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ARGOMENTI DI MEDICINA CLINICA
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Ultimo aggiornamento: 23.12.2013
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Il
termine di "miocardite", ed il concetto di miocardite come reazione
infiammatoria del miocardio, è stato introdotto da Sobernheim nel 1837. Nella
seconda metà del secolo scorso l'indagine microscopica ha permesso il
riconoscimento delle lesioni miocardiche acute e croniche in corso di infezioni
batteriche. Nei primi decenni del 1900 sono state distinte le lesioni
miocardiche risultanti da processi infiammatori da quelle secondarie a
coronaropatia e gli ultimi 30 anni sono stati caratterizzati dal riconoscimento
delle cardiomiopatie, malattie del muscolo cardiaco a etiologia ignota (Fowler,
1973; Goodwin, 1987). I legami etiopatogenetici di quest'ultime, ed in
particolare della cardiomiopatia dilatativa, con le miocarditi sono ancora
oggetto di discussione (Robinson, 1983).
Nella
miocardite l'infiammazione può colpire i miociti, l'interstizio, gli elementi
vascolari ed il pericardio. Gli agenti infettivi possono determinare un danno
con l'invasione diretta del miocardio, o una lesione indiretta tramite la
produzione di tossine o reazioni immunologiche. Il processo infiammatorio può
essere acuto o cronico. La lesione miocardica può essere focale o diffusa e le
conseguenze cliniche dipendono in gran parte dalla grandezza e dal numero delle
lesioni.
L'inquadramento
nosologico delle miocarditi è tutt'altro che facile; anche quando l'organismo
che determina la miocardite viene isolato non è talora possibile precisare se
le manifestazioni cliniche, elettrofisiologiche, emodinamiche e morfologiche
sono determinate dall'azione diretta o indiretta di tale organismo; la diagnosi
può risultare spesso incerta; vi è un ampio spettro di lesioni
anatomo-patologiche più o meno specifiche, ed infine le alterazioni
infiammatorie possono essere presenti anche quando intervengono agenti fisici,
chimici o sconosciuti (Wynne e Braumwald). Il notevole progresso compiuto nella
identificazione degli agenti causali delle miocarditi e dei meccanismi
etiopatogenetici della malattia deve essere inoltre confrontato con i risultati
dell'intervento preventivo-terapeutico ancora notevolmente controversi.
Lesioni
miocardiche con un quadro istologico di miocardite possono essere secondarie
all'intervento di agenti infettivi o non infettivi.
Una
miocardite infettiva può essere causata da una varietà di agenti virali,
ricketziosi, batteri, funghi, parassiti (Kean e Breslau, 1964; Harrison, 1990).
I principali sono riassunti nella tabella 1.
Infezioni
virali sistemiche possono essere associate con miocardite. Quest'ultima si
sviluppa di solito dopo un periodo di latenza di diverse settimane
dall'infezione iniziale. Ciò suggerisce l'intervento di un meccanismo
immunologico. I fattori dell'ospite che si oppongono all'azione virale
coinvolgono diversi meccanismi:
a)
la risposta anticorpale; h) una immunità mediata dalle cellule, comprendenti le
cellule citotossiche T o i macrofagi; c) una citotossicità cellulare dipendente
dagli anticorpi; d) gli interferoni.
Negli
animali le radiazioni, i disturbi nutritivi, l'esercizio fisico ed una
precedente lesione miocardica aumentano la suscettibilità al danno miocardico
da virus; nella specie umana una miocardite virale può acquistare particolare
evidenza nei bambini e nelle donne in gravidanza (Wynne e Braunwald).
Circa
il 50% delle miocarditi acute sono causate da virus Coxsackie; i ceppi più
comunemente implicati sono i tipi da B1 a B5, A4 e A16; il gruppo Echovirus
degli enterovirus, specialmente dei tipi 9, 11, 22, possono anch'essi causare
una miocardite acuta; le miocarditi da varicella, morbillo, cytomegalovirus,
parotite, vaiolo, febbre gialla, virus respiratorio sinciziale sono rare.
Nei
casi fatali di poliomielite la miocardite è stata riportata con notevole
frequenza. Nella sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS) un interessamento
cardiaco è comune, ma di solito clinicamente silente; in questa sindrome le
lesioni miocardiche sono in particolare causate da toxoplasmosi e criptococcosi.
Stimoli
molteplici, oltre a quelli prodotti da agenti infettivi, possono danneggiare il
miocardio. Il danno può essere acuto, transitorio ed assommato ad evidenza
d'infiammazione miocardica (miocardite), oppure cronico dando luogo a fibrosi
miocardica. Le fasi acuta e cronica della malattia possono essere associate,
come per esempio nelle lesioni da alcool e da adriamicina (Wynne e Braunwald).
Il
miocardio può essere interessato in numerose malattie sistemiche o alterati
stati metabolici. Anche se in questi casi le lesioni sono soprattutto a carico
della fibra muscolare, infiltrati leucocitari possono simulare lesioni
miocarditiche.
I
dati sull'incidenza e sulla prevalenza delle miocarditi sono incerti: ciò
dipende dal tipo di popolazione che viene osservata, dai metodi diagnostici
usati e dal tipo di agente causale; nelle casistiche autoptiche non selezionate,
per esempio, reperti istologici di miocardite sono stati descritti dal 3,5 al
5,4% dei casi.
È noto che l'ecg. pur essendo un prezioso metodo d'indagine, rivela
spesso alterazioni aspecifiche non diagnostiche di compromissione miocardica
(vedi oltre a diagnosi).
Per
quanto riguarda l'agente causale si può dire che nei Paesi industrializzati,
Europa e Stati Uniti, sono prevalenti le miocarditi da virus, soprattutto in
caso di epidemie influenzali, mentre nei Paesi sottosviluppati predominano
quelle da agenti infettivi, protozoi o parassiti: si calcola per esempio che
10-20 milioni di persone nel Centro e nel Sud America siano colpite da
tripanosomiasi (malattia di Chagas), nella quale una diffusa miocardite è la
maggiore manifestazione cardiovascolare (Wynne e Braunwald); almeno 200 milioni
di persone al mondo, per lo più nei Paesi poveri, sono potenzialmente infette
da schistosomiasi ed anche se l'interessamento cardiaco è infrequente in questa
malattia, casi di "miocardite da bilarzia" sono stati ripetutamente
segnalati (Kean e Breslau, 1964).
Nelle
infezioni virali l'incidenza di una miocardite sintomatica è bassa, ma
l'attento esame dei pazienti durante sindromi virali acute dimostrerà
un'elevata incidenza di interessamento miocardico; durante epidemie influenzali
l'incidenza di miocardite è stata riportata fino al 15% dei casi. Alterazioni
elettrocardiografiche sono state descritte in un terzo di una serie di pazienti
ricoverati per infezioni virali o da micoplasma. La mononucleosi infettiva è
stata trovata associata ad ecg anormali nel 23% dei pazienti esaminati. Quando
la polio era comune nei Paesi occidentali (ma essa è ancora presente in quelli
sottosviluppati!) veniva riscontrata all'autopsia evidenza di miocardite dal 40
al 90% dei casi fatali. Con il crescere degli scambi e dei contatti rapidi tra i
vari Paesi occorre comunque dedicare sempre maggiore attenzione alla possibilità
che abitanti del mondo industrializzato vengano colpiti da malattie endemiche
nei Paesi sottosviluppati.
Le
cardiomiopatie sono per definizione malattie del muscolo cardiaco ad etiologia
ignota; mentre per la forma ipertrofica appare predominante una componente
familiare, ereditaria o comunque genetica, per quella dilatativa è stata presa
ripetutamente in considerazione l'ipotesi che essa sia espressione di una
possibile progressione di una miocardite virale (Robinson e O'Connell, 1983;
Goodwin, 1987). La CMD è una malattia cardiaca invalidante con prognosi molto
grave; anche se non si hanno danni definitivi è presumibile che sia tutt'altro
che rara: alcuni studi epidemiologici indicano una incidenza di 5 nuovi casi per
centomila abitanti/anno con una prevalenza di 36,5 sempre riferita a centomila
abitanti. Questo tasso di prevalenza porterebbe ad una cifra indicativa di oltre
20.000 casi nel nostro Paese (Dolara e Coll., 1991). Se si tiene presente che la
CMD rappresenta circa il 50% dei pazienti candidati a trapianto cardiaco, e che
sempre secondo le estrapolazioni sopra riportate vi sarebbero in Italia circa
4.000 pazienti in I/IV classe NYHA, eventuali candidati a trapianto, si
comprende lo sforzo di conoscere l'etiologia di questa malattia.
La
teoria che la miocardite possa determinare una malattia cronica di cuore fu per
la prima volta avanzata da Corvisare nel 1806; Bridgen 150 anni dopo postulò
che "una miocardite acuta associata ad infezioni note potesse cicatrizzare
e successivamente determinare sintomi da danno miocardico cronico" (Bridgen,
1957). È stata in seguito
ripetutamente sottolineata l'importanza di una malattia virale nell'iniziare la
sindrome delle CMD. L'ipotesi è tuttavia difficile a dimostrare.
Dal
punto di vista concettuale sono stati ipotizzati, soprattutto sulla base di dati
sperimentali (Robinson e O'Connell, 1983), le seguenti fasi: nella fase iniziale
la miocardite è associata ad una minima necrosi miocardica con elevazione del
titolo umorale anticorpale sia al virus che agli antigeni miocardici.
Dopo
questa fase, in cui si ha replicazione virale, i titoli anticorpali iniziano a
decrescere, ma si sviluppa un antigene nell'ospite con una immunoregolazione
difettosa da cui risulta una risposta immunitaria cronica mediata dalla stessa
cellula miocardica.La malattia segue poi un periodo di latenza, come postulato
da Corvisare, durante il quale una reazione infiammatoria cronica dovuta a
proliferazione di linfociti T citotossici, guidati dal neo antigene cellulare
miocardico, darebbero luogo ad un crescente danno miocardico.
Si
ha quindi una fase cronica con scompenso cardiaco clinicamente evidente in cui
le risposte immunitarie mediate dalle cellule possono essere scomparse per le
diminuzioni del carico in antigene o per l'incapacità immunitaria derivante
dalla scarsa capacità nutritiva che si ha nello scompenso cardiaco cronico.
Alla
morte del paziente pertanto l'infiltrato infiammatorio può essere limitato o
del tutto scomparso. Lo scopo delle ricerche dovrebbe essere pertanto diretto
verso l'identificazione più precoce possibile dei pazienti in cui si sospetta
una persistente miocardite o cardiomiopatia.
È da sottolineare tuttavia che solo una modesta percentuale di pazienti
con CMD viene osservata in fase asintomatica, che si può evidenziare un
episodio similinfluenzale nella storia clinica di una parte di essi, e che una
miocardite virale è dimostrabile in una proporzione ancora minore di casi;
pertanto nella stragrande maggioranza di questi pazienti l'inizio biologico e la
fase preclinica della malattia non sono conosciuti (Dolara e Coll., 1992).
Le
manifestazioni cliniche delle miocarditi possono variare da uno stato
asintomatico secondario ad una infiammazione focale ad uno scompenso congestizio
fatale dovuto a lesioni diffuse. Alcuni pazienti hanno una chiara storia di una
malattia, precedente o intercorrente, delle vie respiratorie superiori. Il
paziente può pertanto essere senza sintomi, oppure avvertire astenia, dispnea,
palpitazioni, malessere precordiale.
All'esame
obiettivo è presente di solito tachicardia; il primo tono è talora ridotto di
ampiezza, vi è galoppo diastolico ed evidenza clinica di scompenso cardiaco in
casi gravi.
Vi
possono essere anomalie elettrocardiografiche transitorie , costituite da
alterazioni dell'ST-T, aritmie atriali e ventricolari, disturbi della conduzione
A-V ed I-V.
La
biopsia endomiocardica (vedi oltre) ha permesso una migliore correlazione delle
alterazioni elettrocardiografiche con quelle istologiche e di attribuire un
valore prognostico alle prime. I pazienti con variazioni isolate dell'ST-T hanno
di solito una prognosi buona, mentre la comparsa di quadri psudoinfartuali,
ingrandimento atriale sinistro, blocco di branca sinistro ed ipertrofia
ventricolare sinistra sono considerati marker di ridotta sopravvivenza con
predisposizione a morte improvvisa. La presenza di blocchi A-V di grado
variabile anche avanzato, se isolati, non sembrano invece un marker affidabile
di danno miocardico grave e quindi l'entità d'interessamento del sistema di
conduzione non è correlato con quella delle cellule miocardiche da lavoro.
All'esame
radiologico il cuore può apparire di grandezza normale o marcatamente
ingrandito con congestione polmonare, l'esame Eco dimostrare reperti normali o
ipocinesia diffusa e la scintigrafia miocardica identificare alterazioni
infiammatorie e necrotiche diffuse.
La
diagnosi di miocardite virale trova supporto nella identificazione del virus
nelle feci e nel cavo orofaringeo o da un aumento (di solito quattro volte
superiore) dell’anticorpo virale, della fissazione del complemento o dai
titoli di inibizione emoagglutinazione.
L'isolamento
del virus attivo nel miocardio mediante biopsia endomiocardica è difficile
anche in casi fatali e può essere fatto regolarmente solo con i virus Coxsakie,
Echo e polio. È stato anche
usato il clonaggio del DNA per il virus Coxsackie B sul tessuto miocardico: il
riscontro di sequenze RNA virali è a favore di una causa virale della
miocardite in studio. La tomografia computerizzata cardiaca ad emissione singola
di fotoni (SPECT) è un promettente metodo non invasivo per identificare la
miocardite attiva. Recenti studi, che hanno utilizzato frammenti di anticorpi
antimiosina marcati con Iodio-131, hanno mostrato una sensibilità dell'83% ed
un valore predittivo del 92% in pazienti con sospetta miocardite.
Prima
degli anni '70, epoca d'introduzione nella pratica clinica della b.e.m., i
reperti di miocardite venivano riscontrati in pazienti che decedevano per la
malattia oppure erano un riscontro occasionale in pazienti deceduti per altre
cause. L'introduzione della metodica ha permesso di correlare l'entità delle
lesioni miocardiche col quadro clinico ed ha stimolato un notevole interesse
sullo studio di questa patologia cardiaca. Nello stesso tempo è stato
necessario definire con precisione la diagnosi istologica di miocardite nei
frammenti prelevati; ciò ha sollevato molte discussioni e controversie;
attualmente viene seguita la classificazione di Dallas, città in cui si
riunirono nel 1984 anatomo-patologi esperti dell'argomento e sulla base della
quale è possibile uniformare la diagnosi di miocardite.Vi è stata negli ultimi
anni una notevole diffusione della metodica: almeno 20.000 b.e.m. sono state
eseguite nel 1987 negli Stati Uniti, non considerando quelle per il monitoraggio
del rigetto dopo trapianto cardiaco. Persistono tuttavia notevoli incertezze
sulle indicazioni cliniche e vi sono molti motivi per i quali la diagnosi di
miocardite con la b.e.m. è difficile: infatti mentre pazienti che muoiono per
una miocardite hanno di solito un infiltrato interstiziale diffusissimo di
cellule infiammatorie con necrosi miocardica estesa e la diagnosi di miocardite
è certa, è ancora discusso se focolai di cellule infiammatorie rappresentino
miocarditi "precoci". Nei soggetti giovani, deceduti per incidente,
infiltrati linfocitici possono per esempio ritrovarsi nel 4-10% dei casi;
necrosi miocitica focale ed infiltrati infiammatori localizzati vengono molto
spesso riscontrati nei pazienti con scompenso cardiaco, anche se è improbabile
che lo scompenso sia secondario a queste lesioni; nei cuori trapiantati che
vanno incontro a fenomeni di rigetto acuto con quadri istologici tipici di
miocardite è risultato evidente che queste alterazioni non danno luogo a
scompenso congestizio.
Non
stupisce pertanto che una miocardite "provata dalla b.e.m." sia stata
riportata da vari centri in percentuali variabili dal 3 al 63% dei casi!
Dal
punto di vista pratico le raccomandazioni attuali sono quelle di eseguire il
prelievo bioptico in casi selezionati oppure in presenza di uno scompenso
cardiaco di recente insorgenza e di origine non spiegata. In questi pazienti può
essere previsto un tentativo con terapia immunosoppressiva come ultima ratio.
Nei pazienti sottoposti a trapianto cardiaco la b.e.m. rimane attualmente
l'unico mezzo applicabile per poter diagnosticare con sufficiente tempestività
il rigetto acuto.
I
pazienti che muoiono con diagnosi di miocardite o a causa di questa malattia
mostrano all'autopsia un ampio spettro di alterazioni all'esame macro e
microscopico, espressione della variabilità clinica. Dal punto di vista
macroscopico il cuore può essere normale, dilatato, ipertrofico o flaccido. Si
osserva di solito una reazione infiammatoria interstiziale costituita
principalmente da una infiltrazione di polimorfonucleati nelle forme infettive,
sostituiti successivamente da linfociti, plasmacellule e cellule mononucleate;
nelle miocarditi virali è predominante l'infiltrazione monocitica; alle
infiltrazioni si accompagnano miocitolisi e necrosi delle fibre miocardiche.
L'esame istologico di routine fornisce raramente una diagnosi specifica; nelle
miocarditi da toxoplasma per esempio, l'attenta ricerca istologica rivela le
cisti contenenti il protozoo, cisti che possono misurare fino a 100 micrometri
di diametro; nel morbo di Chagas si osservano le cosiddette cisti
pseudo-leismania con i parassiti; nella filariosi e nella trichinosi si ha un
infiltrato ricco di eosinofili; nella rara miocardite a cellule giganti si
riscontrano le caratteristiche cellule giganti polinucleate con esteso
infiltrato infiammatorio; nelle miocarditi micotiche le lesioni istopatologiche
hanno in generale un carattere granulomatoso ad evoluzione necrotica,
fibrocaseosa, microascessuale; in alcuni casi la microscopia elettronica e le
tecniche d'immunofluorescenza possono permettere di individuare la causa
specifica della miocardite.
La
ricerca di un efficace trattamento per la miocardite non è stata ancora
completata per molteplici motivi: non si conoscono tutte le cause possibili di
miocardite, né i vari modi con cui possono presentarsi e turbare la funzione
cardiaca; non abbiamo inoltre criteri sicuri e rapidi di diagnosi ed infine il
processo anatomopatologico è così variegato che alcune sue espressioni
sembrano essere state trattate con successo mentre altre possono migliorare
senza trattamento. Pertanto la prevenzione ed il trattamento della miocardite (e
della cardiomiopatia dilatativa) rimangono una delle grandi frontiere della
cardiologia (Robinson e O'Connell, 1983).
È di solito opportuna una terapia per le manifestazioni sistemiche della
malattia (riposo, terapia antibiotica, anticongestizia se necessarie). Nella
fase acuta di una miocardite virale sono controindicate indometacina e
salicilati perché aumentano il danno miocardico. Anche l'uso dei
corticosteroidi è controindicato in questa fase; è stato infatti osservato
sperimentalmente che la terapia steroidea induce aumento della necrosi tissutale
e replicazione del virus. Studi sperimentali recenti suggeriscono che una
terapia immunostimolante può migliorare il decorso di una miocardite virale
durante la fase virus-mediata se somministrata precocemente dopo l'infezione. Ciò
può avere delle implicazioni cliniche nella protezione di individui infettati
in laboratorio o esposti a epidemie localizzate.
L'azione
degli steroidi può essere utile nella fase tardiva della malattia: nei pazienti
con scompenso cardiaco congestizio rapidamente progressivo senza causa
identificabile ed in cui una miocardite è dimostrata dalla b.e.m. sono stati
somministrati agenti immunosoppressivi, di solito prednisone ed azatioprina, con
risoluzione degli infiltrati infiammatori.
Tuttavia,
data la variabilità del decorso delle miocarditi è necessario attendere i
risultati di trial controllati e randomizzati tuttora in corso prima di
esprimere un giudizio favorevole su tale terapia.
Le
miocarditi rappresentano un settore delle malattie cardiovascolari nel quale
sono stati fatti notevoli progressi nella identificazione dei molteplici agenti
causali, dei complessi meccanismi patogenetici e nella diagnosi. Si tratta di
affezioni nelle quali è necessaria una stretta collaborazione interdisciplinare
tra l'internista che deve sospettare la presenza di una miocardite in una
malattia sistemica, l'infettivologo se si è in presenza di un agente infettivo,
il cardiologo che deve fornire supporti clinico-strumentali alla diagnosi,
l'anatomo-patologo esperto nell'interpretazione dei reperti bioptici,
l'immunologo per una precisa valutazione dello stato immunitario del paziente, e
così via. Sono necessarie ulteriori ricerche per stabilire i rapporti che le
miocarditi, in particolare quelle virali, hanno con le cardiomiopatie
dilatative, malattie del miocardio ad etiologia ancora sconosciuta, e
soprattutto per valutare il ruolo della terapia steroidea ed immunosoppressiva.
Si può pertanto ritenere ancora valido, in quest'epoca di tecnologia avanzata,
l'invito di Charles Richet, Premio Nobel per la fisiologia degli inizi del
secolo, a cercare molto e sempre, ma ad essere molto cauti nell'applicare le
verità che si ritiene di avere intravisto: "Il faut ^etre révolutionnair
en physiologie mais conservateur en médicine".
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A.
Dolora
Direttore
del Servizio di Cardiologia
Unità
Sanitaria locale 10/D
S.
Luca – Careggi (Firenze)
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