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ARGOMENTI DI MEDICINA CLINICA
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Ultimo aggiornamento: 23.12.2013
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Il
click mesosistolico, che del PVM è la componente acustica peculiare, per la
prima volta descritto nel 1887 fu detto inizialmente avere un'origine
extracardiaca e da ricondurre ad adesioni pleuropericardiche. Nel 1931 White
suggerì che il suono mesosistolico si originava nella mitrale da corde tendinee
anormali. Reid nel 1961 propose un'origine mitralica del click e del soffio che
spesso lo accompagna e lo attribuì ad una improvvisa tensione delle corde
tendinee. Spetta a Barlow, in ogni modo, il merito di aver mostrato che
l'associazione click-soffio sistolico tardivo, il quadro elettrocardiografico e
l'aspetto angiografico della valvola mitrale, costituiscono una specifica
sindrome, denominando "billowing" l'anomalia del movimento del lembo
posteriore. Criley nel 1966 introdusse per primo il termine di
"prolasso" della valvola mitrale per descrivere le osservazioni
cineangiografiche.
Queste
osservazioni precisavano, anche da un punto di vista anatomo-funzionale, un
quadro clinico, caratterizzato da un caratteristico corteo sintomatologico
costituito da palpitazioni precordiali, precordialgie, ansia, lipotimie e dal
rilievo auscultatorio descritto come "un rumore come un improvviso
movimento di sostanza cartilaginea" (assimilabile al click) o al
"soffio sistolico al di sopra dell'apice cardiaco". Questo quadro
clinico era stato osservato da Da Costa nel 1871 nella popolazione militare
durante la guerra tra gli Stati Americani ed era simile a quello descritto in
precedenza fra le truppe britanniche in India e in Crimea.
Il
PVM, più che un'entità clinica unica, dovrebbe essere considerato come un
continuum all'interno del quale convivono condizioni cliniche e prognostiche
assai differenti, che lo fanno considerare talora una semplice variante della
norma, talora una malattia a rischio di temibili complicanze. Compito del
cardiologo è quindi: diagnosticare con precisione i soggetti affetti da PVM;
differenziare i soggetti con PVM a basso rischio di complicanze, da quelli ad
alto rischio di eventi futuri.
In
accordo con l'orientamento corrente definiamo PVM la protrusione sistolica in
atrio sinistro di uno o entrambi i lembi valvolari mitralici; ciò
indipendentemente dalla mancata coaptazione sistolica dei lembi. Secondo questa
definizione quindi la eventuale coaptazione sistolica dei lembi è una
condizione possibile, ma non necessaria al fine di porre diagnosi di prolasso
valvolare mitralico. E' da ricordare che Barlow, in un suo editoriale, riservava
la diagnosi di prolasso mitralico solo a quei casi dove era evidente una mancata
coaptazione sistolica, definendo "billowing" i casi dove era presente
una protrusione valvolare senza insufficienza mitralica.
Il
PVM è definito primario o idiopatico è dovuto ad una alterazione del collagene
che provochi una degenerazione mixomatosa delle componenti fibrose dell'apparato
valvolare mitralico, con conseguente ridondanza dei lembi valvolari, ed altre
anomalie quali l'assottigliamento e/o l'allungamento delle corde tendinee e la
dilatazione dell'anello valvolare mitralico.
Alla
base del PVM secondario non è invece un'alterazione del collagene, ma uno
squilibrio tra le componenti che permettono una normale funzione della valvola e
che sono: le dimensioni dell'anello valvolare mitralico, lo stato morfologico e
funzionale dei lembi valvolari mitralici, delle corde tendinee e dei muscoli
papillari, lo stato contrattile del miocardio ed il volume ventricolare
sinistro. Un PVM secondario si ha quindi:
1)in
associazione a malattie del tessuto connettivo quali la sindrome di Marfan, la
sindrome di Ehlers-Danlos, l'osteogenesi imperfetta, la panarterite nodosa, il
lupus eritematoso sistemico;
2)in
cardiopatie dove è presente uno squilibrio tra volume ventricolare sinistro ed
anatomia valvolare (difetto interatriale, cardiomiopatia ipertrofica
ostruttiva);
3)in
cardiopatie con depressa contrattilità del ventricolo sinistro (miocarditi,
endocardite reumatica, cardiomiopatia dilatativa);
4)nella
cardiopatia ischemica, secondario a disfunzione del muscolo papillare;
5)nella
sindrome di Wolff-Parkinson-White, dove il PVM sembrerebbe dovuto alla
asincronia dell'attivazione ventricolare.
Boudoulas
classifica il PVM in PVM anatomico e sindrome da PVM.
Il
prolasso anatomico della valvola mitrale comprende un largo spettro di anomalie
valvolari da moderate a gravi. Il termine di poppy valve deriva da studi
anatomopatologici e chirurgici e si riferisce all'espansione dell'area dei lembi
valvolari, che presentano alterazioni strutturali caratteristiche (corde
tendinee allungate ed anulus dilatato). Sintomi, segni ed alterazioni degli
esami diagnostici, in questi pazienti, sono direttamente correlati alla
disfunzione valvolare ed alla progressiva insufficienza mitralica.
Con
il termine di sindrome da prolasso della valvola mitrale Boudoulas si riferisce
alla presenza o coesistenza di una sintomatologia di origine neuroendocrina o
autonomica in pazienti portatori di PVM con sintomi non giustificabili sulla
base della sola anomalia valvolare. I pazienti che presentano PVM associato a
sintomi da disfunzione del sistema nervoso autonomo vanno distinti da quelli nei
quali i sintomi sono dovuti alla disfunzione progressiva della valvola mitrale.
La
prevalenza del PVM primario varia a seconda delle casistiche esaminate ed
essenzialmente dipende dallo standard diagnostico utilizzato.
Sulla
base del solo criterio auscultatorio (click sistolico, soffio mesosistolico o
entrambi) la prevalenza va dallo 0,4 al 17%; con ecocardiografia M-mode la
prevalenza va dal 4,4 al 21%.
Il
metodo ecocardiografico bidimensionale (eco 2D) permette la simultanea
visualizzazione dei lembi e dell'anello valvolare, dando così la possibilità
di una più accurata modalità di valutare la posizione dei lembi valvolari in
sistole. La valutazione è possibile sia nella proiezione 4 camere apicale sia
nella proiezione lungoassiale parasternale. Il movimento sistolico superiore è
molto meno comune se valutato nella proiezione lungoassiale (1,5% in una
popolazione pediatrica). Il movimento sistolico superiore della valvola mitrale
al di sopra del piano anulare mitralico nella proiezione 4 camere apicale è un
reperto comune nei bambini normali, sicché il termine di prolasso viene
riservato allo spostamento di uno o entrambi i lembi valvolari, se osservato in
lungoassiale, o allo spostamento del lembo posteriore in qualsiasi proiezione.
Il grado del prolasso viene considerato lieve quando il punto di contatto di
entrambi i lembi è a livello dell'anello valvolare; il prolasso è severo
quando sia i lembi sia il punto di contatto sono situati al di sopra dell'anello
valvolare; il grado del prolasso è moderato quando lo spostamento è
intermedio. Dopo tutto una leggera protrusione dei lembi valvolari è un
riscontro usuale di una valvola assolutamente normale.
Con
l'eco 2D la definizione di prolasso che generalmente si applica è il movimento
dei lembi valvolari al di sopra dell'anulus durante la sistole; ma per la
mancanza di severi criteri selettivi e per la dimostrazione della configurazione
"a sella" dell'anello valvolare mitralico, tale metodica da sola deve
essere considerata scarsamente specifica.
Lo
studio di Framingham condotto su una vasta popolazione, considerando come
diagnostico di PVM uno spostamento di almeno 2mm posteriormente alla linea che
congiunge i punti C e D all'eco M-mode (fig.01
Recenti
osservazioni suggeriscono che il PVM sia ereditato come fenotipo autosomico
dominante. Una larga parte di pazienti portatori di PVM presentano infatti
alterazioni del tessuto connettivo. Questi soggetti possono avere
caratteristiche simili a quelle dei portatori di malattie ereditarie del
connettivo quali le deformità della regione anteriore del torace o della
colonna vertebrale, la dolicostenomelia e l'ipermobilità delle articolazioni.
Proprio in virtù di queste considerazioni universalmente note, il PVM familiare
è stato recentemente classificato tra le malattie ereditarie del connettivo. La
sua incidenza relativamente alta nell'ambito della popolazione generale lo rende
la più comune tra le alterazioni connettivali del cuore.
Nel
PVM i lembi sono ridondanti ed hanno una convessità verso l'atrio sinistro. I
lembi a cupola e le smerlature e le corde tendinee danno l'immagine simile a
quella di un paracadute. La perdita del supporto collageno valvolare permette lo
stiramento delle cuspidi sotto la pressione ventricolare che risulta quindi nei
lembi "a cappuccio" e prolassati. E' necessario comunque fare una
distinzione tra i piccoli aspetti di lembi prolassati come variante normale e
prolasso vero e proprio.
Un
ampio spettro di anormalità dei lembi valvolari mitralici è stato descritto da
Jeresaty e Coll., andando dal grado 1 in cui sono presenti delle alterazioni
istologiche con lembi normali; ad un grado 2 che racchiude il prolasso mitralico
senza rigurgito; al grado 3 che identifica un prolasso con lieve insufficienza
mitralica; e ad un grado 4 dove si osserva un prolasso mitralico con severa
insufficienza.
Le
corde tendinee sono caratteristicamente sottili ed allungate, ma possono
talvolta essere ispessite. L'abnorme allungamento delle corde tendinee potrebbe
essere dovuto ad un'alterazione mucinosa di queste strutture, ma probabilmente
è dovuto ad una anormale tensione che si determina su di esse da parte dei
lembi prolassanti. Le corde si possono ispessire per reazione alla azione di
frizionamento contro l'endocardio, della fusione e della coalescenza. Nella
sindrome del prolasso mitralico è stata descritta la presenza anche di una
dilatazione dell'anello mitralico. Bulkley e Roberts dimostrarono che la
dilatazione dell'anello valvolare mitralico si presenta solo nei pazienti con
sindrome di Marfan.
Si
ritiene che la sindrome da prolasso della valvola mitrale, un disordine del
tessuto connettivo riguardante la valvola mitrale e la struttura ossea del
torace, sia dovuta ad una proliferazione mixomatosa dell'apparato valvolare
mitralico. Un metabolismo abnorme del collageno aumenta la produzione di
mucopolisaccaridi e le fibrille collagene divengono disorganizzate. I lembi
valvolari diventano spessi e ridondanti e prolassano all'interno dell'atrio
sinistro durante la sistole. Le corde tendinee si allungano e possono rompersi,
causando un'ulteriore insufficienza mitralica. L'anello mitralico può
allargarsi, con conseguente aggravamento dell'insufficienza valvolare
("teoria valvolare"). Una seconda teoria sulla etiologia del prolasso
valvolare mitralico è la "teoria del miocardio". Questa si basa su
alcuni aspetti quali:
1)abnorme
protrusione sistolica della parte inferiore del ventricolo sinistro;
2)mancata
contrazione o espansione sistolica tardiva del tratto di afflusso del ventricolo
sinistro;
3)asinergia
del ventricolo sinistro;
4)alterazioni
emodinamiche (pressione telediastolica ventricolare sinistra elevata, basso
indice cardiaco a riposo, incremento inappropriato dell'indice cardiaco durante
esercizio);
5)fibrosi
interstiziale del ventricolo destro riscontrata biopticamente.
La
diagnosi di PVM si basa sulla sintomatologia soggettiva, sull'esame clinico e
sugli esami strumentali.
Questa
è la maggior parte delle volte assente, in quanto il PVM è quasi sempre
asintomatico. L'inadenza dei sintomi è però sopravalutata in quanto in genere
sono i pazienti sintomatici. La sintomatologia, quando presente, è costituita
da palpitazioni precordiali, dolori toracici, astenia, vertigini, lipotimie,
ansia. Tali disturbi fanno parte di quella che è stata definita sindrome del
PVM, e sono attribuibili più ad una disfunzione del sistema nervoso autonomo,
che all'anomalia valvolare. Le donne hanno, in genere, sintomi più evidenti.
Per quanto i pazienti possano divenire sintomatici a qualsiasi età, la maggior
parte lo diviene nella seconda o terza decade. è di rilievo notare che nello
studio di Framingham, eseguito su una popolazione non selezionata di soggetti,
è stato osservato che sintomi come il dolore toracico e la sincope, non sono più
frequenti nei pazienti con PVM rispetto a soggetti senza PVM.
I
sintomi d'esordio della sindrome da PVM suggeriscono l'esistenza di uno stato
iperadrenergico accompagnato da disfunzione nervosa autonomica o da disturbi
metabolici o da una loro associazione. Se esista una sindrome da PVM come entità
autonoma o se un PVM si associa semplicemente a stato di ansia e disfunzione del
sistema nervoso autonomo è un punto controverso per l'insufficienza di dati
probativi. Boudoulas e Coll. affermano che i pazienti sintomatici con PVM
presentano un quadro costituzionale neuroendocrino-cardiovascolare derivante da
una stretta relazione di probabile natura genetica tra PVM anatomico e
disfunzione o squilibrio del sistema nervoso autonomo a livello centrale o
periferico.
L'incidenza
di sintomi descritta nei pazienti con PVM è probabilmente esagerata, dal
momento che la maggior parte degli studi è stata effettuata in istituti
clinici, con possibile squilibrio della selezione. La vera incidenza dei sintomi
in questi pazienti è quindi sconosciuta.
La
patogenesi dei sintomi nei pazienti con PVM non è del tutto conosciuta e sembra
correlarsi ad alterata funzione del sistema nervoso autonomo, responsività
adrenergica o ad una combinazione di questi fattori. L'aumentata attività
adrenergica, la regolazione catecolaminica anomala e l'iperresponsività
adrenergica osservata in taluni pazienti con PVM fanno pensare che alcuni
sintomi possano essere catecolamino-correlati o mediati: in alcuni pazienti,
un'alterazione del tono vagale e l'attività dei recettori adrenergici o dei
barocettori possono giocare un ruolo nella patogenesi dei sintomi.
I
pazienti con sindrome da PVM hanno una bassa volemia ed una aumentata risposta
renina-aldosterone alla deplezione di volume: ciò può spiegare perché alcuni
pazienti con sindrome da PVM abbiano una maggiore suscettibilità alla
deplezione di volume in alcune situazioni cliniche (es. malattie acute, uso di
diuretici, disidratazione da forte attività fisica, perdite ematiche
chirurgiche o traumatiche). I cambiamenti clinici di volume nelle donne
mestruate ed i protratti cambiamenti in gravidanza possono modificare la
sensazione di benessere o alterare i sintomi correlati a questi meccanismi. E'
probabile inoltre che, in alcuni pazienti con sindrome da PVM, una secrezione
inappropriata di fattore natriuretico atriale possa contribuire alla patogenesi
della sintomatologia. E' fondamentale, per la comprensione del ruolo del fattore
natriuretico atriale in questa sindrome, la relazione del sistema
neuroendocrino-atriopeptina con il sistema adrenergico, a livello sia centrale
sia periferico. La possibilità che la secrezione di fattore natriuretico
atriale sia influenzata o regolata dal sistema nervoso adrenergico e viceversa
non può essere esclusa. Così, nella sindrome da PVM le alterazioni cardiache,
renali, surrenaliche e del sistema nervoso autonomo coesistono ed interagiscono,
creando un complesso processo neuroendocrino-cardiovascolare che giustifica i
sintomi non spiegabili sulla base della sola anomalia valvolare.
Il
dolore toracico presente nella sindrome da PVM è un disturbo piuttosto
frequente. Boudoulas e Coll. hanno trovato in un gruppo di pazienti da loro
osservati un'incidenza del 60%. Il dolore toracico era il sintomo iniziale nel
50% dei maschi e nel 36% delle femmine.
I
pazienti descrivono il dolore come una sensazione precordiale, acuta e pungente,
oppure come un dolore intermittente ricorrente senza evidente relazione con lo
sforzo. Alcuni pazienti avvertono una pressione o pesantezza retrosternali
persistenti in seguito ad esercizi fisici moderati, brevi ed intensi od
inusuali. Attacchi iniziali o ricorrenti di dolore toracico si possono avere in
seguito a stress emotivi, traumi o interventi chirurgici. La varietà dei tipi
di dolore toracico e le interrelazioni tra dolore toracico, stanchezza, ansietà,
aritmie e stress sono tali da rendere necessarie, nelle singole situazioni,
osservazioni multiple e un certo numero di esami diagnostici cardiovascolari,
per identificare le caratteristiche del dolore o le situazioni in cui esso
interviene.
Per
valutare il dolore toracico nei pazienti con PVM è necessario possedere capacità
di giudizio clinico e buon senso. Bisogna tenere nella giusta considerazione
l'età, il sesso e la storia familiare del paziente, oltre ad altri possibili
fattori contribuenti. Il dolore toracico atipico nel paziente giovane con PVM è
molte volte un enigma. Un dolore toracico anginoso tipico in un paziente con PVM
richiede di solito una valutazione più approfondita. Dato che la terapia e la
prognosi dei pazienti con dolore toracico associato a PVM possono essere
piuttosto differenti rispetto a quelle dei pazienti nei quali il dolore toracico
è legato a forme ostruttive o ad altre forme di patologia miocardica o
valvolare, il riconoscimento, la differenziazione e la definizione della
coesistenza di queste malattie sono di importanza critica.
E'
opinione di alcuni Autori, tra i quali Boudoulas, che il dolore toracico sia un
fenomeno reale, anche se i medici hanno difficoltà a comprendere la natura
atipica del fastidio toracico. Apparentemente, nei pazienti con sindrome da PVM,
il dolore toracico ha varie cause. Mentre gli studi sui pazienti con dolore
toracico e arterie coronarie normali devono ancora spiegare i meccanismi
patogenetici specifici di tale dolore, questi stessi studi suggeriscono che
siamo alle soglie di una nuova era nella comprensione di tale enigma.
Un
eccessivo stiramento delle corde tendinee è stato suggerito quale possibile
meccanismo del dolore toracico. La tensione aumentata delle corde tendinee causa
presumibilmente una trazione forzata sui muscoli papillari e sulla parete
adiacente del ventricolo sinistro, che può determinare modificazioni a livello
dei muscoli papillari e del flusso ematico subendocardico. Il flusso ematico
subendocardico può essere valutato in base alla pressione diastolica-tempo
(DPTI) e le richieste miocardiche di ossigeno in base all'indice del tempo di
tensione (TTI). Negli individui sani, la risposta ischemica ad uno sforzo
notevole ed improvviso è stata registrata quando il rapporto DPTI/TTI scende al
di sotto di 0,44. E' possibile che i pazienti con PVM possano avere un'ischemia
del muscolo papillare o subendocardica anche con valori più elevati di questo
rapporto, se la tensione sul muscolo papillare e sulla parete ventricolare
adiacente aumenta con l'entità del prolasso. Nei pazienti con sindrome da PVM
possono essere frequenti improvvisi cambiamenti del rapporto DPTI/TTI. In questi
pazienti possono instaurarsi frequenze cardiache estremamente elevate,
tachicardie sinusali inappropriate con eccessive variazioni posturali e stress
fisici e metabolici.
Con
il PVM può coesistere un tono adrenergico aumentato, che accresce ulteriormente
il consumo miocardico di ossigeno. Anche una riduzione del volume plasmatico
associata con l'ipotensione ortostatica può avere importanza.
L'infusione
di lattato in pazienti ansiosi ha determinato dolore toracico ed altri sintomi
uguali a quelli associati con la sindrome da PVM. Ciò accadeva quando il
lattato sierico raggiungeva livelli all'incirca uguali a quelli associati con
l'esercizio fisico o con altri stress fisiologici. Il dolore indotto con le
infusioni di lattato si prolunga per parecchie ore ed è possibile che i
pazienti sviluppino un dolore ischemico di breve durata durante lo sforzo, che
viene poi ulteriormente aggravato da alterazioni metaboliche locali o sistemiche
che possono persistere per ore. Negli studi condotti da Boudoulas e Coll.,
l'infusione di isoproterenolo ha riprodotto i sintomi, incluso il dolore
toracico, con un'intensità correlata alla dose nei pazienti sintomatici con
PVM, mentre in numerosi altri studi è risultato che tali pazienti hanno un tono
adrenergico elevato a riposo; perciò, alcuni dei sintomi nei pazienti con PVM
potrebbero essere in relazione o mediati dalle catecolamine.
I
pazienti con PVM tendono ad avere un habitus longilineo con peso corporeo
inferiore rispetto a quello previsto per l'altezza; sono inoltre comuni
anormalità scheletriche (scoliosi della colonna vertebrale, schiena dritta,
pectus excavatum ecc.). E' di frequente riscontro una ipotensione arteriosa, che
in alcuni soggetti, sintomatici per lipotimie, può ulteriormente ridursi in
ortostatismo; è stato osservato anche un eccessivo aumento della frequenza
cardiaca in conseguenza della assunzione della posizione ortostatica.
I
reperti auscultatori cardiaci classici del PVM sono il click sistolico non
eiettivo, accompagnato o no dal soffio sistolico tardivo. L'origine del click
sarebbe dovuta allo stiramento delle corde tendinee allungate e funzionalmente
ineguali messe in tensione quando il lembo valvolare raggiunge la massima
protrusione, mentre l'origine del soffio è attribuita al rigurgito mitralico
che si instaura dopo che la valvola prolassa in atrio sinistro. La durata del
soffio e la comparsa del click sono influenzate dal volume ventricolare
sinistro; ciò dà una spiegazione delle variazioni di comparsa del click e
della durata del soffio che si osservano con diverse manovre.
Le
manovre che riducono il riempimento ventricolare (ortostatismo, fase di
pressione della manovra di Valsalva, inspirazione e tachicardia) causano un
prolasso precoce e più pronunciato. Il click viene udito più precocemente
nella sistole ed il soffio è più lungo e più evidente. Un click che prima era
isolato può diventare multiplo o può associarsi ad un soffio. E' possibile
ascoltare un click singolo o click multipli quando, in precedenza, non vi era
alcun suono anormale.
Le
manovre che aumentano il volume del ventricolo sinistro (clinostatismo, fase di
rilasciamento della manovra di Valsalva, espirazione e bradicardia) determinano
una comparsa più tardiva del click durante la sistole. Il soffio diventa più
breve e meno intenso. Le variazioni di posizione del paziente o la manovra di
Valsalva sono in genere sufficienti come aiuto per la diagnosi. L'handgrip
incrementa le resistenze periferiche e aumenta sia il volume sia la pressione
ventricolare, riducendo lo svuotamento del ventricolo sinistro. Come risultato
si ha un ritardo nella comparsa del click e del soffio (riduzione del volume),
ma un aumento della sua intensità (maggiore pressione).
La
durata del soffio è determinata dal grado dell'insufficienza mitralica. Una
comparsa tardiva durante la sistole indica che l’insufficienza è lieve. Se il
prolasso è olosistolico, il soffio assumerà le caratteristiche classiche
dell’insufficienza mitralica emodinamicamente significativa. L'itto può
essere spostato a sinistra, indicando un ingrandimento del ventricolo sinistro.
E' possibile ascoltare, inoltre, un tono di galoppo S3 o rantoli polmonari.
L'ascoltazione
è da alcuni ritenuta il metodo più sensibile e più specifico per la diagnosi
di PVM e click e soffio sono entrambi considerati segni patognomonici di esso.
Nello studio di Framingham però, circa il 50% dei soggetti con click sistolico
aveva un prolasso evidenziabile all'ecocardiogramma, mentre meno del 15% di
quelli con segni ecocardiografici di prolasso avevano un click sistolico
all'ascoltazione. Dal che si deduce che è l'ecocardiogramma a possedere la
maggiore sensibilità diagnostica.
La
radiografia del torace è generalmente normale, a meno che non sopravvenga una
grave insufficienza mitralica con i problemi ad essa associati.
Humphries
e McKusick furono i primi a porre l'attenzione sulle alterazioni
elettrocardiografiche nel PVM, coniando il termine sindrome
auscultatoria-elettrocardiografica; essi sbagliarono credendo che le variazioni
osservate all'ECG fossero i residui di una pericardite.
Furono
Barlow e Coll. a descrivere in dettaglio le alterazioni dell'ST e della T
associate al prolasso valvolare mitralico.
Le
tipiche modificazioni elettrocardiografiche consistono in una parziale o totale
inversione dell'onda T nelle derivazioni II, III e aVF, associate o meno a lieve
sottoslivellamento del tratto ST (fig.03
La
varietà delle alterazioni elettrocardiografiche può essere simile a quella
osservata nelle malattie coronariche o miocardiche, includendo i cambiamenti
specifici del tratto ST e dell'onda T, l'inversione dell'onda T nelle
derivazioni inferiori o l'inversione diffusa dell'onda T. Tale inversione può
essere completa o parziale; possono evidenziarsi onde U prominenti. Si possono
avere modificazioni spontanee dell'ECG, specialmente con cambiamenti posturali.
Alterazioni del tratto ST sono state rilevate durante lo sforzo e non sempre
sono associate al dolore toracico. Vi è un'elevata incidenza di falsi positivi
all'ECG da sforzo, con depressioni del tratto ST maggiori di 2mm. Le risposte
del test ergometrico devono dunque essere interpretate con cautela.
Le
aritmie ventricolari e sopraventricolari sono probabilmente le manifestazioni più
comuni del PVM. Sono state osservate una grande varietà di aritmie, ma è stato
notato che i battiti ectopici ventricolari rappresentano il disturbo del ritmo
prevalente. Le aritmie sopraventricolari nel PVM comprendono la tachicardia
parossistica sopraventricolare, il flutter atriale e la fibrillazione atriale.
Alcuni Autori hanno riportato la presenza al monitoraggio Holter di episodi di
tachicardia sinusale non correlata all'attività fisica o a stress emozionali.
Tale aritmia, che raggiungeva anche frequenze di 140-150 bpm, potrebbe
rappresentare, a dire di Jeresaty, una tachicardia da rientro. I pazienti in
questi casi riferiscono palpitazioni, stanchezza, vertigini, durante tali
episodi.
Una
associazione tra pre-eccitazione e PVM fu notata per la prima volta da Gallagher
e Coll. Su 68 pazienti con Wolff-Parkinson-White, 7 avevano un click
mesosistolico con o senza soffio apicale e un PVM fu documentato
ecocardiograficamente o angiograficamente (o con entrambe le metodiche). Tale
associazione è stata riportata anche da altri Autori.
Ecocardiogramma
M-mode.Anche se è stata la prima tecnica ecocardiografica utilizzata per la
diagnosi di PVM, mantiene ancora oggi la sua importanza a causa della sua alta
specificità. Caratteristica principale del PVM all'ecocardiogramma M-mode è lo
spostamento sistolico dei lembi mitralici al di sotto della linea CD (fig.01
La
presenza di ridondanza valvolare - che da Nishimura viene definita come un
aumentato (> di 5 mm) spessore di uno o entrambi i lembi mitralici, misurati
in diastole, - oltre che assumere un importante significato prognostico, aumenta
notevolmente la specificità diagnostica (fig.04
Shah
e Gramiak per primi descrissero nei dettagli la protrusione della valvola
mitrale e lo spostamento posteriore ad amaca del lembo mitralico durante la
sistole. Successivamente Dillon e anche Kerber descrissero in maniera simile la
protrusione posteriore in medio-sistole del lembo mitralico, che considerano
elemento specifico del prolasso della mitrale.
Tuttavia
gli aspetti tecnici dell'ecocardiogramma M-mode sono estremamente importanti da
considerare nei riguardi dei falsi positivi e dei falsi negativi. Markievicz
dimostrò che un trasduttore posto in alto sulla parete toracica con una
angolazione caudale può causare un falso positivo. Di converso, se il
trasduttore è posto in basso sul torace e orientato in senso cefalico può
provocare un falso negativo.
Altri
segni ecocardiografici oltre a quelli già descritti precedentemente, come gli
echi sistolici nella parte media dell'atrio sinistro, il movimento sistolico
anteriore, il precoce movimento diastolico anteriore del lembo mitralico
posteriore, la cascata di echi diastolici posteriori alla valvola mitrale, sono
stati considerati altamente specifici, ma, oltre che poco comuni, hanno anche
sensibilità bassissima, nell'ordine del 3-10%.
Ecocardiogramma
bidimensionale. Tale tecnica permette di visualizzare direttamente la
protrusione dei lembi mitralici in atrio sinistro; i criteri bidimensionali più
usati sono: l'incurvamento ad arco dei lembi (arching) in proiezione asse lungo
parasternale; la protrusione in atrio sinistro dei lembi in sistole (bowing),
osservabile in proiezione 4 camere apicale; la coaptazione dei lembi mitralici
in sistole a livello o al di sotto del piano valvolare (fig.05
Oltre
alle anomalie di movimento precedentemente descritte, altri elementi importanti
al fine di diagnosticare un PVM, sono costituiti dalle alterazioni morfologiche
dell'apparato mitralico: la ridondanza dei lembi valvolari, l'aumento delle
dimensioni dell'anello valvolare mitralico; l'aumentata lunghezza delle corde
tendinee e/o dei lembi valvolari; un'anomala inserzione delle corde tendinee o
un aumento delle stesse. La presenza di tali anomalie, anche se non deve essere
considerata essenziale per la diagnosi di PVM, ha notevole importanza clinica e
prognostica, in quanto permette di identificare tipi diversi di PVM con
evoluzione differente. Secondo Virmani, un'anomalia della inserzione o della
lunghezza delle corde tendinee favorirebbe uno stiramento eccessivo delle
stesse, predisponendo alla rottura o alla degenerazione.
Ecocardiografia
Doppler. Permette inoltre di evidenziare e quantificare l'eventuale presenza di
insufficienza mitralica; con l'ausilio del color-Doppler la diagnosi viene ad
essere semplificata.
La
diagnosi è basata sul riscontro anamnestico, l'esame obiettivo,
l'ecofonocardiografia e l'ecocardiografia Doppler. La storia familiare permette
di ottenere importanti informazioni sulla possibile ereditarietà del PVM: i
membri della stessa famiglia possono avere sintomi, segni e complicanze simili
tra loro.
L'ecocardiografia
mono e bidimensionale, tenendo presenti i sintomi clinici, è un test
diagnostico di indubbio valore, così come l'ecocardiografia Doppler può
permettere di identificare un'insufficienza mitralica e documentare la direzione
e la durata del rigurgito. Allo studio con Doppler pulsato può inoltre essere
associata l'ecocardiografia Doppler a colori.
Generalmente
la diagnosi di PVM è affidabile qualora sia basata sul reperto ascoltatorio con
variazioni posturali e confermata dal riscontro ecocardiografico. Le diagnosi
basate sulla sola interpretazione soggettiva di click sistolici senza conferma
ecocardiografica o sui dati ecocardiografici non specifici, in assenza di altre
correlazioni cliniche, hanno portato a valutazioni esagerate dell'incidenza del
PVM.
Sebbene
l'ecocardiografia sia da molti considerata il gold standard per la diagnosi di
PVM, è stato evidenziato, con tale metodica, un eccesso diagnostico in persone
del tutto normali. Infatti non esiste un punto netto di demarcazione tra uno
spostamento sistolico patologico ed uno spostamento che può essere compreso in
una curva gaussiana di normale distribuzione.
Un
contributo fondamentale a chiarificare la diagnosi ecocardiografica di PVM è
stato portato da Levine e Coll., che dimostrando che l'anello valvolare
mitralico ha una configurazione "a sella" e non planare, ha portato
alla esclusione della proiezione 4 camere apicale per la diagnosi di PVM, quando
non accompagnata da altre anomalie dell'apparato valvolare (ispessimento dei
foglietti, insufficienza mitralica) o quando non confermata dalla proiezione
asse lungo parasternale.
E'
comunque necessario che la diagnosi esclusivamente ecocardiografica di PVM si
basi su criteri molto restrittivi, che seguendo le raccomandazioni del gruppo di
Perloff dovrebbero essere: un severo incurvamento di uno o di entrambi i lembi
mitralici in atrio sinistro (sia in proiezione 4 camere apicale sia in
proiezione lungoassiale); un punto di coaptazione in atrio sinistro; moderata o
severa insufficienza mitralica, associata con un incurvamento dei lembi anche di
grado lieve o moderato; una insufficienza mitralica lieve associata ad
incurvamento di almeno un lembo di grado moderato. Un grado moderato di
incurvamento associato ad una insufficienza mitralica moderata fa considerare
come probabile la diagnosi di PVM.
Di
notevole importanza ai fini diagnostici deve essere considerato il riscontro di
anomalie strutturali dell'apparato valvolare mitralico, di cui si è detto in
precedenza.
E'
comunque da considerare, ai fini diagnostici, come i criteri ascoltatori, se ben
applicati, costituiscono per alcuni il vero gold standard diagnostico. Si può
quindi affermare che una diagnosi di PVM ha sì nell'ecocardiogramma un notevole
supporto diagnostico, ma deve essere il risultato di un'attenta valutazione
clinica, basata sull'anamnesi, sull'esame obiettivo generale e sull'ascoltazione
attenta del soggetto.
Nel
1985 Nishimura e Coll. riportarono i risultati di un follow-up a lungo termine
(6,2 anni) su un gruppo di PVM documentati con ecocardiogramma M-mode e
segnalarono che l'ispessimento dei lembi mitralici costituisce un fattore
predittivo di complicanze quali l'endocardite infettiva o la morte improvvisa,
ma non l'embolia cerebrale. Anche un diametro diastolico del ventricolo sinistro
superiore a 60 mm potrebbe predire significativamente la necessità di un futuro
intervento chirurgico. Questi Autori concludono per una prognosi sostanzialmente
benigna nel gruppo di PVM senza dilatazione ventricolare sinistra e con lembi
valvolari di normale spessore.
Nel
1988 Daren e Coll. pubblicarono i risultati di un lungo follow-up (6,1 anni) di
300 pazienti, giungendo alla conclusione che il PVM avrebbe una prognosi
tutt'altro che benigna: infatti, ben 100 dei 300 pazienti da loro studiati
avevano presentato, nel corso del periodo di follow-up, importanti complicanze
quali la morte improvvisa, aritmie ventricolari complesse, embolie cerebrali,
endocarditi, insufficienza mitralica severa. Alcune caratteristiche della
popolazione esaminata (pazienti sintomatici e per la maggior parte già affetti
da insufficienza mitralica al momento dell'arruolamento) fanno di questo studio
un interessante contributo, ma impediscono di estendere i risultati a tutti i
pazienti con PVM.
Altri
studi caso-controllo hanno documentato che il sesso maschile e l'età superiore
a 45 anni determinano un aumento del rischio di severa insufficienza mitralica e
di endocardite infettiva.
L'occorrenza
della morte improvvisa in pazienti con PVM e albero coronarico normale è stata
documentata in studi autoptici. Questo tipo di patologia spiegherebbe però solo
l'1% delle morti improvvise riportate da Davies e Coll.: la percentuale è
addirittura inferiore a quella della popolazione generale.
Per
quanto riguarda le aritmie, sia quelle atriali, sia quelle ventricolari sono
altamente frequenti in soggetti adulti ambulatoriali non affetti da PVM o da
qualunque altra cardiopatia clinicamente evidente. Inoltre, la prevalenza di
aritmie è sovrapponibile nei pazienti con PVM e nei soggetti di controllo
paragonabili per i sintomi, per cui la semplice dimostrazione di un'aritmia,
anche complessa, non è rilevante dal punto di vista prognostico. Se invece a
essa si associano altri fattori quali il rigurgito mitralico e la disfunzione
ventricolare sinistra, allora il rischio di morte improvvisa aumenta da 50 a 100
volte rispetto alla popolazione globale di pazienti con PVM. Il rischio annuale
di morte improvvisa su base aritmica sarebbe dunque di 1/50-1/100 nei casi di
PVM con severa insufficienza mitralica, ma soltanto 1/5400 nei pazienti con
rigurgito lieve o assente.
E'
stato stimato che il rischio di endocardite infettiva sia da tre a otto volte
superiore nei pazienti con PVM rispetto alla popolazione generale; il rischio
maggiore è per i maschi di età superiore a 45 anni, con una storia di soffio
sistolico. Dati riferiti alla popolazione americana stabiliscono che l'incidenza
media dell'endocardite infettiva è di 1/20.000 per anno nella popolazione
generale.
L'endocardite
infettiva è un evento che viene correlato alla presenza del prolasso mitralico.
La prima segnalazione di tale associazione risale al 1964 ed è stata
considerata una rara complicanza del PVM. La sua incidenza in studi prospettici
varia da 1 a 10%. La probabilità assoluta di sviluppo di endocardite infettiva
in una persona con PVM definito ecocardiograficamente è stata calcolata in
circa 1 su 7000 per anno. Nello studio di Nishimura l'incidenza è dell'1,3%; i
casi erano tutti appartenenti a valvole ridondanti.
Tale
segnalazione è utile per il clinico, dal momento che per lui è di grande
importanza conoscere se praticare o meno la profilassi antibatterica. I pazienti
con prolasso della mitrale che presentano soffio da rigurgito mitralico sono a
più alto rischio di endocardite rispetto a quelli che non hanno soffio.
Si
calcola che l'endocardite infettiva si possa sviluppare in circa 1 persona ogni
1400 per anno, se il prolasso si associa a insufficienza mitralica, mentre le
possibilità sono di 1 su 56.000 per anno in assenza di soffio.
In
uno studio caso-controllo, su 51 casi di endocardite ben il 25% avevano il
prolasso della mitrale. Analizzando tale studio si può osservare che nei
cosiddetti "casi" il 43%, oltre al prolasso, aveva altre lesioni
cardiache ad alto rischio, aveva inoltre subito manovre cruente, nel cavo orale
o altre procedure invasive, o infine si trattava di tossicodipendenti per droghe
assunte per via parenterale (ben il 27% del gruppo). Nei controlli le
caratteristiche prima citate erano presenti solo nel 14% dei pazienti. E ancora,
nei 51 casi di endocardite, la diagnosi di endocardite era ottenuta da riscontri
clinici e autoptici in 21 pazienti (43%), mentre in 29 (56,8%) dalla sola
documentazione clinica. In tale studio i criteri clinici richiesti perché un
paziente potesse essere collocato nel gruppo dei pazienti affetti da endocardite
era l'esistenza di un soffio cardiaco e almeno due emocolture ottenute in
momenti diversi che avessero evidenziato lo stesso microrganismo. Nessun
criterio ecocardiografico veniva adottato per la diagnosi di endocardite, anche
se sappiamo che la sensibilità del metodo ecocardiografico in M-mode nel
rilevare vegetazioni sulle valvole è abbastanza scarsa, aggirandosi attorno al
34%.
In
studi recenti, effettuati su popolazioni dei Paesi industrializzati, il PVM
rappresenta dal 38 al 64% delle cause di insufficienza mitralica pura di
interesse chirurgico. La probabilità di sviluppare una insufficienza mitralica
emodinamicamente importante sarebbe circa 30-40 volte superiore nei pazienti con
PVM rispetto alla popolazione generale; è stato calcolato che circa il 4-5% dei
maschi e l'1,5% delle femmine con PVM vanno incontro, entro i 70 anni, ad una
insufficienza mitralica di entità tale da richiedere l'intervento chirurgico.
L'insufficienza
mitralica progressiva è la conseguenza immediata di una mancata apposizione dei
lembi valvolari.
L'ingrandimento
dell'anello valvolare, la ridondanza dei lembi e la rottura di corde tendinee
sono i costituenti anatomici che provocano rigurgito mitralico, che trova nel
caratteristico soffio il corrispettivo acustico. E' probabile che alcuni
pazienti, specie di media età o anziani, svilupperanno rigurgito mitralico
severo associato a rottura di corde tendinee. Questa frequentemente si
accompagna a lembi mitralici mixomatosi.
Negli
anni più recenti il PVM è stato riconosciuto la causa più comune di
insufficienza mitralica che richiede l'intervento di sostituzione valvolare.
Numerose,
spesso contraddittorie, sono le segnalazioni riguardanti pazienti con episodi
ischemici cerebrali attribuiti a un meccanismo tromboembolico a partenza da
trombi fibropiastrinici nel cul di sacco tra la superficie atriale della base
del lembo posteriore della valvola mitrale e la parete posteriore dell'atrio
sinistro.
Tre
meccanismi possibili sono invocati per giustificare lesioni ischemiche
cerebrali. Prima di tutto esse possono essere correlate ad endocardite
batterica. In secondo luogo possono essere correlate a turbe del ritmo cardiaco.
La terza possibilità è che le formazioni tromboemboliche non infette possono
staccarsi da valvole mixomatose.
La
presenza di lesioni aterosclerotiche dei vasi cerebrali nei soggetti anziani
rende non praticabile l'ipotesi di corresponsabilità del prolasso in questa
popolazione. Solo nei pazienti giovani si ritiene che la patologia cerebrale
possa essere correlata alla presenza del prolasso.
L'analisi
della popolazione presa in considerazione nello studio di Barnett può porre
alcune considerazioni. Intanto, l'eguaglianza della prevalenza del prolasso tra
popolazione maschile e popolazione femminile nei pazienti più anziani è nel
lavoro di tale Autore concordante con i dati della letteratura. Ma la prevalenza
degli uomini nei pazienti più giovani con PVM rispetto alle donne è inusuale,
tanto più che nel gruppo controllo di pari età la prevalenza del prolasso è
nel sesso femminile, come generalmente riconosciuto.
Più
corretto sembra pertanto il più recente studio di Nishimura condotto su 237
pazienti con PVM. Il follow-up medio di 6,2 anni (da 1 a 10,4 anni) ha potuto
stabilire che l'evento embolico si era presentato in appena lo 0,8% dei casi.
In
una revisione di 25 casi di morte improvvisa associata a PVM, Jerasaty
identificava le potenziali vittime fra quelle che avevano le seguenti
caratteristiche: donna di 40 anni con una storia di sincopi, che avesse un
soffio telesistolico preceduto da click, con alterazioni elettrocardiografiche
del tratto ST e variazioni dell'onda T in sede infero-laterale, e storia
familiare di morte improvvisa.
La
responsabilità di altre malattie quali le coronaropatie, ie cardiomiopatie, il
prolungamento dell'intervallo QT, considerando l'alta frequenza del prolasso
nella popolazione generale, ha fatto ritenere sproporzionata l'attenzione su
tale evento in pazienti con prolasso. Infatti solo in casi selezionati di PVM è
stato possibile trovare una correlazione e questa risultò positiva
esclusivamente in pazienti con valvola mixomatosa.
La
caratteristica ecocardiografica va ricercata nella ridondanza dei lembi
valvolari, tanto che solo in tale circostanza è stata riscontrata la morte
improvvisa nello studio di Nishimura, che riporta l'evento con una incidenza del
2,5% nei suoi 237 pazienti studiati.
L'ischemia
e l'infarto del miocardio sono altri aspetti di patologie che con il PVM hanno
trovato occasioni di confronto. Una certa propensione all'accostamento può
nascere tra l'altro dal fatto che molti pazienti con PVM hanno aspetti
elettrocardiografici molto suggestivi di alterazioni ischemiche, mentre tanti
pazienti accusano algie precordiali a volte sovrapponibili ai canoni classici
descritti per l'angina.
E'
stato ampiamente dimostrato che gli esami coronarografici nei pazienti con PVM
primario sono normali. Pertanto è chiaramente inappropriato ammettere che
l'aspetto elettrocardiografico possa essere attribuito ad ischemia.
Altro
è ovviamente il problema di una situazione ischemica o infartuale in cui esiste
il prolasso, ma questo è da considerare secondario.
L'approccio
terapeutico dipende dalla gravità della disfunzione mitralica, dalla gravità
dell'insufficienza mitralica e dalla necessità di prevenire le complicanze.
Soltanto
un'accurata valutazione del singolo paziente, che tenga conto di tutta una serie
di dati anamnestici (familiari e personali) e clinico-strumentali, può portare
a una strategia corretta.
I
pazienti asintomatici con click sistolici hanno, nella maggioranza dei casi, un
PVM di limitata importanza clinica, spesso non progressivo e, in tal caso, il
provvedimento più importante è la prevenzione dell'endocardite infettiva.
Inizialmente la profilassi con antibiotici per l'endocardite infettiva veniva
consigliata a tutti i pazienti con PVM. Più recentemente, invece, è stato
rivisto tale comportamento e la profilassi è raccomandata solo ai pazienti che
hanno un PVM nei quali coesista anche una insufficienza mitralica. Ciò anche
sulla base di riscontri statistici recenti che affermano che la probabilità
assoluta di sviluppo di endocardite infettiva in una persona con PVM definito
ecocardiograficamente è stata calcolata in circa 1 su 7.000 per anno.
Molto
dibattuta è l'indicazione alla terapia antiaritmica volta alla prevenzione
della morte improvvisa: questa sembra verificarsi nel 2-4% dei pazienti con PVM
e rigurgito severo, ma non vi è ancora alcuna dimostrazione che il trattamento
possa prevenire la morte improvvisa. E' stato calcolato che per prevenire un
caso di morte improvvisa all'anno dovrebbero essere trattati almeno 300 pazienti
con aritmie ventricolari ripetitive. Dunque una terapia antiaritmica, intesa
come prevenzione della morte improvvisa, non deve essere instaurata nei casi di
PVM non complicato. Invece, in presenza di severa insufficienza mitralica e
disfunzione ventricolare sinistra, con storia di sincope e documentazione
all'elettrocardiogramma dinamico di aritmie ventricolari minacciose, la terapia
antiaritmica può essere presa in considerazione, ricordando comunque che
l'obiettivo terapeutico fondamentale resta, in questi casi, la correzione
dell'insufficienza mitralica.
Non
è facile stabilire una linea terapeutica ai fini della prevenzione di episodi
ischemici cerebrali. Non sembra possibile l'identificazione di sottogruppi a
rischio specifico, almeno sulla base dei dati dei follow-up disponibili.Un utile
supporto può venire dalla valutazione dell'assetto emocoagulativo del paziente:
negli stati trombofilici, associati ad anamnesi positiva per episodi ischemici
cerebrali non altrimenti spiegabili, tanto più se sono presenti anomalie di
struttura dei lembi mitralici, è opportuna una terapia antiaggregante.
Per
quanto concerne il trattamento dell'insufficienza mitralica l'insegnamento
clinico classico era quello di ritardare l'intervento chirurgico fino allo
sviluppo di una sintomatologia significativa, almeno la III classe NYHA (New
York Heart Association), o di una disfunzione ventricolare sinistra. Attualmente
vanno però considerati alcuni nuovi fattori: i progressi nella diagnosi
preoperatoria, intraoperatoria e postoperatoria, mediante l'eco-color-Doppler,
transtoracica, epicardica, transesofagea; le migliori tecniche di protezione
miocardica durante l'intervento chirurgico; l'avvento delle tecniche di
riparazione della mitrale. La chirurgia ricostruttiva, infatti, rispetto alla
sostituzione protesica, presenta una minore mortalità e morbilità
intraoperatoria e postoperatoria, una minore incidenza di complicanze a
distanza, una migliore conservazione della funzione ventricolare sinistra, una
riduzione dei casi in trattamento anticoagulante e, non trascurabile, un minor
costo economico in senso stretto.
Tutto
ciò consente l'intervento anche in fasi più precoci, quando sicuramente la
funzione ventricolare sinistra è ancora ben conservata. A questo proposito
bisogna sottolineare come, nel follow-up dei pazienti con PVM e rigurgito
mitralico, proprio la funzione ventricolare sinistra costituisca un parametro da
seguire con attenzione, per non giungere all'intervento in tempi
prognosticamente più sfavorevoli.
E'
importante informare il paziente sulla natura della malattia e sui suoi sintomi
e soprattutto sottolineare gli aspetti positivi dei risultati a lungo termine. E
anche importante istruirlo sui fattori che possono iniziare od aggravare la
sintomatologia.
I
pazienti con PVM sintomatico possono avere livelli elevati di catecolamine
circolanti, un'aumentata risposta adrenergica o entrambi; sostanze o farmaci
simpaticomimetici possono scatenare i sintomi, come anche i farmaci che
aumentano la secrezione di catecolamine endogene o di adenosin-monofosfato
ciclico, come caffeina, nicotina, aminofillina o sostanze che possono aumentare
la sensibilità alle catecolamine modificando la funzione dei recettori
beta-adrenergici, quali alcool e tiroxina. Anche lo stress può aumentare il
tono adrenergico e quindi le metodiche di trattamento dello stress possono
essere utili.
Nei
casi più gravi di PVM può essere indicata una terapia medica. I beta-bloccanti
possono dimostrarsi efficaci nell'alleviare il dolore toracico associato a PVM.
Benché il meccanismo d'azione non sia chiaro, i beta-bloccanti sembrano in
grado di produrre un aumento del volume del ventricolo sinistro, una riduzione
della sua contrattilità e quindi una diminuzione della tensione del muscolo
papillare.
Nell'ambito
della medicina dello sport, la valutazione dei soggetti con PVM diviene un
problema più medico-legale che clinico, in relazione al rilascio di
certificazione di idoneità agonistica.
Diversi
studi di follow-up clinico hanno indicato come il PVM sia una cardiopatia
sostanzialmente benigna e consenta in ambito sportivo prestazioni atletiche
anche di elevato livello. Viene tuttavia segnalata anche la sua possibile
associazione con alcune complicanze. Per tal motivo la concessione dell'idoneità
sportiva a soggetti portatori di PVM viene subordinata alla esecuzione di un
preciso protocollo di studio.
In
uno studio condotto da Mantovani e Coll. vennero presi in considerazione 18
atleti (11 maschi, 7 femmine) agonisti portatori di PVM seguiti per un periodo
variabile da 4 anni a 6 anni e 6 mesi (media 4 anni e 11 mesi), di età media di
17 anni (range 14-20 anni). Tutti gli atleti annualmente eseguivano visita
ambulatoriale, test da sforzo al cicloergometro, ECG dinamico secondo Holter di
24 ore, eventualmente ripetuto per più precisa definizione di eventuali
aritmie. Tutti furono inoltre sottoposti ad almeno due ecocardiogrammi (M-mode e
2D) e ad una valutazione Doppler. Sedici erano completamente asintomatici, uno
lamentò vaghe transitorie precordialgie da sforzo, uno riferì due brevi
episodi di cardiopalmo sotto sforzo. In 16 atleti fu riscontrato click
meso-telesistolico puntale; nessuno presentò obiettività di rigurgito
mitralico.
All'ECG
di base in tre atleti vennero riscontrate alterazioni della ripolarizzazione in
sede inferiore. Solo in due atleti furono riscontrate rare extrasistoli atriali
e/o ventricolari.
All'ecocardiogramma
l'entità della posterizzazione sistolica era di almeno 5 mm; tredici atleti
presentavano prolasso di entrambi i lembi valvolari mitralici, cinque solo del
lembo anteriore; uno mostrava associato prolasso tricuspidale.
La
totalità degli atleti presentava ai test da sforzo al cicloergometro un
incremento della capacità lavorativa in assenza di particolari segni negativi
(extrasistolia sopraventricolare sporadica in due atleti; ritmo giunzionale
accelerato in un atleta presente, tra l'altro, solo di base e a 25 W).
Le
registrazioni Hoker mostrarono extrasistoli sopraventricolari frequenti solo in
un soggetto, in due vennero riscontrate durante allenamento.
Al
follow-up comparve episodicamente rara extrasistolia sopraventricolare senza
ripetitività in 6 atleti e rara extrasistolia ventricolare in 7 atleti. In 1
atleta si riscontrò un breve episodio di tachicardia ventricolare non sostenuta
notturna (5 sec, 140 bpm) come unico episodio aritmico: due successive
registrazioni risultarono assolutamente negative. Extrasistolia ventricolare
venne ripetutamente registrata solo in un caso: monomorfa, con brevi episodi di
bigeminismo, senza però ripetitività. In nessun atleta si registrarono aritmie
ipocinetiche: solo due evidenziarono transitori episodi notturni di
dissociazione isoritmica bradicardia-dipendente.
Tali
Autori conclusero affermando che l'assenza di eventi cardiovascolari maggiori,
la scarsa incidenza, l'episodico riscontro ed il mancato aggravamento di aritmie
sia sopraventricolari sia ventricolari, il mantenimento o miglioramento di una
già elevata capacità funzionale, sembrano confermare la prognosi benigna e la
rara sfavorevole evolutività già segnalata in giovani portatori di PVM.
Pur
in presenza di un gruppo selezionato emerge il riscontro episodico, con scarsa
riproducibilità, di aritmie sopraventricolari e ventricolari; scarsa inoltre
apparve l'incidenza di aritmie durante l'attività fisica, senza loro
particolare aggravamento in corso di training.
Questi
dati, affermano gli Autori, non sembrano discostarsi da quelli riscontrati in
giovani atleti sani praticanti diverse discipline sportive.
Spataro
e Coll., in un follow-up su atleti portatori di PVM, osservarono che la storia
naturale del prolasso non è condizionata dall'attività sportiva praticata.
I
criteri di idoneità adottati da Mori e Coll. in un loro studio permettono di
selezionare una popolazione di soggetti con PVM la cui prognosi appare benigna.
Nel gruppo di soggetti da loro esaminati non furono osservate complicanze
maggiori.
Dal
punto di vista emodinamico l'attività sportiva sembrerebbe non esplicare una
influenza negativa dal momento che non furono osservate significative
modificazioni delle dimensioni delle cavità cardiache sinistre nei diversi
controlli. Tuttavia, dicono gli Autori, è possibile che alterazioni di questo
tipo siano espressioni più tardive del deterioramento valvolare, mentre ai fini
della idoneità sportiva, è importante poter cogliere i primi segni di un
possibile peggioramento; in questo senso l'ecocardiografia Doppler appare più
sensibile e ha consentito in questo studio di giudicare uno degli atleti non
idoneo proprio in considerazione di un peggioramento dell'entità del rigurgito
valvolare, che peraltro si associava alla comparsa di un soffio
meso-telesistolico non preesistente e ad un peggioramento del rigurgito anche
durante handgrip.
Mori
e Coll. sottolineano inoltre la necessità di valutare con maggiore attenzione,
con controlli più frequenti, quegli sportivi che mostrano i gradi maggiori di
PVM con importanti alterazioni anatomiche quali la dilatazione dell'anulus e
l'ispessimento dei foglietti.
Per
quanto concerne il rischio aritmico durante il periodo di follow-up è stato in
questo studio possibile rilevare solo un caso di aritmia complessa. Questo
conferma comunque la possibilità di aritmie maligne in atleti con PVM e la
capacità del monitoraggio elettrocardiografico durante l'allenamento specifico
di rivelare tali aritmie; capacità che appare superiore a quella del test
ergometrico.
Complessivamente
considerato, il gruppo di atleti studiati non mostrò una incidenza di aritmie
superiore a quella dei soggetti normali.
Sono
in genere i pazienti con sintomi più severi quelli che probabilmente trovano il
modo di avvicinarsi al medico, mentre i pazienti asintomatici sono meno propensi
a porsi all'attenzione del medico, a meno che non vengano eseguiti screening
particolari. Ciò porta alla conclusione che generalmente la prognosi e la
storia naturale di una data malattia cronica è senz'altro più favorevole di
quanto viene riportato in letteratura.
Ora,
per quanto riguarda il prolasso della valvola mitrale, ci siamo trovati in
questa strana e tutt'altro che scientifica situazione. Mentre da un lato i casi
di complicanze, generalmente le più gravi, anche se numericamente limitati,
sono stati oggetto di una larga denuncia, dal lato la prepotente affermazione
tecnica ecocardiografica ha dilatato consistentemente la prevalenza
dell'anomalia, ammiccando alla possibilità che ognuno dei soggetti che la
presenti possa essere un candidato alla complicanza. Sicché, invece di
resistere alla tentazione di etichettare come anomalo un inaspettato reperto in
una persona peraltro sana, specie se il reperto è la conseguenza di una tecnica
nuova come l'ecocardiografia, ci si è lanciati a creare allarmismi.
Ci
sono persone in cui il disordine è principalmente un riscontro ecocardiografico
e le espressioni ecocardiografiche sono in esse probabilmente varianti normali,
che riflettono i nostri progressi tecnologici nel definire il movimento della
valvola. Anche se questi soggetti non possono essere considerati veramente
esenti dalla malattia, non vi è alcun vantaggio clinico nel creare una
separazione tra soggetti con segni trascurabili e soggetti esenti da essi.
Sicché
sembra a questo punto assolutamente indispensabile ristabilire l'obiettività
scientifica. Bisogna innanzitutto prendere con la dovuta cautela i rapporti su
basi semplicemente osservazionali, ma si dia maggiore, se non esclusiva,
attenzione agli studi controllati.
Con
questo non si vuole rigettare l'utilità di una tecnica, specie se si ha la
convinzione che la giusta applicazione di essa può essere in grado di stabilire
una stratificazione dei pazienti e di riconoscere quelli a maggior rischio. A
tal riguardo è assolutamente indispensabile riconoscere un prolasso primario
della valvola da un prolasso secondario. In quest'ultima circostanza è la
malattia di fondo (cardiomiopatia, cardiopatia ischemica ecc.), di cui il
prolasso è solo un aspetto, che dà alla prognosi tutto il suo peso.
Nel
prolasso primario sono il danno anatomico della valvola e il grado dell'anomalia
emodinamica che stabiliscono la prognosi. Ma dal momento che spesso non esiste
una prognosi diversa tra insufficienza valvolare da prolasso e insufficienza
valvolare da altra causa, non è improbabile che la circostanza peculiare che dà
forza alla prognosi risieda in quella ridondanza dei lembi mitralici, che
rappresenta l'elemento ecocardiografico caratterizzante di una valvola
mixomatosa.
E'
auspicabile quindi che l'ecocardiografia, o altro mezzo diagnostico, sia in
grado di segnalare quegli aspetti morfologici rappresentativi delle alterazioni
anatomo-patologiche riscontrabili nei pazienti, fortunatamente pochi, a prognosi
sfavorevole.
L'osservazione
è senza dubbio base fondamentale della ricerca, ma poiché i mezzi impiegati
hanno qualche volta il potere di farci rappresentare una realtà che rischia di
diventare invenzione, non è superfluo richiamare l'attenzione sull'opportunità
che le conclusioni da trarre siano essenzialmente cliniche.
In
quest'ottica le linee lungo le quali sembra opportuno muoversi possono essere
così riassunte:
1)essere
sufficientemente certi che i segni e i sintomi presentati dal paziente possano
essere attribuiti al prolasso della mitrale e non ad altra causa;
2)distinguere
tra prolasso primario e prolasso secondario;
3)nei
pazienti con insufficienza mitralica valutare l'entità del rigurgito;
4)nei
pazienti con sintomi e/o segni di insufficienza coronarica mettere in atto la
diagnostica legata a tale condizione;
5)nei
pazienti con aritmie fare una sorveglianza di esse e una classificazione;
6)la
sincope è un evento non raro nella popolazione generale, sicché non bisogna
rinunciare mai alla ricerca di tutte le condizioni che possono determinarla,
tenendo presente che il prolasso può essere una presenza casuale;
7)richiedere
ai mezzi diagnostici invasivi e non invasivi un'analisi della consistenza
anatomo-funzionale della valvola, dal momento che solo una valvola ridondante
(probabilmente mixomatosa) è quella che dà la maggiore (se non esclusiva)
tendenza allo sviluppo di eventi negativi;
8)lo
spostamento posteriore di un lembo mitralico è il più delle volte una variante
normale del movimento dei lembi valvolari. Tale conoscenza è fondamentale per
non creare malati.
Quando
si è di fronte ad un paziente con sospetto PVM è fondamentale che la diagnosi
sia basata sul quadro ascoltatorio, integrato da una valutazione
ecocardiografica completa. Questa dovrà tener conto degli aspetti
ecocardiografici M-mode, confermati in eco 2D; andrà poi accuratamente studiata
l'anatomia dell'intero apparato mitralico e analizzato il rigurgito valvolare
con tecnica Doppler, sia tradizionale che a codice di colore, riservando l'eco
transesofagea ai casi con sospetta rottura cordale, quando vi sia già
un'indicazione chirurgica.
Una
volta posta diagnosi certa di PVM, è necessario un inquadramento prognostico:
qualora si tratti di una giovane donna senza insufficienza mitralica
documentabile non è indicata alcuna terapia specifica, né la profilassi
dell'endocardite infettiva. Ovviamente, diversa sarà la strategia nel caso di
soggetti anziani, soprattutto maschi, con rigurgito emodinamicamente
significativo.
In
tutti i casi che ricadono nella zona grigia intermedia tra questi due estremi,
il medico dovrà evitare concezioni aprioristiche che lo porterebbero
inevitabilmente a comportarsi come l'uomo cieco che tenta di descrivere
l'elefante: la descrizione di ciascuna singola parte è accurata, ma come li
relazioni all'intero spesso non è chiaro.
Barlow
J.B., Pocock W.A.: The problem of nonejection systolic clicks and associated
mitral systolic murmurs: Emphasis on the billowing mitral leaflet syndrome.
Am Heart J., 90, 636-655, 1989.
Boudoulas
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A.A.
RAINERI
Direttore
Scuola di Specializzazione
in
Cardiologia
Università
di Palermo
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