rappresenta la forma più frequente
d'ipotiroidismo a comparsa nell'età adulta, come conseguenza di una tiroidite a
tendenza atrofica invece che ipertrofica come nella tipica malattia di
Hashimoto. L'esame istologico mostra estremi processi fibrotici, focolai di
infiltrazione linfocitaria e atrofia marcata delle cellule follicolari.
Obiettivamente in questi pazienti la tiroide non è palpabile o è ridotta ad
una sottile banda di tessuto fibroso alla base del collo.
Sembra
che esistano differenze genetiche e patogenetiche fra queste varianti: è stato
dimostrato che i pazienti con tiroidite atrofica hanno un'elevata incidenza di
HLA-B8 e HLA-DR3, mentre quelli con tiroidite di Hashimoto e gozzo hanno un'alta
incidenza di HLA-DR5. Tuttavia tutte riconoscono la comune origine autoimmune.
In
passato la tiroidite di Hashimoto era considerata rara e la diagnosi era spesso
effettuata sul piano istologico dopo la tiroidectomia. L'aumento delle
conoscenze e il miglioramento delle tecniche diagnostiche (dosaggi degli
autoanticorpi circolanti antitireoglobulina e antimicrosomi tiroidei, esame
citologico su ago aspirato), hanno condotto ad un progressivo aumento del
riconoscimento di questa malattia. È
anche accettato il dato di un aumento effettivo della sua frequenza,
verosimilmente in conseguenza del progressivo aumento dell'introito iodico che
si è verificato nel mondo industrializzato.
Sembra
infatti che lo iodio da un lato sia in grado di provocare ex novo un fenomeno
autoimmune a carico della tiroide con meccanismi ancora non chiariti, dall'altro
possa smascherare o rendere manifesta una tiroidite ancora in forma occulta.
Recenti
rassegne indicano che la prevalenza della tiroidite negli adolescenti è pari
all'l-2%. L'incidenza aumenta progressivamente con l'età con un picco verso i
50-60 anni. La prevalenza nella popolazione generale è del 3-4%. Ma nelle donne
anziane circa il 16-18% presenta autoanticorpi antitiroide circolanti, e qualche
grado di infiltrazione linfocitaria della tiroide, anche se in questi soggetti
la malattia è spesso clinicamente occulta.
I
pazienti con tiroidite autoimmune presentano costantemente alti livelli ematici
di autoanticorpi antitiroide. Gli anticorpi antitireoglobulina sono presenti nel
70% dei soggetti con tiroidite di Hashimoto e nel 60% di quelli con mixedema
dell'adulto. Gli anticorpi antimicrosomi, che sembrano in realtà essere
anticorpi antiperossidasi tiroidea, sono praticamente presenti in tutti i
pazienti con tiroidite di Hashimoto e nella grande maggioranza di quelli con
mixedema dell'adulto. Questi ultimi anticorpi avrebbero anche attività
citotossica e il loro titolo è in stretta correlazione con il danno istologico.
Altri anticorpi possono essere rinvenuti nel siero di soggetti con tiroidite
cronica autoimmune. Questi sono:
-
anticorpi contro un secondo componente della colloide, diverso dalla
tireoglobulina, il cui significato è però assai incerto;
-
anticorpi contro gli ormoni tiroidei, la tiroxina e la triiodotironina. Questi
anticorpi possono interferire nei dosaggi radioimmunologici, ma non influenzano
la funzione tiroidea;
-
anticorpi stimolanti la crescita delle cellule tiroidee senza stimolarne la
funzione, che potrebbero giocare un ruolo nel determinismo delle forme con
gozzo;
-
anticorpi bloccanti il recettore del TSH che potrebbero in qualche modo essere
responsabili dell'ipotiroidismo;
-
anticorpi inibenti l'effetto trofico del TSH che sarebbero stati trovati in
qualche caso di tiroidite atrofica.
Nella
tiroidite autoimmune la funzione tiroidea può essere variamente alterata. La
captazione tiroidea del radioiodio può essere inferiore al normale, ma il più
spesso è normale o anche elevata con veloce turnover iodico intraghiandolare
per la presenza di un difetto acquisito della organificazione dello iodio.
Il
difetto della organificazione, che come nei corrispondenti gozzi
disormonogenetici può essere svelato con la positività del test del
perclorato, può essere presente nella grande maggioranza dei pazienti con
tiroidite autoimmune ed essere in qualche caso la causa principale
dell'ipotiroidismo.
Tale
difetto spiega anche la estrema sensibilità allo iodio dei pazienti con
tiroidite autoimmune; infatti un eccesso di iodio anche nei soggetti normali
induce un blocco della organificazione attraverso l'effetto Wolff-Chaikoff che
è un fenomeno transitorio seguito da scappamento o escape. Nei pazienti con
preesistente difetto del processo di organificazione, come quelli con tiroidite
di Hashimoto, il blocco da iodio si verifica per dosi inferiori e può essere
permanente, cioè senza escape, determinando gozzo e ipotiroidismo. La
sensibilità allo iodio della tiroidite autoimmune spiega anche l'aumento
assoluto di incidenza verificatosi negli ultimi decenni, con l'aumento
dell'introito iodico.
Come
conseguenza della distruzione delle ghiandole e del blocco della
organificazione, il pool iodico si riduce determinando un aumento del rapporto
MIT/DIT e T3/T4 come già spiegato nella sezione di fisiopatologia. La riduzione
di T4 porta ad un aumento del TSH. Anche in questa forma di ipotiroidismo
l'aumento del TSH è il più precoce e sensibile segno di alterazione funzionale
anche se i livelli di T3 e T4 sia totali che liberi rimangono ancora nella norma
(ipotiroidismo subclinico: vedi sezione relativa).
È probabile che l'effetto Wolff-Chaikoff senza escape spieghi quasi
tutte le forme di ipotiroidismo indotto da iodio. Quantità rilevanti di iodio
sono contenute in molti farmaci usati sia nelle broncopneumopatie croniche sia
nelle artropatie croniche, sia recentemente in cardiologia (amiodarone). La
maggior parte dei pazienti che diventano ipotiroidei dopo ingestione di iodio
hanno infatti una tiroidite cronica autoimmune misconosciuta e autoanticorpi
antimicrosomi tiroidei circolanti. È
quindi tassativo dosare sempre tali anticorpi in previsione di terapia con
farmaci contenenti iodio.
Le
poliendocrinopatie autoimmuni comprendono molto spesso ipotiroidismo o
condizioni autoaggressive che possono portare, in prosieguo di tempo, da
apparente normalità ad ipofunzione tiroidea, magari larvata. Ciò avviene
soprattutto nella tiroidite di Hashimoto. Ecco perché il riconoscimento di una
tireopatia autoimmune, che è per lo più agevole, offre la possibilità di
chiarire quadri polisindromici non solo organospecifici, ma anche
non-organospecifici, come l'artrite reumatoide, il LES, il morbo di Sjogren, il
pemfigo, la miastenia ecc. Se perciò sussiste qualche sospetto, l'indagine
anticorpale va estesa a tutti quegli anticorpi che sono segnali, talora
premonitori, di patologie insospettate o marginali.
Oggigiorno
la nosografia tende a distinguere tre tipi di sindromi poliendocrine autoimmuni
(SPA) a seconda delle associazioni più frequenti tra loro e cioè:
SPA
tipo I, caratterizzata da:
-associazioni
maggiori: morbo di Addison, ipoparatiroidismo (HLA-A28?), candidiasi cronica
(sono sufficienti due stigmate + ricerca delle associazioni minori);
-
associazioni minori: malattia tiroidea autoimmune, gastrite atrofica con o senza
anemia perniciosa, sindrome di malassorbimento, epatite cronica attiva,
menopausa precoce da ipogonadismo ipergonadotropo, ipofisite, vitiligine,
alopecia;
SPA
tipo II, caratterizzata da:
-
associazioni maggiori: ipotiroidismo da tiroidite scleroatrofica o suoi
equivalenti, morbo di Addison, diabete mellito insulino-dipendente;
-
associazioni minori: gastrite atrofica, anemia perniciosa, menopausa precoce da
ipogonadismo ipergonadotropo, ipofisiti, alopecia, vitiligine, miastenia.
SPA
tipo III, il cui connotato centrale è sempre la malattia tiroidea autoimmune
(tireotossicosi, mixedema, Hashimoto, esoftalmo endocrino) associata ad una o più
delle seguenti sindromi:
-
diabete insulino-dipendente;
-
gastrite atrofica con o senza anemia perniciosa;
-
malattie non-organo-specifiche (Sjogren, pemfigo, pemfigoide, miastenia,
vitiligine, alopecia).
L'ipotiroidismo
nelle persone anziane è tutt'altro che raro, specie nelle donne. Esso è spesso
misconosciuto, perché i suoi sintomi sono sfumati o atipici o perché investono
settori meno colpiti nelle altre età, come quello psicosensoriale e nervoso.
È così che una buona parte dei casi viene ascritta allo stesso processo
della senescenza, specie quando essa produce severe devastazioni psico-fisiche.
Il
problema del rischio ipotiroideo nell'anziano è emerso con le cognizioni
anatomo-istologiche ed immunologiche delle tiroiditi autoimmuni. Le autopsie
delle persone anziane hanno mostrato un'incidenza di tale quadro nel 45% di
donne sopra i 60 anni contro il 22% di quelle sotto i 40 anni. Inoltre lo
screening sierologico mostra chiaramente che l'incidenza di autoanticorpi
circolanti aumenta con l'età; fenomeno che viene imputato all'affievolirsi
della sorveglianza immunologica negli anziani.
Viene
perciò auspicato per l'anziano un sistema di screening analogo a quello per
l'ipotiroidismo congenito. Questo non solo in considerazione che un'adeguata
opoterapia può modificare l'epidemiologia, ma anche perchè con poca spesa
terapeutica si possono risparmiare gli enormi costi di terapie perenni di
consistenti popolazioni per trattamenti sintomatici e ricoveri in istituzioni
per lungo degenti, case di riposo, reparti geriatrici, manicomi ecc.
Il
problema è di ordine metodologico perché la stima della reale prevalenza
dell'ipotiroidismo senile è tuttora piuttosto controversa sia perché le
indagini epidemiologiche vengono spesso fatte su casistiche selezionate, sia per
reali differenze regionali, per la diversità di fattori eziopatogenetici
(carenza iodica, sostanze gozzigene, predisposizione genetica, farmaci,
abitudini alimentari, e malattie extratiroidee come nella "euthyroid sick
syndrome"). Anche nelle poche omogenee casistiche di comunità vi è una
notevole variabilità: lo studio di Framingham (1985) mostra, ad esempio, in
1256 donne sopra i 60 anni, una prevalenza del 3% di ipotiroidismo manifesto e
dell'8,5% di forme subcliniche, mentre lo studio di Kisa (1983) su 1442 donne
della stessa età mostrava rispettivamente lo 0,55% e lo 0,95%; cioè 6-8 volte
meno. Un corretto studio epidemiologico pertanto deve venir attuato sulle varie
fasce di età di popolazioni omogenee includendo non solo il dosaggio di T3 e
T4, ma anche quello del TSH e degli anticorpi antitiroide ed escludendo le forme
iatrogene. Non si va tuttavia molto lontano dal vero affermando che, dopo i 60
anni, l'ipotiroidismo manifesto può incidere dallo 0,5 al 5%, a seconda dei
fattori sopraenunciati. Ma forse l'interesse maggiore sta nel conoscere
l'incidenza di quello subclinico. Si deve tener presente che la comparsa di
anticorpi antitiroide in persone clinicamente e ormonalmente eutiroidee può
precedere di anni la comparsa delle manifestazioni cliniche.
Il
quadro clinico suole presentarsi in modo assai variegato, ma vi è accordo sul
ritenere che in 2/3 dei casi esso sia silente o atipico.
È per questo che esso viene spesso misconosciuto e variamente attribuito
ad altre patologie (tab.08 ). Per lo più
esso viene scambiato col deterioramento mentale e fisico della senescenza con
cui condivide effettivamente vari caratteri.
Ma
è soprattutto al settore neuropsichico che deve essere rivolta l'attenzione.
Accanto ai sintomi classici della sonnolenza e del difetto della termogenesi,
hanno la maggior evidenza lo stato ansiosodepressivo con astenia neuroastenica e
muscolare e la lenta involuzione delle facoltà affettivo-ideative che conducono
ad alcuni dei quadri riportati a fondo pagina.
Il
quadro ormonale è decisivo per la diagnosi. Esso va però correttamente
interpretato per evitare errori di sopra- e sottovalutazione.
Nell'anziano,
i dosaggi della T3 totale e libera sono di scarso ausilio, poiché vi è spesso
diminuzione dell'attività desiodante da T4 a T3 (e ciò è anche più evidente
nella euthyroid sick syndrome e per effetto di farmaci o di corticosteroidi).
Anche i valori di T4 libera o totale si mantengono nell'anziano entro i limiti
normali.
Il
test più sensibile è ancora il dosaggio di TSH. Va tenuto presente che piccole
diminuzioni di TSH sono indotte dal digiuno e dai corticosteroidi, mentre un
certo aumento si osserva nella guarigione di gravi malattie extratiroidee.
La
terapia non differisce da quella dei soggetti più giovani. Essa tuttavia deve
essere molto più cauta nelle dosi e nella loro progressione fino alla dose
ottimale, che di solito è un po' inferiore all'usuale. Essa intende mantenere
il TSH a livelli alto-normali. Usualmente si inizia con 25 microg salendo di
altrettanto ogni 2-4 settimane in relazione alle eventuali ripercussioni
cardio-circolatorie indotte dal brusco aumento della gittata sistolica
sull'efficienza miocardica e sulla portata coronarica. Sarà utile anche il
controllo degli enzimi (transaminasi, CPK-MB, LDH ecc.) e delle lipoproteine
aterogene.
L'introduzione
nella terapia di stati commotivi cerebrali e di sindromi neuropsichiatriche di
tipo depressivo del TRH sintetico, che, indipendentemente dall'effetto
endocrino, sembra influenzare a vario livello la funzione del sistema nervoso
centrale, ha fatto sorgere il quesito se questo tripeptide possa essere utile
nelle manifestazioni neuropsichiatriche dell'ipotiroideo anziano. Allo stato
attuale non sono però disponibili dati indicativi nel senso desiderato.
La
gravidanza in donne ipotiroidee, correttamente trattate o no, pone numerosi
problemi: per la madre sorge un grosso problema psicologico e comportamentale
relativo al rischio di aborto e di malformazioni fetali; per il medico un
problema diagnostico e terapeutico, specie se la tireopatia di base è ignorata.
Irregolarità mestruali, difficoltà di concepimento per l'elevata frequenza di
cicli anovulatori e storia di pregressi aborti devono mettere in guardia e
indurre l'adozione di provvedimenti diagnostici preventivi. Comunque non vi sono
prove sicure che all'ipotiroidismo materno siano ascrivibili sia la tendenza
all'aborto sia le eventuali anomalie tiroidee del neonato.
Alle
gestanti va comunque garantito il massimo impegno, tanto più che oggi sono
disponibili mezzi diagnostici e terapeutici così perfezionati da poter dare le
più ampie assicurazioni sia per il regolare decorso della gravidanza sia per la
mancanza di effetti nocivi per il feto. Si può così attenuare l'apprensione ed
ottenere migliore collaborazione.
Come
per le non gestanti ipotiroidee è d'obbligo un'adeguata terapia e monitoraggio,
così in gravidanza occorre un trattamento e più frequenti controlli.
Già
nella gravidanza normale vi è spesso aumento di volume e di flusso ematico
della tiroide; vi è iperplasia follicolare e i tireociti aumentano in altezza
come per effetto di un'azione tireostimolante. Poiché però nel primo trimestre
il TSH è di solito diminuito, il fenomeno viene attribuito alla gonadotropina
corionica (HCG), che, pur avendo bassa attività tireostimolante, raggiunge,
proprio in tale fase, valori elevatissimi. Nelle malattie trofoblastiche infatti
vi è spesso tireotossicosi. Le glicoproteine TSH, HCG, LH e FSH hanno infatti
in comune la catena alfa e poche differenze strutturali nella catena beta, che
è quella attiva. Il fenomeno indotto dalla HCG sui tireociti è anche
dimostrabile in vitro.
Tuttavia,
malgrado qualche riserva, il concetto che la funzione dell'asse
ipotalamo-ipofisi-tiroide del feto sia indipendente da quello materno ha trovato
largo consenso. Analogo consenso esiste per la gravidanza in donne ipotiroidee.
R.D. Utiger in un recente Editoriale del New Engl. J. Med., traendo lo spunto da
alcuni dati divergenti sullo stesso argomento, pubblicati sullo stesso giornale,
afferma che raramente vi è necessità di aumentare, in gravidanza, le dosi di
T4; che non occorre preoccuparsi di minori variazioni del TSH e dell'indice di
T4 libera sia perché questi valori possono variare da giorno a giorno sia perché
per lo più dipendono da fattori extratiroidei materni; che la dose media è di
100 microg in dose unica (salvo casi particolari, come cardiopatie in cui la
dose deve essere graduata); che non vi è ragione di aggiungere T3 e tanto meno
di sospendere la T4 qualora si manifestasse, per effetto della gravidanza, un
miglioramento dell'ipotiroidismo, come talora si vede in alcune forme autoimmuni
per la generale attenuazione della reattività immunologica.
Eventuali
anormalità del neonato vanno per lo più ascritte ad alterazioni autonome della
funzione tiroidea fetale. Ma anche in questo caso la gestante va rassicurata,
poiché lo screening dell'ipotiroidismo nel neonato costituisce un valido metodo
di diagnosi precoce che permette il tempestivo trattamento di eventuali
disfunzioni tiroidee e la riduzione dell'ipotiroidismo congenito.
Nella
gravidanza normale vi sono tuttavia variazioni che occorre conoscere per poter
interpretare correttamente i dati forniti dal laboratorio (fig.01
-
T4 e T3 totali aumentano a causa del cospicuo e precoce aumento della globulina
legante la T4 (TBG), che è indotta dall'aumento degli estrogeni e che essendo
maggiore di quello di T4, tende a ridurre la T4 libera: anche in tal modo viene
perciò mantenuto l'equilibrio e la disponibilità giornaliera ormonale. Viene
inoltre impedito il passaggio transplacentare di T4 anche perché nel feto
l'aumento della TBG è assai minore;
-
nel primo trimestre il TSH materno risulta basso forse perché il contemporaneo
picco di HCG può provocare un certo aumento di T3 libera. Negli altri due
trimestri il TSH aumenta fino al termine, pur restando entro i limiti normali.
La sua risposta al TRH è pure normale. La placenta è, d'altra parte,
praticamente impermeabile al passaggio di T3, T4 e TSH materni. A differenza dei
tessuti materni, che dispongono della 5'-desiodasi per la desiodazione di T4 in
T3 (T3 neogenesi), la placenta possiede una attiva 5'-desiodasi con la quale
trasforma la T4 in reverse-T3, che è inattiva. Il TRH, che pure è presente
nella placenta, non sembra esercitare un ruolo importante.
Iodio,
tireostatici e anticorpi invece passano, come dimostrano il gozzo da iodio e da
tireostatici o la tireotossicosi neonatale da madri con elevati tassi di
immunoglobuline tireostimolanti (TSAb).
L'unità
feto-placentare è quindi indipendente dalla funzione tiroidea materna. La
maturazione dell'asse ipotalamo-ipofisi-tiroide del feto evolve secondo il
seguente profilo temporale (fig.02
-
il TSH compare tra la 10a e la 12a settimana, cresce abbastanza rapidamente fino
ad un picco tra la 22a e la 24a settimana, per poi calare lentamente fino alla
nascita;
-
il TRH compare alla stessa epoca, ma aumenta lentamente fino al termine senza
presentare picchi o decrementi paralleli al TSH;
-
le T4 totale e libera sono relativamente basse agli esordi, per poi crescere in
concomitanza con l'aumento del TSH;
-
la T3, che non è misurabile all'inizio, resta a bassa concentrazione fino alla
30a settimana, per poi crescere modestamente fino al termine;
-
la r-T3, viceversa, è alta già a metà gravidanza per decrescere poi in modo
complementare a T3 e T4 all'epoca del parto;
-
la TBG cresce gradualmente anche nel feto, ma in minor misura che nella madre;
-
gi anticorpi antitireoglobulina (ATA) e antimicrosomi (AMA), benché possano
attraversare la placenta, non sono citotossici per i tireociti fetali. Infatti
non c'è correlazione tra la loro concentrazione nel neonato ed ipotiroidismo
congenito;
-
gli anticorpi antirecettore-TSH sono una eterogenea popolazione di IgG in parte
stimolanti (TSAb) e in parte inibenti (TBII o Thyroid Binding Inhibitor
Immunoglobulin e TGBA o Thyroid Growth Blocking Antibodies). I primi prevalgono
in gestanti ipertiroidee, i secondi nelle ipotiroidee; talora coesistono.
Entrambi possono passare il filtro placentare, specie se sono a titolo elevato o
se non hanno subito la usuale decurtazione gravidica. Casi di ipotiroidismo
neonatale sono talora collegabili con la presenza di anticorpi bloccanti. Si
tratta allora di forme transitorie o persistenti analoghe a quelle della
prematuranza fetale, che saranno elencate più avanti. La terapia preventiva
durante la gravidanza non può in tal caso essere attuata con le iodotironine,
che non passerebbero attraverso la placenta. Il trattamento deve essere iniziato
subito dopo la nascita secondo i canoni della terapia dell'ipotiroidismo
congenito.
L'ontogenesi
del sistema ipotalamo-ipofisi-tiroide del feto è così complessa che, a seconda
dei vari stadi di maturazione, si possono verificare nei neonati prematuri varie
condizioni malformative o disfunzionali. In generale i difetti precoci
dell'ontogenesi sono permanenti, mentre quelli più tardivi sono transitori
(vedi tab.04
Il
coma è la più grave complicanza dell'ipotiroidismo inveterato, primitivo od
ipofisario. Esso è il segno del profondo deterioramento di tutte le funzioni
neuropsichiche, endocrine e di varie funzioni vitali (respiratoria,
cardiocircolatoria, renale ecc.) e va considerato, ai fini diagnostici e
terapeutici, una condizione multifattoriale che deve essere globalmente valutata
e trattata. Ogni ritardo ed incompletezza delle misure correttive comporta
l'aggravamento della prognosi ed il raggiungimento di stati irreversibili. La
mortalità può arrivare al 40% dei casi. Fortunatamente è evenienza sempre
rara.
Premesso
che ai fini terapeutici non vi è differenza fra forme primitive e quelle
ipofisarie, il trattamento va messo prontamente in atto senza attendere conferme
di laboratorio e, possibilmente, presso unità di cura intensiva dove
monitoraggio e rianimazione sono meglio attuati. I segni clinici, se
disponibili, i dati anamnestici sono quasi sempre sufficienti per la diagnosi
operativa e per impostare una terapia di approccio. Essa però deve mirare a tre
scopi:
1.
compensare il deficit ormonale;
2.
mantenere le funzioni vitali correggendo le varie alterazioni dell'omeostasi;
3.
rimuovere i fattori precipitanti e le eventuali complicanze (infezioni, specie
respiratorie, stati di brusca insufficienza cardio-respiratoria e renale,
ritenzione urinaria e fecale, tossici e farmaci).
L'esordio
non è quasi mai brusco: in tal caso i familiari possono riferire che negli
ultimi giorni il paziente dava segni di un progressivo ottundimento del sensorio
e della ideazione, talora con manifestazioni psicotiche od eccitomotorie.
Caratteristica immancabile è l'ingravescente freddolosità cui seguono astenia
profonda ed invincibile sonnolenza, che trapassa in sopore o in crisi
narcolettiche e poi in coma.
I
casi ad esordio acuto sono rari, ma hanno maggiore mortalità. Si tratta quasi
sempre di soggetti anziani, specie donne, che cadono in coma specie in inverno
in occasione di esposizione al freddo.
È per questo che ciò avviene più spesso nei climi freddi. Altre cause
precipitanti sono i traumi, specie cerebrali, gli interventi chirurgici, le
malattie infettive e metaboliche, l'incongrua assunzione di farmaci
(barbiturici, psicofarmaci, sovradosaggi di tireostatici, litio, perclorato
ecc.).
Se
i pazienti hanno subito una tiroidectomia chirurgica, se ne può constatare la
cicatrice. Ma il più spesso si tratta di esiti di ignorate tiroiditi autoimmuni
o di trattamenti Roentgen o con iodio radioattivo o di ingiustificata
interruzione dell'opoterapia.
L'aspetto
fisionomico, benché scambiabile con quello di una senilità patologica o di
stati di degradazione somato e neuropsichica, è tuttavia abbastanza suggestivo
per avviare non solo la terapia ormonale ma anche provvedimenti ed accertamenti
diagnostici dei vari parametri fisiopatologici (ipotermia, ipoventilazione,
ipotensione, iponatriemia, ipoglicemia, insufficienza cardiaca, respiratoria,
renale, anemia ecc.).
La
terapia ormonale ideale è quella endovenosa con tiroxina e triiodotironina, che
purtroppo però in Italia non sono disponibili per tale uso. Lo si può far
preparare estemporaneamente, se ci si può procurare in tempo le sostanze di
base. Per ripristinare il pool circolante occorre una dose di 500 microg di T3
ogni 6-8 ore sia perché la sua azione è più pronta sia perché nel coma la
desiodazione di T4 è ridotta. In alternativa i due ormoni vengono somministrati
per sondino naso-gastrico fino a che il malato non sia in grado di deglutire.
Malgrado il mixedema, l'assorbimento intestinale è compensato dalla rallentata
peristalsi.
Dosi
magari ripetute di 100 mg di idrocortisone sono pure indicate, specie se si
intuisce che vi è anche shock iposurrenalico, ipotensione, ipoglicemia e
iponatriemia. Si tenga però presente che esso inibisce la desiodazione e
aumenta la ritenzione idrica.
Antibiotici
a largo spettro vanno pure somministrati con larghezza sia a scopo preventivo
che curativo delle infezioni, specie polmonari, di cui sogliono mancare i segni
(tosse, polipnea, febbre).
Misure
di assistenza cardio-respiratoria sono pure necessarie fin dall'inizio. Il
successo è infatti in relazione con la tempestività degli interventi e con la
completezza di valutazione delle varie sindromi associate e del relativo peso
prognostico di ciascuna di esse.
La
sindrome ipotermica è l'aspetto più clamoroso, ma purtroppo non sempre viene
convenientemente valutata sia perché non si usano termometri tarati a 20-42 °C,
sia perché non li si fa azzerare del tutto o perché non vi si presta fede. Il
fatto è che temperature di 25-30 °C sono frequenti, cioé valori che rasentano
il valore minimo del range di attività degli enzimi (25-30 °C). L'ipotermia è
dovuta alla drastica riduzione dei processi ossidativi propri
dell'ipotiroidismo, ma nel coma vi è un crollo della termogenesi che sfugge
alla comprensione. Può forse giustificarlo la infiltrazione mucopolisaccaridica
a livello dei centri termoregolatori, respiratori, ipotalamo-ipofisari nonché
le marcate alterazioni della dinamica microcircolatoria cerebrale che riducono
ancor di più l'apporto di ossigeno e glucosio.
Malgrado
la drammaticità del fenomeno, non è prudente provocare un rapido riscaldamento
corporeo; la brusca vasodilazione non mancherebbe di aggravare il precario
compenso di circolo. Occorre invece impedire ulteriori perdite o, se si è agli
estremi della scala termometrica, attuare una lenta e vigile ripresa termica
(non più di 1 °C/ora) tanto più che, se l'opoterapia fa effetto, il recupero
termico sarà completo in 24 ore.
La
ridotta ventilazione polmonare, che di solito precede l'ipotermia, è
altrettanto importante anche se meno clamorosa: 4-8 respiri/min. sono abituali e
ciò conduce a grave ipossia, ipercapnia e acidosi respiratoria (carbonarcosi).
Ad essa concorrono l'inibizione centrale e di conduzione nervosa, l'inefficienza
dei muscoli respiratori, specie del diaframma sollevato dal meteorismo
intestinale, l'edema delle mucose e l'ostacolo meccanico dei versamenti
peluropericardici. La stasi polmonare favorisce poi le infezioni. Occorre perciò
attuare un monitoraggio congiunto emogasanalitico e termico e ricorrere ai
sussidi dell'ossigenoterapia e della respirazione controllata.
La
sindrome ipotensiva con riduzione della pressione differenziale merita molta
attenzione perché esprime sia la componente centrale (cuore da mixedema,
versamento pericardico, eventuale coronaropatia dismetabolica) sia quella
periferica di precaria neuroregolazione arteriosa. Indicato è l'uso di digitale
per infusione. Cauta deve essere la somministrazione di coronarodilatatori
(anche perché pare esservi una riduzione dei recettori beta-adrenergici) e
delle amine pressorie sia per l'effetto aritmogeno sia per non sovraccaricare il
miocardio. La ipovolemia va corretta con infusioni lente di plasma o, se vi è
anche anemia, di sangue.
La
sindrome di iponatremia diluizionale e di ritenzione idrica tessutale è pure
importante: la ridotta perspiratio, l'idropessia e il deficit surrenalico non
sono compensati dalla reazione vasopressinica e dalla funzione renale. Vi è
oliguria e opsiuria da ridotto flusso renale e filtrato glomerulare. L'edema
cerebrale ne è la conseguenza più vistosa. La natremia scende a 120-125 mEq/l;
l'osmolalità è bassa nel plasma e alta nelle urine. Questa condizione rende
perciò inopportuna la somministrazione di liquidi in eccesso che rischierebbero
di provocare un'intossicazione idrica. La quantità necessaria per fornire dosi
adeguate di NaCl ipertonico è di 500-1000 ml/24h. L'uso di diuretici
(furosemide) è indicato non appena raggiunta la sicurezza elettrolitica. Già
l'opoterapia tende a mobilizzare soprattutto acqua libera e a risparmiare sodio.
La
sindrome ipoglicemica è un elemento differenziale sia con l'ipotiroidismo di
base, in cui la ridotta peristalsi mantiene un sufficiente assorbimento di
glucosio, sia con il coma ipofisario in cui l'ipoglicemia è ancor più bassa.
La ridotta neoglicogenesi, il deficit surrenalico e la riduzione del glicogeno
tessutale sono responsabili di questo aspetto metabolico, la cui terapia, come
per l'iponatremia, deve valersi di infusioni ipertoniche e di glicocorticoidi.
Ritenzione
urinaria, stipsi e meteorismo sono aspetti importanti della cura.
La
prognosi è, in definitiva, in relazione con il grado del coma e con la
possibilità di rapido intervento volto a riparare congiuntamente tutti gli
aspetti sindromici del complesso quadro clinico.
Una
forma sempre più frequente di ipotiroidismo del giovane e dell'adulto è quella
iatrogena, per l'asportazione chirurgica di una porzione eccessiva di tessuto
tiroideo o in seguito alla terapia dell'ipertiroidismo con iodio radioattivo.
Meno frequente, ma da tenere sempre presente, è l'ipotiroidismo che può
seguire la radioterapia esterna nella regione del collo anche per malattie non
tiroidee.
L'ipotiroidismo
è la regola negli interventi molto demolitivi per cancro della tiroide, ma
poiché è un evento voluto e previsto non rappresenta quasi mai un problema per
il medico. In ogni caso questi soggetti dovranno essere trattati per tutta la
vita con ormone tiroideo in dosi sufficienti a sopprimere il TSH, per evitare
l'effetto stimolante che il TSH può avere sulla crescita di eventuali microfoci
tumorali residui.
L'ipotiroidismo
può anche seguire interventi ampi per gozzo nodulare non tossico per motivi
estetici, meccanici o come prevenzione di una trasformazione eteroplastica.
Anche in questi casi si tratta spesso di un evento previsto e voluto; e anche in
questi casi è d'altra parte consigliabile, anche in assenza di ipotiroidismo,
una terapia TSH soppressiva per evitare una recidiva delle nodulazioni.
Più
problematico, perché non sempre prevedibile, è l'ipotiroidismo che segue
interventi per gozzo tossico, diffuso o nodulare. La sua incidenza è tanto più
alta quanto più il chirurgo teme una recidiva dell'ipertiroidismo ed
effettivamente fra ipotiroidismo postoperatorio e ipertiroidismo recidivo dopo
tiroidectomia vige una chiara relazione inversa. Approssimativamente dagli studi
apparsi in letteratura risulta che il 30-50% dei pazienti sottoposti a
tiroidectomia parziale per ipertiroidismo va incontro all'ipotiroidismo in tempo
variabile da 1 a 10 anni e che incorre in recidive il 10-15% nello stesso
periodo di tempo.
Un
nostro recente studio, condotto su 100 pazienti affetti da morbo di Basedow,
operati con la stessa tecnica e quindi quasi con la stessa quantità di tessuto
residuo, ha mostrato a 3 mesi una incidenza dell'ipotiroidismo manifesto pari al
23%, dell'ipotiroidismo subclinico, con T3 e T4 normali e TSH elevato, pari al
33% e dell'eutiroidismo pari al 36%.
Negli
anni successivi l'ipotiroidismo subclinico tende a scomparire in genere per un
ritorno dell'eutiroidismo, ma spesso per evoluzione verso l'ipotiroidismo
manifesto. Sono stati osservati anche taluni casi che dall'ipotiroidismo
subclinico sono virati verso l'ipertiroidismo recidivo.
È interessante notare come l'età si sia dimostrata un elemento molto
importante nel condizionare l'evoluzione post-operatoria: infatti nei soggetti
operati dopo i 40 anni l'ipotiroidismo è relativamente raro (10% nella forma
manifesta), mentre nei soggetti giovani è risultato molto frequente (50% in
forma manifesta e 25% subclinico nei pazienti inferiori ai 20 anni).
Alcuni
Autori hanno rilevato una correlazione fra incidenza dell'ipotiroidismo
post-operatorio nei pazienti con morbo di Basedow-Graves e preesistenza degli
anticorpi antitiroide. Nel nostro studio al contrario questa relazione non è
stata trovata, anzi si è visto che tutti i pazienti che hanno avuto una
recidiva avevano elevati livelli di anticorpi antimicrosomi, sia prima sia dopo
l'intervento, suggerendo la persistenza di un importante disturbo
dell'autoimmunità tiroidea.
L'ipotiroidismo
segue con notevole frequenza la terapia del morbo di Basedow mediante
radioiodio. L'incidenza dell'ipotiroidismo da radioiodio aumenta
progressivamente nel tempo con un andamento praticamente lineare:
approssimativamente è stato dimostrato che dopo un anno dalla terapia il 20-30%
dei pazienti diventano ipotiroidei, il 40-50% dopo 5 anni, il 50-70% dopo 10
anni. In nessuna serie di pazienti apparsa in letteratura la curva di incidenza
dimostra la tendenza a formare un plateau, per cui si può affermare che
l'ipotiroidismo rappresenta a tempi più o meno lunghi la conclusione obbligata
della terapia con radioiodio.
Vi
è chiaro rapporto dose-effetto alla base dell'ipotiroidismo post-radioiodio,
per cui dosi elevate e ripetute provocano più facilmente questa sequela.
È stata anche dimostrata una minore incidenza di ipotiroidismo nei
pazienti con volume tiroideo decisamente aumentato o con caratteristiche
nodulari. L'età sembra invece rivestire un ruolo di scarso rilievo (vedi tab.05 ).
Per
quanto riguarda il ruolo di fenomeni autoimmuni sul determinismo
dell'ipotiroidismo dopo terapia con radioiodio è opinione comune che sia
importante la presenza di anticorpi antitiroide sia preesistenti alla terapia
sia formatisi ex novo in seguito alla distruzione del tessuto tiroideo per
effetto delle radiazioni e al passaggio in circolo di proteine tiroidee dotate
di capacità antigeniche.
È stata infatti osservata una incidenza doppia di ipotiroidismo nei
soggetti con anticorpi antimicrosomi. Altri Autori segnalano invece una migliore
correlazione fra anticorpi antitireoglobulina e ipotiroidismo.
Alcuni
pazienti con morbo di Basedow, specialmente in presenza di elevati livelli
circolanti di anticorpi antitireoglobulina e antimicrosomi, possono diventare
spontaneamente ipotiroidei vari anni dopo la cessazione della terapia con
farmaci antitiroidei. In questi pazienti la causa dell'ipotiroidismo non è la
terapia farmacologica, ma piuttosto la concomitanza di spontanea tiroidite
autoimmune che accompagnava l'ipertiroidismo, e che alla fine ha condotto alla
distruzione della ghiandola tiroidea.
È stato dimostrato che l'ipotiroidismo può rappresentare una
manifestazione tardiva della terapia con radiazioni esterne quando il campo di
trattamento include la tiroide. In numerose serie della letteratura fino al 45%
dei pazienti trattati con radioterapia esterna bilaterale per linfoma hanno
sviluppato un ipotiroidismo subclinico con TSH elevato e il 20% un ipotiroidismo
manifesto. Nella maggior parte dei casi l'insufficienza tiroidea compariva entro
il primo anno del trattamento. Mentre l'ipotiroidismo dopo terapia radiante
esterna si verifica in tempi relativamente brevi e dopo la somministrazione di
dosi elevate, la somministrazione di dosi più ridotte, soprattutto se ripetute,
può determinare dopo un lasso di tempo notevolmente più lungo, l'insorgenza di
carcinomi alla tiroide.
Come
è stato ampiamente documentato, pazienti trattati 10-20 anni prima con
roentgenterapia al capo o collo per malattie benigne, come tonsilliti o angiomi
o tinea capitis sviluppano con estrema frequenza nodularità alla tiroide e in
una rilevante percentuale carcinomi tiroidei.
Appare
chiaro che tutti i pazienti che a qualsiasi titolo hanno ricevuto terapia
radiante esterna al capo o al collo devono essere accuratamente sorvegliati e
possibilmente trattati con terapia ormonale TSH soppressiva.
L'ipotiroidismo
nelle forme descritte finora rappresenta una malattia permanente che richiede
pertanto una terapia continuata per tutta la vita. Esistono tuttavia molte
circostanze in cui l'ipotiroidismo si può presentare in forma transitoria,
destinata spontaneamente a regredire. Queste forme sono elencate nella tab.06
È assolutamente necessario che il medico conosca la possibilità che
l'ipotiroidismo si possa presentare in forma provvisoria e ne conosca le cause.
Una volta fatta la diagnosi di ipotiroidismo (che può essere difficile sul
piano clinico ma facile sul piano laboratoristico) è indispensabile effettuare
sempre la ricerca della causa dell'ipotiroidismo e valutare se tale causa è
compatibile con una forma permanente o transitoria. Dal lato terapeutico la
scelta se trattare o no un ipotiroidismo transitorio deve essere valutata nel
singolo caso. In linea generale si può dire che un ipotiroidismo conclamato e
grave anche se sicuramente transitorio va trattato con terapia sostitutiva che
dovrà essere poi molto gradatamente sospesa per permettere il recupero
funzionale della ghiandola sotto lo stimolo del TSH. Un ipotiroidismo di lieve
grado non andrà trattato, onde permettere al TSH di facilitare e accelerare il
recupero funzionale.
L'ipotiroidismo
subclinico, caratterizzato da un aumento del livello di TSH con T3 e T4 normali,
è già stato più volte descritto nel corso della presente rassegna.
È inevitabile che tutti i pazienti che sviluppano un ipotiroidismo
manifesto hanno attraversato una fase di ipotiroidismo subclinico, la cui durata
è soprattutto in relazione con la causa che ha determinato il danno tiroideo.
D'altro canto non tutti i soggetti con ipotiroidismo subclinico evolvono verso
l'ipotiroidismo manifesto, alcuni di essi si mantengono in una situazione
"compensata" relativamente stabile. Sorge quindi il problema di capire
quale sia il significato biologico dell'ipotiroidismo subclinico: in altre
parole è una situazione di compenso col raggiungimento di un nuovo equilibrio o
all'opposto deve essere considerato una condizione patologica con conseguenze
negative sullo stato di salute e come tale deve essere trattato?
Anche
se una risposta definitiva a questi quesiti non è ancora possibile, numerosi
elementi fanno ritenere che sia valida la seconda ipotesi. La maggior parte
delle ricerche hanno documentato, nell'ipotiroidismo subclinico, un aumento dei
livelli ematici di colesterolo e un aumentato rischio di malattie coronariche,
anche se altre ricerche non sembrano aver confermato questo dato. Inoltre,
nell'ipotiroidismo subclinico i test che misurano l'effetto periferico
dell'ormone tiroideo sono alterati anche se modestamente indicando uno stato di
ipotiroidismo tessutale. Infine, come è già stato riferito, in questa
situazione anche se i livelli di T3 e T4 totali sono normali, i livelli di FT4
sono molto frequentemente ridotti.
Quindi
è opinione corrente che i pazienti con ipotiroidismo subclinico vadano trattati
con terapia sostitutiva alla stregua dei pazienti con ipotiroidismo manifesto.
Il trattamento è semplice, poco costoso e ben tollerato. Spesso i benefici
vengono valutati a posteriori dallo stesso paziente con una sensazione di
benessere rispetto allo stato precedente.
L'obiettivo
è da un lato quello di anticipare il più possibile il trattamento di quei
pazienti che poi evolveranno in ipotiroidismo manifesto, prevenendo quindi i
danni spesso irreversibili che la malattia comporta. Un secondo e altrettanto
importante obiettivo è di proteggere i pazienti, il cui ipotiroidismo
subclinico non sia evolutivo, da probabili anche se non sicuri danni biologici.
Appare
in ogni caso consigliabile una ricerca della causa dell'ipotiroidismo subclinico
(anamnesi ed esame obiettivo per pregressi interventi per terapia con
radioiodio, scintigrafia ed ecografia tiroidea, dosaggio degli anticorpi
antitiroide). Appare anche consigliabile un periodo preliminare di osservazione
con periodici dosaggi di T3, T4 e TSH per confermare il dato ed escludere
interferenze farmacologiche od oscillazioni fisiologiche.
L'ipotiroidismo
centrale è molto meno frequente dell'ipotiroidismo primario, rappresentando
circa il 5% dei casi. Può esistere in forma congenita, estremamente rara o più
frequentemente in forma acquisita. Nella maggior parte dei casi il difetto di
TSH è accompagnato da una ridotta secrezione di altre tropine ipofisarie e il
quadro clinico è caratterizzato dal difetto di molti organi fino al
panipopituitarismo. L'ipotiroidismo può essere lieve o può dominare il quadro
clinico. In rari casi il difetto di TSH può essere isolato. Le cause più
comuni di ipotiroidismo centrale sono l'adenoma pituitarico sia non secernente
sia secernente altri ormoni (GH, prolattina, ACTH) che rappresenta il 50% dei
casi, il craniofaringioma soprattutto nei soggetti giovani, le forme iatrogene
da intervento o irradiazione di altri tumori ipofisari, la necrosi ischemica
(sia post-partum, o sindrome di Sheehan, sia da shock) (tab.07
Nell'ipotiroidismo
centrale la produzione di TSH è per definizione deficitaria e la ghiandola
tiroide pur normale di per sé non riceve lo stimolo fisiologico del suo ormone
trofico e produce scarse quantità di T3 e di T4. A differenza
dell'ipotiroidismo primario non esiste in questo caso alcuna condizione che
favorisca la sintesi preferenziale di T3 rispetto alla T4 e pertanto entrambi
gli ormoni sono abbassati nello stesso modo. Dal lato ormonale quindi, sia che
si tratti di una forma ipofisaria propriamente detta sia che si tratti di una
forma ipotalamica, l'ipotiroidismo è caratterizzato da bassi livelli di TSH e
da bassi livelli sia di T4 che di T3.
La
differenziazione fra forma ipofisaria e forma ipotalamica può essere ottenuta
valutando la risposta del TSH allo stimolo del TRH. Nelle lesioni ipotalamiche
con ipofisi integra il livello basale di TSH è abbassato, ma è capace di
elevarsi dopo stimolazione con TRH esogeno.
Nelle
lesioni ipofisarie invece non vi sono cellule tireotrope capaci di rispondere
allo stimolo del TRH e i livelli del TSH rimangono costantemente abbassati.
Tuttavia
in clinica le cose non si sono rivelate così semplici, in quanto sono stati
descritti numerosi pazienti con lesione ipofisaria tumorale o chirurgica,
affetti da ipotiroidismo sicuramente non primario, nei quali la concentrazione
del TSH era normale e rispondeva in modo normale o addirittura esagerato alla
stimolazione con TRH esogeno. La spiegazione di questo comportamento imprevisto
può essere duplice: che la lesione ipofisaria abbia una estensione soprasellare
con contemporanea compromissione ipotalamica e persistenza di una parte di
ipofisi capace di rispondere, il che farebbe classificare questi casi come forme
prevalentemente ipotalamiche piuttosto che ipofisarie; che il TSH prodotto in
questi soggetti sia un ormone alterato, immunologicamente normale e quindi
dosabile, ma inattivo dal punto di vista metabolico e quindi responsabile
dell'ipotiroidismo.
Obiettivo
della terapia dell'ipotiroidismo primario o secondario è di fornire al paziente
una appropriata quantità di ormone tiroideo esogeno, tale da mantenere una
concentrazione ematica la più possibile vicina a quella del soggetto normale.
A
priori l'ipotiroidismo secondario andrebbe curato in maniera etiologica,
somministrando l'ormone mancante, cioé il TSH, in modo da ripristinare la
secrezione ormonale della tiroide che è intrinsecamente normale. Tuttavia tale
terapia non è attuabile nella pratica date le difficoltà all'impiego
terapeutico del TSH umano, ottenibile in quantità limitatissime da materiale
autoptico, e dato che il TSH di origine animale è immunologicamente eterogeneo
e costantemente, ed a breve termine, determina la produzione nell'organismo
ricevente di anticorpi inattivanti. Le preparazioni di ormone tiroideo
utilizzabili nella pratica clinica rientrano in due categorie:
a)
preparazioni estrattive da ghiandole animali:
b)
ormoni sintetici.
Gli
estratti di tiroide derivano da numerosi animali domestici, in genere da maiali
o da pecore. Il loro contenuto ormonale e quindi la loro potenza metabolica non
sono sufficientemente standardizzati ed esistono notevoli differenze fra le
diverse preparazioni commerciali: sia il contenuto iodico sia soprattutto il
contenuto reale in ormone tiroideo sono grandemente variabili non solo fra i
preparati delle varie ditte, ma anche fra i diversi lotti di uno stesso
preparato.
Il
medico che si accinge ad impiegare questi prodotti dovrebbe conoscere bene il
contenuto equivalente, in termini di T3 e di T4, di ogni compressa del preparato
in questione; deve inoltre considerare che trattandosi di materiale organico,
esso richiede un processo di digestione e di assorbimento e che entrambi questi
processi possono essere compromessi nell'ipotiroidismo.
Le
preparazioni sintetiche disponibili sono i sali sodici della tiroxina e della
triiodotironina. È chiaro
che la uniforme e costante potenza metabolica di questi prodotti rappresenta
rispetto ai preparati estrattivi un vantaggio enorme.
Nella
scelta fra T4 e T3 va tenuto presente che la T3 viene assorbita all'85% mentre
la T4 solo al 60%, che la T3 ha una potenza due-tre volte superiore a quella
della T4, che il tempo di emivita della T3 è di 1-2 giorni mentre quello della
T4 è di 6-7 giorni, che la T4 rappresenta in gran parte un pro-ormone e che
l'ormone metabolicamente attivo è forse solo la T3. La T3 è particolarmente
utile quando si voglia ottenere velocemente un effetto o lo si voglia
altrettanto velocemente troncare.
Gli
svantaggi della T3 sono soprattutto in relazione con la sua rapidità d'azione,
con la maggiore attività e con la breve sopravvivenza nel circolo sanguigno,
per cui essa richiede una suddivisione della dose in varie assunzioni
giornaliere onde evitare elevati e pericolosi picchi ematici, mentre con la T4 o
con i preparati estrattivi è sufficiente una somministrazione al giorno o a
giorni alterni o, come proposto da alcuni ricercatori, una volta alla settimana.
La T3 andrebbe quindi evitata quando non si è sicuri della completa
collaborazione del paziente e del resto, come in ogni terapia, un'elevata
percentuale di insuccessi terapeutici è proprio legata alla incompleta
assunzione del farmaco da parte dei pazienti.
Particolare
attenzione e cautela richiede poi l'uso della T3 nei cardiopatici o negli
anziani in generale, nei quali un effetto metabolico troppo energico o veloce,
senza che vi corrisponda un adeguato aumento della irrorazione sanguigna, può
causare gravi danni, in particolar modo episodi di insufficienza coronarica
acuta. D'altro canto la sua rapida scomparsa dal sangue può prevenire effetti
di accumulo pericolosi proprio nei cardiopatici, per cui, in mani prudenti, si
può affermare che la T3 può essere usata con tranquillità in qualsiasi
paziente.
La
dose di ormone tiroideo deve essere pienamente sostitutiva.
È errato il concetto di somministrare in un soggetto con ipotiroidismo
di lieve entità una dose non sostitutiva, che vada a sommarsi alla quantità di
ormone prodotta dalla tiroide del paziente. In effetti l'ormone esogeno si somma
a quello endogeno solo in un primo tempo, finché la concentrazione ematica
viene riportata alla norma.
A
questo punto però, cioè di fronte a normali livelli sierici di ormone
tiroideo, la secrezione di TSH da parte dell'ipofisi viene soppressa ed il
residuo tiroideo non viene più stimolato e cessa di produrre ormone endogeno.
La
terapia sostitutiva con ormone tiroideo deve quindi essere regolata dal
principio "o tutto o nulla".
La
dose sostitutiva di T4 varia da 100 a 150 microg/die in assenza di T3, mentre la
dose sostitutiva di T3 in assenza di T4 dovrebbe aggirarsi sui 60-80 microg/die.
È preferibile in ogni caso adattare la dose al peso corporeo del
paziente ed in questo modo le dosi consigliabili diventano 1,7-2,3 microg/kg/die
per la T4 e 0,9-1,1 microg/kg/die per la T3. Qualora ci si accinga ad iniziare
una terapia sostitutiva con ormone tiroideo è sempre utile iniziare con piccole
dosi per saggiare le responsività del paziente ed aumentare poi gradualmente
fino a raggiungere la dose desiderata dopo un certo lasso di tempo. Tale
principio generale va applicato in modo particolare nei soggetti in età
avanzata o con note cliniche che facciano sospettare una insufficienza
coronarica. In questi soggetti appare anche prudente associare alla terapia
sostitutiva dei preparati beta-bloccanti per ridurre l'effetto stimolante
dell'ormone tiroideo sul tessuto miocardico.
Spesso
può essere conveniente limitarsi a correggere l'ipotiroidismo solo
parzialmente, in quanto i danni che una terapia troppo energica può arrecare
all'organismo di un paziente ipotiroideo anziano e cardiopatico possono essere
notevoli, mentre la conservazione di un grado lieve di ipotiroidismo e quindi di
un basso consumo di ossigeno può essere senza grandi conseguenze negative, e
rappresentare invece un vantaggio.
La
determinazione del livello sierico del TSH è senz'altro la misura più
sensibile e precisa dell'efficacia della terapia nel caso dell'ipotiroidismo
primario, in quanto la dose sostitutiva deve essere considerata quella che
riporta i livelli di TSH, precedentemente elevati, entro i limiti normali. Il
dosaggio del TSH nel siero deve essere effettuato almeno un mese dopo l'inizio
della terapia con una determinata dose, in quanto il meccanismo di soppressione
della ipofisi, specie se utilizza la T4 od i preparati estrattivi, è piuttosto
lento a manifestarsi.
La
misurazione dei livelli di TSH nel siero, purché sia effettuata con metodi
immunometrici con anticorpi monoclonali, è anche utile nel segnalare un eccesso
di dose. Con questi metodi infatti, a differenza di quelli radioimmunologici, è
possibile distinguere i valori di TSH soppressi (indice di dose eccessiva) da
quelli normali.
È sempre buona norma, per entrambi questi scopi, eseguire
contemporaneamente anche i dosaggi della T4 e FT4 per una valutazione più
esatta e completa: questi dosaggi sono tuttavia, come è ovvio, senza valore nei
soggetti in terapia con sola T3. In questi ultimi soggetti è necessario il
dosaggio della T3, tenendo conto che in assenza di T4 la soppressione del TSH si
ottiene con livelli ematici di T3 doppi di quelli normali, come è stato
dimostrato dal nostro gruppo.
Nei
soggetti in terapia con preparati estrattivi va tenuto presente che il processo
di preparazione del farmaco determina costantemente una desiodazione parziale
della T4 in T3; inoltre la T3 viene assorbita maggiormente della T4. Per queste
ragioni una terapia pienamente sostitutiva, che ha riportato il TSH entro i
limiti normali, può accompagnarsi a livelli di T4 ai limiti inferiori della
norma. In questi casi una valutazione dell'efficacia della terapia sostitutiva
desunta dalla determinazione della sola T4 può erroneamente far sospettare una
persistenza dell'ipotiroidismo ed indurre a somministrare dosi eccessive e
quindi potenzialmente tossiche. In questi soggetti quindi è necessaria la
valutazione contemporanea di T4, T3 e TSH.
Le
sostanze che interferiscono sulla funzione tiroidea sono numerose e varie. La
loro conoscenza è indispensabile per la corretta interpretazione dei quadri
clinici e dei dati di laboratorio.
L'argomento
è però troppo vasto per essere approfondito in questa sede. Si rimanda perciò
alla ottima Guida che, unica nel suo genere, la Società di Endocrinologia ha
recentemente pubblicato sul Journal of Endocrinological Investigation.
Essa
fornisce anche i nomi commerciali, le funzioni interferite, il meccanismo
d'azione a livello ipofiso-tiroideo.
1.
Alterazioni delle proteine di trasporto
a) aumento della TBG: clofibrato, estrogeni, metadone, perfenazina,
5-fluoruracile;
b) diminuzione della TBG: androgeni, corticosteroidi, danazolo,
L-asparaginasi;
c) interferenze di legame alle proteine di trasporto acido
acetilsalicilico e paraminosalicilico, alofenato, diazepam, difenilidantoina,
eparina, fenclofenac, fenilbutazone, fenobarbital, orfenadrina, sulfaniluree.
2.
Azioni a livello ipotalamo-ipofisario: aloperidolo, apomorfina, benserazide,
biperidone, bromocriptina, dopamina, fentolamina, furosemide, levodopa,
lisuride, metisergide, metoclopramide, peridebil, piridossina, somatostatina,
somatotropo, spironolattone, sulpiride, teofillina, tioridazina.
3.
Accelerato metabolismo degli ormoni ed induzione della 5-desiodasi:
carbamazepina, fenobarbital, pirimidone, rifampicina, somatotropo.
4.
Inibizione della conversione periferica della T4 a T3: amiodarone,
clorimipramina, corticosteroidi, mezzi di contrasto iodati, propiltiouracile,
propranololo.
5.
Inibizione della sintesi e/o della secrezione degli ormoni tiroidei e/o della
captazione tiroidea dello ioduro: acido aminosalicilico, acetazolamide,
aminoglutetimide, beclometazone, betametasone, carbimazolo, clomifene,
cotrimossazolo, deflazacort, desossicortone, fenilbutazione, iodio, litio,
metimazolo, perclorato di potassio, propiltiouracile, resorcinolo, sulfaniluree,
triamcinolone.
6.
Riduzione del circolo enteroepatico: colestipol, colestiramina.
7.
Riduzione del volume di distribuzione: clortalidone, idroclorotiazide.
Però,
di alcuni farmaci di largo impiego occorre sottolineare l'importanza:
1. corticosteroidi: riducono, sia a dosi fisiologiche sia farmacologiche,
la TBG il TSH e la sua risposta al TRH, la conversione di T4 a T3, mentre
aumentano la rT3.
2. amiodarone e iodici: inibiscono la sintesi e la secrezione degli
ormoni tiroidei e/o la iodocaptazione tiroidea (effetto Wolff-Chaikoff) e
possono dare origine a quadri di ipotiroidismo, specie se associati a tiroiditi
autoimmuni, non sempre reversibili; più frequente è invece la produzione di
quadri di ipertiroidismo;
3. estrogeni: aumento della TBG con aumento di T3 e T4 totali;
4. eparina: alterazione delle proteine di trasporto e dei legami ormonali
con riduzione delle frazioni totali e del TSH e aumento delle frazioni libere;
5. difenilidantoina e diazepam: alterazione delle proteine di trasporto e
dei legami ormonali con riduzione delle frazioni totali e aumento di quelle
libere;
6. propranololo: inibizione della conversione a T3 e aumento di rT3
(negli ipotiroidei in trattamento con tiroxina e propranololo la concentrazione
di T4 sierica resta perciò alta).
Burrow
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M. Austoni
Direttore
Istituto di Semeiotica Medica
Università di Padova
B. Busnardo
Professore
Associato di Semeiotica Medica
Università di Padova
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