HOME PAGE CARLOANIBALDI.COM HOME PAGE ANIBALDI.IT
|
ARGOMENTI DI MEDICINA CLINICA
VAI ALL'INDICE
Ultimo aggiornamento: 23.12.2013
mail to Webmaster
Le
meningiti sono l'espressione clinica ed anatomo-patologica di una infiammazione
delle leptomeningi (aracnoide e pia madre), provocata dall'invasione diretta di
un agente infettivo che può essere uno schizomicete, un virus, un micete, un
protozoo o un elminta. Tale infiammazione si manifesta sul piano clinico con un
quadro di sindrome meningea e da un punto di vista laboratoristico con tipiche
modificazioni del liquor cefalo-rachidiano, che ne permettono l'inquadramento
nell’ambito di meningiti a liquor limpido e a liquor torbido, con interessanti
risvolti per la definizione eziologica. Il decorso di queste infezioni è
variabile a seconda dell'eziologia e la malattia risulta ancora oggi letale o
con elevata incidenza di esiti, particolarmente nelle forme batteriche, mentre
la prognosi risulta migliore per le forme ad eziologia virale. In tema di
meningiti batteriche, l'avvento degli antibiotici ha migliorato decisamente la
prognosi, ma ancora oggi morbilità e mortalità rimangono molto elevate.
In
campo neonatale, ad esempio, recenti studi segnalano un'incidenza di gravi esiti
a seguito di meningiti da Gram-negativi in oltre il 60% dei casi. Nell'adulto
ancora oggi, secondo alcune casistiche, la percentuale di mortalità può
raggiungere il 25%.
Il
trattamento si avvale di numerosi antibiotici attivi in caso di meningiti
batteriche, di chernioterapici specifici nella meningo-encefalite tubercolare e
di alcuni antivirali, particolarmente quelli attivi nei confronti della classe
degli Herpes virus. Un limite nell'impiego di questi farmaci, peculiare per
ognuno di essi, è dato dalla presenza di barriere funzionali, che ne regolano
la penetrazione a livello del SNC. Tale limite dovrà essere ben noto al clinico
al momento della scelta della terapia.
Sindrome
meningea: insieme di sintomi e segni piuttosto costante, che rappresentano
l'espressione clinica di uno stato di ipertensione endocranica, dello stato
infiammatorio delle meningi e delle radici spinali e della possibile presenza di
sofferenza corticale e/o del tronco encefalico.
Meningiti
a liquor torbido: la definizione è basata sulle caratteristiche del LCR, il cui
aspetto va da smerigliato a francamente purulento, mentre l'esame
chimicomorfologico rivela pleiocitosi neutrofila con conta cellulare superiore a
1000/ mmc, ipoglicorrachia spiccata e iperproteinorrachia.
In
questa categoria rientrano le meningiti batteriche, le meningiti da protozoi (Naegleria
spp. e Achanthamoeba spp.) e tra quelle da miceti, le meningiti da Mucorales e
Candida spp.
Meningiti
a liquor limpido: vengono didatticamente suddivise in meningiti con glicorrachia
diminuita, come nelle infezioni tubercolari e da Candida spp., e in meningiti
con glicorrachia aumentata, come nella quasi totalità delle infezioni virali.
L'esame chimico morfologico rivela pleiocitosi linfocitaria con conta cellulare
inferiore a 1000/mmc. L'aspetto si presenta da limpido a lievemente smerigliato;
la proteinorrachia risulta normale o lievemente aumentata nelle meningiti a
glicorrachia aumentata e decisamente aumentata in quelle a glicorrachia
diminuita.
Barriera:
insieme di strutture a livello del SNC che regolano il passaggio di sostanze
organiche ed inorganiche.Tale passaggio avviene tra sangue e liquor (barriera
ematoliquorale, situata a livello dell'epitelio dei plessi corioidei), tra
sangue e cellule encefaliche (barriera emato-encefalica, situata a livello dei
capillari che irrorano l'encefalo) e tra cellule encefaliche e liquor (barriera
encefalo-liquorale, costituita dalle cellule ependimali dei ventricoli e dallo
strato post-gliale). Il passaggio delle diverse sostanze (proteine come albumina
e immunoglobuline e farmaci, come antibiotici e antivirali) è condizionato da
alcuni fattori quali peso molecolare della sostanza, percentuale di legame con
le proteine, grado di solubilità nei lipidi. Questi meccanismi di barriera
hanno implicazioni fisiopatologiche, in quanto fanno del SNC un distretto
"protetto", difficilmente raggiungibile dagli agenti infettanti, ma
anche da difese specifiche (fagociti, immunoglobuline, complemento) e farmaci.
E' quindi evidente come il SNC rappresenti una "terra di conquista" da
parte del patogeno che riesca a superare la barriera.
I
fattori che aumentano la penetrazione e la concentrazione dei chemioterapici nel
SNC sono l'aumentata permeabilità della BEE e le loro caratteristiche (basso
peso molecolare, basso legame con le proteine plasmatiche, basso grado di
ionizzazione a pH fisiologico, alta liposolubilità), mentre tra i fattori che
ne riducono l'attività a livello del SNC sono segnalati: basso pH, alta
concentrazione di proteine e alta temperatura del liquor.
La
conoscenza degli aspetti epidemiologici risulta particolarmente interessante e
con importanti risvolti pratici soprattutto per quanto concerne le meningiti
purulente.
I
principali patogeni riscontrati, se escludiamo S. agalactiae che era e rimane di
gran lunga il principale agente eziologico in età neonatale, sono
sostanzialmente tre: H. influenzae tipo b (Hib),N. meningitidis e S. pneumoniae;
tra di essi fino alla fine degli anni '80 prevaleva H. influenzae (45%), seguito
da S. pneumoniae (18%) e N. meningitidis (14%).
La
percentuale di incidenza viene influenzata in maniera evidente dall'età:
H.influenzae è frequente soprattutto nei bambini in età da 1 mese a 4 anni,
N.meningitidis predomina nei bambini più grandi e nei giovani adulti, mentre
S.pneumoniae è soprattutto comune negli anziani. La mortalità dipende dal tipo
di batterio e dal gruppo di età; per esempio, la mortalità complessiva è più
alta per S.pneumoniae (19%), rispetto a N.meningitidis (13 %) e Rinfluenzae (3
%), ma nel caso di S.pneumoniae è bassa nei bambini sotto 15 anni (3%) e molto
elevata negli anziani (31%).
Attualmente
la frequenza di meningite da H. influenzae risulta ovunque in diminuzione,
particolarmente secondo la letteratura americana, che riporta una riduzione
dell'82% da quando è stata instaurata pratica vaccinale per Hib circa 10 anni
orsono. Pertanto si va progressivamente configurando una situazione in cui i
patogeni principali sono S. pneumoniae e N. meningitidis.
Questa
tendenza, tuttavia, non risulta ancora documentata in Italia, dove il vaccino
per Hib è in commercio solo da pochi anni.
Un
altro importante aspetto epidemiologico è il progressivo aumento nell'ultimo
decennio, di ceppi di S. pneumoniae resistenti alla penicillina, inizialmente
segnalati in Sud Africa, Spagna e Ungheria, e attualmente presenti in
percentuale superiore al 25% anche nei Paesi asiatici e negli USA. Il meccanismo
di resistenza non è legato alla produzione di beta-lattamasi, ma
all'alterazione delle proteine leganti la penicillina coinvolte nella sintesi
della parete cellulare batterica.
Attualmente
in Italia la percentuale di ceppi resistenti è inferiore al 5%, ma la gravità
e la difficoltà di trattamento di questa infezione, unita al tipo di meccanismo
di resistenza, impongono una stretta sorveglianza microbiologica per poter
tempestivamente modificare, in caso di necessità, le attuali linee-guida di
trattamento delle meningiti purulente.
La
distinzione principale delle meningiti si basa sulle caratteristiche che il
liquor assume durante il processo infiammatorio e cioè meningiti a liquor
torbido e a liquor limpido (tab.01
Gli
agenti in causa nelle meningiti a liquor torbido sono nella maggior parte
rappresentati da batteri Gram-positivi e Gram-negativi, aerobi e anaerobi, anche
se esistono infezioni da miceti (Candida albicans, Mucorales) e da protozoi
(Naegleria spp. e Acbanthamoeba spp.). Gli agenti eziologici delle meningiti a
liquor limpido sono rappresentati da virus (enterovirus, virus parotitico, virus
coriomeningitico, Herpes simplex), da alcuni schizomiceti come Mycobacteiium
tuberculosis, Brucella spp, Leptospira spp, Treponema pallidum e mycoplasmi; da
miceti come Cryptococcus neoformans e Histoplasma capsulatum; da protozoi come
Toxoplasma gondii e tripanosomi; da elminti come Trichinella spiralis, Tacnia
solium, Angiostrongylus cantonensis,
Come
già accennato nelle note epidemiologicbe, una suddivisione eziologica delle
meningiti purulente può essere effettuata anche sulla base dell'età e dello
stato immunitario del paziente. La sintesi di tali eziologie è descritta nella tab.02
L'arrivo
dei batteri al SNC può verificarsi attraverso una diffusione ematogena, per un
processo di contiguità (es. da otite), per via trans-etmoidale o per passaggio
diretto dall'esterno (ferita penetrante, manovre neuro-chirurgiche).
Negli
ultimi anni numerosi studi hanno chiarito meglio i meccanismi fisiopatologici
alla base di questa infezione.
L'insufficiente
presenza a livello del SNC di adeguati meccanismi di difesa rappresentati da
fagociti, immunoglobuline, complemento ecc. fanno sì che il microrganismo si
moltiplichi rapidamente e senza reali ostacoli, liberando componenti di membrana
o di parete cellulare, quali endotossine o acidi teicoici.
Inoltre
il frequente avvio in questa fase di una terapia antibiotica efficace, provoca
una rapida e massiva lisi batterica nello spazio sub-aracnoideo, con rilascio
ulteriore di prodotti batterici, i quali stimolano la produzione di citochine e
di altri mediatori della flogosi da parte delle cellule endoteliali, degli
astrociti e della microglia.
Le
principali citochine interessate nel meccanismo della flogosi a livello meningeo
sono TNF-alfa, IL-1 beta e IL-6. Esse sono in grado da un lato di stimolare la
produzione di altri mediatori, dall'altro di attivare i recettori di superficie
leucocitari promuovendo il richiamo e l'adesione dei leucociti nel sito di
stimolazione.
Tale
risposta infiammatoria causa un danno dell'endotelio vascolare con alterazione
della permeabilità e formazione di edema a componente vasogenica, citotossica
ed interstiziale oltre a fenomeni trombotici. Da ciò consegue aumento della
pressione endocranica e diminuzione del flusso cerebrale.
L'insieme
di tali meccanismi porta alla comparsa del danno cerebrale (tab.03
L'iter
diagnostico delle meningiti va diviso in tre tappe distinte:
1)
riconoscimento clinico della sindrome meningea sulla base dei sintomi e dei
segni obiettivi. Tale approccio diagnostico risulta relativamente più facile in
caso di paziente adulto o in età superiore ai 5 anni mentre è certamente più
arduo nel lattante e soprattutto nel neonato, per la relativa modestia e la
comparsa tardiva dei sintomi clinici.
Il
quadro clinico della meningite è comune per tutte le forme, pur variando nella
tonalità espressiva e si riassume nel complesso della cosiddetta sindrome
meningea.
Essa
può avere un esordio brusco oppure lentamente progressivo ed è condizionata da
segni di ipertensione endocranica come la cefalea, che frequentemente ha
carattere gravativo e accessuale (nei bambini sfocia spesso in uno stato di
forte agitazione e nel cosiddetto "grido idrocefalico"), dal vomito,
che ha spesso la caratteristica di non essere preceduto da nausea e di essere a
getto, dalle alterazioni del fundus oculi che possono arrivare fino al quadro di
papilla da stasi e nelle età più precoci, quando la saldatura delle ossa
craniche non è ancora avvenuta, dalla tensione della fontanella bregmatica.
Caratteristici della sindrome meningea sono inoltre diversi atteggiamenti e
segni ipertonico-antalgici, derivanti dall'irritazione delle radici spinali.
L'atteggiamento
più comune da osservarsi in fase conclamata di malattia è rappresentato
dall'opistotono (iperestensione del capo e del tronco), con contemporaneo
atteggiamento in flessione degli arti inferiori (posizione a "cane di
fucile"). Spesso il paziente, causa della rigidità del dorso, non riesce
ad assumere la posizione seduta senza l'ausilio delle mani appoggiate sul piano
del letto (segno di Amoss o del treppiede).Può essere presente contrattura dei
muscoli dell'addome, che caratterizza il cosiddetto "ventre a barca".
Frequenti
sono le alterazioni psichiche e dello stato di coscienza, che possono andare dal
semplice torpore allo stato allucinatorio ed al coma.
Alcune
manovre semeiologiche hanno particolare importanza per il riconoscimento dello
stato flogistico meningeo: la flessione degli arti inferiori che segue alla
flessione passiva del capo (segno di Brudzinski), la flessione degli arti
inferiori nel tentativo di far passare il paziente dalla posizione supina a
quella seduta (segno di Kernig), la protrusione in avanti della spalla
controlaterale rispetto al lato di rotazione forzata del capo (segno di Binda),
la quasi impossibilità a flettere la gamba estesa sul bacino (segno di Lasègue),
il violento dolore alla pressione in corrispondenza dell'anello degli adduttori
(segno di von Hainiss).
Tipico
anche se non patognomonico è il dermografismo rosso ritardato e persistente
(segno di Trousseau).
Altri
sintomi che possono presentarsi nella sindrome meningea sono le convulsioni
generalizzate e le turbe del respiro (classico il respiro meningitico di Biot
consistente in alternanza di gruppi di atti respiratori normali con periodi
anche lunghi di pausa respiratoria). In caso di sepsi e meningite da N.
meningitidis sono caratteristiche le lesioni cutanee petecchiali-ecchimotiche,
dipendenti soprattutto da turbe coagulative collegate allo shock da endotossine.
Il
decorso delle meningiti può essere diverso a seconda dell'eziologia, ad esempio
acuto o fulminante nelle meningiti purulente, subacuto nella meningoencefalite
tubercolare o cronico nelle forme luetiche;
2)
valutazione chimico-microscopica del LCR, importante per la diagnosi di malattia
e per un iniziale inquadramento eziologico.
La
rachicentesi andrebbe effettuata ogni qualvolta esista un fondato sospetto di
meningite e, nello stesso tempo, si possa escludere una ipertensione endocranica
molto marcata che costituisce controindicazione assoluta alla manovra. A tale
riguardo in situazioni selezionate (età neonatale, tensione fontanellare, crisi
convulsive, alterazioni neurologiche focali, alterazione dello stato di
coscienza fino al coma), oltre all'esame del fundus oculi, è opportuno eseguire
TC dell'encefalo per escludere altre patologie come ad esempio neoplasie o
emorragie subaracnoiodee dovute alla rottura di aneurismi congeniti o angiomi
intracranici. Sul piano pratico l'esame del liquor fornisce la possibilità di
valutare importanti parametri, quali pressione, aspetto, cellularità,
glicorrachia e proteinorrachia, che risultano molto utili per un iniziale
inquadramento eziologico, in particolare per meningiti batteriche, virali e
tubercolari (tab.04
3)
il terzo livello è rappresentato dalla diagnosi eziologica che si basa
principalmente sulle colture da liquor e altre sedi, scelte a seconda della
rilevanza clinica (sangue, urine, faringe, lesioni cutanee, essudato
dell'orecchio medio). La diagnostica deve contemplare l'eventualità che si
tratti di comuni batteri, ma anche di miceti o micobatteri.
Utile
risulta anche lo studio del sedimento liquorale, meglio se ottenuto con tecnica
di citocentrifugazione, che può permettere una visualizzazione diretta degli
agenti eziologici, mediante tecniche adeguate (Gram, Ziehl-Neelsen).
Di
importanza notevole, soprattutto nei pazienti giunti all'osservazione già
trattati con antibiotici e con coltura negativa, è la ricerca degli antigeni
capsulari batterici mediante tecnica di latex agglutinazione, su liquor e sangue
in fase precoce, e più tardivamente su urine per un monitoraggio della
clearance degli agenti infettivi; in casi selezionati trovano indicazione
tecniche più sofisticate come la Polymerase Chain Reaction (meningoencefalite
tubercolare). Nell'eventualità di infezioni virali, trovano indicazione la
ricerca diretta del patogeno su liquor e altri materiali organici e tecniche di
diagnostica indiretta, in particolare immunoenzimatiche, IF, fissazione del
complemento ecc.
Una
menzione particolare meritano le indagini neuroradiologiche, soprattutto TC e RM
encefalo, cui va aggiunta in età neonatale e nei primi mesi di vita,
l'ecografia dell'encefalo. TC ed ecografia trovano particolare spazio, mentre RM
è in grado di garantire una più fine indagine a livello del parenchima
cerebrale. L'indicazione per queste tecniche è soprattutto in fase iniziale per
escludere patologie di altra origine e successivamente nel monitoraggio del
decorso per escludere complicanze quali trombosi dei seni venosi, idrocefalia,
falde periencefaliche, ascesso cerebrale.
La
prognosi dipende da molteplici fattori ma particolarmente da:
-
rapidità di avvio di una efficace terapia antibiotica;
-
età del paziente;
-
agente eziologico della meningite;
-
conta batterica e carica antigenica a livello liquorale nelle forme batteriche;
-livelli
di citochine liquorali persistentemente elevati;
-
eventuali patologie associate in grado di compromettere un'efficace risposta
all'infezione.
Numerosi
studi concordano nel sottolineare l'importanza del timing di inizio di terapia
ed in particolare ci sembra imperativa la norma di un avvio rapidissimo del
trattamento, non appena comprovato il sospetto di meningite batterica (massimo
entro 1 - 2 ore dall'ingresso in ospedale). La stessa considerazione vale in
caso di sospetto di infezione da Herpes virus.
La
prognosi si rivela peggiore nei pazienti alle età estreme della vita e con
elevata conta batterica liquorale. Il meccanismo patogenetico, di cui si è gia
parlato, mette in risalto il ruolo delle citochine quali mediatori della
flogosi. Una loro persistenza nel liquor per tempi prolungati (> 7 giorni) fa
pensare ad un processo infettivo ancora in atto. Vanno ricordate infine forme di
immunodeficienza primitiva o secondaria che possono favorire l'infezione a
livello meningeo e condizionarne la gravità, quali l'infezione da HIV e le
diverse immunodeficienze iatrogeniche.
Sebbene
la terapia antibiotica abbia ridotto la mortalità, essa, come già accennato,
risulta ancora elevata e si riscontrano complicanze temporanee o permanenti in
oltre la metà dei casi.
La
febbre persistente per oltre 10 giorni, la dilatazione pupillare e la paralisi
dei nervi cranici insorte durante il decorso possono far sospettare la presenza
di complicanze quali ipertensione endocranica (frequente, in pediatria,
l'instaurarsi di idrocefalo ostruttivo), trombosi arteriosa o venosa corticale o
raccolte subdurali (queste ultime più frequenti nelle forme da Hib e
Streptococcus pneumoniae). Più raro risulta l'ascesso cerebrale.
Altre
possibili complicanze comprendono convulsioni, deficit motori quali emi- o
tetraparesi, ritardo mentale con disturbi o ritardato sviluppo del linguaggio.
Va comunque sottolineata la tendenza dei difetti neurologici maggiori a
scomparire imprevedibilmente con il tempo.
Tra
gli esiti permanenti di meningite batterica ricordiamo l'idrocefalia, la sordità
che in genere, insorge precocemente durante il corso della meningite ed è
indipendente dalla terapia e l'atassia, legata ad un danno vestibolare.
In
tema di prevenzione di forme ad origine virale, è di particolare interesse la
vaccinazione con vaccino vivo attenuato verso il virus della parotite: la
somministrazione è consigliata dopo il 150 mese di vita e la presenza di
anticorpi protettivi è stata documentata in circa il 97% dei soggetti
vaccinati. Tale vaccinazione viene spesso effettuata in associazione con i
vaccini anti-morbillo e rosolia.
Per
quanto riguarda le forme batteriche esistono diverse possibilità. Le più
concrete ed efficaci riguardano la vaccinazione verso le forme invasive da Hib
da effettuarsi precocemente con cicli vaccinali a partire dal 2°- 3° mese di
vita, per una concreta protezione nel periodo di massimo rischio, che, come già
sottolineato, comprende i primi 4 anni di vita. Il vaccino è costituito da un
polisaccaride capsulare, il poliribosfi-ribitolfosfato coniugato con diversi
carriers proteici ed è in grado di prevenire le infezioni da Hib in circa il
90% dei casi. Sopra i 5 anni la vaccinazione è consigliata solo in caso di
asplenia, drepanocitosi o neoplasia maligna.
La
vaccinazione verso Streptococcus pneumoniae effettuata con antigeni capsulari di
23 diversi sierotipi del batterio, non è mai stata documentata come efficace
nella prevenzione della meningite. Essa viene praticata a partire dai 2 anni di
vita, in soggetti con asplenia, malattie epatiche e renali, diabete, mieloma
multiplo, infezione da HIV, o in soggetti con età > 65 anni, per prevenzione
delle sepsi.
La
vaccinazione verso Neisseria meningitidis viene di norma effettuata con vaccino
tetravalente composto di polisaccaridi capsulari dei sierogruppi A, C, Y, W. Un
limite importante è dato dalla mancanza di vaccini efficaci verso il
sierogruppo B, responsabile di circa la metà dei casi di meningite. La
vaccinazione è comunque raccomandata in gruppi ad alto rischio (soggetti con
deficit del complemento o della properdina, reclute, soggetti asplenici,
viaggiatori in aree ad alto rischio (come, ad esempio, Arabia Saudita, Nigeria).
Essa
risulta particolarmente importante per i contatti stretti dei casi indice con
infezione da Neisseria meningitidis. La migliore chemioprofilassi è
controversa.
In
primo luogo viene proposta la rifampicina al dosaggio di 600 mg/die nell'adulto
e 10 mg/kg/die nel bambino, suddivisi in 2 dosi giornaliere per 2 giorni.
Tuttavia la percentuale di eradicazione del germe dal nasofaringe è segnalata
solo nell'80% dei casi. Una valida alternativa è fornita dalla ciprofloxacina
(750 mg in unica dose nell'adulto). Consigliato anche il ceftriaxone in singola
dose intramuscolare (125 mg in età pediatrica, 250 mg nell'adulto).
Per
quanto riguarda la prevenzione verso Hib, viene suggerito impiego di
rifampicina, 20 mg/kg/die per 4 giorni nei familiari di pazienti con almeno un
bambino di età < 4 anni e nei bambini di età < 2 anni.
Non
esistono al momento indicazioni sicure per raccomandare chemioprofilassi verso
Streptococcus pneumoniae mentre è indicata profilassi intrapartum per la
prevenzione dell'infezione neonatale precoce da Streptococcus agalactiae (SGB),
da effettuare in gravide con tampone vaginale e/o rettale positivo effettuato
alla 35a - 37a settimana, o in presenza di fattori di rischio quali parto
pretermine, rottura prolungata di membrane (> 18 ore), febbre durante il
travaglio, batteriuria da SGB durante la gravidanza, precedenti figli con
infezione da SGB. La profilassi consigliata consiste in penicillina G 5.000.000
UI e.v. + 2.500.000 UI ogni 4 ore fino all'espletamento del parto o ampicillina
2 g e.v. + 1 g e.v. ogni 4 ore fino all'espletamento del parto.
E'
essenziale, per una corretta impostazione della terapia, l'esecuzione della
puntura lombare allo scopo di evidenziare il tipo di infiammazione presente nel
LCS. Se tale manovra non può essere eseguita, per la presenza di edema della
papilla o di segni neurologici focali e se esiste il sospetto di una meningite
batterica, deve comunque essere iniziata una terapia antibiotica ragionata, il
più precocemente possibile. L'elevato rischio di sequele o di evoluzione in
forme setticemiche ad elevata mortalità non permette infatti di impostare una
terapia mirata. Nel frattempo si potranno ottenere emocolture e richiedere una
TAC encefalica, allo scopo di escludere la presenza di masse intracraniche.
La
terapia ragionata delle meningiti a liquor torbido si basa sulla conoscenza
degli agenti etiologici più probabili, in base all'età e alle notizie
clinico-anamnestiche. La tab.05
Gli
schemi terapeutici iniziali sono andati variando nel corso degli anni in base ai
problemi emergenti di resistenza agli antibiotici nei patogeni più comunemente
responsabili di meningiti a liquor torbido. A tal proposito ricorderemo
l'incremento della resistenza all'ampicillina e al cloramfenicolo in H.
influenzae di tipo b e la comparsa di ceppi di S. pneumoniae con vari livelli di
resistenza alla penicillina. Pertanto regimi terapeutici con associazioni di
farmaci quali cloramfenicolo ed ampicillina, un tempo largamente utilizzati,
trovano attualmente scarse indicazioni (vedi tab.05
Le
cefalosporine di terza generazione, ed in particolare cefotaxime e ceftriaxone,
rappresentano attualmente il cardine della terapia antimicrobica delle meningiti
purulente. In effetti tali farmaci presentano spettro d'azione antimicrobico,
caratteristiche farmacocinetiche, nonché di tollerabilità e di efficacia
(ampiamente documentati dai numerosi studi clinici condotti nel corso degli
anni) che li fanno preferire ad altri regimi terapeutici con altre cefalosporine
(ad esempio cefuroxime, ceftizoxime, ceftazidime) o con farmaci appartenenti ad
altre classi. In molti degli schemi terapeutici ragionati le cefalosporine vanno
comunque associate ad ampicillina, allo scopo di fornire un'adeguata copertura
nei confronti di L. monocytogenes.
In
età neonatale il cefotaxime è da preferirsi al cefotriaxone, in quanto
quest'ultimo farmaco viene eliminato nella bile e può determinare alterazioni
della flora batterica intestinale.
I
dosaggi degli antimicrobici in corso di meningiti purulente sono specificati
nella tab.06
La
penicillina e l'ampicillina sono i farmaci di scelta per la terapia delle
meningiti sostenute da N. meningitidis. Recentemente sono stati descritti ceppi
di N. meningitidis con bassi livelli di resistenza alla penicillina
(concentrazioni minime inibenti 0,1-1,0 mcg/m), la cui prevalenza è però
globalmente bassa e costante. Inoltre i pazienti da cui sono stati isolati tali
ceppi hanno risposto ottimalmente alla terapia con penicillina. Per tali motivi
non vi sono indicazioni a modifiche degli schemi attualmente raccomandati.
Nell'eventualità, si potrà ancora una volta prendere in considerazione una
cefalosporina di terza generazione (ad es. ceftriaxone).
Al
contrario del meningococco, H. influenzae presenta problemi di
antibiotico-resistenza che hanno importanti ripercussioni nella pratica clinica.
In effetti è in continuo aumento il numero di ceppi produttori di
betalattamasi, resistenti pertanto a penicillina ed ampicillina. A metà degli
anni '80 la percentuale di tali ceppi in USA superava il 30%. In Italia la
situazione è analoga, e le percentuali di resistenza superano il 30%. In alcuni
Paesi è inoltre elevata la percentuale di resistenza al cloramfenicolo (50% in
Spagna negli anni '80), e sono inoltre comuni i ceppi resistenti a
cloranifenicolo ed ampicillina. Inoltre i risultati di recenti studi prospettici
evidenziano che l'efficacia del cloramfenicolo in corso di meningiti batteriche
pediatriche (prevalentemente da H. influenzae) è inferiore a quella di
ampicillina, ceftriaxone o cefotaxime, mentre al contrario in altri studi
l'efficacia di cefalosporine di terza generazione (in particolare cefotaxime e
ceftriaxone) era simile a quella dell'associazione ampicillina + cloramfenicolo.
Queste osservazioni, assieme al variabile metabolismo del cloramfenicolo nelle
prime età della vita e alla potenziale tossicità, hanno portato ad una
revisione delle linee guida per la terapia delle meningiti da H. influenzae, che
prevedono attualmente l'impiego di cefotaxime o ceftriaxone. Anche il
cefuroxime, inizialmente utilizzato con successo in corso di tali patologie, è
stato rimpiazzato dalle più recenti cefalosporine, che dimostrano una clearance
batterica liquorale più rapida rispetto al composto di seconda generazione.
La
prevalenza di ceppi di pneumococco resistenti alla penicillina è andata
progressivamente aumentando in tutto il mondo. Stime recenti evidenziano che
oltre il 40% dei ceppi in Spagna, il 50% in Ungheria, ed oltre il 30% in
Francia, sono resistenti alla penicillina. In Italia tali percentuali sono più
basse e si attestano sul 5%. E' importante ricordare che esistono due livelli di
resistenza alla penicillina in S. pneumoniae: i bassi livelli di resistenza sono
caratterizzati da concentrazioni minime inibenti (MIC) tra 0,1 ed 1 mg/l, mentre
gli alti livelli di resistenza determinano MIC (: 2 mg/l. Non rari sono poi i
ceppi resistenti ad altri farmaci (ad es. cefalosporine, macrolidi,
cotrimoxazolo, cloramfenicolo) e con resistenze multiple.
Non
sorprendentemente, pertanto, le linee guida per la terapia delle meningiti
pneumococciche hanno subito radicali modificazioni negli ultimi anni.
Soprattutto nelle aree dove la prevalenza di resistenza alla penicillina è
consistente, la terapia delle meningiti pneumococciche, sospette o dimostrate,
deve avvalersi di cefalosporine di terza generazione (ancora una volta
cefotaxime o ceftriaxone). Queste sono sicuramente efficaci nei confronti di
ceppi di pneumococco sensibili alla penicillina e con molta probabilità (anche
se necessitano un maggior numero di osservazioni cliniche) anche nei confronti
dei ceppi con bassi livelli di resistenza alla penicillina. Nel caso però vi
sia il sospetto o la dimostrazione di un ceppo con alti livelli di resistenza
alla penicillina, è da tenere in considerazione la possibilità, già
dimostrata sia in-vitro che in-vivo, di resistenza anche alle cefalosporine di
terza generazione (il meccanismo di resistenza, legato a mutazioni nelle
Penicillin Binding Proteins, è in effetti lo stesso). Per tale motivo,
soprattutto nei Paesi dove è documentata un'elevata circolazione di ceppi con
elevati livelli di resistenza alla penicillina, si consiglia l'impiego di
associazioni di cefalosporine con vancomicina. Vi è inoltre una certa evidenza
che dosaggi più elevati di cefalosporine (ad esempio cefotaxime 250-350
mg/kg/die) possano essere efficaci anche nei confronti di ceppi con MIC elevate
alla penicillina. Il problema ha sicuramente un importante rilevanza clinica,
sia per l'incremento nella prevalenza di tali ceppi, sia per le difficoltà
terapeutiche intrinseche.
La
vancomicina da sola non può essere impiegata nella terapia di meningiti causate
da ceppi con livelli variabili di resistenza, soprattutto per le non ottimali
caratteristiche farmacocinetiche liquorali, che non garantiscono concentrazioni
microbiologicamente attive di farmaco nel sito dell'infezione. Si ricorderà
inoltre che la terapia steroidea, sempre più comunemente impiegata in corso di
meningiti purulente allo scopo di ridurre la risposta infiammatoria locale, è
in grado di ridurre ulteriormente la penetrazione liquorale della vancomicina.
Un altro farmaco alternativo per la terapia delle meningiti da pneumococco
penicillino-resistente, il cloramfenicolo, ha dato risultati insoddisfacenti in
campo clinico, indipendentemente dal profilo di sensibilità degli isolati.
Altri
Autori, prendendo spunto soprattutto da modelli sperimentali, consigliano
l'impiego di associazioni di cefalosporine di terza generazione, vancomicina e
rifampicina quando vi sia il sospetto di un ceppo con alti livelli di
resistenza. Nei casi che non rispondono alla terapia in atto deve essere presa
in considerazione la somministrazione intratecale (o intraventricolare) di
vamcomicina (o teicoplanina). Promettenti risultati, sempre nei confronti di
ceppi penicillino-resistenti, si sono ottenuti con imipenem e meropenem;
quest'ultimo agente dovrebbe essere preferito, per tale indicazione, vista
l'attività proconvulsivante osservata con imipenem.
La
terapia delle meningiti da L. monocytogenes si basa, più che sui risultati di
studi clinici controllati, su dati di sensibilità in vitro del microrganismo,
su modelli sperimentali di infezione nell'animale e su osservazioni cliniche
condotte in genere retrospettivamente e in piccoli gruppi di pazienti.
L'ampicillina è il farmaco ritenuto di scelta, ma non vi è chiara evidenza di
una superiorità nei confronti della penicillina. Occorre ricordare che le
penicilline, così come anche imipenem e vancomicina, hanno un effetto
battericida ritardato nei confronti di L. monocytogenes alle concentrazioni
raggiungibili nel LCS. Anche per questo motivo, ed allo scopo di ottenere
sinergismo d'azione, viene consigliata l'aggiunta di gentamicina alle
penicilline in tutti i casi di meningiti e batteriemie da Listeria, nonché in
corso di infezioni in pazienti con deficit dell'immunità cellulare.
Il
farmaco alternativo alle penicilline è il cotrimoxazolo, che esercita un
effetto battericida nei confronti di Listeria che è risultato, anche se in
casistiche piuttosto limitate, di efficacia pari - se non superiore -
all'associazione ampicillina + gentamicina.
Il
cloramfenicolo è risultato invece di scarsa efficacia in corso di meningiti da
Listeria. Altri farmaci potenzialmente utili in corso di meningite da Listeria
sono la varicomicina (esperienze cliniche limitate ma favorevoli) e la
rifampicina (in associazione ad ampicillina).
Lo
sviluppo delle cefalosporine di terza generazione ha modificato sostanzialmente
la terapia delle meningiti da Enterobacteriaceae e da P.aeuruginosa, riducendone
notevolmente la mortalità. Soprattutto in epoca neonatale il cefotaxime viene
preferito al ceftriaxone, mentre se è in causa P. aeruginosa il farmaco di
scelta è il ceftazidime.L'impiego di aminoglucosidi in associazione è spesso
preferibile, soprattutto se la meningite è sostenuta da P. aeruginosa. La
somministrazione di aminoglucosidi per via intratecale o intraventricolare, non
priva di rischi, deve essere limitata ai casi che non rispondono alla terapia
parenterale.
Altri
farmaci che trovano impiego nella terapia di meningiti da gram-negativi, in
genere sulla scorta dei dati di sensibilità in vitro, sono l'aztreonam (che
penetra bene la barriera ematoencefahca), il meropenem e, tra i fluorchinoloni,
pefloxacina e ciprofloxacina. Di potenziale interesse anche le più recenti
cefalosporine, cefepime e cefpirome.
La
terapia delle meningiti stafilococciche, in particolare in pazienti con
precedenti traumi cranici, interventi neurochirurgici ed in portatori di
neuro-shunt, deve essere iniziata utilizzando vancomicina per via parenterale,
eventualmente in associazione a rifampicina. Sulla base del fenotipo di
sensibilità del microrganismo è possibile modificare la terapia, utilizzando
la stessa penicillina nell’eventualità, sempre più rara, si tratti di ceppi
sensibili al farmaco, o oxacillina nel caso i ceppi siano penicillino-resistenti
e meticillino-sensibili.
Come
accennato, la terapia ragionata, così come la terapia mirata nel caso di ceppi
meticillino-resistenti, si basa sull'impiego della vancomicina. La penetrazione
liquorale della vancomicina, pur limitata, garantisce concentrazioni
microbiologicamente attive quando sia presente un significativo danno di
barriera. Al contrario la penetrazione della teicoplanina, un'altra
macromolecola glicopeptidica, è insufficiente anche in presenza di danno di
barriera e per dosaggi più elevati che di norma.
La
meningite da streptococco betaemolitico di gruppo B si basa sull'impiego di
ampicillina in associazione con aminoglucosidi; questi ultimi sono raccomandati
sia allo scopo di ottenere sinergismo d'azione sia perché sono descritti ceppi
di S. agalactiae tolleranti alla penicillina. In alternativa agli aminoglucosidi
si possono utilizzare cefalosporine di terza generazione. Nei soggetti allergici
alle penicilline il farmaco di scelta è la vancomicina.
Le
infezioni degli shunt neurochirurgici, più frequentemente sostenute da
stafilococchi coagulasi-negativi, richiedono terapia antimicrobica in genere
associata a rimozione dello shunt infetto. Esistono vari approcci per tali
problemi, ma in genere lo shunt infetto viene rimosso e sostituito da una
temporanea derivazione ventricolare esterna; in seguito si inizia la terapia
antimicrobica, con farmaci sistemici ed eventualmente terapia intraventricolare,
iniettando il farmaco direttamente nel recervoir esterno della derivazione. Per
tale terapia intraventricolare la teicoplanina si è dimostrato farmaco efficace
e sicuro. Una volta che si è ottenuta la sterilizzazione del liquor, si potrà
procedere al reimpianto di un nuovo shunt.
Numerosi
studi condotti negli ultimi anni, soprattutto in età pediatrica, hanno permesso
di fornire indicazioni attendibili, anche se non ancora universali, sull'impiego
di steroidi in corso di meningiti purulente. Numerose osservazioni cliniche
supportano l'impiego di desametasone in lattanti di 1-3 mesi, ed anche nelle
fasce di età tra i 3 mesi ed i 7 anni. Lo scopo della terapia steroidea è
quello di ridurre la risposta infiammatoria nello spazio subaracnoideo, che può
essere accentuata dalla lisi batterica indotta dagli antimicrobici. Per tale
motivo è importante che la somministrazione di steroidi preceda di 15-20' la
somministrazione di antibiotici. Il dosaggio consigliato di desametasone è di
0,4 mg/kg ogni 12 ore, per due giorni, o di 0,15 mg/kg ogni 6 ore, per 4 giorni.
Vi sono meno dati sull'efficacia degli steroidi nei bambini più grandicelli e
negli adulti. Attualmente, in tali fasce di età, si consiglia la terapia
aggiuntiva con desametasone nei pazienti con esame liquorale diretto positivo
per batteri, nei soggetti con alterazioni dello stato di coscienza o con
evidenza di aumentata pressione intracranica. Come già accennato, l'impiego di
steroidi può ridurre la penetrazione liquorale di vancomicina.
Queste
comprendono approcci piuttosto ben consolidati, anche se in assenza di studi
prospettici controllati, e misure da ritenere ancora allo stadio sperimentale.
Tra
i primi ricorderemo l'impiego di agenti iperosmolari, quali mannitolo e
glicerolo, allo scopo di aumentare la pressione osmotica intravasale e di
sottrarre acqua dal parenchima cerebrale, sebbene l'impiego di tali agenti sia
piuttosto comune nella pratica clinica, vi è un solo studio prospettico che
dimostra una certa efficacia del glicerolo in corso di meningiti pediatriche nel
ridurre le sequele neurologiche o audiologiche.
Anche
il sollevamento del capo di 30' è in grado di ridurre la pressione
intracranica, aumentando il drenaggio venoso senza compromettere la perfusione
cerebrale.
Tra
gli approcci che necessitano di ulteriori valutazioni vi sono l'iperventilazione
e la terapia con barbiturici.
Non
esiste una terapia etiologica delle meningiti virali, se si esclude l'impiego
dell'acyclovir in corso di meningoencefaliti da herpes simplex. La terapia di
queste forme è pertanto unicamente di supporto.
Altre
forme di meningiti "asettiche" sono sostenute da batteri quali
leptospire e rickettsiae. Le alterazioni del LCS in corso di neurolue e
l’interessamento meningeo in corso di leptospirosi si avvalgono in prima
istanza di penicillina G.Le manifestazioni neurologiche della malattia di Lyme,
inclusa la meningite, richiedono l'impiego di penicillina G o di ceftriaxone. La
terapia deve essere protratta per diverse settimane.
Anche
le rickettsiosi possono determinare un interessamento meningeo o
meningoencefalitico. In tali casi si utilizzano in genere cloramfenicolo o
tetracicline.
Le
meningiti croniche possono essere sostenute da un vasto numero di agenti,
biologici e non, alcuni dei quali passibili di una terapia efficace. Se si
escludono le forme tubercolari, le restanti etiologie non necessitano di una
terapia ragionata.
La
terapia deve essere iniziata anche nel solo sospetto di meningite tubercolare. A
tal scopo risulta fondamentale l'esame del LCS, che dimostra pleiocitosi (da
poche sino a 1500 cellule) con linfocitosi (anche se in circa 1/4 dei casi,
soprattutto nelle forme iniziali, prevalgono i polimorfonucleati), e con
glucosio diminuito, ma anche nella norma. La colorazione diretta del sedimento
liquorale per bacilli alcool-acido resistenti risulta positiva in un numero
variabile di casi, in genere < al 50%. Per tali motivi si comprende come la
diagnosi di meningite tubercolare presuppone un forte indice di sospetto.
La
terapia si basa sull'impiego di isoniazide, rifampicina e pirazinamide. Al
contrario di aminoglucosidi ed etambutolo, questi farmaci penetrano
adeguatamente la barriera ematoencefalica. E' preferibile utilizzare
l'isoniazide a dosaggi più elevati di quelli utilizzati nelle forme polmonari.
La terapia steroidea, da protrarre per 4-6 settimane, è risultata utile nel
ridurre le sequele. La durata della terapia antimicrobica è di almeno 9 mesi.
Gli
schemi terapeutici per la meningite criptococcica sono variati negli ultimi anni
in relazione all'importante incremento di tale patologia nei pazienti con
infezione da HIV.
Nei
pazienti con infezione da HIV la terapia d'attacco si basa sull'impiego di
amfotericina B, al dosaggio di 0,7-1 mg/kg/die. Tale regime va continuato per
almeno 2 settimane, o comunque sino alla risoluzione dei principali sintomi
(cefalea, nausea, vomito). In seguito si può passare al fluconazolo, 400
mg/die, sino al completamento delle 8-10 settimane del ciclo terapeutico
iniziale. Sempre per la terapia d'attacco, buoni risultati sono stati ottenuti
con fluconazolo in associazione a 5-fluorocitosina. L'aggiunta di
5-fluorocitosina non sembra al contrario essenziale nel caso il paziente riceva
amfotericina. La terapia di mantenimento (o soppressiva, o profilassi
secondaria) si basa sull'impiego, longlife, di fluconazolo al dosaggio di 200
mg/die. In alternativa si può utilizzare amfotericina B, 0,5-1,0 mg/kg la
settimana. Un altro composto azolico, l'itraconazolo, sebbene abbia dato
risultati clinici apprezzabili nella terapia di mantenimento, non dovrebbe
essere utilizzato, almeno routinariamente, dal momento che penetra scarsamente
la barriera emato-encefalica.
L'istoplasmosi,
piuttosto comune negli Stati Uniti in pazienti con infezione da HIV, può in
rare occasioni determinare un interessamento delle meningi. La terapia in corso
di infezione da HIV, analogamente che per la criptococcosi, prevede un ciclo
iniziale seguito dal mantenimento long-life. Il farmaco di scelta è
l'amfotericina B. H. capsulatum è inoltre sensibile ad itraconazolo, ma non a
fluconazolo. La coccidioidomicosi, endemica in alcune regioni dell'emisfero
occidentale, può talora interessare le meningi. Per tale patologia il
fluconazolo è il farmaco di scelta; l'alternativa è rappresentata da
amfotericina B. Raro anche l'interessamento meningeo in corso di candidiasi, in
genere nel contesto di un'infezione generalizzata o in portatori di neuro-shunt.
La terapia si avvale di amfotericina B o di fluconazolo (tale farmaco penetra
ottimalmente la barriera ematoencefalica). Un'altra rara forma di meningite
cronica fungina è quella sostenuta da Sporothrix schenckii, che viene trattata
con amfotericina B in associazione a 5-fluorocitosina
Una
rara complicanza della brucellosi è la meningoencefalite, che pone particolari
problemi terapetitici. In genere si consiglia l'impiego di doxiciclina, che
penetra bene la barriera ematoencefalica, in associazione con rifampicina e
cotrimoxazolo. Possono risultare utili anche le cefalosporine di terza
generazione, che mostrano però un'attività in vitro variabile nei confronti di
brucella. E' utile l'aggiunta di steroidi.
Molto
rare anche le meningoencefaliti da amebe a vita libera (Acanthamoeba,
Naegleria), che si possono presentare in forma acuta o cronica. La
meningoencefalite acuta presenta una mortalità del 95%. Gli aneddotici casi di
pazienti sopravvissuti avevano ricevuto amfotericina B o miconazolo per via
sistemica e intratecale. Scarsi sono anche i dati sulla terapia delle forme
croniche, in quanto molti dei casi vengono diagnosticati post-mortem. Un
tentativo terapeutico può essere effettuato in base alla sensibilità in vitro
delle amebe a vita libera: i farmaci più attivi sono, nell'ordine, pentamidina,
ketoconazolo e miconazolo, paramomicina e neomicina, 5-fluorocitosina e
amfotericina B.
Da
ultimo, la meningite eosinofila sostenuta da Angiostrongylus cantonensis, per la
quale non esiste terapia specifica, ma che ha in genere decorso benigno e
autolimitantesi.
Bartlett
J.G.: Pocket Book of Infections Disease Therapy. William & Wilkins
(eds.), 1997.
Bassetti D. In: Teodori U., Gentilini P. “Trattato di Medicina Interna. Malattie Infettive e Parassitarie” pag. 2371-75, 1993 S.E.U. Roma.
Feigin
R.D.: Diagnosis and management of meningitis. Ped. Inf. Dis. J. 1992;
111: 785-814.
Lipton
J.D.: Central nervous system infections. Emerg. Med. Clin. North Am.
1995; 13: 417-39.
Mandell,
Douglas, Bennett’s: Principles and Practice of Infectious Disease 4th
ed. 1995.
Churchill
Livingstone.
Quaglierello
V.J.: Treatment of bacterial meningitis. NEJM 1997; 36: 708-716.
The
Sandford guide to antimicrobial therapy, 27 (ed.)
Sandford, Gilbert, Moellering, Sande (eds.) 1997.
Tunkel A.R.: Acute bacterial meningitis. Lancet, 1995; 346: 1675-80.
D. Bassetti
Direttore I
Clinica Malattie Infettive
Università degli
Studi di Genova
M. Bassetti
Clinica Malattie
Infettive
Università degli Studi di Genova
M. Cruciani
Divisione
Clinicizzata Malattie Infettive
Ospedale Maggiore di Verona
E. Mantero
Clinica Malattie
Infettive
Università degli Studi di Genova
TORNA ALL'INDICE
TORNA ALL' HOME
PAGE CARLOANIBALDI.COM