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ARGOMENTI DI MEDICINA CLINICA

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 Ultimo aggiornamento: 23.12.2013

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TERAPIA FARMACOLOGICA IN CORSO Dl INSUFFICIENZA RENALE

 

 

L'uremia è una malattia dell'intero organismo con manifestazioni a carico di più organi ed apparati e pertanto richiede spesso delle politerapie. Anche indipendentemente dal problema delle interazioni farmacologiche, la situazione non è facile da gestire.

Innanzitutto il rischio di accumulo delle sostanze eliminate attraverso il rene aumenta proporzionalmente al grado di insufficienza renale: farmaci con potenziale nefrotossicità diretta possono allora raggiungere concentrazioni pericolose, aggravare l'insufficienza e creare i presupposti di un ulteriore incremento di tossicità.

Le modificazioni della farmacocinetica nell'uremia non si esauriscono nelle variazioni del rapporto assunzione-eliminazione renale, in quanto possono risultare alterati anche l'assorbimento, il trasporto, la distribuzione ed il metabolismo. Le conseguenze sono molteplici: gli episodi di intolleranza ai medicamenti sono più frequenti nei soggetti con insufficienza renale; è facile che i dosaggi di alcuni farmaci non siano ottimali e anche per prodotti non ad eliminazione renale prevalente, per i quali non parrebbero esistere problemi, non è rara un'attività differente da quella attesa, non di rado superiore.

Inoltre possono comparire manifestazioni non direttamente collegate ad alterazioni farmacocinetiche. Alcuni medicamenti possono scompensare una sindrome uremica ancora subclinica, o aggravarne dei sintomi: è il caso dell'ipercatabolismo da tetracicline, dei sanguinamenti da acido acetilsalicilico, dell'impotenza da prodotti iperprolattinemizzanti tipo metoclopramide, del sovraccarico idrosalino da farmaci contenenti sodio in elevata quantità; altri farmaci possono causare sintomi simili a quelli dell'insufficienza renale, ad esempio gastrointestinali, o edemi, od un aggravamento dell'ipertensione arteriosa (è il caso ad es. degli antiinfiammatori non steroidei). Manifestazioni patologiche possono anche intervenire per interazione con meccanismi di compenso emodinamico. Un esempio è offerto dagli inibitori dell'enzima di conversione e degli antinfiammatori non steroidei che, in pazienti con un unico rene funzionante e stenosi dell'arteria renale, o con stenosi bilaterale, possono aggravare l'insufficienza renale, talora sino all'anuria.

Nell'insufficienza renale può diventare pertanto difficile scegliere il farmaco con le maggiori possibilità di efficacia e le minori probabilità di effetti collaterali, somministrarlo alla dose corretta, e monitorizzarne gli effetti.

In queste circostanze è opportuno:

- conoscere la farmacocinetica dei prodotti che si impiegano;

- disporre di valori recenti della clearance della creatinina, o almeno della creatininemia;

- attenersi alle posologie consigliate;

- ricercare le manifestazioni di intolleranza;

- sospettare come iatrogena ogni sintomatologia a patogenesi non chiara e, nel dubbio, interrompere la somministrazione del o dei farmaci sospetti;

- impiegare, ogni qualvolta possibile, medicamenti da tempo conosciuti ed usare nuovi prodotti con cautela ed in assenza di alternative;

- evitare quanto più si può le politerapie;

- controllare le istruzioni accluse nella confezione e, nel caso queste non siano esaurienti, consultare il produttore od uno specialista;

- somministrare solo farmaci necessari.

 

 

Vie di somministrazione dei farmaci

 

La biodisponibilità dei farmaci, dalla comparsa in circolo sino all'arrivo al sito d'azione, è influenzata dalle modalità di somministrazione.

In circa 1'80% dei casi l'assunzione avviene per via orale: l'assorbimento intestinale nell'insufficienza renale può avere una dinamica alterata.

Per le somministrazioni topica ed intramuscolare non sembrano esserci differenze di assorbimento tra pazienti con insufficienza renale e soggetti sani; esiste invece qualche dato in favore di una possibile alterazione per la somministrazione sottocutanea.

 

 

GENERALITÀ SULL' ASSORBIMENTO DEI FARMACI

 

Assorbimento topico e sublinguale

 

Alcuni farmaci sono inattivati dal succo gastrico o dagli enzimi digestivi oppure vanno incontro a metabolizzazione epatica. Per queste sostanze (ad esempio nitroderivati, nifedipina, clonidina e scopolamina) la via topica o sublinguale può essere un'efficace alternativa. Il lento assorbimento cutaneo di prodotti adsorbiti a cerotti adesivi garantisce livelli terapeutici costanti per lungo tempo.

 

 

Assorbimento rettale

 

Per gli antiemetici, i sedativi e gli antinfiammatori non steroidei, che possono provocare irritazione della mucosa gastrica e comparsa di nausea e vomito, è talora preferibile la via rettale.

 

 

Assorbimento dopo assunzione orale

 

La quota assorbita dopo assunzione per via orale può essere valutata confrontando i livelli plasmatici del medicamento assunto per os con quelli della stessa sostanza somministrata per via endovenosa o di una sostanza standard assorbita al 100% dopo somministrazione orale. La frazione di assorbimento (F) è data dal rapporto fra le aree sottese dalle curve (ASC) delle concentrazioni plasmatiche delle due sostanze nel tempo:

 

                F = ASC farmaco/ASC standard

 

Per i composti ad esclusiva eliminazione renale la frazione di assorbimento può essere valutata rapportando le quantità totali escrete delle due sostanze:

 

                F = [U]x V/[U]s V

 

dove [U]x e [U]s sono le concentrazioni urinarie del farmaco e della sostanza standard e V il volume urinario.

Alcuni medicamenti posssono essere assorbiti a livello gastrico ma, in linea generale, la sede più importante di assorbimento è intestinale. La mucosa si comporta come una membrana semipermeabile; i meccanismi di trasporto possono essere attivi o passivi.

Pur non essendo possibile individuare regole di validità generale, le sostanze a basso peso molecolare ed alta liposolubilità sono per lo più assorbite passivamente secondo un gradiente elettrochimico e di concentrazione. La liposolubilità è di solito maggiore per le sostanze non ionizzate.

La presenza di steatorrea o l'assunzione di alimenti ricchi di lipidi possono influenzare negativamente l'assorbimento dei farmaci liposolubili.

Lo stato ionico di una molecola è determinato dalla sua costante di dissociazione (pKa) e dal pH intestinale. Il pKa, specifico per ogni sostanza chimica, è il valore di pH al quale essa è in forma ionizzata al 50%. Farmaci debolmente basici, con un pKa relativamente alto, sono in gran parte in forma ionizzata nell'ambiente acido dello stomaco, e sono assorbiti a questo livello solo in minima parte; al contrario, il pH basico del piccolo intestino ne favorisce l'assorbimento. L'aspirina ed i sulfamidici, debolmente acidi, sono invece facilmente assorbiti dalla mucosa gastrica. La rapida distribuzione in circolo della sostanza, dopo che è stata assorbita, favorisce concentrazioni sempre relativamente basse a livello della mucosa intestinale ed il mantenimento quindi del gradiente di concentrazione.

L'assorbimento intestinale può avvenire anche con meccanismo attivo, con consumo di energia, sia contro il gradiente di concentrazione (per trasporto mediato da un carrier specifico), sia secondo il gradiente (diffusione facilitata). I carrier possono essere inibiti competitivamente da sostanze di struttura affine a quella del farmaco. Basse concentrazioni intestinali sono il principale fattore limitante l'assorbimento; ad alte concentrazioni la curva di assorbimento si appiattisce per la saturazione del carrier.

La biodisponibilità di una sostanza somministrata per via orale è influenzata dalla motilità intestinale e dal tempo di svuotamento gastico. Poiché la superficie del piccolo intestino è più estesa di quella dello stomaco, un rapido svuotamento gastrico aumenta l'assorbimento dei composti debolmente acidi e quindi assorbiti anche a livello gastrico. Un rallentato svuotamento dello stomaco altera l'assorbimento di quelli instabili a pH acido, come le penicilline.

Molti farmaci somministrati per os sono soggetti, già al primo passaggio attraverso il circolo epatico, ad inattivazione metabolica che ne condiziona la biodisponibilità.

 

 

BIODISPONIBILITÀ DOPO SOMMINISTRAZIONE ORALE

NELL'INSUFFICIENZA RENALE

 

Abbiamo informazioni esaurienti solo per poche sostanze. Ad esempio, è documentata ma non spiegata una riduzione di effetto della furosemide per os rispetto alla via parenterale.

La compromissione dell'assorbimento può intervenire per alterazioni costantemente presenti nell'insufficienza renale.   È quanto si verifica per il calcio, secondariamente al deficit di produzione renale dell'1-25 (OH)2 colecalciferolo. Questa riduzione di assorbimento intestinale è un momento fondamentale nella patogenesi dell'osteodistrofia uremica: per prevenirla, è necessaria la somministrazione sistematica per os di supplementi di calcio carbonato a dosaggi elevati (mediamente 1-3 g/die), a partire da valori di clearance della creatinina inferiori a 60 ml/min, corripondenti mediamente a livelli di creatininemia di 1,7-1,9 mg/dl. La supplementazione orale di carbonato di calcio, che è un chelante del fosforo, permette anche un miglior controllo della fosforemia che, a sua volta, ha un ruolo di rilievo nella patologia del ricambio fosfocalcico nell'uremia.

Per evitare la stipsi indotta dal carbonato di calcio è spesso necessaria la somministrazione di lassativi; solitamente vengono preferiti i farmaci ad effetto osmotico intestinale, poco irritanti la mucosa, ad esempio lattulosio e sorbitolo a basse dosi. Di uso corrente è anche l'associazione di calcio e magnesio.

Almeno nell'insufficienza renale sperimentale è stato anche dimostrato un maggiore assorbimento di talune sostanze, come l'acido sulfanilico, precursore di sintesi dei sulfamidici a debolissima attività antibatterica, il cui uso in clinica è peraltro desueto.

Altri fattori capaci di influenzare l'assorbimento gastrointestinale non sono invece costanti, e possono agire a livelli differenti e, a seconda dei casi, con modificazioni di segno opposto. Un edema della mucosa gastrointestinale può ridurlo; lo svuotamento gastrico e la peristalsi intestinale possono essere rallentati da una compromissione del sistema neurovegetativo, o per effetto del calcio carbonato o di antiacidi contenenti gel di alluminio. Vomito e diarrea possono intervenire in maniera opposta.

Il pH gastrico può aumentare per l'effetto tampone dell'ammoniaca che si forma dall'urea salivare, e in queste condizioni i farmaci debolmente acidi, quali il fenobarbital, la warfarina e l'aspirina sono convertiti nelle rispettive forme ionizzate, meno agevolmente assorbite. Il pH gastrico può anche aumentare in presenza di una gastrite atrofica, evento non frequente in insufficienza renale, anche se una ridotta secrezione gastrica di idrogenioni con livelli aumentati di gastrinemia non è eccezionale.

Rilevanti sono le modificazioni che possono essere indotte dagli antiacidi. I prodotti a base di idrossido di alluminio, in passato largamente impiegati come chelanti del fosforo, oltre a modificare come tutti gli antiacidi l'ambiente acido dello stomaco, possono alterare l'assorbimento, ad esempio di isoniazide, per inibizione diretta della motilità gastrica da parte dell'alluminio, o indurre stipsi; quelli a base di idrossido di magnesio possono causare diarrea.

Gli antiacidi a base di idrossido di alluminio e di magnesio, a contatto con altri farmaci, possono poi formare complessi insolubili, meno assorbibili: il fenomeno è documentato per le tetracicline, la digossina, i salicilati, il domperidone, e per questo motivo è consigliabile somministrare ogni altro farmaco un paio d'ore prima degli antiacidi.

Anche il calcio carbonato può interferire con la farmacocinetica di altri medicamenti, come le tetracicline, la fenitoina, con formazione di chelati di calcio non riassorbibili, ed il ferro, che può formare composti insolubili, sotto forma di carbonati.

Nelle forme avanzate di uremia il metabolismo epatico può risultare ridotto, con conseguente incremento della quantità disponibile nel circolo sistemico, o al contrario può risultare aumentato.

 

 

Distribuzione dei farmaci nell'organismo

 

VOLUME DI DISTRIBUZIONE

 

Assorbiti in circolo, i farmaci si distribuiscono ai vari tessuti; il processo prosegue fino al raggiungimento di un "equilibrio di distribuzione" nel quale le concentrazioni tissutali e plasmatiche si equivalgono. In condizioni di equilibrio, ogni variazione delle concentrazioni plasmatiche si riflette in una modificazione delle concentrazioni tissutali. L'interrelazione fra concentrazione plasmatica e tissutale è espressa dal volume di distribuzione (Vd) o volume di distribuzione apparente, che non è un'entità anatomica, ma il cui volume teorico indica come il farmaco si distribuirebbe per avere una concentrazione uguale a quella del plasma, qualora la distribuzione fosse monocompartimentale.

La formula che lo indica è:

 

                Vd = quantità totale di farmaconell'organismo/concentrazione  plasmatica.

 

Il volume di distribuzione apparente è influenzato dalla liposolubilità e dall'entità del legame proteico; il suo valore corrisponde a quello di distribuzione renale soltanto nel caso in cui il farmaco non abbia alcun legame con le proteine del plasma e con i tessuti.

Le sostanze con alta affinità per i tessuti extravascolari possono avere un volume di distribuzione molto superiore a quello dell'acqua corporea totale. Ad esempio, il volume di distribuzione apparente della digossina in un uomo di 70 kg è di circa 760 litri.

Per i farmaci con legame elettivo per le proteine del plasma il volume apparente di distribuzione non ha valori così elevati, ma più prossimi a quelli del volume plasmatico.

 

 

Legame farmacoproteico

 

La frazione legata alle proteine plasmatiche è inattiva, ma costituisce una riserva endogena che mantiene costanti le concentrazioni farmacologiche libere nei fluidi corporei.

L'entità del legame proteico è regolata da una reazione di equilibrio reversibile espressa dalla formula:

farmaco + proteina (K1, K2) complesso proteina-farmaco

La somministrazione di nuova sostanza sposta la reazione verso destra, l'eliminazione, per metabolismo o escrezione, verso sinistra. Se il legame proteico si mantiene costante nel tempo, la concentrazione plasmatica è proporzionale alla concentrazione tessutale ed è quindi prevedibile l'entità dell'effetto. Quando il legame proteico si riduce, una maggiore quantità diviene disponibile per la distribuzione ai tessuti, e l'effetto può risultare maggiore, pur essendo invariata la concentrazione plasmatica.

 

Numerosi sono i farmaci che presentano alta affinità per le proteine plasmatiche (tab.01x), soprattutto albumine e glicoproteine.

Essendo il legame di tipo elettrochimico, i farmaci polari, dotati di carica elettrica, hanno per le proteine un'affinità maggiore che non i farmaci liposolubili, non polari.

Il legame non è stabile e le sostanze possono essere spiazzate non solo da un'ulteriore somministrazione, ma anche per interazione con recettori tessutali ad alta affinità.

Farmaci diversi possono competere per lo stesso sito di legame delle proteine: la quota libera attiva aumenta, ed espande il volume di distribuzione apparente, con possibili ripercussioni sulla clearance metabolica. Tipico esempio di questa interazione è l'associazione di aspirina con warfarina e di warfarina con sulfamidici. I siti di legame proteico possono essere totalmente saturati con accumulo di farmaco libero.

 

Nell'uremia non sono note modifieazioni della liposolubilità; numerosi studi hanno invece evidenziato alterazioni nel legame proteico, di entità proporzionale a quella dell'insuffieienza renale (vedi tab.02x).

Per i farmaci ad elevato legame con le proteine plasmatiche questo fenomeno può modificare, rispetto al normale, i rapporti tra concentrazioni plasmatiche totali e sostanza libera. Il fenomeno è stato studiato particolarmente per la difenilidantoina. Una concentrazione terapeutica di difenilidantoina libera (1-2 mg/l) può, ad esempio, corrispondere a concentrazioni plasmatiche totali di 15 mg/l nel paziente con funzione renale normale e di 7,5 mg/1 nel paziente con creatininemia fra 8 e 10 mg/dl. Essendo efficace la sola frazione libera, nei pazienti con insufficienza renale si ha pertanto un effetto terapeutico anche con basse concentrazioni plasmatiche totali.

Il deficit è particolarmente evidente per gli acidi organici, meno per le basi organiche, forse perché le proteine plasmatiche sembrano possedere un solo sito di legame per gli acidi organici, mentre le basi ne presentano di solito più di uno. Esistono tuttavia alcune eccezioni: ad esempio, tra gli acidi organici, l'indometacina, che si lega alle albumine a più livelli, contrariamente ad altre sostanze acide, non presenta importanti alterazioni della capacità legante; tra le basi organiche, il diazepam, che ha un solo sito legante, ha un ridotto legame proteico (tab.03x).

A parte che nella sindrome nefrosica, nella quale il minor legame proteico può essere spiegato con la riduzione della concentrazione delle albumine, le cause di questa alterazione non sono del tutto chiarite. Secondo alcune ricerche, potrebbero essere implicati metaboliti acidi capaci di competere per i siti leganti delle proteine. La presenza nel siero uremico di inibitori del legame farmacoproteico sembra avvalorata da alcuni riscontri sperimentali:

1) la diluizione del siero uremico aumenta il legame proteico della warfarina e della difenilidantoina;

2) in vitro, l'acidificazione seguita da adsorbimento su carbone attivo o perfusione con resine a scambio anionico normalizza il legame tra farmaco e proteine;

3) l'eluito dal carbone attivo e dalle resine o il prodotto di estrazione dal plasma uremico con solventi organici è in grado di inibire il legame proteico dei farmaci in entità dose-dipendente. Uno di questi inibitori potrebbe essere un derivato dell'acido propanoico, idrosolubile, stabile al calore ed estraibile in laboratorio a pH acido con solventi organici o carbone attivo.

In vivo, il trattamento dialitico non è peraltro in grado di normalizzare il legame farmacoproteico, ad esempio della dienilidantoina; ciò ha indotto alcuni Autori a ritenere che nell'uremia, più che essere operanti fenomeni di competizione fra farmaci e sostanze tossiche ritenute, siano presenti modificazioni strutturali delle stesse proteine plasmatiche.

In favore di questa ipotesi è stata dimostrata una differente composizione aminoacidica  dell'albumina di soggetti uremici rispetto a quella normale. La presenza di anomalie strutturali è suggerita anche dal riscontro di alterazioni quantitive nei rapporti fra i vari sottotipi di albumine plasmatiche nell'insufficienza renale rispetto ai controlli normali; le alterazioni sono corrette con il trapianto renale, ma non con la dialisi e, fra le varie tossine uremiche note, nessuna è risultata in grado di riprodurre il difetto.

Se la funzione renale è normale, come in parte delle sindromi nefrosiche, un ridotto legame farmacoproteico non comporta necessariamente un'aumentata concentrazione di farmaco libero e la comparsa di effetti tossici, in quanto contemporaneamente aumenta la clearance. Questo comportamento è stato accertato per la difenilidantoina e per il clofibrato.

Nell'insufficienza renale di grado lieve o medio è possibile che l'escrezione globale non si riduca in modo consensuale alla contrazione della funzionalità renale, poiché una quantità maggiore di farmaco è disponibile per la filtrazione; inoltre, per i composti eliminati principalmente per via extrarenale, come ad esempio la difenilidantoina ed il diazepam, anche la clearance epatica può essere più rapida del normale.

Tuttavia, quando la ridotta capacità legante delle proteine si associa ad un'importante diminuzione dell'escrezione renale, le concentrazioni plasmatiche di farmaco libero possono aumentare marcatamente. Questo fatto è probabilmente alla base di numerosi fenomeni collaterali negativi, che nei pazienti con insufficienza renale avanzata sono più frequenti che nei soggetti normali.

In corso di trattamento dialitico la rimozione di una sostanza attraverso la membrana dializzante è influenzata spesso, anche se non esclusivamente, dal legame proteico, in quanto solo la frazione libera può attraversare la membrana del dializzatore; una corretta valutazione della frazione libera può essere quindi ottenuta dall'ultrafiltrato.

Un'altra conseguenza della riduzione del legame alle proteine è la riduzione dell'effetto "tampone", che tende a mantenere costanti le concentrazioni di farmaco libero. Nei pazienti con insufficienza renale le fluttuazioni delle concentrazioni di farmaco libero fra una dose e l'altra possono essere quindi più ampie che nei normali. Questo inconveniente può eventualmente essere ovviato somministrando la stessa dose, ma frazionata ad intervalli più ravvicinati, anche se in pratica non si tiene conto di questa eventualità.

L'insufficienza renale, oltre al legame con le proteine plasmatiche, può alterare anche il legame agli organi bersaglio. Il fenomeno è stato particolarmente studiato per la digossina. Il rapporto fra concentrazione miocardica e concentrazione plasmatica si riduce proporzionalmente al decremento della clearance creatininica; alla diminuita captazione tissutale, verosimilmente imputabile alla ridotta attività della Na, K-ATPasi, probabile sito recettoriale della digossina, consegue la riduzione del volume di distribuzione (circa del 50% negli stadi di insufficienza renale terminale); questo fatto dovrebbe determinare una riduzione dell'emivita plasmatica, che non viene evidenziata perché mascherata dalla più marcata contrazione della clearance renale.

 

La farmacocinetica extrarenale può risultare alterata nell'uremia, e può rendere difficile una corretta posologia. In molti casi mancano studi specifici e la posologia è ancora basata sull'empirismo; altre volte i dati farmacocinetici sono conosciuti ma non vengono presi in considerazione perché sono erroneamente ritenuti inutili.

 

 

Eliminazione

 

Alle fasi di assorbimento e di distribuzione tissutale del farmaco segue quella di eliminazione, durante la quale la concentrazione plasmatica si riduce esponenzialmente nel tempo.

 

La durata della fase di assorbimento è trascurabile se si somministra il farmaco in bolo endovenoso. La scomparsa dal circolo è determinata dall'effetto combinato della distribuzione tissutale e della eliminazione. Durante la fase di distribuzione la concentrazione plasmatica si riduce più rapidamente.

La velocità di rimozione può essere espressa come emivita o t/2, tempo necessario affinché la quantità totale di un farmaco si riduca al 50%; occorrono approssimativamente circa 5 emivite affinché la concentrazione plasmatica di una sostanza si riduca a valori trascurabili (circa 3% del totale). Analogamente, occorrono circa 5 emivite per raggiungere il livello di steady state, con somministrazioni corrispondenti alla dose di mantenimento.

Per i farmaci ad eliminazione non enzimatica la concentrazione plasmatica diminuisce esponenzialmente da un valore iniziale al tempo t0; sino a zero al tempo t00; questa è definita come cinetica di primo ordine. In questo tipo di cinetica l'emivita è indipendente dalla concentrazione iniziale plasmatica, e la sua durata è correlata al volume di distribuzione, che dipende dal legame proteico e dalla liposolubilità; tanto più elevato è il volume di distribuzione, tanto più prolungato risulta il t/2.

Nell'eliminazione per metabolizzazione enzimatica, definita come cinetica di secondo ordine, l'emivita è invece inversamente proporzionale alla concentrazione iniziale.

La clearance corporea totale del farmaco è il risultato della somma delle clearances attraverso le molteplici vie di eliminazione (soprattutto epatica e renale): ad eccezione che per la clearance renale, la valutazione diretta di queste componenti è in genere complessa e talora impossibile. L'eliminazione totale può peraltro essere stimata indirettamente, misurando la superficie sottesa dalla curva delle concentrazioni plasmatiche nel tempo, dopo una singola dose di farmaco somministrato per via endovenosa.

Quando la clearance totale è pari ad un'elevata frazione del volume di distribuzione, le concentrazioni plasmatiche declinano rapidamente; se invece la clearance è una piccola frazione del volume di distribuzione le concentrazioni plasmatiche restano a lungo elevate.

Quando la clearance corporea totale è la somma della clearance renale e di quella metabolica epatica, in genere la riduzione di una delle due componenti prolunga il t/2 del farmaco, anche se in alcuni casi vi è un incremento compensatorio dell'eliminazione attraverso l'altra via.

 

 

Metabolismo dei farmaci

 

Questo processo avviene principalmente nel fegato; il rene, la mucosa intestinale, il polmone, le ghiandole surrenali e la cute possono in alcuni casi essere sedi metaboliche di importanza non trascurabile.

 

Per i farmaci che presentano una cinetica di secondo ordine la velocità di metabolismo e quindi di eliminazione è condizionata dalla concentrazione plasmatica. In questi casi non è possibile identificare un valore costante di t/2. Raddoppiando la dose somministrata, la concentrazione plasmatica può in effetti aumentare più del doppio; se vengono superate le capacità metaboliche, si possono raggiungere livelli tossici. Il tempo necessario per raggiungere lo steady state è imprevedibile, e dipende essenzialmente dalla funzione enzimatica epatica. Hanno una cinetica di secondo ordine i salicilati, l'alcool etilico e metilico, la difenilidantoina. A complicare lo studio della cinetica dei farmaci, alcuni di essi, fra cui i salicilati, hanno contemporaneamente una cinetica di primo ordine (eliminazione renale prevalente) e di secondo ordine (metabolismo epatico); modificazioni della posologia sono quindi necessarie sia nell'insufficienza renale che in corso di malattie epatiche.

La trasformazione metabolica comporta la conversione in un altro composto chimico. A livello epatico, il sistema enzimatico microsomiale è responsabile della biotrasformazione con reazioni di ossidazione, riduzione, idrolisi e coniugazione.

Le reazioni di coniugazione uniscono il farmaco o un suo metabolita con acido glucuronico, solfato, glutatione o aminoacidi.

La reazione di ossidazione coinvolge il sistema enzimatico microsomiale, il cui elemento ultimo è il citocromo P-450, che trasforma il composto originario in uno più polare, e quindi meno liposolubile, più facilmente eliminato dal rene, oltre che attraverso la bile. Il sistema microsomiale epatico può essere influenzato da numerosi agenti, quali i barbiturici, gli anticonvulsivanti e l'alcool. I prodotti del metabolismo, solitamente dotati di ridotta attività farmacologica, possono in molti casi essere ancora efficaci (tab.04x) e talora essere tossici; la loro ritenzione, di conseguenza, può provocare effetti anche gravi. Tipico esempio è costituito dalla fenacetina e dal suo principale metabolita, l'acetaminofene (paracetamolo), che possono provocare nefrite interstiziale cronica e necrosi papillare, se assunti cronicamente in alti dosaggi, e necrosi epatica, in caso di intossicazione acuta. I metaboliti dell'isoniazide sono potenzialmente epatotossici; quelli della furosemide teratogenici.

In alcuni casi, il metabolismo epatico è necessario per convertire un prodotto a bassa attività farmacologica in un altro più attivo: ad esempio il prednisone in prednisolone ed il colecalciferolo in 25 OH-colecalciferolo.

Alterazioni del flusso ematico epatico possono modificare la cinetica metabolica; ad esempio la cimetidina ed il propranololo possono interferire con l'attività di altri composti a metabolismo prevalentemente o esclusivamente epatico, riducendo il flusso ematico diretto al fegato.

 

 

EFFETTO DELL'INSUFFICIENZA RENALE SUL METABOLISMO DEI FARMACI

 

Nell'insufficienza renale cronica i processi di ossidazione, riduzione, acetilazione, idrolisi e coniugazione sono alterati in varia misura ed in maniera non univoca.

Quello di ossidazione, peraltro spesso normale, è risultato accelerato per la difenilidantoina, il propranololo e la digitossina. Per la difenilidantoina è stato ipotizzato che il metabolismo più rapido consegua al ridotto legame farmacoproteico. L'aumento dell'attività ossidativa è stato attribuito ad una stimolazione del sistema microsomiale epatico da parte di sostanze ritenute, probabilmente, composti indolo-derivati di origine alimentare.

Per i farmaci a metabolismo epatico accelerato dovrebbero essere teoricamente impiegati dosaggi maggiori; tuttavia, per molti composti, come ad esempio la difenilidantoina, il legame proteico ridotto condiziona una maggiore biodisponibilità e la posologia può rimanere immodificata anche negli stadi più avanzati dell'insufficienza renale. In altri casi l'attività ossidativa è invece rallentata: ciò avverrebbe ad esempio per la chinidina.

 

Nell'uremia i processi di riduzione e di idrolisi sono solitamente rallentati; l'acetilazione può essere normale o ridotta; la coniugazione con glicina, solfato e glucuronato è solitamente normale.

I metaboliti epatici di numerosi farmaci possono raggiungere concentrazioni tossiche nei soggetti affetti da insufficienza renale cronica se la loro eliminazione è prevalentemente renale. Per esempio, la norperidina, metabolita della meperidina, ha un minore effetto analgesico ma maggiori proprietà convulsivanti; un suo accumulo può provocare effetti collaterali anche gravi. L'N-acetil-procainamide, metabolita della procainamide, ha un'attività farmacologica paragonabile, ma un'emivita molto più lunga. L'acido clorofenossisobutirrico è il metabolita responsabile dell'effetto ipolipemizzante del clofibrato; poiché il suo accumulo può causare rabdomiolisi è necessaria una monitorizzazione frequente della creatinfosfochinasi. L'ossipurinolo, metabolita attivo dell'allopurinolo, contribuisce all'azione inibente la xantino-ossidasi; può essere responsabile dell'aumentata incidenza di effetti collaterali nei pazienti con insufficienza renale.

Anche il prolungato effetto ipotensivo dell'alfalmetildopa, osservabile in alcuni pazienti uremici, è stato attribuito all'accumulo del suo metabolita metil-O-solfato o, più verosimilmente, all'azione di un altro metabolita, l'alfa-metil-noradrenalina, sul sistema nervoso centrale: l'alfa-metilnoradrenalina viene rilasciata, assieme alla noradrenalina endogena, in seguito a stimolazione nervosa; a differenza della noradrenalina, però, il composto metilato non costituisce un substrato per la degradazione metabolica attraverso le monoaminoossidasi, aumentando così la sua durata d'azione.

 

 

Eliminazione renale

 

La via di eliminazione di numerosi farmaci e dei loro metaboliti è renale; anche nel caso di prevalente metabolismo epatico i prodotti della degradazione enzimatica sono frequentemente escreti con le urine.

 

La clearance renale di un medicamento (x) può essere calcolata se ne sono noti l'escrezione nel tempo [U], il volume urinario (V) e la concentrazione plasmatica (P):

 

                Clearance renale = [U]x V/P.

 

In linea generale, l'escrezione di un farmaco, o di un suo metabolita, può essere il risultato di processi di filtrazione glomerulare, secrezione e riassorbimento tubulare. Quando la clearance supera i valori del filtrato glomerulare (espresso ad esempio dalla clearance della creatinina), è intervenuto un processo di secrezione tubulare; se ne è inferiore, si devono ammettere processi di riassorbimento. Poiché secrezione e riassorbimento avvengono simultaneamente nel tubulo renale, dal confronto delle clearances sarà possibile tuttavia individuare solo il flusso netto attraverso il tubulo.

Dal momento che l'ultrafiltrato glomerulare è privo di proteine, per stabilire correttamente la clearance è necessario conoscere l'entità del legame farmacoproteico; per esempio, la clearance della difenilidantoina è di 50 ml/min, ma è di soli 5 ml/min se non viene considerato il legame farmacoproteico.

La filtrazione glomerulare di una sostanza dipende dalla forma e dalle dimensioni della molecola e dalla sua carica elettrica. Le molecole (anioniche, cationiche o neutre) con peso molecole inferiore a 5000 dalton (raggio molecolare medio inferiore a 17 A) sono in genere liberamente filtrate attraverso il capillare glomerulare. Per pesi molecolari fra 10.000 e 40.000 dalton le molecole neutre filtrano più facilmente delle anioniche e meno delle cationiche.

La secrezione tubulare interessa numerosi farmaci, fra i quali le penicilline e le cefalosporine, ed è regolata da un trasporto attivo. Vengono generalmente distinti due sistemi di trasporto attivo a differente specificità: quello per gli acidi organici e quello per le basi organiche. Alte concentrazioni di acidi organici endogeni (acido lattico, acido acetico ecc.) possono interferire con la secrezione di altri composti acidi a struttura simile.

La secrezione tubulare è influenzata in primo luogo dal flusso renale ed in minor misura dal legame farmacoproteico, forse per la rapida ridistribuzione a livello dei capillari peritubulari fra quota libera e quota legata. Essa è limitata da una soglia di trasporto massimale (Tmax), che nella pratica clinica difficilmente viene raggiunta.

Alcuni farmaci possono inibire competitivamente la secrezione di sostanze a struttura simile: questo fatto è sfruttato in clinica, ad esempio associando del probenecid nella terapia con penicillina per prolungarne l'emivita.

La cimetidina, il trimetoprim ed alcuni altri farmaci (tab.05x) inibiscono il riassorbimento della creatinina aumentandone la concentrazione plasmatica e riducendone la clearance, e ciò può causare erronee valutazioni della funzione renale.

Il riassorbimento tubulare è un processo generalmente passivo anche se alcuni farmaci, come i diuretici mercuriali e il bromuro, possono venire riassorbiti attivamente. Nella maggioranza dei casi il riassorbimento dipende dalle concentrazioni intratubulari e dalla liposolubilità: farmaci liposolubili vengono assorbiti più rapidamente e in maggior quantità rispetto a quelli polari.

L'aumento del flusso urinario può inibire il riassorbimento tubulare diluendo la concentrazione o riducendo il tempo di contatto farmaco-membrana tubulare. I composti debolmente acidi (pKa 3,0-7,5) vengono riassorbiti meno agevolmente a pH alcalino, essendo in queste condizioni soprattutto in forma ionizzata. Il contrario accade per i farmaci debolmente alcalini (pKa 7,5-10,5). Per questo motivo un'alcalinizzazione delle urine consente una maggior escrezione; ad esempio, dei salicilati. Ovviamente, I'entità delle variazioni dell'escrezione urinaria al variare del pH urinario dipende dalla clearance renale rapportata alla clearance corporea totale. Per esempio, pur essendo la difenilidantoina e la warfarina debolmente acide e quindi suscettibili di modificazioni escretorie al variare del pH urinario, I'importanza del fenomeno ai fini pratici è irrilevante essendo eliminate prevalentemente per metabolismo epatico. Alcuni farmaci, come il mannitolo e l'iotalamato, sono solamente filtrati a livello glomerulare senza più subire altri rimaneggiamenti di riassorbimento o secrezione a livello tubulare.

Numerosi composti ad alto peso molecolare, come il glucagone, l'insulina e altri ormoni, filtrati dal rene, sono rimossi con un processo di biotrasformazione molecolare durante la fase di riassorbimento. Quando la filtrazione si riduce, parallelamente si riduce la biotrasformazione determinando alterazioni ormonali, in alcuni casi di rilevanza clinica.

Alcuni composti ad azione elettiva sul rene (furosemide ed acido etacrinico) richiedono un iniziale processo di filtrazione e/o secrezione per poter raggiungere il sito d'azione a livello del tubulo renale, e ciò contribuisce a ridurne l'efficacia in corso di insufficienza renale.

 

 

EFFETTO DELL'INSUFFICIENZA RENALE SULL'ESCREZIONE RENALE

 

L'influenza dell'insufficienza renale sulla cinetica di un medicamento è correlata alla percentuale di farmaco o di suoi metaboliti attivi escreta con le urine.

 

Composti ad eliminazione prevalentemente od esclusivamente extrarenale presentano un'emivita relativamente stabile anche nell'uremia, e di conseguenza la loro posologia richiede solo piccole modifiche o rimane invariata.

Il prolungamento del t/2 è tanto più marcato quanto maggiore è la percentuale escreta immodificata con le urine; l'effetto diventa particolarmente evidente se l'eliminazione per questa via è superiore al 50%.

Sino a che i valori del filtrato glomerulare si riducono a circa 30 ml/min, l'emivita di questi farmaci aumenta lentamente; successivamente ulteriori riduzioni determinano incrementi importanti del t/2.

Per impostare una corretta terapia farmacologica nell'insufficienza renale è fondamentale una corretta determinazione dei valori del filtrato glomerulare.

Il metodo che si avvale della clearance dell'inulina è molto preciso; un'ottima affidabilità hanno le clearance del 51CrEDTA e del 125I Iotalamato, ma si tratta di tecniche indaginose.

Di conseguenza, nella routine, si ricorre di solito alla clearance della creatinina, che fornisce dati sufficientemente precisi, tranne che in caso di ristagno vescicale, di proteinuria massiva e, quel che più importa per il problema in discussione, di insufficienza renale avanzata, nella quale la funzionalità renale valutata con questa clearance può essere anche notevolmente sovrastimata. Per ridurre questo inconveniente, alcuni Autori hanno proposto di utilizzare il valore medio tra clearance creatininica e clearance ureica, ma si tratta comunque, a nostro parere, di un'approssimazione di validità discutibile.

Quando si disponga solo dei valori della creatininemia (Crs) si può far ricorso ad alcune formule che permettono di valutare approssimativamente la clearance creatininica.

Una delle più usate è quella di Cockroft e Gault:

 

                clearance creatininica = [l40 - età (anni)] x peso (kg)/72 x Crs (mg/dl)

 

ridotta del 10-15% per le donne.

La formula ha una validità limitata nei soggetti con masse muscolari particolarmente sviluppate o in cachessia, o in concomitanza di rabdomiolisi, quando la funzionalità renale sia in rapido deterioramento o in presenza di falsi incrementi della creatininemia, come nell'iperglicemia grave, nella chetoacidosi, o in presenza di interferenze farmacologiche sulla secrezione tubulare della creatinina (tab.05x).

 

 

Schemi posologici nell'insufficienza renale

 

Per meglio definire la posologia dei farmaci che si distribuiscono prevalentemente nell'acqua corporea, soprattutto nei soggetti obesi, è necessario far riferimento alla massa magra corporea, il cui valore in kg può essere ottenuto dalle seguenti formule:

 

                0,73 x altezza (cm) - 59,42 nei maschi;

                0,65 x altezza (cm) - 50,74 nelle femmine.

In età pediatrica e con i composti ad elevato metabolismo epatico è invece opportuno far riferimento alla superficie corporea.

Anche in presenza di grave insufficienza renale in genere la dose di carico non viene modificata.

Questo criterio non è tuttavia assoluto ed è necessario prendere in esame:

-le eventuali variazioni del volume di distribuzione;

-l'eventuale presenza di una metabolizzazione extrarenale, soprattutto epatica;

-il margine di sicurezza del farmaco, che esprime l'intervallo tra concentrazione

efficace e concentrazione tossica.

Per alcuni medicamenti questo margine, indice della sua maneggevolezza, è ampio: le penicilline, ad esempio, hanno una tossicità neuromuscolare che inizia a concentrazioni più di cento volte superiori alla concentrazione minima efficace. Al contrario, i glicosidi cardiaci hanno un margine di sicurezza molto ridotto.

La posologia di mantenimento può essere ottenuta modificando l'entità o la frequenza delle dosi; in altri termini, prolungando l'intervallo fra singole somministrazioni con dosaggio invariato, oppure riducendo le singole dosi mantenendo invariato l'intervallo.

Non è possibile stabilire a priori quale fra i due schemi posologici sia il più efficace; per i farmaci con ampio indice terapeutico, entrambi possono essere adeguati.

Per quelli poco maneggevoli, lo schema che prevede il prolungamento dell'intervallo fra le dosi può provocare picchi plasmatici potenzialmente tossici, alternati a periodi di sottodosaggio. Ciò può assumere particolare importanza per i prodotti a breve emivita, per i quali una dose di mantenimento ridotta, somministrata a intervalli normali, consente una maggiore stabilità delle concentrazioni plasmatiche, anche se in alcuni casi possono non essere raggiunte le concentrazioni terapeutiche.

Nel caso di funzionalità renale ridotta al 50% e di farmaci interamente eliminati per via renale in forma attiva, conoscendo l'emivita del farmaco, l'effettiva concentrazione plasmatica efficace e la minima concentrazione tossica, la dose di carico è quella idonea a raddoppiare le concentrazioni minime efficaci; la dose di mantenimento corrisponde alla metà di quella normale, somministrata ad intervalli corrispondenti all'emivita del farmaco. Non sempre sono disponibili le informazioni necessarie per impostare in questo modo lo schema posologico; un buon compromesso può essere ottenuto tenendo conto della percentuale di farmaco escreta normalmente con le urine e delle variazioni dell'escrezione in seguito a contrazione della funzionalità renale con l'ausilio di nomogrammi.

  È possibile ricavare il dosaggio opportuno conoscendo il grado di contrazione funzionale, la posologia in caso di normale funzione renale e la percentuale di farmaco abitualmente escreta con le urine.

In genere i nomogrammi si basano sul presupposto che la clearance plasmatica sia una funzione lineare del filtrato glomerulare: per i farmaci interamente eliminati con l'urina la percentuale eliminata in condizioni di normale funzione renale (F) sarà del lOO% (F= 1), mentre sarà dello O% (F = 0) in caso di anuria; nel caso di composti eliminati anche per altra via sarà F > 0 anche in condizione di anuria. Per esempio, la gentamicina, nel paziente senza funzione renale residua, presenta un valore di F = 0,3, ad indicare che solo il 3% della gentamicina è eliminata per via non renale. Per un paziente con clearance creatininica di 8 ml/min risulterà dal nomogramma F = 0,07; presupponendo una posologia normale della gentamicina di 75 mg ogni 8 ore, la nuova dose sarà di 5,25 mg (75 X 0,07) ogni 8 ore o di 75 mg ogni 114 ore (8/0,07). Nell'anefrico la posologia sarà di 2,25 mg ogni 8 ore o di 75 mg ogni 266 ore.

L'uso di questi nomogrammi non considera eventuali variazioni individuali e presuppone una funzione renale relativamente stabile, l'esistenza di metaboliti farmacologici inattivi o non eliminati con le urine ed una distribuzione nell'organismo ed un metabolismo non significativamente modificati dall'insufficienza renale.

Per i farmaci con lunga emivita ed interamente eliminati per via renale è applicabile un altro metodo che non richiede il ricorso ai nomogrammi e che può essere così calcolato:

 

dose in insufficienza renale = dose normale x clearance creatininica del paziente/clearance creatininica normale (in questo caso si mantiene invariato l'intervallo fra le somministrazioni)

 

 

oppure:

 

intervallo fra le somministrazioni = intervallo normale x clearance normale/clearance del paziente (si mantiene in tal caso invariato il dosaggio).

 

Per i farmaci con significativa eliminazione extrarenale, la dose potrà essere calcolata come segue:

 

dose = dose normale x F (C - 1) + 1

 

dove F è la frazione di farmaco normalmente eliminata dal rene e C il rapporto fra clearance creatininica del paziente e clearance creatininica normale.

L'intervallo fra le somministrazioni potrà essere calcolato con l'equazione inversa:

 

intervallo=intervallo normale x 1/F (C - 1) + 1

 

La clearance normale deve essere sempre riferita a soggetti di pari età, sesso e costituzione fisica.

In alternativa a questi tipi di calcoli, può semplicemente essere fatto riferimento a tabelle che riportano intervalli di somministrazione e dosaggi per vari gradi di insufficienza renale (tab.01x).

 

 

Terapia farmacologica nel paziente in dialisi

 

Il comportamento di un farmaco durante la dialisi varia secondo il tipo di trattamento (emodialisi, dialisi peritoneale, emofiltrazione, emodiafiltrazione) e le caratteristiche della sostanza: peso molecolare, solubilità e legame con le proteine plasmatiche.

L'emodialisi è in genere più efficace della dialisi peritoneale nella rimozione dei farmaci con scarso legame proteico in quanto, nonostante il peritoneo sia notevolmente più permeabile, la diretta esposizione della molecola alla membrana dialitica artificiale ne facilita l'eliminazione.

Nell'emodialisi tradizionale, che utilizza filtri a bassa permeabilità, l'eliminazione è tuttavia molto scarsa per i composti di peso molecolare superiore ai 500 dalton: ad esempio la vancomicina, 1800 dalton di peso molecolare, non è dializzata, nonostante un legame proteico parziale. I farmaci poco idrosolubili, anche se di piccole dimensioni e con scarsi legame proteico, non attraversano la membrana. La clearance dialitica può essere calcolata con la seguente formula:

 

clearance = [flusso ematicox (concentrazione arteriosa -concentrazione venosa)]/concentrazione arteriosa.

 

Se il farmaco è molto dializzabile, il gradiente di concentrazione si riduce durante il trattamento con progressiva riduzione della rimozione. In questi casi la dialisance è espressa dalla seguente formule:

 

clearance = [flusso ematico x (concentrazione arteriosa-concentrazione venosa)]/(concentrazione arteriosa - concentrazione nel dialisato).

 

Nella pratica clinica è consuetudine reintegrare le perdite con somministrazioni aggiuntive al termine del trattamento; la dose da somministrare può essere individuata conoscendo le concentrazioni plasmatiche prima e dopo il trattamento ed il volume di distribuzione.

Filtri ad alta permeabilità, impiegati in emofiltrazione ed emodiafiltrazione, consentono il passaggio di sostanze con peso molecolare sino a 15-20.000 dalton ed una clearance del lOO% anche per molecole di peso relativamente elevato, quali la vitamina  B12 (1400 dalton) e l'inulina (5200 dalton); in questo caso il principale fattore che limita la rimozione è il legame proteico. Il farmaco viene ritrovato nell'ultrafiltrato alla stessa concentrazione in cui si ritrova libero nel plasma, e a questa concentrazione si deve far riferimento per valutare la dose da somministrare dopo il trattamento.

La dialisi peritoneale è più efficace nel rimuovere composti con marcato legame proteico, vista la maggiore perdita di proteine nel liquido di dialisi peritoneale, caratteristica di questa metodica.

La clearance peritoneale di una sostanza è in rapporto semilogaritmico con il suo peso molecolare; per quelle di piccole dimensioni è fattore limitante il flusso del dialisato, che, al contrario, è di scarsa rilevanza per le molecole più grandi. Anche la carica elettrica influenza il transito attraverso la membrana peritoneale: le molecole ionizzate passano con maggiore difficoltà di quelle neutre, anche se queste ultime possono più facilmente retrodiffondere dal liquido peritoneale al sangue. Il flusso ematico mesenterico può condizionare la clearance dei farmaci, che risulta ridotta in condizioni di ipotensione e aumentata al crescere della temperatura del liquido peritoneale, che si associa a maggiore vasodilatazione.

I farmaci più facilmente rimossi con l'emodialisi o la dialisi peritoneale sono gli aminoglicosidi, le cefalosporine, le penicilline, la chinidina, l'azatioprina, la ciclofosfamide, il metotrexate, il litio, l'alfametil-dopa, l'aminofillina. Per queste sostanze è necessaria una somministrazione supplementare al termine del trattamento. Alcuni antibiotici, anche se facilmente dializzabili, hanno un'emivita molto lunga e, somministrati a giorni alterni per via endovenosa dopo ogni dialisi, mantengono una concentrazione plasmatica terapeutica lungo tutto il periodo intermedio.

 

 

Carico metabolico e aggravamento dello stato uremico

 

Alcuni farmaci sono impiegati sotto forma di sali, ad esempio di sodio per la carbenicillina, di potassio per la penicillina e di magnesio per molti preparati antiacidi (tab.06x) ed una loro somministrazione prolungata può determinare fenomeni di accumulo di questi elementi nei pazienti con insufficienza renale.

Altri possono causare sintomi aspecifici, che spesso non consentono di discriminare tra aggravamento dello stato uremico ed effetti iatrogeni. Un aumento dell'azotemia si osserva con i corticosteroidi e le tetracicline (tab.06x); nausea, vomito e diarrea possono essere segno di uremia conclamata, ma anche accompagnare l'uso di allopurinolo, di aspirina e di antinfiammatori non steroidei che, per il loro effetto antiaggregante, possono aggravare la piastrinopatia uremica. Una depressione midollare severa può comparire con dosaggi terapeutici di ciclofosfamide, azatioprina e clorambucile. Nel paziente in dialisi l'emolisi da cefalosporine e metildopa può imporre una diagnosi differenziale con un'emolisi intradialitica.

Talora i farmaci o i loro metaboliti possono interferire con test di laboratorio; per esempio sono stati segnalati errori in eccesso nella determinazione della bilirubina in alcuni pazienti in dialisi che assumevano propranololo. Altri composti possono interferire con la secrezione tubulare di creatinina e provocarne un aumento nel plasma, anche senza modificazioni reali della funzionalità renale, oppure possono alterarne la determinazione di laboratorio.

 

 

Aspetti particolari dell'impiego di alcuni tipi di farmaci nell'insufficienza renale

 

ANTIBIOTICI

 

Gli aminoglicosidi sono ototossici e nefrotossici. Secondo alcuni Autori, l'alta incidenza di ipoacusia fra i pazienti affetti da insufficienza renale sarebbe da imputare al loro impiego. La nefrotossicità è molto più frequente nell'età avanzata, nei pazienti disidratati o con danno renale preesistente. La somministrazione contemporanea di altri farmaci potenzialmente ototossici (come ad esempio la furosemide) e/o nefrotossici dovrebbe essere, se possibile, evitata.

Fra le manifestazioni di tossicità da aminoglicosidi sono anche da ricordare rare sindromi miasteniformi, segnalate come più frequenti fra i pazienti con insufficienza renale, con possibile paralisi respiratoria, dovute ad un alterato rilascio di acetilcolina a livello delle terminazioni nervose.

 

Particolarmente nell'uso degli aminoglicosidi, per impostare una corretta terapia è necessaria una valutazione della funzionalità renale; anche dopo aver individuato la posologia adeguata, sono necessari dosaggi ravvicinati dell'azotemia e della creatininemia ed esami dell'urina (comparsa o aumento della cilindruria). Le terapie prolungate vanno, se possibile, evitate.

Nell'ultimo decennio si sono rapidamente succedute numerose generazioni di nuove cefalosporine semisintetiche con attività sempre più spiccata nei confronti dei germi gram negativi, di frequente riscontro nella patologia infettivia del paziente con insufficienza renale. Non molte sono le caratteristiche comuni fra i vari antibiotici di questa famiglia, che nella maggior parte dei casi vengono eliminati prevalentemente per via renale (filtrazione glomerulare, secrezione tubulare). Essi possono essere responsabili, per quanto raramente, di nefriti interstiziali allergiche. Poco usata ormai è la cefaloridina, responsabile talora di danni tubulari dose-dipendenti; anche la cefalotina si è dimostrata potenzialmente nefrotossica, soprattutto nei pazienti anziani, nei nefropatici o nei soggetti trattati contemporaneamente con altri farmaci potenzialmente nefrotossici (ad esempio, furosemide o acido etacrinico). Quando impiegata ad alti dosaggi può provocare crisi convulsive, se è presente una grave contrazione della funzione renale; anche la tossicità midollare è più frequente nei soggetti con insufficienza renale.

Nel trattamento delle infezioni urinarie è spesso necessario l'impiego di dosi non ridotte secondo il grado di contrazione funzionale ( ad esempio con il cefacetrile e la cefalexina); la cefazolina  peraltro risulta inattiva nel trattamento delle cistiti se il filtrato glomerulare è inferiore a 10 ml/min.

Le penicilline sono tuttora gli antibiotici di prima scelta nel trattamento di alcune patologie infettive. Composti appartenenti a questo gruppo possono provocare reazioni sistemiche di ipersensibilità e nefropatie interstiziali allergiche: in corso di terapia penicillinica la comparsa di eritema cutaneo, microematuria con cilindruria e leucocituria (ed eventualmente eosinofiluria) ed insufficienza renale di entità variabile, con o senza oliguria, deve suggerire l'insorgenza di un danno renale interstiziale allergico. Più raramente, dopo somministrazione di penicilline, possono insorgere vasculiti da ipersensibilità. Le manifestazioni allergiche coinvolgenti il rene sembrano più frequenti quando preesista un'insufficienza renale.

Qualora si debba impiegare la penicillina G ad alte dosi, in corso di severa contrazione funzionale la posologia non deve superare i 4-6 milioni di unità al giorno e si deve evitare il probenecid. Alti dosaggi possono provocare fenomeni neurotossici, sino alle convulsioni ed al coma.

Nei pazienti con evidente contrazione funzionale e tendenza alla ritenzione idrosodica è consigliabile evitare l'impiego dei sali sodici della carbenicillina, della piperacillina e dell'ampicillina. Iperpotassiemie sono possibili dopo dosi massive del sale potassico della penicillina G.

Le tetracicline devono essere evitate in corso di insufficienza renale per il loro effetto ipercatabolizzante, con negativizzazione del bilancio azotato, incremento dell'azotemia, acidosi metabolica ed iperfosforemia. Effetti collaterali gastrointestinali possono causare squilibri idroelettrolitici.

I farmaci antitubercolari devono la loro tossicità, solitamente di tipo cronico, ai cicli terapeutici prolungati. Il rischio di nefrotossicità è elevato per la streptomicina; la rifampicina può causare insufficienza renale di tipo interstiziale acuto, eventualmente su un danno renale preesistente; sono anche possibili danni tubulari isolati con perdita di potassio.

Gli antimicotici somministrati per via sistemica sono solitamente molto tossici, e sono quindi da impiegare solo in caso di assoluta necessità, dopo aver consultato scrupolosamente la scheda tecnica ed eventualmente uno specialista.

L'uso dell'amfotericina B è limitato dalla potenziale nefrotossicità, quasi sempre reversibile, caratterizzata da cilindruria, riduzione del flusso ematico renale e del filtrato glomerulare. In alcuni casi possono insorgere acidosi tubulare, ipokaliemia e diabete insipido nefrogenico.

La flucitosina presenta un rischio potenziale di tossicità midollare, più elevato in corso di insufficienza renale.

Il chetoconazolo interferisce con il metabolismo della ciclosporina, aumentandone la nefrotossicità e deve quindi essere usato con cautela nei pazienti con trapianto renale in trattamento con questo immunodepressore.

Promettente ed abbastanza sicuro sembrerebbe il fluconazolo, di recente immissione in commercio.

 

 

FARMACI CARDIOVASCOLARI

 

La tossicità della digitale può costituire un serio problema nei pazienti con insufficienza renale. La riduzione dell'eventuale sovraccarico idrico del paziente con uso appropriato di diuretici e adeguata restrizione sodica potrebbe in molti casi renderne superfluo l'impiego.

L'insufficienza renale provoca evidenti variazioni farmacocinetiche della digossina con riduzione della biodisponibilità, del legame ai recettori tissutali, del volume di distribuzione e, naturalmente, della clearance renale; sono evidenziabili notevoli variazioni individuali. Oltre ad una corretta impostazione posologica, è quindi necessaria la periodica monitorizzazione delle concentrazioni plasmatiche. La tossicità digitalica può essere aggravata dall'ipokaliemia e dall'ipercalcemia, condizioni non eccezionali in corso di insufficienza renale (il rischio di ipercalcemia è evidente soprattutto nei casi in trattamento con vitamina D e supplementi di calcio per os).

La digitossina, ad eliminazione prevalentemente epatica, ha un'emivita molto lunga anche nei pazienti con normale funzione renale. In caso di intossicazione i tempi necessari  alla  sua elimazione sono quindi eccessivamente prolungati; per questo motivo il farmaco viene oggi raramente impiegato.

Molti episodi aritmici possono essere risolti correggendo le eventuali condizioni predisponenti o scatenanti (squilibri elettrolitici e acido-base, sovraccarico idrico, pericardite, intossicazione digitalica), frequenti in insufficienza renale. Solo nel caso in cui quest'approccio terapeutico fallisca diventano indispensabili i farmaci antiaritmici. Per alcuni di essi è necessario un adeguamento della posologia secondo la tab.01x.Si consiglia di evitare l'uso del bretilio nella grave insufficienza renale. Il solo modesto prolungamento dell'emivita della procainamide in caso di marcata decurtazione funzionale può trarre in inganno, facendo ritenere non necessaria una riduzione della posologia, che invece è opportuna, considerando la prevalente eliminazione renale della N-acetil-procainamide, metabolita ancora dotato di attività antiaritmica.

In molti casi un buon controllo pressorio è ottenibile con la restrizione dell'apporto idrosodico e con un uso appropriato di diuretici.

 

Queste norme terapeutiche non devono essere sottovalutate, anche quando è necessario l'uso di antipertensivi.

I calcio-antagonisti, sia quelli a prevalente attività sul miocardio, sia quelli più classicamente impiegati come antipertensivi, non richiedono riduzione della posologia nell'insufficienza renale. Con maggior frequenza i pazienti nefropatici possono peraltro lamentare cefalea, vampate di calore e vertigini. Raramente sono stati segnalati danni renali acuti conseguenti alla somministrazione di nifedipina e diltiazem. La nifedipina può aggravare la ritenzione idrosalina.

Tra i farmaci ipotensivi ad azione centrale, la clonidina richiede una modesta riduzione della posologia solo nell'insufficienza renale molto avanzata: può potenziare l'azione depressiva sul sistema nervoso centrale dell'alcool, dei barbiturici e dei sedativi. La secchezza delle fauci, con aumento del senso di sete, può rendere problematico il mantenimento di un adeguato bilancio idrico.

L'alfametildopa richiede una maggior cautela, in quanto la ritenzione dei suoi metaboliti, ancora dotati di attività antiipertensiva, può provocare prolungate ipotensioni.

La reserpina deve essere evitata nella grave insufficienza renale, per il rischio di eccessiva sedazione e di emorragie gastroenteriche. Non sono necessarie modificazioni posologiche per l'urapidil.

I betabloccanti continuano ad essere largamente impiegati anche in presenza di insufficienza renale. La risposta antipertensiva e la frequenza cardiaca restano le migliori guide per una loro corretta posologia; la riduzione dei dosaggi si rende necessaria solo per  atenololo, acebutololo, nadololo e sotalolo, ad esclusiva o prevalente eliminazione renale.

Gli inibitori dell'enzima di conversione erano stati inizialmente proposti come attivi nelle sole ipertensioni "ad alta renina"; la loro efficacia è ormai accertata anche nelle ipertensioni di origine nefroparenchimale ed essenziale. In presenza di stenosi bilaterale delle arterie renali, o monolaterale in rene unico, possono causare ipotensioni anche gravi ed un'insufficienza renale acuta con oliguria od anuria; una variabile contrazione della funzionalità renale può essere evidenziata in tutte le nefropatie croniche, in quanto in queste circostanze l'attivazione dell'asse renina-angiotensina contribuisce al mantenimento del filtrato glomerulare. La ridotta secrezione di aldosterone conseguente alla somministrazione di ACE-inibitore può inoltre determinare, nell'insufficienza renale avanzata, un'iperpotassiemia. Sono quindi necessarie periodiche monitorizzazioni della funzione renale e delle concentrazioni plasmatiche di potassio.

Era stata segnalata la comparsa di sindromi nefrosiche, in gran parte attribuibili a glomerulonefrite membranosa, in corso di terapia con alte dosi di captopril; ai dosaggi attualmente impiegati questo reperto sembrerebbe eccezionale sia con il captopril che con altri ACE-inibitori.

In generale è opportuna la riduzione della posologia degli ACE-inibitori; anche in questo caso, la sorveglianza della risposta pressoria e degli effetti collaterali è la migliore guida posologica nella terapia di mantenimento.

Gli agenti natriuretici ed una modesta deplezione sodica possono favorire l'azione dei farmaci di questa classe.

I vasodilatatori non richiedono solitamente modificazioni della posologia. Solo l'idralazina può presentare un'emivita terapeutica superiore all'emivita plasmatica a seguito della possibile ritenzione di metaboliti attivi; è quindi necessario un prolungamento dell'intervallo fra le somministrazioni soprattutto nei pazienti "acetilatori lenti". Il minoxidil può provocare ritenzione idrosalina tale da richiedere una terapia diuretica continuativa.

In molti casi i vasodilatatori provocano tachicardia, incremento del lavoro cardiaco e aumento del consumo di ossigeno; può quindi aggravarsi l'ischemia cardiaca frequentemente riscontrabile nei pazienti con insufficienza renale.   È buona norma l'associazione con i beta bloccanti o l'impiego dei più recenti vasodilatatori, come la prazosina e la doxazosina, il cui effetto sul cronotropismo cardiaco è minimo.

 

 

DIURETICI

 

L'effetto saluretico nei pazienti affetti da insufficienza renale avanzata si ottiene solo con elevate dosi di diuretici dell'ansa, quali furosemide, acido etacrinico, bumetanide.

Quando la clearance creatininica scende al di sotto di 20 ml/min, l'eliminazione urinaria di furosemide corrisponde a circa il lO% di una dose somministrata a bolo per via endovenosa; nei soggetti normali questa frazione è circa il 50%.

I pazienti con insufficienza renale avanzata necessitano di singole dosi di diuretici dell'ansa circa 5 volte superiori per ottenere la stessa eliminazione urinaria dei soggetti normali. La ridotta concentrazione nelle urine non è solo conseguenza della diminuita filtrazione glomerulare, ma dipende anche dal ridotto flusso plasmatico renale e dalla presenza di inibitori circolanti. I diuretici dell'ansa si avvalgono infatti del sistema di trasporto tubulare degli acidi organici e quindi sono necessarie alte dosi per superare la competizione di cataboliti ritenuti in insufficienza renale.

Studi recenti hanno evidenziato che per valori di filtrato glomerulare inferiori a 20 ml/min, la somministrazione di 160 mg di furosemide per via endovenosa, di circa 400 mg per via orale o di 4-5 mg di bumetanide permettono di raggiungere il plateau della curva dose-risposta. Quando è presente un'avanzata insufficienza renale è consigliabile la somministrazione del diuretico dell'ansa in un'unica dose in quanto, a parità di posologia totale giornaliera, l'effetto diuretico diviene più evidente rispetto alle dosi refratte. Qualora non si sia ottenuta una soddisfacente risposta è possibile un tentativo di associazione con diuretici tiazidici tipo idroclorotiazide 50-100 mg/die o metolazone. Recenti studi clinici hanno evidenziato una buona risposta alla furosemide somministrata, per via endovenosa, a dosi di 500-1000 mg in situazioni particolari, come nello scompenso cardiaco con edemi refrattari.

I diuretici tiazidici da soli, anche a dosaggi elevati, sono inefficaci quando il filtrato glomerulare scende al di sotto di 30 ml/min; è probabile che sia dovuto alla riduzione della filtrazione per azione diretta del farmaco sui capillari glomerulari. I diuretici risparmiatori di potassio, inefficaci in condizione di insufficienza renale avanzata, possono provocare gravi iperpotassiemie. L'indapamide conserva l'effetto antipertensivo, ma perde l'azione diuretica.

 

 

FARMACI ANTIREUMATICI ED ANTINFIAMMATORI NON STEROIDEI

 

A questa classe appartengono numerosi farmaci dalle caratteristiche affini, che in genere non hanno un'eliminazione renale prevalente, hanno un elevato legame proteico e possono spiazzare altri medicamenti dal loro legame. La loro somministrazione deve avvenire con particolare cautela nei pazienti con insufficienza renale, ipertensione ed edemi. Le prostaglandine infatti, la cui sintesi è stimolata dalle sostanze vasocostrittrici, quali l'angiotensina II e la norepinefrina, sono potenti vasodilatatori e, come sembrerebbe da recenti ricerche, validi agenti natriuretici. In insufficienza renale, soprattutto nei soggetti ipertesi ed in terapia diuretica, può essere massima l'attivazione del sistema renina-angiotensina. Il blocco della sintesi prostaglandinica, conseguente all'inibizione dell'enzima prostaglandino-sintetasi da parte dei farmaci antinfiammatori non steroidei, può provocare, soprattutto nei pazienti affetti da insufficienza renale, ischemia renale con ulteriore contrazione della funzione fino all'anuria, aggravamento dello stato ipertensivo e degli edemi.

 

Sono stati descritti casi di nefropatia interstiziale acuta e di sindrome nefrosica; in quest'ultimo evento può essere evidenziabile una glomerulonefrite "a lesioni minime", che, a differenza della forma idiopatica, può presentare un'importante danno interstiziale.

 

 

Problemi clinici particolari

 

INFEZIONI URINARIE

 

Il farmaco ideale per il trattamento delle infezioni urinarie nell'insufficienza renale dovrebbe essere escreto in forma attiva con le urine anche in presenza di una severa contrazione funzionale, e non essere tossico in caso di accumulo.

In generale, penicilline, cefalosporine ed ampicillina raggiungono nell'uremia concentrazioni urinarie efficaci e, somministrate a dosaggio immodificato, vanno incontro solo ad un modesto accumulo. Per l'amoxicillina e l'ampicillina sono necessarie le più alte dosi consigliate nel soggetto con normale funzione renale (fino a 2-3 g/die in 4 somministrazioni); dopo somministrazione orale il 60% dell'amoxicillina viene eliminato in forma attiva nelle orine, contro solo il 35% dell'ampicillina (70% dopo somministrazione intramuscolare); la carbenicillina risulta solitamente inefficace con filtrati glomerulari inferiori a 15 ml/min.

I farmaci metabolizzati dal fegato, quali cloramfenicolo, eritromicina e nitrofurantoina, difficilmente raggiungono concentrazioni attive a livello urinario.

I disinfettanti urinari, quali l'acido nalidixico, l'acido pipemidico, la nitrofurantoina, la norfloxacina sono poco efficaci, per la scarsa concentrazione urinaria, quando la clearance creatininica si riduce al di sotto dei 30 ml/min.

Le tetracicline possono aggravare i sintomi dell'insufficienza renale con aumento dell'azotemia, della fosforemia e dell'acidosi. Quando il filtrato glomerulare è inferiore a 20 ml/min, il loro impiego nel trattamento delle infezioni urinarie è privo di efficacia.

La doxiciclina ed il trimetoprimsulfametossazolo possono essere invece efficaci.

Questi dati sono importanti anche in caso di infezioni del parenchima renale, in quanto l'effetto terapeutico potenziale, particolarmente nella midollare, parrebbe correlabile più con le concentrazioni urinarie che con quelle sieriche. Un comportamento di questo tipo è stato documentato per la gentamicina le cui concentrazioni, nell'insufficienza renale, possono essere elevate nella corticale, mentre possono essere al di sotto della soglia terapeutica nella midollare.

La penetrazione degli antibiotici all'interno delle cisti è in genere difficoltosa; visto il basso pH del liquido cistico, possono essere indicati gli antibiotici più liposolubili con un basso pKa, come la clindamicina (l'attività antibatterica di questo antibiotico è peraltro molto scarsa).

Il trimetoprim-sulfametossazolo e l'ampicillina hanno una buona capacità di penetrazione nel liquido cistico; gli aminoglicosidi penetrano invece con difficoltà.

 

 

INFEZIONI NEL PAZIENTE IN DIALISI

 

Le infenzioni dell'accesso vascolare per la dialisi sono dovute in gran parte allo stafilococco aureo. In questi casi un trattamento con vancomicina alla dose di 500-750 mg è in genere efficace; la lunga emivita e la trascurabile rimozione intradialitica del farmaco mantengono concentrazioni sieriche terapeutiche per 4-6 giorni. Anche le penicilline penicillasi-resistenti e le cefalosporine sono spesso attive. La terapia deve essere protratta per 1-3 settimane. Nel caso di fistole protesiche può rendersi necessaria la rimozione della protesi.

Nei pazienti in dialisi è raccomandabile una profilassi antibiotica in caso di possibili poussée batteriemiche, ad esempio in occasione di estrazioni dentarie.

 

 

RICURARIZZAZIONE

 

Alcuni farmaci, come gli aminoglicosidi, possono interferire con la trasmissione dello stimolo neuromuscolare, sia a livello presinaptico sia postsinaptico, ed alterare le funzioni dei muscoli respiratori nell'immediato post-operatorio, fino a casi estremi di sindromi miasteno-simili. Anche i miorilassanti possono accumularsi e causare paralisi muscolare; la gallamina ed il pancuronio bromuro hanno un'importante escrezione renale e devono essere evitati. La succinilcolina è metabolizzata in composti ancora attivi escreti dal rene. Gli aminoglicosidi, I'ipopotassiemia e l'acidosi possono aumentare l'effetto bloccante neuromuscolare di questi farmaci.

Il D-tubocuraro deve essere considerato l'anestetico di scelta nei pazienti con insufficienza renale.

 

 

Trattamento farmacologico nel paziente anziano

 

Non raramente è problematico. Un'elevata percentuale di anziani tende a modificare le prescrizioni mediche o non assume i medicamenti prescritti; fenomeni di malnutrizione proteica e calorica possono avere implicazioni sul metabolismo dei farmaci.

Spesso questi soggetti presentano modificazioni della farmacocinetica analoghe a quelle dei nefropatici.

 

 

REAZIONI COLLATERALI AI FARMACI NELL' ANZIANO

 

L'incidenza di reazioni avverse è 2-3 volte più frequente che nel giovane adulto ed è probabilmente sottostimata. Farmaci più comunemente implicati nelle reazioni avverse, spesso dosedipendenti, del soggetto anziano sono: i digitalici, i beta-bloccanti, i calcioantagonisti, l'alfa-metildopa, i simpaticomimetici, i corticosteroidi, le benzodiazepine e la teofillina.

La risposta ai tranquillanti è variabile, e non sono rari effetti collaterali sino al delirio, con sintomi extrapiramidali; è possibile la comparsa di un'ipotensione posturale. Anche il metabolismo degli antidepressivi, soprattutto delle amine terziarie, imipramina, amitriptilina e dei loro metaboliti, è alterato per una ridotta attività del processo di demetilazione epatica.

In seguito alla somministrazione di morfina e meperidina si sono evidenziati più alti livelli plasmatici di picco e una più prolungata emivita.

Gli antinfiammatori non steroidei possono causare insufficienza renale, emorragie gastroenteriche e iperkaliemia.

La posologia della digossina deve essere stabilita in base alla massa magra ed al filtrato glomerulare ed i livelli plasmatici devono essere regolarmente monitorizzati.   È anche necessaria la valutazione periodica dei livelli plasmatici della procainamide, dell'acetilprocainamide e della chinidina.

La risposta del rene senile alla furosemide è spesso ridotta; ciononostante è necessaria cautela nell'uso dei diuretici, per la tendenza di questi soggetti all'ipopotassiemia, all'ipomagnesiemia, all'iposodiemia ed alla disidratazione.Condizioni associate ad un ridotto flusso ematico al fegato, quali lo scompenso cardiaco o malattie epatiche croniche, possono comportare un ridotto metabolismo dei farmaci a rapida estrazione epatica (ad esempio la lidocaina), con conseguente aumentato rischio tossico. Gli anticoagulanti ad azione anti-vitamina K possono richiedere una riduzione della posologia col progredire dell'età, specie nei casi di associazione con farmaci che ne inibiscono il metabolismo (cimetidina) o ne alterano il legame farmaco proteico (clorpropamide). Esistono pochi dati sull'uso dell'eparina nell'anziano, ma non sembrerebbe essere necessaria alcuna riduzione del suo dosaggio.

 

 

 

ASSORBIMENTO DEI FARMACI NELL' ANZIANO

 

Nell'età avanzata numerose modificazioni fisiologiche condizionano l'assorbimento dei farmaci: rallentato tempo di svuotamento gastrico, ridotta secrezione di succhi gastrici con conseguente aumento del pH, ridotto flusso ematico splannico, atrofia dei microvilli intestinali. Modificazioni dell'assorbimento possono essere dovute ad associazioni farmacologiche, ad abitudini alimentari, ad alterazioni della dentizione e della secrezione salivare. Le alterazioni hanno una marcata variabilità inviduale e non seguono regole fisse.

L'assorbimento di alcuni farmaci, di zuccheri, vitamine e sali minerali è diminuito; in particolare è ridotto l'assorbimento del 3 metil-glucosio, della tiamina, del galattoso, del clordiazepossido, della chinidina, del diazepam, del calcio e del ferro organico. Altri farmaci, quali l'acetaminofene, l'indometacina, il lorazepam, il paracetamolo, il fenilbutazone, il propranololo ed il sulfametossazolo, assorbiti passivamente, non presentano invece modificazioni rispetto ai giovani adulti.   È stato inoltre descritto un aumentato assorbimento della cimetidina e delle tetracicline.

  È discusso il ruolo dell'età sulla somministrazione per via percutanea.

 

 

RUOLO DELL'ETÀ AVANZATA SULLA DISTRIBUZIONE DEI FARMACI NELL ORGANISMO

 

Le alterazioni della distribuzione sono il risultato delle modificazioni fisiologiche correlate con il processo di invecchiamento. La portata cardiaca decresce dell'l% ogni anno dopo i 30 anni e riduce di conseguenza il flusso ematico renale ed epatico. L'acqua corporea totale si riduce del 20-40%, con conseguenti modificazioni del volume di distribuzione. L'aumento del tessuto lipidico a scapito della massa magra, soprattutto nel sesso femminile, condiziona un maggior volume di distribuzione dei farmaci liposolubili, come la lidocaina e il diazepam, ad eccezione del lorazepam. La loro durata d'azione aumenta, soprattutto quando la posologia è stabilita con riferimento al peso corporeo piuttosto che alla massa magra. All'opposto si riduce il volume di distribuzione di alcuni farmaci idrosolubili, come digossina, antipirina, cimetidina e acetaminofene, con conseguente maggiore concentrazione nel comparto vascolare.

Nell'età avanzata la permeabilità delle membrane biologiche si modifica. Nella pratica clinica può essere di rilievo una ridotta necessità di anestetico per l'anestesia epidurale. Ancora non completamente note, ma con possibili implicazioni pratiche, sono le modificazioni del pH intra ed extracellulare.

Nei soggetti anziani sani non vi è ipoalbuminemia, o la riduzione delle albumine è in genere minima; una marcata ipoalbuminemia è frequente in corso di malattie croniche. Nonostante la riduzione mediamente lieve dell'albumina nei soggetti anziani, numerosi farmaci acidi possono presentare una netta riduzione del legame farmacoproteico: per esempio, la concentrazione del naproxene libero è circa doppia nell'anziano rispetto al soggetto giovane; un aumento del 50% della concentrazione libera è stato riscontrato per l'acetazolamide e il salicilato.

 

 

RUOLO DELL'ETÀ AVANZATA SUL METABOLISMO DEI FARMACI

 

Negli animali da esperimento, con l'avanzare dell'età è stata osservata una riduzione dell'attività metabolica microsomiale, del rapporto fra peso epatico e peso corporeo, dell'attività del citocromo P450 e della risposta agli induttori enzimatici. Pur mancando dati specifici, anche nell'uomo anziano è stata dimostrata una riduzione del metabolismo di alcuni farmaci, direttamente correlata con la massa cellulare epatica, l'attività enzimatica, il flusso ematico epatico e lo stato nutrizionale. I processi di ossidazione, di riduzione e di idrolisi possono risultare ridotti o invariati con l'età, mentre quelli di coniugazione sono in genere immodificati. Particolarmente compromessi sono i processi di idrossilazione (difenilidantoina, chinidina,propranololo) e di N-demetilazione (amitriptilina, clordiazepossido, clorimipramina).

Per i farmaci con bassa clearance intrinseca, il fattore limitante è l'attività enzimatica epatica, per quelli ad alta estrazione epatica il limite è il flusso ematico al fegato. La massa epatica si riduce progressivamente con l'età e ciò si riflette sul metabolismo di alcuni farmaci, come l'antipirina. Il flusso ematico epatico diminuisce anche del 40-45%, in modo consensuale alla portata cardiaca, e ne consegue un aumento della biodisponibilità di alcuni farmaci, quali il propranololo e il labetalolo. Anche le alterazioni del legame proteico possono condizionare modificazioni del metabolismo farmacologico.

  È consigliabile particolare cautela nell'uso dei farmaci ad elevata estrazione epatica, quali i tranquillanti maggiori, gli antidepressivi triciclici e gli antiaritmici. Il clordiazepossido, il diazepam, il clorazepato, ossidati nel fegato, hanno una prolungata emivita, mentre l'oxazepam, il lorazepam, e il temazepam, che vanno incontro a coniugazione, non presentano modificazioni farmacocinetiche con l'età ed hanno un effetto sedativo meno duraturo.   È stato dimostrato che la deficienza di vitamina C può alterare la escrezione dell'antipirina. I pazienti anziani sono inoltre risultati meno reattivi agli induttori enzimatici ambientali quali gli inquinanti atmosferici, i cibi e alcuni componenti del fumo di sigaretta.

 

 

ESCREZIONE RENALE DEI FARMACI NELL'ETÀ AVANZATA

 

Il filtrato glomerulare si mantiene a circa 120 ml/min sino intorno ai 30 anni ed in seguito diminuisce di circa 8ml/min per decade, cosicché i suoi valori in un ottuagenario sano corrispondono in genere alla metà o ai due terzi di quelli di un giovane.

Contemporaneamente, per la fisiologica riduzione delle masse muscolari, diminuisce anche l'escrezione giornaliera di creatinina: il risultato è una costanza della creatininemia nonostante una riduzione del filtrato glomerulare. Per questo motivo, una creatininemia di 1 mg/dl corrisponde ad una clearance cratininica di circa 120 ml/min a 20 anni e di 60 ml/min a 80. Variazioni consensuali si registrano per il flusso renale ematico che, dopo la quarta decade, si riduce di circa l'l % per anno.

Siccome la frequenza di una patologia renale associata all'aterosclerosi, all'ipertensione, all'insufficienza cardiaca, al diabete mellito ed alle neoplasie aumenta con l'avanzare dell'età, è abbastanza comune una riduzione dei valori di filtrato glomerulare ancora superiore a quella attesa in relazione all'invecchiamento.

Per questa situazione, in una non trascurabile percentuale di anziani si pongono i problemi che sono stati discussi a proposito dei pazienti con nefropatie croniche, ma individuarne il peso quando non si disponga di dati funzionali renali precisi può essere difficile.

I problemi della somministrazione dei farmaci nell'anziano non si esauriscono tuttavia nelle alterazioni della farmacocinetica in precedenza esaminate.

Data la vulnerabilità del rene senile all'accelerazione dell'insufficienza renale, è innanzitutto opportuno prestare attenzione ai fattori che possono favorirla, ed in particolare alla disidratazione, all'ipopotassiemia ed alla patologia iatrogena.

 

L'osservazione di una diminuita capacità del rene a conservare il sodio con il progredire dell'età è in accordo con la non rara constatazione di un'alta natriuresi e di deplezione sodica in soggetti anziani.

Numerosi fattori possono giustificarla: una diminuita capacità di riassorbire il sodio nell'ansa di Henle dimostrata anche in individui in buona salute; un'uropatia ostruttiva e la sua risoluzione improvvisa; la pielonefrite; un abuso di diuretici e/o di lassativi; perdite digestive con vomito e diarrea; il diabete scompensato con iperglicemia e poliuria osmotica; un'incongrua restrizione dell'apporto sodico; un'inappropriata terapia infusionale.

In queste condizioni vi può essere una disidratazione extracellulare con normosodiemia (con ipotensione ortostatica o nei casi più gravi in clinostatismo sino allo shock, peggioramento della funzione renale sino all'oligoanuria) o un'iposodiemia (valori inferiori a 130 mEq/l).

Accidenti cerebrovascolari, malattie polmonari, la sindrome paraneoplastica, l'uso di clorpropramide e di clofibrato sono altre cause comuni di iponatriemia i cui sintomi clinici più comuni sono rappresentati da senso di disorientamento con perdita della memoria, astenia, emiparesi transitoria, debolezza neuromuscolare e incoordinazione motoria, con ipotensione posturale.

Il più comune reperto relativo al potassio nell'anziano è l'ipopotassiemia: possono provocarla l'uso protratto di diuretici, di lassativi, vomito, diarrea, malassorbimento, drenaggi chirurgici, nefropatie interstiziali, diabete mellito o insipido. I sintomi principali dell'ipopotassiemia sono rappresentati da alterazioni neuromuscolari, con riduzione delle capacità intellettive, depressione, ipotensione posturale e debolezza muscolare.

In casi severi compaiono anomalie elettrocardiografiche, con allargamento del QT, depressione dell'ST, appiattimento dell'onda T, comparsa di onda U e vari tipi di aritmia. I soggetti anziani sono particolarmente suscettibili all'effetto della digitale ed è frequente un quadro di intossicazione.

L'ipokaliemia può essere prevenuta con la concomitante somministrazione di supplementi di potassio. Quando è severa, può essere necessaria l'aggiunta di risparmiatori di potassio. Per correggerne il deficit alimentare i pazienti anziani dovrebbero essere incoraggiati ad assumere frutta, verdura e cereali. I supplementi orali devono essere somministrati sotto forma di cloruro, che sono peraltro potenziali ulcerogeni. I dosaggi più abituali sono di 20-40 mEq/die. In situazioni particolari, come negli stati edemigeni, la perdita urinarià può essere elevata e corrispondere a quella più abitualmente somministrata per os.

I risparmiatori di potassio sono utili quando sono somministrati con altri diuretici. Ad esempio l'amiloride (5 mg/die) in associazione al tiazidico può contribuire al mantenimento di soddisfacenti livelli di potassiemia.

I supplementi ed i risparmiatori di potassio, come amiloride, triamterene o spironolattone, vanno tuttavia somministrati con cautela ai diabetici ed in generale ai soggetti con insufficienza renale evidente, perché in questi pazienti possono causare gravi e prolungate iperpotassiemie per parecchi giorni dopo la somministrazione del medicamento. Un ipoaldosteronismo iporeninemico, non raro nell'anziano, aumenta la suscettibilità a questo disordine.            

 

 

 

Letture consigliate

Bennet W.B.: Drugs and renal disease. 2a ed. Churchill Livingstone, New York, 1986.

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G. PICCOLI

Professore Associato Istituto di Nefro-Urologia

Università di Torino (Direttore Prof. A. Vercellone)

Direttore della Divisione di Nefrologia e Dialisi,

Ospedale Giovanni Bosco, Torino

 

F. QUARELLO

Aiuto Divisione di Nefrologia e Dialisi,

Ospedale Giovanni Bosco, Torino

 

A PACITTI

Aiuto Divione di Nefrologia e Dialisi, Ospedale Molinette

(Direttore Prof. A. Vercellone), Torino

 

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