HOME PAGE CARLOANIBALDI.COM HOME PAGE ANIBALDI.IT
ARGOMENTI DI MEDICINA CLINICA
VAI ALL'INDICE
Ultimo aggiornamento: 23.12.2013
mail to Webmaster
La
rianimazione cardio-polmonare (R.C.P.) rappresenta sicuramente uno dei momenti
fondamentali e più delicati della Medicina d'Urgenza; le tecniche che le sono
proprie devono essere un bagaglio culturale di ogni medico ed in particolare di
quelli che si occupano di emergenza-urgenza, poiché solo con la corretta
applicazione di tali tecniche è possibile ottenere risultati, fino a pochi anni
or sono impensabili, per salvare la vita a numerosi pazienti in situazioni
critiche.
La
premessa indispensabile per il successo terapeutico è, e rimane comunque, la
tempestività dell'intervento, da cui deriva l'assoluta necessità che, oltre ai
medici che esercitano in qualunque ambito, la conoscenza e la pratica con tali
tecniche venga allargata ed estesa anche a fasce, le più vaste possibile di
popolazione, almeno per quanto riguarda le basilari manovre di primo soccorso,
riservando ad équipes mediche attrezzate l'intervento più qualificato
successivo con equipaggiamento e strumentazioni idonee.
Proprio
per questi motivi vengono create organizzazioni territoriali per
l'emergenza-urgenza (Dipartimenti, Centrali operative, ambulanze attrezzate,
elisoccorso, auto e mezzi sanitari veloci) che permettono di trasferire il
personale più esperto con gli strumenti necessari sul luogo dove l'evento si
verifica in tutta la sua repentinità e gravità, quando solo un capace ed
immediato intervento, teso a sostenere le funzioni vitali, può correggere una
situazione altrimenti irreversibile, permettendo al contempo di stabilizzare le
condizioni dell'ammalato per un inoltro assistito in centri specialistici idonei
a curare la patologia in causa.
Lo
scopo fondamentale è quello di salvare la vita, di evitare ulteriori danni
all'organismo e di stabilizzare le condizioni in attesa di poter operare
interventi risolutivi.
Numerose
e diverse sono le circostanze che possono bruscamente ed in maniera grave
compromettere le funzioni vitali dell'organismo (cardiocircolatoria,
respiratoria e cerebrale): l'insufficienza e l'arresto cardiaco, lo shock,
l'insufficienza e l'arresto respiratorio, il coma.
Molti quadri patologici ed eventi traumatici possono essere i fattori scatenanti e sostenere tali sindromi quali la patologia cardiaca (ischemica, degenerativa, aritmica, infettiva), la patologia respiratoria (ostruttiva, restrittiva, degenerativa, infettiva), la patologia traumatica (emorragie, annegamento, elettrocuzione), avvelenamenti ed overdose, per citare alcuni esempi tra i più frequenti. È ormai ampiamente dimostrato, e le varie casistiche in letteratura lo stanno a documentare, che la tempestiva e corretta attuazione delle tecniche rianimatorie nei confronti di vittime di malattie ed incidenti, può ridurre drasticamente la mortalità di circa il 20%, con una considerevole riduzione degli esiti invalidanti e dei tempi di degenza ospedaliera con importanti guadagni in termini di vita, di qualità della vita ed anche nel rapporto costi-benefici.
La
gettata sistolica è condizionata dal precarico (pressione venosa centrale di
riempimento, distensibilità della cellula miocardica), dall'inotropismo
cardiaco (contrattilità del miocardio) e dal postcarico (pressione aortica
media). Da queste considerazioni deriva che le modificazioni che possono
intervenire in patologia umana ad alterare i fattori che determinano la gettata
cardiaca, presuppongono l'impiego di farmaci (amine simpaticomimetiche,
atropina, vasodilatatori, inotropi, diuretici e liquidi di infusione) che
possono portare ad un riequilibrio di condizioni patologiche che in modo brusco
hanno alterato la dinamica cardiaca.
Prima
di considerare le tecniche vere e proprie è bene valutare anche quando si deve
iniziare o meno la R.C.P., decisione non sempre facile, poiché il medico in
urgenza si trova di fronte, in numerose occasioni, ad un paziente in apnea,
senza polso, del quale non si conosce nulla, in brevissimo tempo si deve
prendere una decisione di importanza cruciale.
Molti
fattori, per di più, influenzano il medico nel prendere la decisione di
iniziare la terapia come l'istinto a curare, le aspettative della famiglia,
degli astanti, del personale, la paura di trascurare un intervento che potrebbe
avere esito positivo, controbilanciati da altri fattori che indurrebbero a non
iniziare le tecniche, il fatto che solo una piccola percentuale risponderà
positivamente alle cure intraprese, la eventualità della ripresa di funzione
cardiaca e respiratoria in pazienti con danno cerebrale irreversibile, pazienti
in fase terminale, rispetto per il diritto alla morte con dignità, spese per la
società e la famiglia nell'iniziare un iter di terapia intensiva.
Viste
queste considerazioni conflittuali, la decisione da suggerire è quella di
procedere per eccesso nell'iniziare le tecniche, in assenza di controindicazioni
mediche evidenti (rigor mortis, cianosi diffusa con chiazze ipostatiche, fase
terminale di malattia incurabile, tempo trascorso dall'evento di arresto
cardio-respiratorio), e di valutare mentre si procede, con i dati nuovi raccolti
nel frattempo dai testimoni, dai soccorritori o dai familiari, se continuare la
rianimazione.
Se
un paziente non risponde questo si noterà abbastanza presto: solo pochi
pazienti con danno cerebrale permanente sopravvivono a lungo dopo R.C.P.
inopportunamente iniziata; d'altra parte il consiglio di procedere per eccesso
deriva dalla considerazione che in assenza delle tecniche di sostegno delle
funzioni vitali la morte è certa.
Il
momento diagnostico riveste ovviamente, anche in questo campo, un'importanza
rilevante ma per la rianimazione cardio-polmonare non prioritario, in quanto la
drammaticità dell'evento richiede comunque prima di tutto il sostegno e
ripristino delle funzioni vitali compromesse, pena la irreversibilità del
processo, riservando ad una fase contemporanea o immediatamente successiva la
definizione diagnostica.
È d'altra parte indispensabile un approccio diagnostico per essere certi
della necessità di dovere iniziare le tecniche di terapia intensiva e quali di
queste ed in che successione; questo punto, all'apparenza banale, è il primo
cardine dell'intervento.
Questo
momento decisionale deve essere molto rapido e si dovrà procedere quando il
paziente presenta:
-
repentina perdita di coscienza;
-
apnea o gasping respiratorio;
-
assenza del polso carotideo.
Si
è soliti suddividere la R.C.P. in due momenti o parti:
-il
sostegno di base delle funzioni vitali (B.L.S.);
-il
sostegno avanzato delle funzioni vitali (A.L.S.).
Pur
essendo due aspetti di uno stesso processo si differenziano per le diverse
tecniche di esecuzione, ma la consequenzialità deve essere rispettata, se non
altro perché l'evento acuto, emergente, urgente si verifica nelle varie
condizioni di vita quotidiane: a casa, per strada, in ufficio, allo stadio e
solo raramente in un letto di ospedale o in un ambulatorio medico; è quindi
necessario, per l'irrinunciabile criterio di tempestività, mettere in atto
quelle tecniche semplici che costituiscono l'ABC dell'intervento rianimatorio.
A.
Apertura delle vie aeree
Iperestensione
della testa
Disostruzione
delle vie aeree
B.
Bocca a bocca, respirazione
Assistenza
respiratoria
C.
Circolazione, assistenza
Percussione
del torace
Massaggio
cardiaco esterno
Le
tecniche di sostegno di base delle funzioni vitali non richiedono particolari
attrezzature e possono essere intraprese da chiunque conosca le nozioni
fondamentali di respirazione bocca a bocca e di massaggio cardiaco, di cui
parleremo.
Il decubito del paziente è già un primo aspetto del problema, spesso trascurato,
ma da tenere ben presente; infatti un paziente incosciente deve essere posto in
posizione supina e per iniziare la rianimazione bisogna adottare la posizione
sostenuta allineata.
La
posizione laterale fissa è indicata per i pazienti in coma con respiro
spontaneo conservato, mentre la posizione inclinata (Trendelenburg) serve per
favorire il drenaggio dal cavo orale di materiale estraneo liquido.
Ovviamente
non dobbiamo dimenticare che queste posizioni sono quelle che seguono ad un
primissimo soccorso, delicato ed importante, di estrazione o spostamento della
vittima con le raccomandazioni valide a seconda del tipo di evento: traumatico
con molta attenzione alla posizione del rachide, senza brusche manovre che
potrebbero scomporre fratture o provocare lesioni viscerali o delle parti molli;
o patologie mediche con le posizioni, ortopnoica per pazienti con scompenso
cardiaco o insufficienza respiratoria, posizione antishock per pazienti
collassati o con episodio sincopale.
L'obiettivo
da raggiungere, adeguando il proprio intervento, è quello di permettere una
corretta esecuzione delle tecniche di sostegno delle funzioni vitali, liberando
le vie aeree, mantenendone la pervietà e ponendo la vittima su di un piano
rigido che permetta le manovre di rianimazione cardiaca e prepari il paziente
per un trasporto assistito e medicalizzato.
Ad
una prima osservazione le vie aeree possono apparire pervie od ostruite: nel
primo caso ci si può astenere da un intervento immediato ma chiedendosi se potrà
comparire una ostruzione a breve termine.
Il
rischio da evitare è quello di vedere peggiorare il paziente e non essere in
grado di intervenire o, peggio, avere abbandonato il paziente (su una ambulanza
che lo trasporta o mentre si eseguono accertamenti diagnostici) a persone non in
grado di soccorrerlo adeguatamente.
Incombe
il rischio di una improvvisa comparsa di ostruzione delle vie aeree
principalmente in questi casi: trauma cranico, trauma toracico, ictus cerebrale,
intossicazione da farmaci, comi metabolici (diabetico, epatico ecc.),
convulsioni, shock, insufficienza respiratoria grave.
Le
vie aeree sono ostruite:
-
parzialmente (è il caso più frequente):
da
solidi con rumori di "russamento";
da
liquidi con rumori di "gorgoglio";
-
totalmente (più raramente):
con
silenzio, assenza di rumori.
L'ipofaringe
è la sede più frequente di ostruzione ed è legata alla caduta della lingua,
l'iperestensione del capo è la prima e fondamentale manovra da attuare (fig.04
La sola estensione del capo può non essere sufficiente sia per una concomitante
ostruzione nasale (circa nel 30% dei casi) sia perché occorre ispezionare la
bocca alla ricerca di corpi estranei (innanzitutto protesi) da allontanare.
Questa è indicata come "triplice manovra di pervietà delle vie aeree".
Ricordiamo
che la caduta della lingua è possibile in qualunque posizione del paziente.
Altra
causa di ostruzione è rappresentata dalla presenza di sangue o vomito; inoltre
qualunque corpo estraneo può stimolare le vie aeree producendo laringo-spasmo,
broncospasmo, edema mucoso e polmonite ab ingestis; l'effetto finale è una
ipossiemia i cui segni clinici indicativi sono: agitazione, cianosi, tachicardia
e sudorazione.
Per
il controllo delle vie aeree dobbiamo porre il paziente supino (posizione
sostenuta allineata), mai paziente prono! Il viso infatti in tale posizione non
è accessibile, si riduce la compliance toracica ed è possibile una ostruzione
meccanica delle vie aeree; controllare se esiste stato di incoscienza,
iperestendere il capo sollevando il collo con una mano sulla fronte e l'altra
sotto il collo, quindi aprire la bocca tirando verso l'alto il mento.
Se
non si ottiene una apertura ottimale (20% dei pazienti), occorre procedere alla
triplice manovra di pervietà: essa si esegue ponendosi dietro il capo della
vittima, mettendo le dita (tranne il pollice) di entrambe le mani sotto la
corrispondente branca ascendente della mandibola, il più vicino possibile alla
articolazione temporo-mandibolare e sollevando la mandibola in alto,
controllando che il capo resti esteso, aprendo la bocca con le prime dita.
Per
l'intubazione faringea particolarmente utile è la cannula di "Guedel"
che permette di mantenere discosta la lingua dalla parete del faringe anche in
assenza di iperestensione del capo e consente l'aspirazione oro-faringea con
minimo traumatismo.
Unico
rischio della sua applicazione è di produrre vomito e polmonite da aspirazione
in pazienti in coma superficiale: si deve quindi recedere da ogni tentativo di
introduzione se il paziente mostra di non tollerarla.
Si introduce con il lato concavo della cannula rivolto verso il labbro superiore
con la bocca aperta e successivamente va ruotata di 180 gradi e spinta fino in
fondo.
È un passo importante per il controllo delle vie aeree; può essere
eseguita manualmente tenendo il pollice in bocca per tenere sollevata la
mandibola e la lingua (se c'è rilasciamento muscolare completo), mentre due dita
dell'altra mano estraggono il contenuto della bocca.
Il
materiale liquido può essere drenato ruotando la testa da un lato solo in
assenza di trauma cervicale.
Per
la disostruzione con aspiratore dobbiamo ricordare che tutti gli apparecchi
portatili sono meno efficaci degli apparecchi a parete poiché producono una
pressione negativa limitata, un flusso ridotto di aria e la potenza di
aspirazione non è regolabile; per l'aspirazione orale e faringea sono infatti
richieste alte pressioni negative (fino a 300 mmHg), mentre per la aspirazione
tracheo-bronchiale la pressione deve essere minore.
I
sondini da aspirazione possono essere di metallo o in plastica per la bocca ed
il faringe mentre devono essere in plastica morbida, ben lubrificata ad estremità
ricurva (per accedere al bronco sinistro) per la aspirazione tracheo-bronchiale.
Quest'ultima
deve essere condotta con molta delicatezza, introducendo il sondino di calibro
non eccessivo senza aspirare ed usando poi pressioni negative modeste, specie
nei bambini, per ridurre al minimo il rischio di produrre lesioni polmonari
dirette o collasso alveolare con successiva insufficienza respiratoria.
Un
evento da tenere presente è l'ostruzione da corpo estraneo, che, anche se la
morte da ostruzione completa è molto rara, rappresenta una situazione grave e
pericolosa; se il paziente è cosciente è senz'altro preferibile invitarlo a
tossire, senza tentare manovre di disostruzione con le dita o altro materiale
inidoneo che potrebbe peggiorare la situazione.
Fuori
dall'ambito ospedaliero si può tentare la percussione del torace,
posteriormente nella regione interscapolare, ed in ogni caso accompagnare il
paziente in ospedale somministrando ossigeno.
La
nota manovra di compressione dell'addome, "manovra di Heimlich", è da
considerarsi di scarsa utilità sia perché produce modesti aumenti di pressione
intratoracica (inferiori a quelli ottenibili con la percussione), sia perché può
ledere gli organi ipocondriaci; essa è inoltre vietata nei piccoli bambini per
i quali è molto più utile la percussione del torace eseguita col paziente
"a testa in giù".
Nel
caso, comunque, di ostruzione completa è giustificabile qualunque tentativo,
data la gravità del quadro, ed è opportuno affidarsi all'uso del laringoscopio
per visualizzare il corpo estraneo ed utilizzare pinze o aspiratori operando in
visione diretta.
Se
fallisce questo tentativo bisogna ricorrere alla cricotirotomia.
È l'insieme di quelle manovre e tecniche che si mettono in atto per
permettere gli scambi gassosi tra O2 e CO2 a livello alveolare nei pazienti che
per qualunque motivo non sono più in grado di avere una sufficiente
ventilazione spontanea per qualsivoglia malattia.
Dobbiamo,
con i diversi metodi disponibili, superare delle forze rappresentate
principalmente da diverse resistenze quali la elasticità dei polmoni, delle vie
aeree e della gabbia toracica; la espirazione invece è in genere passiva.
Applichiamo
quindi una forza rappresentata da una pressione positiva esercitata in modo
intermittente (IPPV).
È il sistema più semplice, non richiede alcun materiale, è eseguibile
ovunque ed è inoltre di facile esecuzione dopo un minimo di addestramento.
Utilizza
il contenuto in O2 dell'aria espirata (18% circa), ed è in grado di mantenere
una PaO2 di circa 75 mmHg con una saturazione di ossigeno del 90%.
La
tecnica di esecuzione consiste nel porsi di fianco al paziente; quindi,
mantenendo le vie aeree pervie, il soccorritore deve inspirare profondamente,
appoggiare la bocca a quella del paziente curandosi di premere "a
tenuta" e di chiudere contemporaneamente il naso con due dita; deve quindi
insufflare con forza negli adulti, delicatamente nei bambini. Lasciare poi che
il paziente espiri passivamente e ripetere la manovra integrandola, ove occorra,
con il massaggio cardiaco esterno.
È più importante il volume di insufflazione della frequenza; si cercherà
comunque di arrivare a 12 insufflazioni al minuto, facendo attenzione ad un
possibile rigurgito da distensione gastrica: sarà opportuno comprimere
periodicamente lo stomaco per espellere l'aria che vi si accumula.
È
possibile interporre un fazzoletto tra la bocca del paziente e quella
dell'operatore se il contatto diretto può risultare fastidioso.
Per
valutare l'efficacia della ventilazione si devono osservare, durante le
insufflazioni, le escursioni del torace per valutarne l'ampiezza: se tali
escursioni sono limitate o assenti si dovrà mettere in discussione la pervietà
delle vie aeree e di conseguenza ripetere le manovre iniziali.
Il
sistema che permette questo tipo di ventilazione è costituito da un pallone che
viene compresso manualmente dall'operatore, che si riespande per effetto della
sua elasticità; è fornito di un raccordo di connessione ad una maschera
facciale o al tubo tracheale, di una valvola non-rebreathing per impedire
l'afflusso dell'aria espirata dal paziente al pallone e di una valvola che
permette il riempimento del pallone con aria ambiente.
Esistono
inoltre diverse varietà che permettono la ventilazione con O2 o l'applicazione
di un pallone di riserva. Bisogna però dire che il pallone di Ambu è di grande
utilità in emergenza, soprattutto per il paziente con cannula faringea o tubo
tracheale, ma richiede esperienza ed una tecnica precisa per la ventilazione
come indicato in fig.08
Di
ancora maggiore difficoltà, e pertanto richiede adeguato addestramento, è
l'uso del "Va-e-Vieni", cioè del classico pallone di riserva dei
circuiti di anestesia tenuti espansi da un adeguato flusso di gas (O2)
compresso, questo sistema, pur permettendo una approssimativa valutazione della
capacità del paziente di ventilare spontaneamente, con la semplice osservazione
della capacità di vuotare il pallone in inspirazione, non ci evidenzia quanto
del flusso che noi eroghiamo all'apparecchio viene utilizzato dal paziente e
quanto viene corto-circuitato all'esterno senza partecipare agli scambi gassosi
a livello alveolare.
Oltre
i classici respiratori regolati a tempo con limitazione di pressione (drager),
indicati per la ventilazione a lungo termine, è preferibile utilizzare in
urgenza respiratori portatili (Oxjlog, ARX-1) presenti anche in ambulanza, di
peso e volume contenuti, nei quali la forza motrice è rappresentata dalla
pressione dell'ossigeno erogata da una bombola portatile.
Sono
dotati di regolazione della frequenza (ciclati a tempo) e del volume erogato
(ciclati a volume), possiedono un manometro per la valutazione delle pressioni
all'origine del circuito, ed il tipo ARX-1 anche di limitatore di pressione. In
entrambi esiste la possibilità di regolare, sia pure in modo imperfetto, la
frazione di filtrazione dell'O2 (Fi).
Con
questi ventilatori è possibile un trasporto di pazienti intubati per lunghi
tragitti e l'esecuzione di indagini strumentali non al letto del paziente (TAC,
RMN ecc.).
Di
fronte ad un paziente con problemi respiratori abbiamo, come si può vedere,
diverse possibilità di intervento: assistere la ventilazione o sostituirla
completamente con presidi idonei, a seconda della patologia presentata dal
paziente o dalla valutazione se la vittima respira da sola o non respira più in
modo sufficiente (apnea, gasping, arresto respiratorio).
Queste variabili guideranno la nostra assistenza respiratoria e ci indicheranno
la scelta dei presidi più adatti, in base alle caratteristiche che questi
presentano.
L'O2
comunque in terapia d'urgenza va somministrato subito e sempre al 100% (per
circa 6 ore tale somministrazione non è ritenuta dannosa: oltre questo limite
si pone l'esigenza di umidificazione e di opportuna frazione di filtrazione).
Ricordiamo sempre che l'assenza di cianosi non esclude la ipossia.
Nel
caso di ipossia in presenza di una ventilazione sufficiente è particolarmente
utile l'impiego della maschera di Venturi che permette una precisa valutazione
della FiO2 erogata. Si presta quindi bene per tutte quelle forme di bronco
pneumatico cronica ostruttiva (B.P.C.O.) in cui la ventilazione è sostenuta
dalla ipossia e nelle quali una inopportuna somministrazione di O2 riduce la
ventilazione; la maschera è dotata di adattatori che permettono di variare le
concentrazioni di O2 che dobbiamo somministrare, con successive variazioni della
FiO2 in base alla gasanalisi.
È il sistema più efficiente di controllo della pervietà delle vie
aeree: isola infatti le vie aeree, le mantiene pervie, previene l'aspirazione
mentre facilita la ventilazione, la ossigenazione e la aspirazione bronchiale.
Si
deve adottarla in tutti i pazienti incoscienti e con coma potenzialmente
reversibile, ma è indicata anche in pazienti coscienti che non riescono a
mantenere libero l'albero respiratorio spontaneamente, se si sospetta
aspirazione di materiale gastrico, se sono assenti i riflessi laringei o se sarà
necessaria la ventilazione meccanica.
Nelle
situazioni di emergenza è preferibile ricorrere alla intubazione oro-tracheale
che di norma è più agevole e meno traumatizzante; sarà ovviamente necessario
sedare quei pazienti che non tollerano la introduzione del tubo (con morfinici,
benzodiazepine, neurolettici, curaro).
La
tecnica della intubazione dovrebbe essere conosciuta da ogni medico e
soprattutto esercitata su manichini per acquisire dimestichezza; il materiale
deve essere prontamente disponibile, controllato di frequente e personalmente da
chi dovrà utilizzarlo.
Il
materiale necessario, che deve essere ben conosciuto, è opportuno sia presente
e funzionante in doppio e costituito da: set per l'aspirazione, laringoscopio e
tubi cuffiati con relativi raccordi.
Volendo
qui ricordare solo alcuni degli aspetti più particolari della tecnica di
intubazione, si sottolinea ancora che la tecnica scelta deve essere ben
collaudata, ordinata, eseguita con calma secondo uno schema preciso, sempre
uguale e noto a tutto il personale che collabora.
Si
deve scegliere un tubo ed una lama (curva o diritta) appropriata, controllando
la tenuta della cuffia, lubrificare il tubo, iperestendere il capo per allineare
gli assi faringeo e laringeo per ossigenare il paziente quindi introdurre la
lama del laringoscopio a destra della bocca, caricando la lingua per spostarla a
sinistra fino a visualizzare l'epiglottide e poi la glottide.
Inserito
il tubo si dovrà ventilare il paziente, gonfiare la cuffia, controllare con il
fonendoscopio la ventilazione su entrambi i campi polmonari, aspirare le
eventuali secrezioni e fissare il tubo al viso del paziente.
Se
l'intubazione non riesce dovremo ventilare il paziente con maschera e pallone e
successivamente riprovare. Le principali complicanze dell'intubazione tracheale
sono rappresentate da lesioni a carico delle labbra, dei denti, della lingua,
del faringe o laringe, dalla intubazione involontaria dell'esofago,
dall'ostruzione del tubo o dalla sua morsicatura, dell'ernia della cuffia.
Esercizio e pratica sono indispensabili per la tecnica.
La
premessa fisiologica dell'importanza da attribuire alle tecniche deriva da
alcune semplici considerazioni che devono essere note perché fondamentali:
l'organismo sopravvive se viene mantenuta la ossigenazione, la circolazione e la
integrità del suo ambiente cellulare.
Questi sono quindi i momenti che dobbiamo tenere presenti nella trattazione per
la comprensione delle singole situazioni patologiche. La respirazione si compone
di diverse fasi che devono svolgersi regolarmente per una buona ossigenazione
del sangue: la ventilazione, la perfusione polmonare, il relativo rapporto tra
ventilazione e perfusione, la diffusione dei gas ed il trasporto nel sangue,
sono tutte tappe dello stesso processo e rivestono ognuna una importanza
cruciale per la normale fisiologia respiratoria, che, unita all'attività
cardio-circolatoria, rappresenta l'omeostasi delle funzioni vitali.
Anche la anormalità della meccanica respiratoria e la presenza di shunt
patologici possono quindi alterare la respirazione e devono essere conosciuti
per una adeguata correzione; ricordiamo inoltre che un momento importante nella
respirazione è rappresentato dai rapporti tra ossigeno ed emoglobina per il
fissaggio-trasporto del gas e la sua cessione ai tessuti; a questo proposito è
bene ricordare che diverse situazioni possono intervenire a modificare la curva
di dissociazione dell'ossigeno dall'emoglobina come le variazioni del pH e della
temperatura.
Per
evitare che si creino delle situazioni irreparabili di ipossia dobbiamo
richiamarci ad alcune premesse terapeutiche con l'obbiettivo di aumentare la
percentuale di ossigeno nell'aria inspirata (la FiO2).
Per
somministrare l'ossigeno in concentrazioni variabili abbiamo diverse possibilità:
dal 21% contenuto nell'aria ambiente fino al 100% con opportuni erogatori e
bombole.
Dovremo
guidare la somministrazione di O2 a seconda delle necessità e della patologia
in causa, ricordando che in molte situazioni la somministrazione di O2 al 100%
è opportuna, in altre può divenire pericolosa; anche se vale il principio che
in urgenza una somministrazione di ossigeno al 100% può avvenire per le prime
ore senza danni, dobbiamo considerare che nei pazienti con ipercapnia cronica è
necessario fare molta attenzione per non annullare lo stimolo ipossico che in
tali situazioni mantiene la respirazione.
L'ossigeno
deve essere considerato alla stregua di qualunque altro farmaco, deve essere
somministrato a dosaggi ben stabiliti per la durata necessaria e con un
opportuno monitoraggio che permetta di incrementare o ridurre i dosaggi a
seconda del riscontro emogasanalitico.
Molto
importanti infatti sono i controlli della gasanalisi per monitorare la terapia
con ossigeno (vedi i valori normali di riferimento).
Un altro strumento di grande utilità, per eseguire una corretta e controllata
ossigenoterapia, è la maschera di Venturi, che con un semplice dispositivo a
valvola permette di regolare con precisione la FiO2 da utilizzare per ogni
paziente, con percentuali di O2 variabili dal 24 al 50%.
Un
obiettivo, a tale riguardo, clinicamente valido, è quello di mantenere la PaO2
al di sopra di 60 mmHg, limite superiore della porzione ripida della curva di
dissociazione dell'ossigeno per prevenire la ipossia cellulare.
L'altro
momento fondamentale nel mantenimento delle funzioni vitali è rappresentato
dall'attività cardiaca che deve garantire la perfusione dei tessuti con sangue
ossigenato mediante una adeguata gettata cardiaca che si adatti anche alle
diverse richieste metaboliche dell'organismo: gettata cardiaca = frequenza X
gettata sistolica.
La
frequenza cardiaca è controllata da fattori intrinseci (tessuto di conduzione,
nodo seno-atriale), fattori estrinseci nervosi (sistema nervoso autonomo) ed
ormonali (catecolamine, ormoni tiroidei).
Viene
definito come il quadro clinico di un "improvviso arresto di circolo in un
paziente di cui al momento non si prevedeva la morte".
Si
pone diagnosi di arresto di circolo quando si verificano: incoscienza, apnea o
boccheggiamento (gasping), aspetto cadaverico (cianosi o pallore) e assenza del
polso alle grandi arterie (carotidi e femorali).
Per
accertare l'assenza del polso dobbiamo quindi ricercare la pulsazione della
carotide, ma nei lattanti e nei bambini è preferibile cercare il polso
dell'arteria femorale o della brachiale, dell'aorta addominale o l'impulso
ventricolare al precordio per evitare di comprimere le vie aeree con possibile
laringospasmo.
Quando
si verificano tali condizioni si deve eseguire immediatamente il massaggio
cardiaco esterno abbinato all'assistenza respiratoria.
La
tecnica per la circolazione artificiale deve essere bene conosciuta e praticata
in modo corretto pena l'inefficacia dell'intervento, che, ricordiamo, è l'unico
in grado di sopperire alla grave insufficienza cardiaca; si esegue ponendo il
paziente supino su un piano rigido (molto importante per evitare che la forza
del massaggio si disperda coi movimenti del corpo su un piano non rigido),
mettersi di fianco al paziente, quindi individuare il punto su cui premere.
Identificato
il punto a metà tra il processo xifoideo e la incisura soprasternale si dovrà
esercitare la compressione sulla metà inferiore; appoggiare il palmo delle mani
sovrapposte sulla metà inferiore dello sterno centralmente e premere sullo
sterno spingendolo verso la colonna vertebrale per circa 4-5 cm nell'adulto,
esercitando una pressione che deve essere sufficiente ad ottenere un buon polso
artificiale carotideo e femorale, apprezzabile da un aiutante.
Durante il massaggio le braccia devono essere mantenute in posizione verticale
con i gomiti bloccati (molto importante per non disperdere forza): comprimere
sfruttando in parte il peso del corpo che deve essere "proprio sopra" al
paziente.
Bisogna
evitare che le mani comprimano le coste (per il pericolo di fratture o lesioni
viscerali) e si dovrà mantenere la pressione sullo sterno per circa mezzo
secondo (50% del ciclo), rilasciare quindi rapidamente ed attendere mezzo
secondo (il restante 50% del ciclo) per consentire il riafflusso del sangue nel
torace; anche questo aspetto riveste molta importanza ed i tempi devono essere
rispettati per simulare una efficace sistole e diastole del cuore, pena una
totale inefficacia dell'intervento emodinamicamente non valido.
Ripetere
la manovra ogni secondo, senza interrompere, se non per pochi secondi, dal
momento che il massaggio cardiaco esterno, anche se perfettamente eseguito,
mantiene una circolazione solo al limite minimo necessario per il circolo e la
ossigenazione dei tessuti.
È possibile far precedere il massaggio cardiaco da una percussione
singola (pugno) sul torace nella sede indicata per il massaggio, nel tentativo
di fare riacquistare un ritmo sinusale al cuore.
Nei
bambini e nei lattanti si devono usare diversi accorgimenti: il cuore è posto
più in alto per cui il massaggio va eseguito al punto di mezzo dello sterno, va
eseguito con una sola mano nei bambini, con la punta di due dita nei lattanti,
la pressione deve essere ovviamente ridotta, 2-4 cm nei bambini, 1-2 cm nei
lattanti, ma a frequenza più alta, 100-120 compressioni al minuto.
La
compressione del cuore tra sterno e spina dorsale permette di spremere il sangue
dal cuore stesso, dai polmoni e dai grossi vasi producendo una certa
circolazione sistemica e polmonare; la successiva fase di rilasciamento per
l'elasticità delle pareti fa riespandere il torace ed i visceri si riempiono di
sangue, che viene ossigenato mediante la respirazione artificiale.
Questa
interpretazione classica (Kouwenhoven, Jude) è in fase di riesame con i
concetti di "pompa toracica" che sembrerebbero suggerire la
simultaneità delle compressioni toraciche alla I.P.P.V., ma a tutt'oggi nessuna
delle nuove tecniche proposte ha dimostrato vantaggi, nell'attività d'urgenza,
e non ha determinato aumenti della frequenza di sopravvivenza od un
miglioramento della prognosi neurologica.
Per
il corretto indirizzo del trattamento successivo è di rilevante importanza
registrare un tracciato elettrocardiografico, per differenziare le cause più
comuni di arresto cardiaco primario: fibrillazione o tachicardia ventricolare,
asistolia elettrica e dissociazione elettromeccanica (fig.17
Durante
la R.C.P. il monitoraggio deve essere iniziato il più presto possibile con una
tecnica che non intralci il massaggio cardiaco e la ventilazione artificiale.
Ricordiamo
ancora che l'ECG non è un indice di circolo, complessi ECGrafici anche normali
possono persistere per diversi minuti in presenza di asistolia meccanica,
pertanto la rilevazione cardiografia è importante come monitoraggio ma solo
accessoria rispetto alla palpazione dei polsi, alla misurazione della pressione
arteriosa ed all'esame clinico: colore e temperatura della cute e delle mucose.
La
defibrillazione o cardioversione elettrica è indicata per troncare le aritmie
potenzialmente letali quali la tachicardia ventricolare e la fibrillazione
ventricolare.
Mentre
una idonea terapia farmacologica è spesso in grado di prevenire una
fibrillazione ventricolare, non esiste terapia farmacologica che la possa
troncare: il metodo più rapido, efficace ed accettato è la cardioversione
elettrica.
Gli
shock defibrillanti, infatti, inducono una depolarizzazione simultanea di tutte
le fibre miocardiche, dopodiché il cuore può riprendere a contrarsi
normalmente, a condizione che il muscolo cardiaco sia bene ossigenato e non
acidotico. Ecco perché, ancora una volta è rimarcata la necessità di una
tecnica di R.C.P. ben condotta e coordinata per arrivare ad un ripristino delle
funzioni vitali.
Da
questo deriva ancora che la tecnica e l'impiego della cardioversione cambiano in
rapporto al tempo trascorso dall'inizio dell'arresto cardiaco: nell'arresto
avvenuto in presenza di testimoni applicare la defibrillazione entro 30/60
secondi dall'insorgere della fibrillazione ventricolare; nell'arresto avvenuto
in assenza di testimoni, eseguire prima per 2 minuti la R.C.P. poi tentare la
defibrillazione.
La
diagnosi ECG e la cardioversione devono procedere di pari passo: questo è
possibile con defibrillatori le cui piastre rilevano l'attività elettrica del
cuore.
Per
l'esecuzione si ricordano solo alcuni punti fondamentali da tenere presenti:
selezionare il livello di energia da usare dal defibrillatore (normalmente 3
joule/kg), mettere in carica le piastre, cospargere accuratamente le piastre con
pasta conduttrice, appoggiarle sul torace garantendo il contatto su tutta la
superficie delle stesse.
Importante è ancora la posizione delle piastre che devono
essere una a destra dello sterno in posizione sottoclaveare, e l'altra a
sinistra in corrispondenza dell'apice cardiaco.
Per
la defibrillazione si dovrà sospendere il massaggio cardiaco, ma per il minor
tempo possibile (massimo 20 secondi), per riprenderlo immediatamente dopo.
Dopo
aver fatto allontanare, dal letto o dalla barella, tutti i presenti, tenendo
saldamente a contatto le piastre col torace, scaricare il defibrillatore e
verificare sul monitor l'ECG; se non si modifica l'aritmia riprendere la
cardioversione prima agli stessi dosaggi quindi a dosi crescenti (4-5 joule/kg).
Con
associata la opportuna terapia farmacologica, di cui diremo, si deve continuare
fino al successo o fino alla asistolia irreversibile.
Durante
la fase di ripristino delle funzioni vitali si ricorre all'impiego di farmaci
che aiutano l'organismo ad un recupero delle attività spontanee.
L'adrenalina
è tuttora considerata il farmaco di scelta per migliorare le procedure in tutti
i tipi di arresto cardiaco; tra le amine simpaticomimetiche svolge il duplice e
potente effetto stimolante sugli alfa e beta recettori, grazie al quale può
aumentare le resistenze vascolari e la pressione arteriosa e migliora, nel
contempo, il flusso ematico miocardico e cerebrale, che a sua volta facilita il
ripristino delle contrazioni cardiache spontanee.
Gli
effetti alfa e beta combinati determinano una elevata gettata cardiaca con
effetti favorevoli sulla perfusione di diversi organi.
È impiegata in tutti i tipi di arresto cardiaco: infatti nell'asistolia
aiuta a riavviare l'attività cardiaca spontanea, nella dissociazione
elettromeccanica può ripristinare da sola il polso spontaneo e nella
fibrillazione ventricolare è utile per convertire una fibrillazione
ventricolare a basso voltaggio in una ad alto voltaggio, più facilmente
bloccata dallo shock elettrico.
Ricordiamo
che, al ripristino di un circolo spontaneo, alte concentrazioni di adrenalina
possono indurre tachicardia o fibrillazione ventricolare, aumentando il consumo
miocardico di O2, specialmente in cuore malato.
Le
altre amine simpaticomimetiche non presentano vantaggi significativi rispetto
all'adrenalina durante la rianimazione cardio-polmonare.
L'adrenalina
viene utilizzata al dosaggio di 0,5-1 mg per via endovenosa, ripetuta
eventualmente ogni 3-5 minuti; se la via venosa non è disponibile si può
ricorrere alla via endo-tracheale.
La
noradrenalina può essere utilizzata in alternativa per ripristinare il circolo
spontaneo.
Merita
una segnalazione l'isoproterenolo, che oltre all'effetto inotropo positivo e
cronotropo positivo, presenta vantaggi in caso di asistolia o bradicardia grave
da B.A.V. totale resistente all'atropina, in attesa dell'inserimento di un
segnapassi (pacemaker).
La
dopamina, precursore biologico della noradrenalina, ha un effetto
dose-dipendente e nella R.C.P. è utile solo per sostenere la pressione
arteriosa di perfusione dopo il ripristino del circolo; stesse considerazioni
possono valere per la dobutamina.
L'atropina
non ha indicazioni durante la R.C.P. tranne nel caso di asistolia refrattaria,
mentre è indicata nella fase di ripresa del circolo quando la frequenza si
riduce a meno di 50 battiti/minuto o si verifica una bradicardia con
extrasistoli ventricolari ed ipotensione; riducendo infatti il tono vagale,
facilita la conduzione atrioventricolare e riduce la possibilità di insorgenza
di fibrillazione ventricolare in caso di ipoperfusione miocardica da bradicardia
estrema. I dosaggi variano da 0,5-1 mg ripetibili fino a determinare un aumento
della frequenza cardiaca, ricordando che un dosaggio di 2 mg determina un blocco
vagale completo.
Il
calcio per il fatto di aumentare la contrattilità miocardica è stato spesso
utilizzato nell'arresto cardiaco; ha comunque minore efficacia nei confronti
dell'adrenalina, in quanto non determina vasocostrizione periferica e non
innalza la P.A.
Viene
utilizzato nella dissociazione elettromeccanica, in caso di insuccesso
dell'adrenalina; esistono diverse preparazioni: il calcio cloruro viene
somministrato a dosaggi di 5 ml della preparazione al 10%, ripetibile dopo 10
minuti.
I
bicarbonati: il sodio-bicarbonato è uno dei farmaci fondamentali impiegati
nelle tecniche rianimatorie, utilizzato per neutralizzare gli acidi fissi
prodotti dai tessuti ischemici durante l'arresto del circolo o la fase di
perfusione ridotta durante la R.C.P.
L'acidosi
grave deve essere sempre corretta perché riduce l'effetto dell'adrenalina,
causa depressione miocardica, vasodilatazione e stravaso capillare. Dosaggi
eccessivi, però, portano ad alcalosi altrettanto pericolosa; l'alcalosi infatti
impedisce la dissociazione dell'ossigeno dell'Hb provocando ipossia tissutale,
determina tachicardia e fibrillazione ventricolare, contrattura cardiaca,
ipernatriemia ed iperosmolarità.
Alla
ripresa del circolo, con l'aumento di riflusso degli acidi fissi dai tessuti,
sono necessarie quantità maggiori di bicarbonati come pure un aumento della
ventilazione, dosati in base al pH arterioso; durante la R.C.P. l'acidosi può
in genere essere corretta solo con un modesto incremento della ventilazione.
La
dose iniziale è di 1 mEq/kg di peso e.v. a bolo, i dosaggi successivi non
devono superare gli 0,5 mEq/kg ogni 5-10/min, dosati al pH arterioso, mirando a
raggiungere valori prossimi a 7,4.
L'approccio
ottimale consiste nella correzione continua dei volumi di ventilazione per
mantenere una PaCO2 tra i 25-35 mmHg, mentre la somministrazione di bicarbonati
è limitata a quanto necessario per correggere il deficit di basi.
Le
precauzioni nell'uso sono di non somministrarlo insieme all'adrenalina in quanto
può inattivarla; durante l'uso è necessaria una iperventilazione più spinta,
poiché il farmaco libera in circolo CO2 ed infine non deve essere somministrato
per via endo-tracheale in quanto è irritante per i tessuti polmonari.
Altro
prodotto che può essere impiegato in alternativa al sodio-bicarbonato è il
trometalolo (Tham) che presenta il vantaggio di non essere donatore di CO2 e di
entrare più rapidamente nello spazio intracellulare ma ha lo svantaggio di non
essere disponibile in una soluzione di pronto uso; può inoltre determinare
ipoglicemia, apnea ed irritazione venosa.
I
farmaci antiaritmici devono essere ricordati perché vengono impiegati in corso
di tecniche rianimatorie; tra questi in particolare la lidocaina che, pur non
essendo in grado da sola di effettuare una cardioversione farmacologica, è
l'agente di prima scelta quando la tachicardia o la fibrillazione ventricolare
sono resistenti alla cardioversione elettrica. La lidocaina inoltre aumenta la
soglia della fibrillazione ventricolare, aumenta la soglia di stimolazione
elettrica durante la diastole e deprime l'irritabilità miocardica in caso di
fibrillazioni ventricolari recidivanti.
Per
questi motivi viene scelta come antiaritmico per il trattamento delle
extrasistoli ventricolari e per prevenire la evoluzione in tachicardia o
fibrillazione ventricolare dopo il ripristino del circolo spontaneo.
Rispetto
ad altri antiaritmici determina minore depressione della contrattilità
miocardica, ma in presenza di shock cardiogeno la depressione può comparire,
pertanto le dosi vanno dimezzate.
Il
dosaggio consigliato è di una dose carico corrispondente a 1 mg/kg per via
endovenosa a bolo, seguita immediatamente da una infusione continua di 1-4 mg/kg
al minuto.
Altri
farmaci antiaritmici possono essere impiegati per il controllo di una
tachicardia o fibrillazione ventricolare, quali la mexiletina, la procainamide o
il bretilio con le rispettive caratteristiche farmacologiche.
Dopo
avere iniziato le manovre di R.C.P. si deve al più presto, ma senza
interrompere le manovre, instaurare una via venosa per espandere il volume di
sangue circolante e disporre di una via di accesso per la somministrazione dei
farmaci ed eseguire esami diagnostici.
La
prima scelta va riservata ad una via venosa periferica: una vena degli arti,
utilizzando il vaso accessibile di più grosso calibro (è preferibile una vena
del braccio); se le vene periferiche degli arti non sono palpabili si può
ricorrere alla giugulare esterna che rappresenta una valida alternativa: se si
comprime con le dita sopra la clavicola la vena diviene turgida ed è più
facile da incannulare.
Le
scelte successive sono per la vena femorale o l'isolamento chirurgico rapido di
una vena degli arti.
La
via intrapolmonare può essere utilizzata in emergenza qualora non sia
prontamente disponibile una via venosa; possono essere somministrati per questa
via l'adrenalina, l'atropina, la lidocaina ed altri farmaci non lesivi per i
tessuti polmonari. Il bicarbonato non deve essere somministrato per tale via.
L'assorbimento
a livello alveolare è rapido e l'effetto terapeutico si manifesta in tempi
sovrapponibili a quelli della somministrazione endovenosa.
I
farmaci vengono somministrati attraverso il tubo tracheale negli stessi dosaggi
della via venosa.
La
via intracardiaca può essere prospettata solo nei casi in cui una vena
periferica non sia accessibile e la via endo-tracheale non sia ancora stabilita:
è comunque da evitare perché può provocare pneumotorace, lesione di una
arteria coronaria, aritmie ed interruzione prolungata del massaggio cardiaco
esterno.
La
via intramuscolare non ha indicazioni nella medicina d'urgenza e la via venosa
centrale non è indicata perché aumenta il rischio di provocare pneumotorace e
richiede la sospensione della ventilazione e del massaggio cardiaco in una fase
in cui hanno priorità assoluta.
Per
la determinazione dei parametri emogasanalitici è necessario un prelievo
arterioso (nelle sedi e secondo la tecnica nota), ma ricordiamo che questa
manovra non ha priorità assoluta prima del ripristino della circolazione e non
deve pertanto interferire con misure terapeutiche più essenziali. Diviene
necessaria successivamente per indirizzare il trattamento terapeutico.
La
conclusione del nostro discorso vuole essere solo un richiamo ad incentivare la
conoscenza e l'approfondimento delle tecniche di sostegno delle funzioni vitali,
nonché a mantenere l'allenamento con periodico addestramento, poiché sono
manovre che meglio si apprendono con la pratica che con lo studio.
Questo
permette un notevole arricchimento del bagaglio culturale e professionale che
ogni medico dovrebbe avere.
Una
ultima considerazione infine a non rinunciare mai ad effettuare la R.C.P. anche
in eccesso, perché spesso è l'ultima possibilità terapeutica esistente ed
essendo una tecnica "salva vita" può fornire risultati spesso
insperati.
La
condizione indispensabile perché tutto questo si verifichi è che venga
eseguita immediatamente in modo ordinato e corretto.
Barber
J.M., Budassi S.A.: Pronto Soccorso. Casa Editrice Ambrosiana, 1983.
Medicina d’Urgenza – Diagnosi e interventi
terapeutici nella pratica domiciliare e ospedaliera.
C.G. Edizioni Medico Scientifiche, 1987.
Monauni
S., Bassi C.: Terapia Intensiva. Systems Editoriale, 1988.
Safar
P.: Rianimazione cardio-polmonare e cerebrale. Raffaello Cortina Editore,
1983.
Tiengo
M.: Principi di assistenza respiratoria. Edizioni Libreria Cortina, 1980.
Whitten
C.E.: Emergency Medicine, giugno-agosto-settembre, 1989.
Wilkins
E.W.: Trattato di Medicina d’Urgenza. Società Editrice Universo, 1986.
G.
Spadini
Aiuto
Servizio di Pronto Soccorso
Ospedale
di Parma
M.
De Simoni – L. Rovina
Assistenti
Servizio di Pronto Soccorso
Ospedale
di Parma
TORNA ALL'INDICE
TORNA ALL' HOME
PAGE CARLOANIBALDI.COM