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Ultimo aggiornamento: 23.12.2013
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ARGOMENTI DI MEDICINA CLINICA
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Il
termine "shock" (in lingua inglese = urto, colpo, scossa) si è da
molti anni affermato nella letteratura medica mondiale, anche se usato in modo
non univoco, per esprimere situazioni cliniche talora assai differenti fra di
loro.
Sembra
che le prime citazioni della parola shock in senso medico siano da ricercare in
alcuni trattati della fine del '700, di lingua inglese e francese, riguardanti
le ferite da arma da fuoco; poi lo stesso termine fu abbinato a molteplici
eventi ad insorgenza improvvisa e/o violenta (gravi traumatismi, fulminazione,
operazioni chirurgiche). Col tempo il concetto di shock si è esteso alle
alterazioni di indole nervosa o psichica (shock "psichico"), ed a
moltissimi altri gravi quadri morbosi, di svariata origine, ma aventi in comune
solo l'assenza di un fondamento anatomo-patologico dimostrabile.
Attualmente
tuttavia questo concetto è stato costantemente abbinato ad una "disregolazione"
circolatoria, che è diventata l'elemento unitario di quella sindrome che venne
poi sinteticamente definita "shock circolatorio".
Una
certa confusione continuò ad esistere fra il termine "shock", di cui
vedremo appresso la definizione ed il termine "collasso", che la più
parte degli Autori ritiene debba essere impiegata soltanto negli stati
ipotensivi da "disregolazione circolatoria ortostatica". Altrettanta
confusione nella classificazione ed interpretazione dei vari tipi e/o delle
varie fasi dello shock derivò dalla constatazione che, accanto a momenti
fisiopatogenetici comuni a tutte le forme, altri ne esistevano, caratteristici
solo di singole situazioni. Da rilevare anche che sempre più frequentemente si
constatò la presenza di combinazioni di varie forme (forme "miste").
In
questi ultimi 25 anni, tuttavia, si sono fatti considerevoli progressi e lo
studio di questa sindrome si è sviluppato in modo tumultuoso: accanto agli
studi sulla macrocircolazione si sono approfonditi quelli sulla
microcircolazione, sono stati indagati i danni metabolici e strutturali dei vari
organi e delle singole cellule, sono stati identificati nuovi fattori che
possono innescare lo shock od aggravarne l'evoluzione.
Questo
corpus di informazioni ha portato non solo a diverse interpretazioni, ma anche a
sostanziali modificazioni della terapia, con innegabili vantaggi rispetto al
passato. Ciò nonostante lo shock circolatorio rappresenta una emergenza tuttora
ad altissimo rischio, gravata di forte mortalità (più o meno elevata a seconda
delle varie forme).
Diciamo
subito che la difficoltà più grave consiste nel riconoscimento precoce causale
e sintomatologico. Spesso la sindrome è sfumata o sottovalutata inizialmente,
le cause sono occulte o riconosciute tardivamente e inoltre nelle prime fasi
mancano indici di laboratorio o strumentali sicuri. Manca spesso una cultura ad
hoc: lo shock rappresenta sempre una urgenza da ricoverare in un reparto di cure
intensive.
Solo
l'intervento precoce atto ad arrestare in tempo utile l'iter evolutivo della
sindrome prima della fase di "irreversibilità" (sarebbe meglio
definirla "refrattarietà terapeutica") può essere risolutivo.
I
contenuti di quanto verrà descritto fanno riferimento a trattati e
pubblicazioni recenti sull'argomento ed anche all'esperienza maturata in un
Reparto di Medicina d'Urgenza. Seguiremo comunque per motivi di chiarezza un
iter tradizionale di esposizione.
Lo
shock può essere definito come una sindrome caratterizzata da una grave e
generalizzata riduzione della perfusione dei tessuti, che tende a produrre, se
prolungata nel tempo, alterazioni diffuse ed irreversibili della funzione
cellulare. Questa definizione è comune a tutti gli stati di shock (ipovolemico,
settico, cardiogeno, anafilattico ecc.), sebbene i vari tipi differiscano fra di
loro sia dal punto di vista fisiopatologico sia evolutivo.
Vogliamo
sottolineare comunque che non si tratta di una sindrome da ipotensione arteriosa
bensì da ipoperfusione di tutti gli organi, che il danno cellulare è
secondario alla ipossia, che l'evoluzione ha bisogno di un certo tempo perché
si instaurino i deficit anatomici e funzionali cellulari. Pertanto se, per
esempio, un processo di riduzione della massa circolante è massivo e rapido
(come nel caso di un'emorragia imponente ed inarrestabile), non vi è tempo che
si instauri uno stato di shock ed il danno che porta a morte è di tipo "ischemico"
acuto.
Lo
shock è una sindrome polietiologica caratterizzata da ipoperfusione persistente
dei tessuti con grave danno metabolico cellulare, tendente ad evolvere in tempi
più o meno brevi verso l'irreversibilità.
I
meccanismi etiopatogenetici dello shock si possono ridurre sostanzialmente a
tre: volume circolatorio inadeguato, compromissione del tono vascolare, deficit
critico della portata cardiaca. Ciascuno di tali meccanismi può essere causa
iniziale di shock, ma le strette relazioni esistenti fra le tre unità
funzionali: massa sanguigna, sistema vasale e cuore, fanno si che solo raramente
il danno resti limitato ad un solo settore.
Ci
pare interessante riportare in
alcune tabelle le più comuni classificazioni dello shock, sottonotandone le
differenze (tab.01 tab.09 ).
Come
si è detto, la persistenza dello stato di shock oltre una certa durata (ore,
fino ad alcuni giorni) tende a creare lesioni irreversibili che conducono a
morte il paziente. È anche
possibile che grazie a terapie efficaci e precoci lo shock venga superato (quoad
vitam), ma che permangano danni, transitori od anche permanenti, a carico di
qualche organo (per esempio il rene) che condizioneranno il successivo decorso.
La
prognosi è quindi tuttora assai severa, dipendendo in larga misura dalla causa
iniziale e dal riconoscimento precoce. In letteratura si riscontrano ampie
variazioni di mortalità a seconda dei vari tipi di shock: fra il 3-20% nella
sindrome da shock "tossico", tra il 40-70% nello shock
"settico", oltre 1'85% nello shock "cardiogeno" (infarto).
Riportiamo
i dati ricavati dalle statistiche del reparto di Terapia Intensiva Medica
dell'ospedale Molinette di Torino (vedi tab.10
L'alta
mortalità (si tratta di casi specificatamente selezionati e documentati come
"gravi") dà una chiara idea della severità della prognosi.
Incidentalmente va detto che i 5 casi di decesso per shock ipovolemico (su un
totale di 6) erano rappresentati da pazienti cirrotici con emorragie digestive
massive ed irrefrenabili .
La
fisiopatologia dello shock costituisce argomento di notevole complessità,
essendo coinvolti molti sistemi, organi e funzioni, quali: il macro ed il micro
circolo, il metabolismo dei vari componenti cellulari, incluso quello
energetico, ed il trasporto transmembrana di ioni, vari mediatori umorali
(sistema catecolaminico, sistema renina-angiotensina, prostanoidi, endorfine,
chinine, radicali liberi di ossigeno ecc.), il sistema della coagulazione.
È difficile tuttavia scindere i problemi della fisiopatologia da quelli
etiopatogenetici: cause ed eventi consequenziali, a loro volta causa di
ulteriore danno, si intersecano tra di loro. Si creano cioè circoli viziosi, in
una sequenza che tende al progressivo deterioramento dell'organo interessato.
La
caratteristica comune a tutte le forme di shock è la riduzione della
irrorazione sanguigna nutritiva (perfusione dei capillari), con ridotto apporto
di ossigeno e di substrati, nonché difficoltà all'eliminazione dei metaboliti
tissutali (funzione di drenaggio).
Lo
shock ipovolemico è stato indagato molto più estesamente di tutti gli altri
tipi e ad esso sono stati dedicati molti studi tendenti a chiarirne i meccanismi
fisiopatogenetici. A questi studi faremo dunque riferimento in questa parte
generale, come premessa per la successiva discussione della fisiopatologia
propria di ciascuna forma di shock..
Bisogna
considerare:
1.
modificazioni della macroemodinamica;
2.
modificazioni della microemodinamica;
3.
alterazioni del metabolismo tissutale;
4.
lesioni dei vari organi dello shock;
5.
teorie patogenetiche dello shock.
Una
modesta riduzione della massa circolante, ad esempio perdita del 10% del volume
ematico, provoca tramite barocettori e chemocettori atriali, aortici e
carotidei, un'attivazione simpato-adrenergica diretta a mantenere entro limiti
ottimali la pressione arteriosa.
Si
provocano così:
1.
costrizione del sistema arterio-arteriolare (di grado massimo nella cute,
grasso e muscoli; di grado minimo nell'encefalo e miocardio) con
centralizzazione del circolo (vedi fig.01 );
2.
aumento della frequenza e della contrattilità cardiaca;
3.
venocostrizione del sistema venoso capacitivo, finalisticamente diretto ad
immettere in circolo le masse di riserva, consentendo così un riempimento
atriale adeguato.
L'azione
costrittiva dei mediatori simpato-adrenergici consente quindi il mantenimento di
valori pressori normali od accettabili, realizzato attraverso la riduzione di
alcuni flussi distrettuali ad organi più resistenti, (per via del loro basso
metabolismo), a lunghi periodi di ipossia (cute, tessuto adiposo, osso e muscolo
scheletrico).
Continuando
la causa di ipovolemia, ad esempio perdita di più del 30% del volume ematico,
si ha un ulteriore incremento dell'attività adrenergica, che comporta
vasocostrizione distrettuale anche in organi meno resistenti all'ipossia, quali
il fegato, il pancreas, i reni e l'intestino.
Si
produce contemporaneamente un aumento di concentrazione ematica di ADH e di
aldosterone, secondario alla diminuita attività dei recettori atriali,
inizialmente, e poi, di quelli aortici e carotidei. Ciò determina ritenzione di
acqua e sodio, con parziale recupero del volume circolante, ma, anche,
emodiluizione e quindi ridotta capacità di trasporto dell'ossigeno ematico.
Sempre
più evidente è il fatto che la stabilizzazione della pressione arteriosa
avviene a spese dell'irrorazione tissutale (con tutti i danni conseguenti che
vedremo in seguito). L'azione costrittiva simpato-adrenergica si estende
contemporaneamente anche al microcircolo cioè a quelle strutture vascolari
periferiche (vedi circolo capillare) preposte agli scambi ematotissutali.
La
microcircolazione è l'unica sezione del sistema circolatorio ove si realizzano
scambi fra sangue e tessuti o viceversa. Infatti lo scambio avviene soltanto a
livello dei capillari (formati da endotelio monostratificato e fenestrato) ed il
flusso transcapillare è regolato dalle leggi del'idrodinamica oltre che
dall'azione di farmaci e/o di condizioni patologiche (ipoperfusione, ipossia,
tossine batteriche) capaci di aumentare le dimensioni dei "pori"
capillari. L'insufficienza del flusso transcapillare costituisce la base della
fisiopatologia di ogni stato di shock.
La
pressione nell'interno del capillare dipende dalla pressione di perfusione e
dall'attività dello sfintere precapillare (che è sensibile, fra l'altro, alla
ipovolemia ed ed all'attività simpatica) (vedi fig.02
Le
alterazioni del microcircolo si possono così schematizzare.
a)
prima fase precoce: contrazione dello sfintere precapillare (aumento della
pressione intercapillare e del flusso);
b)
seconda fase: sfinteri pre- e post-capillari chiusi per contrazione massimale
con pressione e flusso capillare nulli ("anossia ischemica");
c)
terza fase: perdita del tono degli sfinteri precapillari mentre si mantiene la
contrazione della struttura sfinterica poscapillare con flusso molto lento,
accumulo di sangue nel lume capillare, fuoriuscita dei fluidi plasmatici verso
gli spazi interstiziali, iperviscosità ematica che peggiora il flusso
transcapillare, anche nel momento di una riattivazione del circolo
("anossia stagnante").
Si
ha pure aggregazione granulocitaria (dovuta a liberazione di mediatori e
sostanze citolesive). Questi aggregati, a loro volta, determinano turbe di
flusso, danno della parete capillare ecc.
La
suddetta sequenza di disturbi microvasali interessa tutti i tessuti, con aspetti
peculiari per ciascun organo e con turbe funzionali che sono causa a loro volta
di eventi patogenetici non sempre chiari.
La
ipovolemia destabilizza la funzione e le strutture delle cellule. L'inadeguata
perfusione tissutale provoca inevitabilmente una ridotta produzione di energia,
per l'obbligata utilizzazione dei substrati in condizioni di anaerobiosi (blocco
del ciclo di Krebs, utilizzazione lungo la via Embden-Meyerhof, molto poco
redditizia sul piano energetico: infatti nella glicolisi anaerobica 1 mole di
glucosio fornisce 2 moli di ATP; in quella aerobica 38 moli). Si accumulano
pertanto notevoli quantità di acido lattico, come prodotto di scarto.
La
destabilizzazione è evidente a livello delle membrane ove, per la carenza di
ATP, si arresta la pompa di estrusione cellulare dei Na+ ed aumenta la
permeabilità cellulare: aumenta così l'idratazione del citoplasma. La stessa
membrana è soggetta ad una vera e propria disgregazione essendo ricca di
fosfolipasi: lo stress ipossico attiva le fosfolipasi che danno inizio a massiva
idrolisi dell'acido arachidonico e degli acidi grassi insaturi, con la
formazione di prostanoidi e di radicali liberi dell'ossigeno.
Il
danno di membrana riguarda anche le membrane lisosomiali, fino alla loro rottura
e concorre nell'attivare un circolo vizioso di progressivo deterioramento
dell'ambiente intracellulare, causato da acidosi, indisponibilità di ossigeno,
iperidratazione, squilibrio ionico. Diviene così precario il mantenimento delle
membrane cellulari e quindi della normale citoarchitettonica.
Il
danno ischemico cellulare è stato
classificato da Trump in 7 stadi.
Esso
comincia con alterazioni mitocondriali e stimolazione della glicolisi
anaerobica, agglutinazione della cromatina e deficit di ATP con diminuzione
delle pompe ioniche di membrana riguardanti i movimenti del Na, K, Ca e Mg
(primo stadio).
Segue
aumento di volume dell'acqua intracellulare e del reticolo sarcoplasmatico.
Cominciano a comparire protrusioni o "bolle" della membrana cellulare
(secondo stadio).
Quindi
i mitocondri assumono aspetto denso, il potassio abbandona la cellula, i
lisosomi "gonfiano" (terzo stadio).
I
quattro stadi seguenti segnano il passaggio dal danno reversibile a quello
irreversibile: si assiste a lisi della membrana mitocondriale e rottura di
quelle lisosomiale con fuoriuscita degli enzimi proteolitici. Segue la scomparsa
di ogni struttura cellulare (autocitolisi, cariolisi, calcificazioni, formazioni
lamellari ecc.).
Per
quanto riguarda i diversi organi il loro interessamento dipende dal tipo di
shock, dalla sua gravità e dalla sua durata, con una gamma che va dal danno
subclinico fino a quadri di grave insufficienza.
L'ipoperfusione
(da ipovolemia) è un evento che interessa tutti gli organi, anche se il
processo di "centralizzazione" del circolo tende ad esercitare una
certa protezione nei riguardi del cuore e dell'encefalo. Va rilevato che lesioni
d'organo talvolta costituiscono l'innesco dei circoli viziosi e di progressivo
aggravamento dello shock, e che tali lesioni d'organo possono protrarsi a lungo
dopo la guarigione clinica apparente.
Encefalo.
È forse l'organo meno
compromesso almeno inizialmente; infatti il circolo cerebrale si mantiene
sufficiente compensando, mediante autoregolazione distrettuale, abbastanza bene
l'ipotensione. Tuttavia uno stato confusionale precoce è tipico dello shock
settico. Quando poi cedono i meccanismi di compenso insorgono gravi disturbi
(acidosi liquorale e tissutale, turbe della sintesi dei neurotrasmettitori,
turbe dell'equilibrio idroelettrolitico) che portano al coma e che a loro volta
sono causa di innesco di turbe metaboliche (ritenzione idrica) e di
insufficienza respiratoria acuta.
Cuore.
L'alterata perfusione coronarica deprime la funzione cardiaca, prevalentemente
in soggetti predisposti e negli anziani; ciò induce ulteriore riduzione della
portata cardiaca perpetuando in questo modo il circolo vizioso (sono stati
osservati nello shock necrosi diffusa sottoendocardica con edema perifocale).
Occorre
ricordare inoltre che la funzione cardiaca può venire alterata da un fattore
depressivo cardiaco (MDF), un polipeptide che si libera dal pancreas ipoperfuso
e che inibisce la contrattilità miocardica attraverso un'azione sul turnover
del calcio nel sarcoplasma.
Polmoni.
Sono fra gli organi più colpiti. Fino a pochi anni fa il rapporto fra shock è
polmone era ignorato. In anni recenti questo rapporto è stato chiarito e si è
cominciato a parlare di "polmone da shock", o "ARDS",
sebbene il cosiddetto polmone da shock sia soltanto un aspetto dell'ARDS (adult
respiratory distress sindrome o "insufficienza respiratoria acuta
dell'adulto"). Le alterazioni dei capillari polmonari determinano edema
alveolare ed interstiziale (edema polmonare non cardiogeno), alterazioni degli
scambi gassosi (turbe del rapporto ventilazione-perfusione), estese atelectasie
probabilmente dovute a ridotta produzione di suractant, fino allo sviluppo del
quadro conclamato dell'ARDS (che è uno stato caratterizzato da grave ipossia
con diminuzione della compliance toracopolmonare e della capacità funzionale
residua). Anche in questo caso è evidente il circolo vizioso: ipossia
parenchima polmonare - implica diminuita ossigenazione del sangue arterioso -
implica accentuazione dell'ipossia generalizzata e quindi anche polmonare.
A
questo va aggiunto che vengono meno anche altre funzioni del polmone: la
funzione filtro di aggregati e detriti cellulari; la funzione metabolica di
inattivazione di catecolamine, prostaglandine, serotonina; la funzione di difesa
da fattori aggressivi provenienti dall'esterno o endogeni generatisi da processi
innescati dallo shock (es. attivazione del complemento).
Fegato.
È profondamente interessato dalle turbe perfusionali dello stato di
shock. La sofferenza cellulare si traduce in deficit di funzione ed in
immissione in circolo di idrolasi, che aggravano lo stato di shock. L'ipossia
ipoperfusiva porta a:
-
depressione del sistema reticolo-istiocitario (SRI);
-
diminuita inattivazione di amine biogene (catecolamine, serotonina);
-
tendenza al metabolismo anaerobio da parte dei mitocondri con incapacità di
utilizzazione dei lattati e diminuzione del pH;
-
depressione delle protidosintesi (sintesi del fibrinogeno e di altri fattori
della coagulazione, delle immunoglobuline, del collageno ecc.).
Queste
turbe della funzione epatica si prolungano nel tempo anche in casi di
superamento dello stato di shock (cosiddetta "epatite ischemica") e
sono causa di complicanze di decorso (ritardo di guarigione di ferite,
suscettibilità alle infezioni, scarsa tolleranza ai farmaci ecc.).
Pancreas.
Nello shock si ha una riduzione di flusso assai marcata nel pancreas (segni di
necrosi pancreatica sono osservabili macroscopicamente in larga parte dei
pazienti deceduti). La lesione ipossica ipoperfusiva determina la rottura dei
granuli zimogeni contenenti enzimi proteasici (tripsinogeno e chimotripsinogeno
attivati a tripsina e chimotripsina) e rottura dei lisosomi dai quali si
liberano varie idrolasi e proteasi (catepsine, peptidasi). Si ha quindi aumento
di proteasi circolanti (non più inattivate dal fegato per deficit della
funzione del SRI) fra cui il polipetide cardio-depressivo MDF.
Inoltre
la tripsina attiva il sistema della coagulazione come avviene nel corso della
pancreatite acuta. A questo sbilanciamento in senso procoagulativo del sistema
emostatico fa seguito l'attivazione del sistema fibrinolitico (aumento della
plasmina in circolo). Ne consegue tendenza alla diatesi emorragica favorita a
sua volta dal deficit di sintesi dei fattori coagulativi da parte del fegato
ipoperfuso. Si associa come è ovvio la depressione dell'attività
insulinopoietica.
Stomaco
ed intestino. Nello stomaco il deficit di perfusione è prevalente nel fondo e
nel corpo, ove si manifestano lesioni ulcerative (da "stress").
Nell'intestino si producono, a causa della ipossia, alterazioni della
permeabilità delle membrane cellulari: ne deriva un assorbimento indiscriminato
di sostanze potenzialmente dannose, primi i prodotti di batteri che si trovano
abitualmente all'interno del lume intestinale. Il passaggio in circolo di questi
prodotti batterici paò attivare in via secondaria i gravi meccanismi propri
dello sbock settico. Inoltre anche enzimi zimogeni e proteasici passano in
circolo senza trovare nel sistema portale il naturale blocco del SRI.
Rene.
È questo un organo particolarmente sensibile all'ipossia. La riduzione
di flusso interessa inizialmente la regione corticale esterna poi la corticale
interna e da ultimo la midollare. La prima risposta del rene all'ipovolemia è
rappresentata dall'immissione in circolo di aldosterone e di renina;
quest'ultima attiva l'angiotensina che provoca costrizione intensa della
muscolatura liscia vasale, aggravando il danno ipoperfusivo. Negli stadi precoci
si possono avere solo disturbi "funzionali" (oligo-anuria
"pre-renale" da ridotta filtrazione glomerulare), per passare poi al
cosiddetto "rene da shock", in cui fanno la loro comparsa danni
"organici": dapprima si ha necrosi tubulare, potenzialmente
reversibile, in seguito necrosi corticale, irreversibile.
La
ricerca più recente è indirizzata verso l'identificazione di mediatori umorali
o tissutali che direttamente od indirettamente provochino le lesioni cellulari e
d'organo fin qui esposte, portando alla necrosi della cellula ed infine alla
morte dell'organismo. Cercheremo brevemente di sintetizzare le numerose ipotesi
formulate.
Iperattivazione
del sistema adrenergico. L'immissione in circolo di catecolamine, fenomeno
compensatorio delle fasi iniziali dello shock, può di per sé diventare, se
perdurante nel tempo ed eccessivo, un fattore complicante e ridurre
ulteriormente la perfusione tissutale, iniziando così un circolo vizioso che
porta alla irreversibilità. Gli effetti sono: deficit della disponibilità
energogena cellulare, destabilizzazione delle membrane, liberazione di proteasi,
attivazione della cascata dei prostanoidi, attivazione del fattore di Hageman e
della coagulazione, ipergenerazione di radicali liberi di ossigeno.
Proteasi.
Sono enzimi idrolitici che conducono alla formazione di peptidi e polipeptidi
variamente attivi ed alla destabilizzazione di molte strutture proteiche. Le
proteasi dei lisosomi (aminopeptidasi, carbossipeptidasi, catepsine) portano ad
idrolisi delle proteine citoplasmatiche e ad autocitolisi. Le proteasi dei
granuli zimogeni del pancreas (tripsinogeno e chimotripsinogeno) sono attivate a
tripsina e chimotripsina. Questi enzimi presenti in circolo a loro volta
attivano il fattore Hageman e quindi il processo di emocoagulazione. A questo
processo si affianca immediatamente un processo di fibrinolisi attivato dalla
comparsa nel sangue di un'altra proteasi, cioè la plasmina. Il fattore di
Hageman attivato provoca anche la trasformazione della precallicreina in
callicreina e quindi la formazione di chinine. Organi dell'attivazione dei
sistemi proteasici durante lo shock sono il pancreas (proteasi lisosomiali,
enzimi zimogeni, precallicreina) ed anche il fegato, i muscoli ed i granulociti
lisati (proteasi lisosomiali). Per azione delle proteasi lisosomiali del
pancreas si forma, come già detto, il MDF (fattore ad azione depressiva
miocardica) che si è dimostrato presente in tutti i tipi di shock con
conseguente riduzione della gettata cardiaca. Altri fattori depressivi di natura
polipeptidica, secondari ad attività proteasica aumentata, sono stati
descritti: uno di questi avrebbe funzione di inibizione del SRI ed un altro di
facilitazione del danno polmonare.
Prostanoidi.
Il loro ruolo è incerto. Le proteasi circolanti attivano la fosfolipasi A e di
conseguenza la cascata di prostanoidi. Fra le prostaglandine la prostaciclina
avrebbe azione antiaggregante e citoprotettiva, al contrario del tromboxano e
dei leucotrieni (che sono considerati aggravanti il danno endoteliale diffuso).
Sistema
reticolo istiocitario (Sri). La sua depressione causa una carenza del blocco dei
detriti cellulari dei corpi batterici, della inattivazione delle tossine
batteriche e delle proteasi. Pare dimostrato che fattori che stimolano il SRI
("opsonine") influiscano favorevolmente sull'evoluzione dello shock.
Endorfine.
In molte forme di shock avviene la liberazione di un oppiaceo endogeno, la
beta-endorfina , polipeptide che stimolerebbe un particolare gruppo di recettori
specifici (recettori delta) in sede centrale e con effetto ipotensivo. Tentativi
terapeutici con l'antagonista degli oppiacei naloxone, avrebbero sortito effetto
positivo in pazienti affetti da vari tipi di shock, in particolare nello shock
settico.
Aggregazione
dei granulociti. Si verifica come effetto dell'attivazione del complemento (via
"indiretta" o "alternativa") ad opera di proteasi, chinine,
attivazione del fattore Hageman. I granulociti aggregati causano ostruzione
meccamca nei piccoli vasi e generano grandi quantità di radicali liberi
dell'ossigeno, che perossidano le strutture cellulari vicine, immettono proteasi
lisosomiali e, nel momento della loro lisi, favoriscono la formazione dei
leucotrieni.
Radicali
liberi dell'ossigeno. Recenti ipotesi identificano il meccanismo molecolare
dell'insorgenza e dello stato di shock nelI'iperattività dei radicali liberi
dell'ossigeno(superossido,perossido di idrogeno, ossidrile, ossigeno
singoletto), che si generano in eccesso sopraffacendo quelli che sono i loro
sistemi inattivanti ("scavengers").
I
radicali liberi sono atomi o gruppi di atomi che hanno un elettrone
"spaiato" nell'orbitale esterno: per ristabilire l'equilibrio
orbitalico il radicale tende a captare elettroni delle molecole più vicine e
pertanto questi radicali (la cui emivita è dell'ordine dei nano-secondi) sono
forme instabili, estremamente reattive, capaci di attivare pericolose reazioni a
catena con danno progressivamente ingravescente. Per loro azione su un acido
grasso di membrana si produce lipoperossidazione dello stesso acido, con
formazione di un nuovo radicale, che impatterà un'altra molecola vicina. Questo
accade in particolare nel metabolismo dell'acido arachidonico iniziato dalla
fosfolipasi: il processo a catena è bloccato da uno "scavenger", la
glutatione perossidasi.
I
radicali liberi si formano in tutti i processi fisiologici di riduzione
dell'ossigeno (ossidazione delle xantine, catecolamine ecc.) oltre che
nell'aggregazione granulocitaria (meccanismo finalisticamente batteriolitico) e
nel metabolismo degli acidi grassi insaturi. Essi sono inattivati dai sistemi
"scavenger" enzimatici (vedi tab.11
L'aumento
dei radicali liberi di ossigeno potrebbe rappresentare l'ultima tappa del
processo patogenetico dello shock provocando:
-
aumento della permeabilità capillare (su tutto il microcircolo ed in
particolare sul polmone e surfactante);
-
riduzione della contrattilità miocardica;
-
danno di membrana cellulare (perossidazione acidi grassi) ;
-
formazione di leucotrieni aggreganti ed endotelio-lesivi (attivazione
lipoossigenasi) Il risultato di esperimenti che dimostrerebbero l'azione
protettiva esercitata nello shock da sostanze "scavenger" (tocoferoli,
glutatione, superossido dismutasi) avvalorerebbe l'ipotesi dell'importante ruolo
dei radicali liberi di ossigeno nella patogenesi dello shock. Per concludere, il
processo patogenetico dello shock ipovolemico si potrebbe schematizzare come
indicato nella fig.03
La
diagnosi di shock conclamato è per lo più facile; più complicato può essere
individuare la forma particolare in causa ed il suo meccanismo fisiopatologico.
La
vera difficoltà consiste tuttavia nel riconoscere gli aspetti clinici
"iniziali" (valutazione della gravità e dello stadio dello shock).
Tipicamente
i pazienti che sviluppano uno shock passano attraverso tre stadi che possiamo
considerare espressioni di tre diversi gradi di severità della sindrome.
Il
passaggio attraverso questi tre stadi può avvenire rapidamente o può evolvere
gradualmente, essendo condizionato dalla intensità e persistenza del meccanismo
causale.
Primo
stadio: shock lieve o pre-shock. Può essere difficile da cogliere perché i
meccanismi compensatori riescono a mantenere valori pressori pressoché normali.
Non vi è contrazione della diuresi. Può essere presente ipotensione posturale.
È presente tachicardia. A causa della vasocostrizione cutanea la cute è
fredda e pallida ("tachicardia algida normotesa"). Il paziente è
cosciente, può essere lievemente agitato ed accusare sensazione di freddo.
Secondo
stadio: shock moderato. In questo stadio la pressione arteriosa comincia a
declinare (pressione sistolica <90 mmHg), è presente tachicardia (la
frequenza sale anche fino a 120/min), la diuresi scende sotto 0,5 ml/kg/h, la
cute può essere sudata, pallida o con marezzature cianotiche ("tachicardia
algida ipotesa"). Il paziente si presenta irrequieto o agitato talora
lievemente confuso. Se coronaropatico, può presentarsi con crisi anginose.
Terzo
stadio: shock severo. La perfusione degli organi è ulteriormente compromessa e
le manifestazioni cliniche sono legate alla riduzione dei flussi coronarico e
cerebrale ed alla liberazione in circolo dei prodotti della degradazione
cellulare. Compare obnubilamente psichico, fino alla comparsa di sopore profondo
e coma. La pressione arteriosa non è misurabile, la frequenza del polso è
molto elevata ( > 120/min), la cute di colorito grigiastro, cianotica, fredda
e madida di sudore appiccicaticcio. Compaiono aritmie cardiache, segni di
insufficienza respiratoria (dovuti all'edema polmonare o all'ARDS). Il paziente
diventa anurico, possono comparire disturbi della coagulazione legati alla
comparsa della CID (coagulazione intravascolare disseminata).
È questo lo stadio dello shock per lo più irreversibile, o comunque
gravato da alta mortalità, o con postumi severi.
La
tabella 13 sintetizza i vari stadi dello shock ipovolemico emorragico correlando
i segni clinici con l'entità dell'emorragia.
Deve
tuttavia essere ben chiaro che non solo è importante la valutazione precoce
dello stato di shock, ma anche e soprattutto la individuazione della sua causa.
È legato alla presenza di almeno due delle seguenti condizioni:
a)
P.A. massima < 90 mmHg o diminuzione della stessa di 40 mmHg dai livelli
basali;
b)
flusso orinario <0,5 ml/kg/h;
c)
riduzione del flusso ematico periferico: cute fredda ed umida (estremità
cianotiche, marezzature cutanee);
d)
alterazioni dello stato mentale;
e)
acidosi metabolica.
È importante ricordare che non bisogna confondere i valori della P.A.
con il grado di perfusione tissutale (vi possono essere pazienti ipotesi non in
shock e pazienti normotesi in shock).
Occorre
precisare che solo tre dei criteri su elencati (a-c-d) sono clinici e quindi
disponibili al primo approccio con l'ammalato, gli altri due (e-b) si avvalgono
di esami di laboratorio (EGA) e di una osservazione nel tempo (diuresi oraria).
Vanno
ricercati sempre in pazienti con sospetto anamnestico o conosciuti come a
rischio di shock (vedi le varie classificazioni riportate nella prima parte).
Sono
elementi di sospetto:
-
aumento inspiegabile della frequenza cardiaca;
-
ipotermia o caduta più o meno improvvisa della temperatura cutanea;
-
caduta della pressione arteriosa sistolica o comparsa di ipotensione posturale
(diminuzione dopo 2'-4-' di almeno 20 mmHg nella posizione seduta a gambe
pendenti dal bordo del letto o meglio, qualora possibile, in posizione eretta)
Contemporaneamente si osserva anche
aumento della frequenza del polso di almeno 15 battiti/min. (Naturalmente
occorre escludere le ipotensioni ortostatiche secondarie a neuropatia autonomica
o ad uso di farmaci antiipertensivi!).
Applicare
subito misure generali di sostegno alla circolazione ed alla respirazione.
1.
Posizione: il paziente va posto in posizione supina per favorire il ritorno
venoso. Va tenuto coperto nel trasporto in Ospedale, per prevenire perdite di
calore.
2.
Arrestare un'evidente emorragia esterna, con compressione manuale diretta.
3.
Controllare la pervietà delle vie aeree ed eventualmente mantenerla con cannula
di Mayo.
4.
Somministrare se possibile ossigeno,mediante sondino nasale o maschera facciale,
a 5 l/min (con questo flusso si ottiene una concentrazione di O2 di circa
il 40%).
5.
Iniziare infusione endovenosa salina (500 ml di soluzione fisiologica), a meno
che il paziente presenti segni di sovraccarico idrico (rumori polmonari umidi,
turgore delle vene del collo).
6.
Tranquillizzare il paziente.
7.
Sedare il dolore: va bene somministrare piccole dosi di morfina e.v. (2-4 mg, da
ripetere eventualmente dopo qualche minuto).
8.
Ricoverare in ospedale, possibilmente in unità di cure intensive.
-
Porre il paziente su lettino o barella apposita per eventuali esami Rx.
Spogliare rapidamente il paziente senza manipolazioni violente o cambiamenti
bruschi di posizione, pericolosi perché possono aggravare uno stato di shock,
eventualmente tagliare i vestiti.
-
Controllare i segni vitali.
-
Praticare un primo esame fisico sommario allo scopo di individuare la causa
primaria dello shock e dare inizio al più presto alle misure specifiche atte a
correggerlo (l'esame del dorso si fa facendo ruotare il paziente su di un lato e
non facendolo sedere).
-
Somministrare (o continuare) l'erogazione dell'ossigeno.
-
Reperire un accesso venoso che permetta infusioni venose rapide di qualsiasi
sostanza (impiego di aghi cannule di 16 o 18 G o cateteri venosi tipo
"intrafusor" o simili).
-
Ricercare o utilizzare (se già preesistente) un secondo accesso venoso, che
servirà anche per eseguire prelievi di sangue da inviare al laboratorio.
-
Gli esami ematochimici di routine da richiedere sin dal primo approccio sono:
glicemia, azotemia, creatininemia, emocromocitometrico (compreso piastrine),
elettroliti, enzimi: AST- ALT- CPKLDH, tempo di Quick, PTT, fibrinogeno, ed
emogasanalisi arteriosa (EGA). Campioni di sangue ed orine per emo- ed
urocoltura potranno anche essere inviati al laboratorio,
se successivamente ritenuto necessario.
-
Posizionare un catetere vescicale a permanenza, con dispositivo per la
misurazione della diuresi oraria.
A
questo punto occorre approfondire l'esame anamnestico e clinico e praticare
esami strumentali.
Una
breve storia clinica può essere raccolta direttamente dal paziente o dai
familiari, da eventuali testimoni, o dal personale stesso dell'ambulanza.
È evidente l'importanza che possono avere, nell'orientare verso un tipo
di shock piuttosto che verso un altro, il riscontro di sintomi di infarto
miocardico o di altra cardiopatia, di assunzione o di iniezione di farmaci, di
traumi pregressi toracici od addominali, di infezioni recenti, di perdite
idriche (vomito, diarrea) od ematiche (emorragie digestive), di punture di
insetti ecc.
Anche
un esame fisico più approfondito permetterà un migliore indirizzo diagnostico:
sarà importante il rilievo della presenza di febbre (shock settico), di
giugulari turgide (shock ostruttivo o cardiogeno), di edema laringeo,
broncospamo, orticaria (shock anafilattico), di aritmie o di reperti anomali
cardiaci o di edema polmonare acuto (shock cardiogeno, spesso da complicanze
infartuali), di masse pulsanti e/o dolori addominali (shock emorragico da
rottura di aneurisma dell'aorta, shock ipovolemico o "misto" da
pancreatite, da infarto intestinale), di sangue all'esplorazione rettale (shock
da sanguinamento digestivo), di alterazioni di tipo neurologico (shock
"distributivo") e così via.
Gli
esami strumentali urgenti di primo approccio sono:
-misurazione
della temperatura cutanea e rettale;
-elettrocardiogramma
(infarto, aritmie ecc.);
-Rx
torace (aneurisma aortico, versamenti pleuro-pericardici, pueumotorace acuto
massivo ecc.).
Naturalmente
altrettanto urgenti ed importanti, in casi selezionati, sono la radiografia
dell'addome diretto, in caso di addome acuto da perforazione di visceri o da
occlusione intestinale, l'ecotomografia addominale in caso di patologie
traumatiche (emorragie interne) o vascolari addominali (aneurisma dell'aorta).
Utili
informazioni di prima istanza nello shock possono essere anche raccolte mediante
ecocardiografia mono e bidimensionale.
Mediante
questo esame è possibile praticare una diagnostica differenziale rapida fra tre
tipi di shock: quello causato da presenza di un versamento pericardico con
tamponamento cardiaco, quello causato da embolia polmonare massiva (riscontro di
aumento volumetrico delle cavità cardiache di destra), quello secondario a
shock cardiogeno primitivo (aumentata volumetria camere cardiache, ipocinesia
ventricolare, alterazioni valvolari).
Altri
esami più sofisticati potranno essere necessari in casi particolari e ad essi
si dovrà ricorrere generalmente in seconda istanza.
Nessun'altra
entità clinica come lo schock richiede un monitoraggio continuo ed attento
delle condizioni cliniche e delle funzioni cardiocircolatoria, respiratoria,
renale e della situazione metabolica. L'obiettivo è diretto al controllo dello
stato di shock, al perfezionamento della diagnosi etiologica, all'aggiustamento
dei dosaggi e del tipo di farmaci prescelti.
A
questo scopo sarebbe opportuno disporre di una cartella apposita per la raccolta
dati, che permetta anche una rappresentazione grafica dell'andamento delle
variabili sotto controllo.
Il
monitoraggio continuo dello shock è costituito da:
A)
Monitoraggio dei segni vitali: comprende il controllo del livello di coscienza e
della frequenza cardiaca e respiratoria, della temperatura interna ed esterna.
B)
Monitoraggio ECG: serve non solo nello shock cardiogeno ma anche negli altri
tipi di shock, in cui possono essere presenti aritmie secondarie a turbe
dell'equilibrio acido-base e/o idroelettrolitico.
C)
Monitoraggio emodinamico, che comprende:
a)
controllo della pressione arteriosa: il rilievo dei valori pressori con
sfigmomanometro riesce talora insoddisfacente, specie in casi di intensa
vasocostrizione periferica e nei casi di grave ipotensione e ridotta gettata
cardiaca. In centri attrezzati si ricorre all'incannulamento dell'arteria
radiale o femorale, per la misurazione diretta della pressione intraarteriosa;
questa metodica consente valutazioni precise dell'effetto di farmaci, quali i
vasodilatatori ed i simpatico-mimetici ed il prelievo di frequenti campioni di
sangue arterioso per emogasanalisi;
b)
controllo della pressione venosa centrale (PVC). È un parametro indispensabile per la valutazione della
funzione circolatoria e può essere facilmente misurato mediante incannulazione
della vena basilica o cefalica brachiale o della succlavia o della giugulare
interna, avendo cura che l'estremità del catetere sia situato a livello della
cava superiore. La PVC è normalmente al di sotto di 10-12 cm di H2O (0-7 mmHg);
la sua misura riflette la pressione atriale destra e quella ventricolare
telediastolica destra, il ritorno venoso e la pressione nelle strutture che
circondano il cuore e le grosse vene intratoraciche, ma non è un indice
sensibile delle pressioni nelle sezioni sinistre del cuore.
Occorre
ricordare che la pressione in un distretto vascolare è rappresentata dal
prodotto del flusso per le resistenze. Il flusso (quantità di sangue in arrivo)
dipende essenzialmente dalla gettata cardiaca, le resistenze (difficoltà ad
alloggiare il sangue in arrivo) sono largamente influenzate dalla capacità
delle cavità cardiache ad accogliere il sangue in diastole (le cavità di
destra per la circolazione generale, quelle di sinistra per la circolazione
polmonare); quindi un inefficiente svuotamento cardiaco aumenta le resistenze.
Lo stesso avviene per un aumento del tono venoso che può essere secondario ad
una vasocostrizione venosa periferica per intervento riflesso dei barocettori in
risposta ad una brusca diminuzione della gettata cardiaca.
Analogamente
l'aumento della PVC può essere influenzato da aumento della portat a cardiaca,
come può verificarsi in certe situazioni di shock settico
"iperdinamico", come si dirà fra breve.
La
valutazione della PVC unita ad un dato clinico obiettivo (vasocostrizione =
estremità fredde; vasodilatazione = estremità calde) può essere molto
importante nella diagnostica differenziale dei vari tipi di shock.
Pertanto
si potrà riscontrare PVC bassa od elevata o normale.
PVC
bassa: esprime diminuzione di ritorno di volume ematico al cuore (riduzione di
massa circolante, cioè ipovolemia, che può essere "assoluta" per
perdita di sangue od altri liquidi o "relativa", di perdita del tono
vasomotore, come nello shock settico o neurogeno od anafilattico).
Il
dato dovrà essere pertanto integrato dalla valutazione clinica del paziente e
di un'altra variabile emodinamica correlata cioè le resistenze periferiche, che
appaiono elevate nel primo caso (per "vasocostrizione") e diminuite
nel secondo caso (per "vasodilatazione" da caduta del tono
vasomotorio).
PVC
elevata: esprime aumento di resistenza al riempimento diastolico delle cavità
cardiache destre come nel caso di alterazioni primitive della funzione di pompa
del cuore (shock "cardiogeno") o nel caso di ostruzione circolatoria
(shock "ostruttivo": tamponamento cardiaco od embolia polmonare), casi
in cui esisterà aumento delle resistenze periferiche
("vasocostrizione"). La PVC alta può esprimere anche aumento della
gittata cardiaca, come nello shock settico "iperdinamico", in cui la
gittata viene ad essere incrementata in seguito ad apertura di shunt
arteriolo-venulari e caduta delle resistenze periferiche a livello arteriolare
("vasodilatazione") .
PVC
normale: non è chiaramente indicativa di per sé e va valutata in relazione al
quadro clinico ed agli altri indici emodinamici (vedi tab.14
c)
valutazione della CWP (pressione polmonare occludente). Questa misurazione si
attua di solito solo nelle unità di terapia intensiva. Consiste in una tecnica
più complessa che comporta l'introduzione di un catetere nell'arteria
polmonare. I cateteri flottanti di Swan Ganz (vedi fig.04
Ci
è così dato di conoscere: 1) la presione dell'arteria polmonare; 2) la
pressione polmonare occludente (dopo ancoraggio del palloncino gonfiato
all'estremo distale del circolo polmonare) che, in assenza di patologie
vascolari, è rappresentativa della pressione telediastolica del ventricolo
sinistro; 3) la gittata cardiaca.
Il
valore normale della CWP è di circa 8-12 mmHg. La relazione tra questo valore
("precarico") e la gittata cardiaca è pressoché lineare per
pressioni comprese fra 8 e 18 mmHg. In altre parole un aumento della CWP entro
questo range comporta un miglioramento del riempimento ventricolare sinistro e
quindi della prestazione cardiaca. Oltre questi valori si assiste ad un
progressivo aumento della congestione polmonare fino all'edema polmonare (di
solito quando la CWP raggiunge livelli di 30 mmHg).
La
CWP segue per lo più l'andamento della PVC, quando non vi sono discrepanze fra
cuore destro e cuore sinistro. La CWP è pertanto soprattutto utile nello shock
cardiogeno, permettendo di distinguere se una sindrome da bassa gittata sia
dovuta ad una insufficienza ventricolare sinistra (CWP elevata) o ad una
ipovolemia associata (CWP bassa). Più in generale una CWP maggiore di 15-18
mmHg sconsiglia infusioni per espandere la volemia.
La
termodiluizione permette inoltre di monitorare la portata cardiaca; il suo
impiego è particolarmente utile perché consente il calcolo delle resistenze
periferiche sistemiche e polmonari in base alla formula:
RPST
= PAMx80/PC
RPT
= PMP x 80/PC
ove
RPST = resistenze periferiche totali, RPT = resistenze polmonari totali,
PAM
= pressione media (sistemica),
PMP
= pressione media dell'arteria polmonare (che si ottiene a palloncino sgonfio),
PC = portata cardiaca.
Sono
inoltre possibili le valutazioni di altri indici utili come l'indice sistolico
(IS) e l'indice di lavoro ventricolare sinistro (LVSWI) (vedi tab.15
D)
Monitoraggio della funzione renale. Il pre-shock e lo shock costituiscono una
indicazione all'inserimento di un catetere vescicale con dispositivo per la
misurazione della diuresi oraria (valori normali = 0,5-1/ml/kg/h; valori minimi
= 30 ml/h).
L'oligoanuria
è uno dei segni più precoci dell'insorgenza dello stato di shock e la sua
comparsa precede molti altri segni di ipoperfusione tissutale conclamata.
L'oligoanuria
"prerenale" o "funzionale" è dovuta alla diminuzione del
filtrato glomerurale ed all'aumento del riassorbimento tubulare. L'orina
presenta iperosmolarità (densità elevata) e bassa concentrazione di sodio
(sodiuria <30-40 mEq/l). Tale situazione di riduzione "funzionale"
della diuresi si risolve con la normalizzazione emodinamica (ormonale ed
idrosalina). Persistendo la noxa e lo stato di shock oligoanurico, si ha
evoluzione verso l'insufficienza renale acuta (IRA) dapprima tubulare
(tubulo-necrosi ischemica) e poi corticale (necrosi corticale con danno
irreversibile per il rene).
Nei
pazienti con sospetta IRA vanno pertanto monitorati, oltre alla diuresi, i
seguenti parametri: azotemia, cratininemia, osmolarità plasmatica,
creatininuria, sodiuria, osmolarità e peso specifico orinario.
Funzione
glomerulare: la velocità di filtrazione glomerulare (VFG) può essere calcolata
raccogliendo le orine per un'ora, misurandone la creatininuria e determinando la
creatininemia su un campione di sangue prelevato durante la raccolta di orine.
Per
ottenere la VFG (valore normale = circa 100 ml/min) è sufficiente moltiplicare
la diuresi oraria (espressa in ml/min) per la creatininuria e dividere per la
creatininemia. Si considerano sicuramente patologici e compatibili con una IRA
valori inferiori a 30 ml/min.
Funzione
tubulare: un'elevata sodiuria ( > 40 mEq/l) od un elevato rapporto Na
urinario/Na plasmatico esprimono un deficit della funzione tubulare.
Può
essere utile per differenziare un'azotemia "pre-renale" da una IRA
(tubulonecrosi acuta) ricorrere alla determinazione della frazione di escrezione
del sodio:
(sodio
urinario/sodio plasmatico) / (creatinina urin./creatinina plasm.) X 100
Se
la frazione di escrezione del sodio è superiore all'unità, il paziente ha una
necrosi tubulare acuta, altrimenti è più probabile che si tratti di
iperazotemia prerenale.
Il
peso specifico (e l'osmolarità urinaria) sono indici di funzione tubulare.
Nell'IRA le orine diventano isostenuriche e si riduce la capacità di
concentrazione del rene che è espressa dalla diminuzione del rapporto osmolarità
urinaria/osmolarità plasmatica (valori normali = > 1,1).
La
presenza di oligoanuria deve essere tenuta presente nella programmazione di ogni
intervento terapeutico (controllo del bilancio idrico, uso dei farmaci).
E)
Monitoraggio della funzione respiratoria e metabolica. Emogasanalisi: per la
valutazione dello stato di shock sono necessari controlli ravvicinati di pH,
PaO2, PaCO2 e, attraverso l'utilizzazione di appositi nomogrammi, la derivazione
da questi parametri di indici importanti, ai fini della terapia, quali:
l'eccesso di base (BE), la concentrazione plasmatica di Na+, HCO3-, la
saturazione in O2 dell'emoglobina (02 Sat%).
Nelle
fasi precoci i vari fattori patogenetici dello shock (trauma, ipotensione,
ipovolemia, sepsi) unitamente all'immissione in circolo di catecolamine,
stimolano i centri respiratori all'iperventilazione: pertanto il quadro EGA è
caratterizzato da lieve "alcalosi respiratoria" (pH lievemente
elevato, bicarbonati normali e PaCO2 diminuita).
Col
sopravvenire di acidosi metabolica l'iperventilazione rappresenta un meccanismo
di compenso: lo stato di pre-shock può essere allora caratterizzato da PaCO2
bassa con bicarbonati che tendono a diminuire e con un pH che si mantiene ancora
nei limiti di norma.
In
seguito, con il progredire dello shock, si potrà instaurare o un deficit
significativo di basi, non più compensato ("acidosi metabolica") o
un'"acidosi mista" metabolica e respiratoria, per il sopravvenire di
complicazioni del microcircolo polmonare, fino al grave quadro della sindrome da
insufficienza respiratoria acuta o ARDS (cosiddetto "polmone da
shock") caratterizzato da grave ipossia ed acidosi respiratoria (pH acido,
PaO2 fortemente diminuita, PaCO2 elevata).
In
genere la PaO2 può essere poco alterata nelle fasi precoci dello shock, ma
tende ad abbassarsi in quelle più tardive.
È comunque caratteristicamente molto bassa nell'ARDS ed anche nell'EPA
(edema polmonare acuto) da shock cardiogeno. Da rilevare anche che la PaO2 può
essere inizialmente elevata nello shock settico "caldo" (per apertura
degli shunt arteriolo-capillari) .
L'ipossiemia
secondaria all'alterazione degli scambi respiratori a livello polmonare rende
ancora più critica l'ossigenazione dei tessuti. Per poter avere un'informazione
precisa sull'apporto di ossigeno ai tessuti bisogna calcolare il consumo di O2
tissutale, cioè la differenza artero-venosa in ossigeno rapportata all'indice
cardiaco (la prognosi è tanto più infausta quanto più il consumo di O2 è
inferiore a 200 ml/min/m2).
L'ossigenazione
del sangue venoso può essere tenuta in una certa considerazione come indice di
perfusione tissutale: se il sangue venoso appare particolarmente povero di 02,
in assenza di patologia generale, si ha l'impressione immediata della
compromissione circolatoria sistemica.
L'acidosi
metabolica, soprattutto dovuta ad acidosi lattica e l'ipossia contribuiscono in
modo determinante all'evoluzione "irreversibile" dello shock.
È da tenere presente che la variabilità dell'etiopatogenesi dello shock
(sovrapposizione di più cause nello stesso paziente: ad esempio trauma +
emorragia + sepsi) può rendere l'interpretazione di alcuni quadri respiratori e
metabolici piuttosto complessa e difficoltosa.
F)
Altre indagini di laboratorio. Il laboratorio inteso in senso tradizionale, può
apportare alcuni utili dati di supporto alla diagnosi di shock e per il
controllo della sua evoluzione.
-Esame
emocromocitometrico: l'Ht non varia nella fase precoce dell'emorragia ma solo
successivamente, quando sopravviene l'emodiluizione, mentre è aumentato nella
ipovolemia da perdita idrosalina ed è normale nello shock settico e cardiogeno.
Nello shock settico può essere talora presente leucopenia, specie nelle sepsi
da gram negativi ed in soggetti immunodepressi. Il numero dei leucociti tuttavia
non è mai molto significativo nella diagnostica dello shock; la leucocitosi può
essere presente in tutti i tipi di shock (ad esempio settico, cardiogeno od
ipovolemico da disidratazione).
-Elettroliti
plasmatici: la sodiemia per solito è poco indicativa (il suo aumento
costituisce un valido indice di iperosmolarità plasmatica); la potassiemia può
aumentare nello shock da crush syndrome o nelle sindromi emolitiche; la calcemia
può essere diminuita nel decorso della pancreatite acuta ed anche talora dopo
trasfusioni massive di sangue in ACD; la cloremia può essere aumentata in
relazione all'acidosi metabolica per perdita di basi, come nella diarrea (forme
di acidosi con gap anionico normale ed ipercloremia).
-Lattati:
il loro aumento esprime l'indisponibilità di ossigeno ai fini delle
respirazioni cellulari (metabolismo anaerobico). Essi aumentano precocemente e
continuano ad aumentare nelle fasi iniziali di un trattamento efficace,
parallelamente alla diminuzione del pH (fenomeno di wash-out dai tessuti
riperfusi). Il livello di lattato è considerato un buon indice prognostico
dello shock (valori normali: 5-19 mg/dl = 0,5-2,2 mmol/l)
-Enzimi
sierici: i valori di AST, CPK (o meglio CPK MB) ed LDH sono utili per la
diagnosi nello shock da infarto miocardico. I valori di AST, ALT, LDH, CPK,
amilasi, possono aumentare in tutti i tipi di shock, come espressione della
sofferenza metabolica poliviscerale. Da rilevare a questo proposito che gli
aumenti di questi enzimi non sono precoci; essi compaiono in genere dopo 24 e più
ore dall'inizio della sintomatologia, sono legati anch'essi al fenomeno del
wash-out, sono tanto più alti quanto più esteso è stato il danno tissutale e
migliore la riperfusione.
È frequente il riscontro di valori elevatissimi degli enzimi suddetti
nei pazienti che hanno superato uno stato di shock noto, mentre d'altro canto
questo stesso riscontro di alti valori enzimatici può rappresentare un indice
indicativo dl un pregresso shock non diagnosticato, come può avvenire prima del
ricovero in Ospedale.
-Aspetto
emocoagulativo: in tutti gli stati di shock (particolarmente in quello settico)
esistono disturbi in senso procoagulativo (per azione delle tromboplastine
tissutali attivate dalla ipoperfusione, per proteasi circolanti, per
aggregazione piastrinica ecc.).
Contemporaneamente
si instaura spesso un'attività fibrinolitica che tende a mantenere in
equilibrio la bilancia emostatica; se questo bilancio si squilibra può
verificarsi la coagulopatia da consumo e la iperfibrinolisi. Si può cioè
arrivare al quadro della CID (coagulazione intravascolare disseminata). Tale
squilibrio emostatico è anche aggravato dall'ipoperfusione del fegato, che non
sintetizza più i fattori che intervengono nel meccanismo coagulativo quali:
protrombina, fibrinogeno, antitrombina III ecc.
In
caso di iperfibrinolisi è importante distinguere se essa è secondaria ad una
coagulopatia da consumo (CID) o se l'iperfibrinolisi è primaria, essendo
diversi i provvedimenti terapeutici che si debbono adottare. Utile pertanto
praticare i seguenti esami: conteggio delle piastrine, PT, PTT, fibrinogeno,
FDP, tempo di trombina. Tali parametri vanno monitorati, in quanto la CID è un
fenomeno "dinamico".
La
CID è caratterizzata sostanzialmente da:
-piastrine
nettamente diminuite;
-tempo
di Quick allungato;
-PTT
allungato;
-fibrinogeno
diminuito o in diminuzione rispetto a valori precedenti;
-FDP
aumentati;
-AT
III diminuita (nell'80% dei casi);
-test
di paracoagulazione (etanolo, solfato di protamina) nettamente positivi;
-
segni di frammentazione eritrocitaria.
Nella
iperfibrinolisi primaria il numero delle piastrine è per solito normale, così
come il test di paracoagulazione, mentre sono ridotti fibrinogeno, tempo di
Quick, PTT ed aumentati gli FDP.
Può
essere difficile in caso di diatesi emorragica distinguere fra CID, scatenata
dallo shock e malattia epatica acuta con deficit di sintesi di fattori
coagulativi (in tali casi può essere utile il dosaggio della vitamina
antiemofilica VIII, che non è di sintesi epatica).
Altri
esami più sofisticati, che è possibile eseguire solo in laboratori
particolarmente specializzati, utili soprattuto nelle fasi precoci dello shock
possono essere:
1.
Il dosaggio della "cachessina" o tumor necrosis factor (TNF) che è il
mediatore della endotossina ed i cui valori si elevano significativamente nello
shock (particolarmente "settico" e "traumatico").
2.
Il dosaggio delle elastasi neutrofile, i cui valori riflettono l'attivazione
granulocitaria in risposta a stimoli diversi (vari tipi di shock, sepsi). Anche
la valutazione della chemiluminescenza dei neutrofili incubati e dell'attività
mieloperossidasica sono considerati validi indici di attività battericida
granulocitaria.
3.
Il dosaggio di alcuni indici di ipergenerazione di radicali liberi di ossigeno:
dosaggio della malonildialdeide (MDA) che aumenta nello shock ed è un indice di
lipoperossidazione della membrana cellulare; il dosaggio del glutatione
intraeritrocitario e plasmatico (sostanza "scavenger"
antiperossidasica) che si trova ridotto per iperconsumo negli stati di shock (ciò
è stato dimostrato in diversi lavori, ed anche da noi in uno studio su 22
pazienti ricoverati presso il reparto di Medicina d'Urgenza in varie condizioni
di shock).
4.
Il dosaggio dei livelli della fibronectina opsonica. La fibronectina è una
glicoproteina che ha un ruolo importante nella funzione del SRI, regolandone
l'attività fagocitaria di filtro per batteri, componenti del complemento,
membrane cellulari, collageno, particelle varie.
Essa
è significativamente diminuita in tutte le situazioni in cui si verifica
depressione del SRI, in particolare nel post-trauma e nella sepsi, ed è
pertanto usata come indice, non invasivo, dell'attività funzionale del SRI.
5.
Il dosaggio di catepsine o di altre proteasi che si liberano nello shock, di
frazioni del complemento attivato (C1q), del PAF, della proteina C reattiva, ed
altri esami ancora attualmente in fase di sperimentazione e di studio.
La
terapia dello shock comprende provvedimenti di emergenza (sintomatici) e
provvedimenti specifici per le varie forme a seconda della loro patogenesi.
Qualsiasi
stato di shock richiede interventi da attuare d'urgenza che sono nell'ordine:
assicurare l'efficienza della ventilazione (V); equilibrare la volemia
(infusioni) (I); ristabilire l'efficienza cardiaca (funzione di pompa) (P):
codice mnemonico VIP.
a)
Ventilazione: assicurarsi della pervietà delle vie respiratorie. Mantenere
l'adeguatezza degli scambi respiratori di O2 e CO2: pertanto somministrare O2
cercando di evitare l'ossigeno puro e l'iperossia, che è lesiva per l'alveolo
polmonare.
La
PaO2 deve essere mantenuta entro il range dei valori fisiologici (fra 60 e 100
mmHg), comunque ad almeno 60 mmHg. La durata dell'inalazione di O2 a
concentrazioni superiori al 60% non deve superare le 6 ore, per evitare gli
effetti tossici a livello alveolo capillare. La posizione cosiddetta
"ortopnoica" di solito è poco tollerata dal paziente in stato di
shock. L'ipocapnia (presente spesso inizialmente) accentua la gravità degli
effetti cerebrali dell'ipossia anche moderata.
La
PaCO2, diminuita all'inizio, tende ad aumentare rapidamente in seguito, fino a
richiedere provvedimenti terapeutici drastici.
L'ossigenoterapia
è consigliabile in tutti i casi di shock ma diventa obbligatoria in presenza di
una PaO2 inferiore a 60 mmHg. L'ossigeno va somministrato
"continuativamente". Possono essere usate cannule nasali, in cui la
FiO2 (concentrazione inspiratoria di ossigeno) varia con il flusso (1 l/min di
O2 = FiO2 24%; 5 l/min = FiO2 40%) o maschere con venturimetro che hanno FiO2
prefissato fra 24% e 60%.
Le
indicazioni alla ventilazione artificiale assistita o controllata del paziente
in shock sono:
-PaCO2>45
mmHg, se presente acidosi metabolica e PaCO2> 50-55 mmHg, con bicarbonati
normali;
-PaO2<60
mmHg, respirando O2 al 100% o al 50% dopo che si è dovuto sospendere la
inalazione di O2 al 100%.
Il
provvedimento più semplice (perché non richiede intubazione) è la
positivizzazione della pressione espiratoria mentre il paziente espira
spontaneamente contro una resistenza (CPAP= continuous positive airway pressure)
ma spesso si deve ricorrere all'intubazione e collegare il paziente ad un
ventilatore meccanico (PEEP = positive end expiratory pressure).
Se
è presente edema polmonare cardiogeno o da ARDS è necessario l'impiego della
PEEP. Circa l'uso di queste tecniche si rimanda ai trattati specializzati. Va
ricordato soltanto che la PEEP esercita effetti negativi sul ritorno venoso e la
portata cardiaca, aumentando la pressione intratoracica e di ciò va tenuto
debito conto nella regolazione del respiratore.
b)
Reintegrazione della volemia. Il deficit di volume è presente non solo nello
shock "ipovolemico" (emorragico, da disidratazione, traumatico, da
ustione) ma anche nello shock "distributivo" (settico, neurogeno,
anafilattico) e talora nello shock "cardiogeno" (circa nel 20% dei
casi).
Pertanto
occorre incannulare una grossa vena periferica o centrale e subito cominciare ad
infondere liquidi praticando nel contempo prelievi di sangue per il laboratorio.
Occorre inoltre prevenire interferenze aggravanti: cercare di arrestare
un'eventuale emorragia, sedare il paziente agitato, calmare i dolori, evitare
bruschi movimenti e dispersione di calore. Ci si deve anche preoccupare di
assicurare una buona perfusione del cervello e degli altri organi vitali: quindi
mettere il paziente in posizione supina o in lieve Trendelenburg (ovviamente in
assenza di segni di edema polmonare), controllare la pressione arteriosa,
posizionare un catetere vescicale a permanenza munito di urinometro.
c)
Ripristino di un'adeguata funzione di pompa cardiaca. Occorre correggere i
deficit di contrattilità miocardica (farmaci ad azione inotropa), ed
interrompere le gravi aritmie ipercinetiche od ipocinetiche [tenendo presente
che il trattamento elettrico è prioritario rispetto a quello farmacologico in
situazioni di shock con deficit di pompa grave, e che i blocchi A-V e le
bradicardie insensibili all'atropina rappresentano indicazioni ad applicazione
precoce di pacemaker (PM) temporaneo]. Nelle tabelle 16-17-18 sono indicati i
liquidi ed i farmaci cardioinotropi e vasoattivi di comune impiego nella terapia
dello shock . Circa la scelta dei fluidi e dei farmaci vedere trattamento
specifico per le singole forme di shock.
a)
Va tenuto presente che spesso nello shock viene fatto un uso inappropriato di
farmaci vasopressori nell'intento di aumentare una bassa pressione arteriosa
sistemica . Occorre ricordare che vi è in questa sindrome soprattutto una
inadeguata perfusione degli organi (della quale la pressione arteriosa non è un
indice fedele) e che i farmaci vasocostrittori possono aggravare tale
ipoperfusione.
Ad
essi si dovrà pertanto ricorrere in prima istanza solo in particolari
circostanze (vedi alcuni tipi di shock "distributivo"). Si potranno
usare farmaci vasocostrittori in "seconda istanza" solo in presenza di
persistenti segni di grave ipotensione, nonostante sia stata somministrata
un'adeguata quantità di liquidi. Va anche ricordato che vi sono nello shock
situazioni emodinamiche che possono richiedere, al contrario, farmaci
vasodilatatori (vedi ad esempio shock "cardiogeno").
b)
La contrazione della diuresi è un indice molto precoce di ipoperfusione
tissutale. Una sua ripresa suggerisce un miglioramento della funzione
cardiocircolatoria. Tuttavia se essa si mantiene < 40 ml/h, nonostante un
adeguato apporto di liquidi ed il ripristino di un'adeguata pressione arteriosa,
è opportuno un carico di diuretico osmotico: si può usare il mannitolo al 20%
250 ml, in infusione la cui velocità va regolata tra 30' e 60'.
In
presenza di segni di insufficienza ventricolare sinistra e se persiste oliguria
si deve praticare furosemide (5 fiale in 100 ml di soluzione fisiologica in 1-2
h, continuando fino a 2 g nelle 24 h). Se anche dopo questi tentativi protratti
permane oliguria è probabile un danno renale organico ed occorre procedere alla
dialisi (preferibilmente peritoneale, perché non comporta rapidi spostamenti di
liquidi od elettroliti).
c)
Molte alterazioni dell'equilibrio acido-base si risolvono da sole se si riesce
ad assicurare una buona ventilazione e perfusione dei tessuti. Tuttavia una
grave acidosi metabolica deve essere corretta, perché così facendo si migliora
la funzione miocardica, il trasporto dell'ossigeno da parte dell'emoglobina ed
in ultima analisi si previene o si limita il danno a livello delle strutture
cellulari. In genere si consiglia la correzione con soluzione di bicarbonato
quando il pH scende al di sotto di 7,20. Il deficit di bicarbonato viene
calcolato moltiplicando il deficit di base (BE) per la metà del peso corporeo
in kg; è bene infondere ogni volta la metà di tale fabbisogno alla velocità
di 3-5 mEq/min.
Cause.
-perdita
di fluidi verso l'esterno:
emorragie;
perdite
gastro-enteriche (vomito, diarrea);
perdite
renali (diabete mellito, diabete insipido);
eccessivo
uso di diuretici;
perdite
cutanee (ustioni, lesioni essudative estese, eccesso di
sudorazione e della
perspiratio
insensibilis );
-da
sequestro interno:
ostruzione
intestinale (ileo);
ascite
(peritonite, cirrosi);
pancreatite;
emotorace;
emoperitoneo;
fratture
ossee o lesioni di visceri (milza, fegato, reni) con emorragie interne.
Quadro
emodinamico. È
caratterizzato dalla diminuzione della PVC (e della CWP) e da elevate resistenze
periferiche (non somministrare quindi farmaci vasocostrittori!)
Aspetti
clinici. Il quadro dello shock ipovolemico può essere chiaro dal punto di vista
anamnestico (malattie precedenti od in atto) od ispettivo (emorragie in atto,
ustioni, traumi). Va tenuto presente tuttavia che una perdita ematica minore del
15-20% del volume ematico totale, soprattutto in soggetti giovani, può anche
non essere riconoscibile all'esame obiettivo. In presenza di shock di non chiara
origine si deve pensare a ricercare od a sospettare focolai emorragici nascosti
(in una frattura di femore possono prodursi voluminosi ematomi, anche di oltre
1,5 1 di sangue). Perdite interne di sangue possono essere dovute a rottura di
aneurisma aortico o di visceri interni dopo un trauma anche apparentemente
lieve, ad emorragie digestive (senza fuoriuscita di liquidi ematici), a
gravidanza extrauterina. Occorre anche pensare a sequestri di liquidi interni
come avviene nell'ileo paralitico o dinamico (ostruzione intestinale,
pancreatite, ischemie mesenteriche ecc). Occorre ricordare che anche in presenza
di conclamati segni di ipovolemia bisogna preoccuparsi di escludere la
concomitanza di un infarto, di una sepsi, di una intossicazione da sostanze che
agiscono a livello del cuore e/o del circolo.
L'esame
obiettivo deve comprendere l'esplorazione rettale e vaginale.
Il
quadro tipico dello shock ipovolemico iniziale è caratterizzato da:
-cute
fredda, pallida, spesso sudata;
-sensorio
non obnubilato;
-tachipnea;
-polso
piccolo e frequente;
-sistema
venoso superficiale vuoto;
-tono
muscolare diminuito;
-ipotensione
(talora solo ortostatica).
Esami
di laboratorio. Gli esami di routine da eseguire nel sospetto di shock
ipovolemico sono: es. emocromocitometrico, azotemia, glicemia, creatininemia,
enzimi poliviscerali (AST, ALT, CPK, LDH, amilasi), controllo emocoagulativo
(PT, PTT, fibrinogeno, conteggio piastrine), elettroliti plasmatici ,
emogasanalisi (EGA).
Spesso
gli esami di routine non apportano inizialmente dati utili. Variazioni dell'Ht
(in su o in giù) possono indicare emorragia pregressa (con emodiluizione
successiva) o "inspissatio sanguinis" da perdita di liquidi (vomito,
diarrea, ustioni ecc.); bisogna cercare comunque di correggere i valori di Ht
sopra il 40%, perché tale alta concentrazione ostacola il flusso ematico
arteriolo-capillare.
Il
conteggio degli eritrociti può essere di scarso significato e va comunque
correlato con l'Hb; la leucopenia con piastrinopenia può essere indicativa di
situazioni di immunodepressione (attenzione alle sovrapposizioni di fatti
settici!), la leucocitosi può essere indicativa di infezioni, ma anche di
disidratazione e di acidosi metabolica (possono riscontrarsi fino a 40.000
globuli bianchi/mm3 in alcune gravi acidosi metaboliche).
L'acidosi
metabolica con alcalosi respiratoria, a polmoni indenni, è quasi sempre
presente negli stadi iniziali o moderati dello shock ipovolemico ed esprime
l'attivazione di un metabolismo anaerobico con iperventilazione compensatoria.
I
lattati ematici sono aumentati e possono ulteriormente aumentare con il
miglioramento della situazione clinica e dell'emogasanalisi (fenomeno
transitorio di wash-out dei tessuti).
Per
quanto riguarda gli enzimi, lo squilibrio della bilancia emostatica, gli
elettroliti (in particolare Na, K, Cl) si rimanda a quanto detto in precedenza
nella parte generale.
Terapia.
La base del trattamento è costituita dalla somministrazione di liquidi per via
parenterale, al fine di espandere il volume ematico ridotto. La scelta del
liquido da perfondere dipende dal grado di severità e dal tipo dello shock .
(Vedi anche in tab.16:
Shock
lieve o moderato: preferibile usare soluzioni cristalloidi (Ringer-lattato o
Ringer-acetato, soluzione fisiologica). Evitare l'uso dei derivati del sangue e
di colloidi, se la ipovolemia consegue a perdita di acqua e di elettroliti.
Shock
moderato o grave: il tipo di liquido è importante e la sua scelta deve essere
basata sul tipo di liquido perduto (sangue, plasma, acqua ed elettroliti). Va
tenuto presente che la permeabilità dell'endotelio capillare può essere
alterata.
Occorre
distinguere fra shock ipovolemico non emorragico e shock ipovolemico emorragico.
a)
Shock ipovolemico non emorragico: sono sempre preferibili i cristalloidi perché,
pur avendo un effetto paragonabile a quello dei colloidi, presentano meno
effetti collaterali.
L'infusione
fino a 2-3 litri, in 30-60 minuti, di solito è efficace e solo raramente è
richiesta una maggiore quantità di liquido.
È in genere sufficiente somministrare acqua (circa 2500 ml in un
soggetto del peso di 75 kg) e la quantità di elettroliti corrispondente al
normale fabbisogno giornaliero (100 mEq di Na, 50 mEq di K).
Gli
indici da seguire nella somministrazione di fluidi sono la PVC (e CWP) (che
devono aumentare corrispondentemente all'infusione dei liquidi fino a valori
normali), la diuresi oraria, il livello di coscienza, il miglioramento dei segni
di perfusione periferica della cute e tegumenti.
Se
si osserva una brusca salita della PVC (e CWP), la velocità di infusione va
ridotta od arrestata; i valori della PVC non devono superare i 12-15 cm H2O e
quelli della CWP i 20 mmHg (rischio di edema polmonare).
Controverso
è in tale tipo di shock l'impiego di colloidi (plasma o derivati, sostituti del
plasma). Tali sostanze possono attraversare nello shock grave e prolungato,
specie se si instaura una complicazione settica, l'endotelio leso dei capillari
ed aggravare l'edema interstiziale, richiamando acqua nei tessuti (analogamente
all'O2 usato in alta concentrazione: è questo uno dei meccanismi iatrogeni
dell'ARDS). Il destrano 70, ad alto peso molocolare (Reomacrodex) o il destrano
40, a basso peso molecolare (Macrodex), hanno effetti collaterali indesiderati
quali: reazioni anafilattiche, adesione ai globuli rossi (Reomacrodex), ciò
rende difficile la tipizzazione, o adesione alle piastrine con problemi di
sanguinamento (Macrodex).
b)Shock
ipovolemico emorragico: è preferibile iniziare con soluzione di cristalloidi
(come nello shock non emorragico) per ripristinare per brevi periodi la volemia
ed in attesa della tipizzazione del sangue e delle prove crociate. Si può
anche, inizialmente, nell'impossibilità di disporre subito del sangue, usare
succedanei quali alcune sostanze colloidali (destrani) e poi fare seguire quanto
prima emotrasfusioni di sangue intero o di frazioni di sangue (emazie
concentrate), plasma e derivati (albumina).
A
tal fine può essere usato destrano 70 (contenente NaCl e non destrano 70 in
glucosio al 5%): la somministrazione è di circa 1000-1500 ml in adulti normali.
Il destrano 70 è utile oltre che per ridurre il deficit di volume anche per la
profilassi delle tromboembolie; il destrano 40 (che ha proprietà, come si è
detto, antitrombotica) è utile per contrastare l'aggregazione piastrinica in
caso di disturbo della microcircolazione. Ciò può essere utile soprattutto in
caso di tardiva istituzione del trattamento anti-shock.
Attenzione
alle, seppur rare, reazioni anafilattiche: in tal caso sospendere l'infusione di
destrano, infondere plasma, praticare cortisonici ev (ad esempio 250-500 mg di
idrocortisone emisuccinato) ed eventualmente anche altre sostanze vasopressorie.
Recenti
ricerche sull'associazione di soluzione salina ipertonica (al 7,5%)
somministrate insieme al destrano 70 sembrano promettenti e da taluni tale
associazione viene consigliata come provvedimento di routine in questo ed in
altri tipi di shock.
In
casi molto gravi, od in caso di persistente shock, iniziare, se possibile
immediatamente, trasfusione di sangue intero o di emazie concentrate (più
plasma fresco o albumina se del caso).
Si
ammette generalmente che l'emorragia sia grave quando l'Hb è inferiore ad 8
g/100 ml. Di solito si trasfonde cercando di portare l'Hb a 10-12 g/100 ml e
l'Ht al 35% circa.
c)
Altri provvedimenti terapeutici da attuare sono:
-ossigenazione
del paziente (circa l'ossigeno terapia e l'attuazione della respirazione
assistita o controllata, vedi prowedimenti generali descritti in precedenza);
-correzione
del deficit della funzione orinaria (oligoanuria): circa l'uso dei diuretici o
di altri provvedimenti (dialisi), vedi provvedimenti generali descritti in
precedenza;
-somministrazione
di steroidi: il loro uso specie in questo tipo di shock è controverso (vedi in
seguito quanto riferito a proposito dello shock settico);
-somministrazione
di dopamina: è utile in presenza di ipotensione stabile dopo la correzione del
deficit volemico. Circa il dosaggio vedi tab.17
-somministrazione
di altri farmaci vasoattivi. I farmaci vasocostrittori e/o vasodilatatori sono
generalmente controindicati nello shock ipovolemico (vedi in seguito il loro uso
in altri tipi di shock, in particolare nel tipo "distributivo");
-somministrazione
di digitale. Questo farmaco è raramente indicato in questo tipo di shock; si
usa talora in presenza di deficit di contrattilità miocardica secondaria ad
immissione in circolo di sostanze cardiodepressive (MDF) od in pazienti
cardiopatici che ne facciano già uso. Nei casi in cui è sospettabile la
presenza di MDF può essere utile associare sostanze antiproteasiche come
l'aprotinina;
-somministrazione
di eventuali altri farmaci, tendenti a contrastare alcuni meccanismi
"patogenetici" dello shock: si rimanda alla parte finale (proposte di
associazione sperimentale di alcuni farmaci alla terapia tradizionale dello
shock);
-terapia
causale. Il trattamento della causa che ha originato lo shock costituisce
ovviamente la parte essenziale della terapia. Appositamente tuttavia tale
trattamento viene segnalato per ultimo, in quanto lo shock ipovolemico grave
costituisce uno dei pochi casi in medicina in cui il trattamento sintomatico può
e molto spesso deve precedere quello causale. Sono trattamenti causali:
1.
interventi di chirurgia generale od internistici atti ad arrestare un'emorragia
in atto dovuta a lesioni di vasi o di visceri interni (esofago, stomaco, fegato,
milza, reni, aorta ecc.);
2.
interventi di chirurgia generale o specialistica atti a correggere situazioni di
ileo paralitico (peritoniti) od ostruttivo (occlusioni intestinali), oppure
lesioni vascolari inte-stinali ( tromboembolia mesenterica);
3.
interventi endoscopici atti ad arrestare emorragie da varici esofagee o da
ulcere gastriche sanguinanti;
4.
interventi di correzione medica delle varie malattie che si possono presentare
con un quadro di shock ipovolemico (diabete, pancreatite, gravi squilibri
idroelettrolitici);
Due
ultime cose da ricordare nel trattamento dello shock ipovolemico:
A
. è bene tentare una stabilizzazione del circolo prima di ogni intervento
chirurgico (quando ovviamente ciò sia compatibile con il caso particolare);
B
. è bene ricordare che le cause più frequenti della persistenza del quadro di
shock ipovolemico sono:
a)
infusioni insufficienti;
b)
mancato apporto del fabbisogno di elettroliti;
c)
perdite persistenti di liquidi non individuate come: emorragie interne
intratoraciche o intraaddominali (intraperitoneali, retroperitoneali) o in sedi
particolari come può avvenire nella gravidanza extrauterina, nelle fratture di
bacino o di femore ecc);
d)
"compartimentazione" dei liquidi (ileo, ascite, ecc.). Nei pazienti in
shock ed anemia in cui la radiografia del torace è negativa e non vi sono segni
di sanguinamento esterno (cute, bocca, ano) né di importante sanguinamento
intra o retroperitoneale (visualizzabili con ecotomografia e TAC) né vi è
presenza di ematuria macroscopica, può essere utile come mezzo diagnostico il
lavaggio peritoneale per la ricerca di sangue intraaddominale.
e)
insufficienza cardiaca (deficit di gittata). Può essere "primitiva"
da preesistente cardiopatia ignorata, o "secondaria" dovuta a
complicazioni dello shock ipovolemico [infarto miocardico, immissione in circolo
di sostanze cardiodepressive (MDF), sovraccarichi di volume iatrogeni ecc.].
Altri
mezzi terapeutici straordinari:
-reinfusione
del sangue perduto (ad esempio nell'emotorace si possono raccogliere fino a 2 l
di sangue in ciascun emitorace che possono essere drenati e reinfusi con
particolari metodiche piuttosto complesse);
-miglioramento
dell'ossigenazione tramite la rimozione extracorporea dell'anidride carbonica in
caso di grave insufficienza respiratoria secondaria (ARDS): tecnica molto
complessa e tuttora poco applicata.
a)
Diminuzione della funzione contrattile del muscolo cardiaco (forma
"primaria").
Infarto
miocardico: lo shock complica l'infarto miocardico nel 10-15% dei pazienti
ospedalizzati. Si tratta di complicazione piuttosto precoce, che si manifesta
entro le 24 ore dall'inizio dei sintomi nel 50% dei casi ed entro le 36 ore nel
75% dei casi.
La
maggior parte dei pazienti in shock presenta un infarto molto esteso, che
coinvolge il 40% o più del ventricolo sinistro; in tutti vi è un
coinvolgimento dell'apice del cuore e nell'84% dei casi è interessato il ramo
discendente anteriore della coronaria sinistra.
Per
la maggior parte dei pazienti si tratta di recidiva di infarto. La prognosi in
questi casi è estremamente sfavorevole (mortalità > 80%). Anche ogni forma
di cardiopatia avanzata ipertrofica (specie dopo trattamenti impropri) o
dilatativà può causare shock. Lo shock può inoltre comparire dopo interventi
chirurgici in circolazione extracorporea (CEC).
b)
Alterazioni meccaniche: per complicazioni di infarto (rottura di muscoli
papillari, rottura del setto interventricolare o della parete libera, formazione
di aneurisma acuto ventricolare sinistro) o per vizi valvolari (stenosi
valvolare aortica, insufficienza valvolare aortica acuta da endocardite settica,
insufficienza mitralica acuta ischemica od endocarditica).
Altre
alterazioni meccaniche sono riferibili all'ostruzione del flusso in entrata od
in uscita e saranno riportate sotto la voce "shock ostruttivo", alla
fine del capitolo.
c)
Complicanze elettriche: aritmie a varia genesi (infartuale, aterosclerotica,
iatrogena, disionica ecc.) con frequenze estreme (>oltre 180 al minuto/<30
al minuto). Perdita del sincronismo atrioventricolare (blocco A-V; dissociazione
A-V).
Quadro
emodinamico. Caratterizzato da bassa portata cardiaca, elevate resistenze
periferiche, alta pressione di riempimento ventricolare sinistro (in circa il
20% dei casi tuttavia si riscontrano basse pressioni di riempimento, indice di
ipovolemia o di cedimento ventricolare destro).
Aspetti
clinici. Gli stadi iniziali (pre-shock) sono caratterizzati da: aumento della
frequenza cardiaca, riduzione della pressione arteriosa sistolica e
differenziale, riduzione della temperatura cutanea e della diuresi.
Nello
shock conclamato: la cute è fredda per lo più sudata, pallida, cianotica o
marezzata. La pressione arteriosa è < 90 mmHg (oppure vi è un calo
pressorio di 40-50 mmHg rispetto ai valori di base e di oltre 80 mmHg
nell'iperteso). Il flusso orinario è < 20 ml/h.
Lo
stato di coscienza è compromesso: sono presenti ansietà o sonnolenza o
confusione; si può giungere al coma.
Monitoraggio
emodinamico. Vi è nello shock cardiogeno netta indicazione al cateterismo di
Swan Ganz (in unità intensiva attrezzata ad hoc), poiché la PVC non è in
grado di fornire informazioni attendibili per la terapia.
Tale
cateterismo consente la determinazione della gittata cardiaca (IC) e della
pressione di riempimento ventricolare sinistro (pressione capillare polmonare
"occludente": CWP), e permette di individuare profili emodinamici
differenti (per esempio permette di escludere un infarto miocardico acuto
ventricolare destro). Elementi essenziali per la terapia da attuare (farmaci,
supporti meccanici della circolazione, interventi chirurgici d'urgenza) ed anche
per stabilire la prognosi a breve termine, si ricavano dallo studio delle
relazioni fra pressione capillare polmonare (wedge pressure o CWP) ed indice
cardiaco. Si ha congestione polmonare (CWP superiore a 18 mmHg) nei deficit di
pompa del ventricolo sinistro, ma si può avere CWP normale o bassa in casi di
infarto ventricolare destro (presente in circa 1/4 degli infarti cardiaci
inferiori) oppure in casi di deficit di pompa legati ad ipovolemia, per
sudorazione, vomito, uso di diuretici, riduzione di apporto di liquidi
volontario o iatrogeno, e per spostamento di liquidi dallo spazio intravascolare
a quello extravascolare per uso protratto di vasocostrittori od a seguito di
acidosi ed ipoossiemia nell'arresto cardiaco.
L'indice
cardiaco (IC) che normalmente varia tra i 2,5 e 4,5 l/min/m2 può diventare
inferiore a 2,0 l/min/m2 in caso di shock cardiogeno e ciò costituisce un
elemento prognostico infausto.
Esami
di laboratorio e strumentali: Gli esami da eseguire sono: glicemia, azotemia,
creatininemia, enzimi cardiaci, elettroliti, lattacidemia, acidi grassi liberi,
EGA, elettrocardiogramma, Rx torace, ecocardiogramma mono e bidimensionale.
L'ecocardiogramma
bidimensionale, come già detto, è utilissimo nella diagnostica differenziale
dello shock da deficit di gittata cardiaca potendo evidenziare una
ipo-discinesia cardiaca (globale e distrettuale), un versamento intrapericardico
(pre-tamponamento cardiaco), un aumento volumetrico (con ipercinesia) del
ventricolo destro (embolia polmonare acuta), gravi valvulopatie, un eventuale
doppio lume alla radice dell'aorta ascendente da aneurisma dissecante.
Terapia.
Interventi immediati per il trattamento dello shock cardiogeno propriamente
detto sono:
-sedazione
dell'eventuale dolore (morfina 1 cg diluita in 10 ml di soluzione fisiologica
iniettata a boli di 1/3 cg ogni 10-15');
-correzione
pronta ed aggressiva dei disturbi del ritmo (cardioversione elettrica, atropina,
PM temporaneo, farmaci vari);
-terapia
dell'edema polmonare acuto, quando presente (morfina, furosemide, 02, eventuali
farmaci inotropi e vasodilatatori);
-correzione
di disfunzioni neurovegetative rilevanti, mediante impiego di vagolitici:
atropina 1/2-1 mg e.v.;
-ossigenoterapia
(cercare di portare la PaO2 almeno a 60 mmHg): eventualmente ventilazione
assistita;
-correzione
dell'acidosi, dell'ipoglicemia, di alterazioni elettrolitiche eventualmente
presenti;
-correzione
di eventuale ipovolemia (giugulari vuote, PVC bassa o CWP normale o bassa)
mediante somministrazione di liquidi per espandere il volume. L'uso di boli (50
ml) ripetuti di destrano (Macrodex) o di soluzione fisiologica, permette, specie
nell'IMA del ventricolo destro, di valutare il vantaggio emodinamico che si può
ottenere sotto la guida della CWP (o della PVC);
-uso
di farmaci per tentare di limitare l'ischemia e la necrosi miocardica
(fibrinolitici, calcio-antagonisti). In particolare appare utile l'uso precoce
entro le prime 3 ore di farmaci fibrinolitici [streptochinasi, urochinasi, rtPA
(attivatore tissutale del plasminogeno), o altre sostanze trombolitiche tuttora
in corso di sperimentazione];
-uso
di farmaci inotropi e vasodilatatori: la digitale è per lo più controindicata
nello shock cardiogeno (da infarto miocardico e sue complicanze); per quanto
riguarda gli altri farmaci inotropi e vasodilatatori vedi tabelle 17 e 18 .
Mezzi
terapeutici straordinari:
-applicazione
di PM temporaneo, in caso di blocchi A-V di vario grado, condizionanti la
portata cardiaca;
-contropulsazione
aortica (IAPB).
Se
non si riscontrano miglioramenti degli indici di funzione cardiaca (portata
cardiaca, indice sistolico, indice di lavoro ventricolare sinistro) è indicata
la IAPB. È questo un mezzo
di assistenza circolatoria meccanica costituito da un pallone riempito con elio,
che attraverso la femorale viene introdotto nell'aorta toracica.
Il
riempimento del pallone è sincronizzato sull'ECG, in maniera che il pallone si
gonfia durante la diastole e si sgonfia durante la sistole. Con ciò si ottiene
un aumento del flusso coronarico, attraverso l'incremento della pressione
diastolica ed una diminuzione del post-carico in sistole, con miglioramento
della performance ventricolare.
Le
controindicazioni sono rappresentate dall'insufficienza valvolare aortica e
dalla presenza di aneurisma aortico. Le complicazioni (seppur rare) sono:
dissecazione aortica, infezioni, emolisi e trombocitopenia, emboli agli arti.
La
IAPB rende più sicura la coronarografia eseguita in fase acuta ed in pazienti
in shock; permette una sopravvivenza di pazienti in shock grave, che potrebbero
trarre vantaggio da una successiva correzione chirurgica (ad esempio rottura di
cuspidi valvolari o di corde tendinee, rottura di setto interventricolare). La
IAPB viene talora (in pochi centri) usata precocemente negli IMA con
insufficienza ventricolare sinistra, pur non ancora in shock, con risultati
riferiti buoni (anche sul controllo dell'angor e delle aritmie refrattarie).
Può
essere proseguita per 7-14 giorni. (nei pazienti divenuti
"dipendenti"). Periodi più prolungati possono favorire complicazioni
trombotiche od infettive.
-Trombolisi
ed angioplastica coronarica. Sono riportate nella letteratura segnalazioni di
risultati efficaci nel 50% dei pazienti affetti da shock cardiogeno sottoposti a
riperfusione (trombolisi + angioplastica) entro le prime ore dopo un'occlusione
coronarica.
Questa
procedura è spesso complicata da gravi aritmie e gravi disfunzioni miocardiche
secondarie a riperfusione inefficace.
-By-pass
aorto-coronarico d'urgenza: in caso di fallimento dei tentativi sopraddetti si
può attuare un by-pass d'urgenza, gravato tuttavia di elevata mortalità
(40-60%).
-Protesi
ventricolare artificiale: sono allo studio metodi artificiali di supporto
ventricolare (protesi ventricolare sinistra, cuore artificiale totale, trapianto
cardiaco eterotopico), che consentano al paziente di sopravvivere il tempo
necessario per potere effettuare un trapianto di cuore, prima che si verfichino
danni irreversibili ad altri organi.
Si
definisce così quella situazione nella quale a livello delle grandi vene, del
cuore, dell'arteria polmonare o dell'aorta, si stabilisce un'ostruzione di grado
tale da impedire fisicamente il flusso ematico. Le varie situazioni sono
rappresentate nella tab.22
È così definito un tipo di shock nel quale la distribuzione del volume
intravascolare è marcatamente anormale, come risultato di un'alterazione
primaria del tono vasomotorio.
Parte
della massa ematica viene cioè sequestrata selettivamente nel microcircolo e
nel sistema venoso.
Le
cause di questo tipo di shock sono varie (vedi tabelle classificazione shock).
In
questa sede tratteremo solamente dello shock settico, anafilattico, neurogeno.
Etiopatogenesi.
Di regola conseguente ad una batteriemia da germi gram negativi. In tali
infezioni si ritiene che lo shock sia causato
dalle tossine prodotte dai batteri (tra le quali la più studiata è
l'endotossina, che corrisponde alla componente liposaccaridica della parete
batterica). Negli ultimi anni è stato dimostrato che la maggior parte degli
effetti dell'endotossina sono mediati da una proteina endogena detta cachessina
(o tumor necrosis factor). Tale cachessina è prodotta dalle cellule ad attività
macrofagica, attivate dall'endotossina stessa.
Lo
shock è legato al danno cellulare e tissutale diffuso ed al sequestro del
sangue nel microcircolo.
La
setticemia da gram negativi è una delle cause principali di morte ed invalidità
tra i pazienti ospedalizzati, con un'incidenza di centinaia di migliaia di casi
ogni anno nel mondo.
Quando
in associazione alla batteriemia ed alla endotossinemia compare l'ipotensione,
la mortalità varia dal 40 al 60% (in talune statistiche anche oltre il 60%).
Questi valori sembrano essere rimasti immodificati nel corso degli ultimi 15
anni.
I
germi gram negativi più frequentemente in causa sono: Escherichia coli,
Klebsiella, Enterobacter, Proteus, Pseudomonas, Serratia. Anche batteriemie da
Neisseria meningitidis, da anaerobi gram negativi (Bacteroides spp) possono
causare shock, così come infezioni da gram positivi quali stafilococco aureo,
streptococco pneumoniae, stafilococco epidermidis.
In
genere la batteriemia è documentata nel 50% dei pazienti.
Epidemiologia
e anatomia patologica. Questo tipo di shock si presenta soprattutto in pazienti
ospedalizzati (certe statistiche riferiscono fino a 12 casi su 1000 ricoveri),
affetti da patologie che li rendono suscettibili all'invasione batterica del
torrente circolatorio.
Fattori
"predisponenti" sono il diabete, dove la porta dell'infezione è quasi
sempre nel tratto urinario, le gravi malattie ematologiche (leucemie, linfomi),
la cirrosi epatica, i carcinomi disseminati, la terapia con corticoidi,
immunosoppressori o radiazioni, la gravidanza, l'età avanzata. Ed anche gli
interventi chirurgici o le procedure strumentali riguardanti il tratto urinario,
biliare, ginecologico, gastrointestinale, l'uso di cateteri venosi, le manovre
diagnostiche cruente, I'utilizzo di umidificatori e di altre apparecchiature
ospedaliere.
La
maggior parte dei germi gram negativi che determinano sepsi sono normali
commensali dell'apparato gastrointestinale, da cui possono diffondere ai
distretti vicini (dall'appendice al peritoneo, dal perineo all'uretra od alla
vescica o nel torrente circolatorio). Altre porte di ingresso possono essere la
cute ed i polmoni (vedi ustionati, leucemici ecc.). Talora si reperta
all'autopsia il focolaio primitivo, che interessa di solito le vie orinarie,
biliari, l'apparato gastrointestinale, il polmone, oppure un ascesso
metastatico.
Assai
spesso, nei soggetti con malattie debilitanti (cirrosi, neoplasie ecc.) il
reperto autoptico è negativo: si potranno trovare segni di coinvolgimento di
organi bersaglio come il polmone (edema, emorragie, formazione di membrane
ialine, come nell'ARDS), il rene (necrosi tubulare e/o corticale), il tratto
gastroenterico (ulcerazioni superficiali), il miocardio (necrosi focali), i vasi
capillari (trombizzazione in molti tessuti).
Conoscenze
attuali circa i meccanismi patogenetici. Lo shock settico è dovuto all'azione
esercitata da alcuni componenti della struttura batterica sulle membrane
cellulari, sui fattori della coagulazione e sul sistema del complemento, che
provocano lesioni citologiche, alterano il flusso ematico particolarmente nel
microcircolo, innescano turbe della coagulazione.
Gran
parte delle conoscenze attuali sulla fisiopatologia dello shock settico si deve
a studi sugli effetti dell'endotossina che esplica la sua azione tossica
attivando il rilascio, da parte delle cellule ad attività macrofagica, della
proteina endogena detta "cachessina".
L'endotossina
attiva le fosfolipasi delle membrane cellulari che liberano acido arachidonico
ed inducono alla sintesi e rilascio di leucotrieni, prostaglandine, tromboxano e
del fattore attivante le piastrine (FAP). Queste sostanze che sono miediatrici
della flogosi influenzano il tono vascolare, la permeabilità capillare e
l'aggregazione di leucociti e piastrine. (Il tromboxano è un vasocostrittore ed
aggregante piastrinico; la prostaciclina causa vasodilatazione e previene
l'aggregazione piastrinica). Esse inoltre attivano il complemento, sia
attraverso la via "classica", sia attraverso quella
"alternativa" (formazione di C3a e C5a) con effetti su leucociti,
piastrine e sul tono vasale.
L'attivazione
del complemento, la produzione di leucotrieni e gli effetti diretti
dell'endotossina sui neutrofili, favoriscono l'accumulo di queste cellule
infiammatorie nei polmoni, il rilascio dei loro enzimi e la produzione di
radicali liberi di O2 tossici, che danneggiano 1'endotelio polmonare e possono
scatenare la sindrome di "distress respiratorio acuto dell'adulto"
(ARDS). È stato dimostrato
in questa sindrome conseguente a sepsi, mediante lavaggio broncoalveolare, un
numero elevato di neutrofili ed anche un elevato livello di elastasi neutrofila,
ciò ha portato alla identificazione di releasing factor per le elastasi, tra i
quali le proteine di contatto (negli ARDS settici furono dimostrati ridotti
valori plasmatici del fattore XII, di precallicreina e di chininogeno; tali
bassi valori sono indice di attivazione del sistema di contatto).
L'alterazione
delle cellule endoteliali prodotta dalla endotossina, con la conseguente
esposizione dei componenti della membrana basale porta all'attivazione di uno
zimogeno plasmatico, il fattore XII (fattore di Hageman).
Questo
fattore XII viene attivato a XIIa, (proteasi simile alla tripsina), che agisce
sul fattore XIa attivandolo a XI, il quale a sua volta, catalizzando la
formazione del fattore Xa, scatena la coagulazione intrinseca (nel caso estremo
il risultato è la CID, coagulazione intravascolare disseminata).
L'infusione
sperimentale di endotossina conduce inoltre alla produzione di fattore
tissutale, che attivando il fattore VII (cofattore della coagulazione
estrinseca) a VIIa, catalizza la formazione dei fattori IXa e Xa.
L'eventuale
formazione di protrombinasi, converte la protrombina in trombina.
La
trombina è 1'enzima chiave della CID in quanto aggrega le piastrine ed attiva
il fibrinogeno. Come si vede le endotossine attivano sia il sistema
"intrinseco" sia quello "estrinseco" della coagulazione del
sangue.
La
patogenesi dell'ipotensione è strettamente legata all'altro principale
substrato del fattore XIIa, vale a dire la precallicreina (la sua deplezione
esprime l'attivazione della fase di contatto e quando è grave indica una
prognosi infausta dello shock settico).
L'enzima
proteolitico derivante dalla precallicreina, la callicreina, agisce sul
chininogeno ad alto peso molecolare che rilascia bradichinina, uno dei più
potenti peptidi vasodepressori e attivatori delle cellule endoteliali.
La
callicreina converte anche la prourochinasi in urochinasi, che a sua volta
converte il plasminogeno in plasmina, intensificando così la fibrinolisi.
È dimostrata anche secrezione di oppioidi endogeni nel sistema nervoso
centrale (beta-endorfine). Tali beta-endorfine ad azione vasodilatatrice sono
ritenute, almeno in parte, responsabili dell'induzione dello stato di shock.
Da
ultimo viene danneggiato il metabolismo cellulare (come in tutti gli stati di
shock): si instaura un catabolismo proteico con ipoglicemia ed acidosi lattica.
Queste manifestazioni metaboliche sono la causa di molte conseguenze cliniche
dello shock settico.
Quadro
emodinamico ed aspetti clinici. Inizialmente il quadro è caratterizzato da
"vasodilatazione" con "aumento" della gittata cardiaca,
"diminuzione" delle resistenze vascolari periferiche, diminuzione
della PVC ed incremento del volume di eiezione sistolica (fase iperdinamica o
"warm shock").
In
una fase successiva il quadro dominante è quello di una vasocostrizione, con
aumento delle resistenze vascolari, diminuzione della PVC e del volume di
eiezione sistolica (fase ipodinamica o "cold shock"). Si deve tenere
presente, tuttavia, che alcuni pazienti possono morire nella prima fase
"iperdinamica" dello shock settico.
In
realtà, il quadro emodinamico che deriva dallo studio di un gran numero di
pazienti con shock settico ha permesso di differenziarne vari quadri:
1.
Shock con volemia normale e resistenze periferiche diminuite (normale gittata
cardiaca, normale tempo di circolo, normale pH e PVC). Clinicamente questo tipo
di shock si presenta con cute calda, ipotensione, oliguria, modesta lattacidosi.
La prognosi è generalmente buona.
2.
Shock con ipovolemia e resistenze periferiche aumentate (gittata cardiaca
diminuita, PVC diminuita, pH normale o lievemente aumentato). Clinicamente
questo tipo di shock si presenta con cute fredda, ipotensione, oliguria, modesta
lattacidosi. La prognosi è ancora buona, se vengono praticati interventi
tempestivi atti a ripristinare il circolo ed a combattere l'infezione.
3.
Shock con volemia normale (PVC e gittata cardiaca normale, resistenze
periferiche ridotte e acidosi metabolica marcata). Clinicamente la cute può
essere calda e secca. La prognosi è generalmente sfavorevole.
4.
Shock avanzato (con ipovolemia, PVC bassa, gittata cardiaca bassa) e presenza di
acidosi metabolica marcata. La cute si presenta fredda e cianotica o marezzata.
La prognosi è infausta.
Da
ciò sembra doversi dedurre che esistono vari stadi dello shock settico, con
diverse condizioni cliniche, emodinamiche e metaboliche. Sinteticamente lo shock
settico è rappresentato per lo più da due stadi evolutivi:
-in
fase precoce predomina la "vasodilatazione": i pazienti sono caldi e
bene perfusi. Sono presenti segni di "iperdinamia" (polso frequente,
aumento della pressione differenziale ecc.), la gittata cardiaca può essere
normale od elevata. Vi è un lieve stato di agitazione o confusione, rialzo
termico, iperventilazione. In questo stadio può non esservi ipotensione per
intervento dei meccanismi di compenso;
-in
fase più tardiva compare lo stato di shock tipico con segni di deficit di
perfusione dei vari organi e di vasocostrizione periferica (confusione psichica,
oliguria, ipotensione, cute fredda, umida, marmorizzata, deficit di gittata
cardiaca).
Esistono
tuttavia stadi intermedi non bene definiti, che rendono più complicata la
diagnostica precoce.
Il
paziente può presentarsi con aspetti atipici: soltanto una febbre di incerta
natura, un riscontro di una inspiegata alcalosi respiratoria, oppure di una
alcalosi metabolica, uno stato confusionale, una caduta della pressione
arteriosa. Ognuno di questi aspetti deve essere "attentamente
considerato" nel sospetto di un incipiente shock settico.
Esami
di laboratorio. Devono essere praticati i seguenti esami: es.
emocromocitometrico; enzimi AST, ALT, LDH, CPK, amilasi; coagulazione: PT, PTT,
fibronogeno, piastrine; elettroliti plasmatici; lattatemia; emogasanalisi
arteriosa (EGA); emocolture e urocolture; esami della funzionalità renale.
È sospetta una leucopenia iniziale (spesso associata a piastrinopenia)
cui fa seguito una leucocitosi. Tali modificazioni possono essere spia di
iniziale impegno e consumo leucocitario (specie granulocitario), cui fa seguito,
dopo soltanto alcune ore, un aumento compensatorio di leucociti (spesso con
comparsa in circolo di cellule immature).
Vi
può essere aumento aspecifico, come in tutti i tipi di shock, degli enzimi
poliviscerali, che riflettono i danni ipoperfusivi dei vari organi. Una lieve
iperglicemia può essere espressione di iniziale risposta catecolaminica allo
shock; ad essa potrà far seguito, in stadi più avanzati, una ipoglicemia.
Le
emocolture ed urocolture (ripetuti prelievi a breve distanza) possono essere
positive, ma spesso (in circa il 50% dei casi) esse risultano negative.
Le
emocolture negative non permettono di escludere la diagnosi di shock settico.
Monitoraggio
strumentale. È indicato il
monitoraggio della temperatura (centrale e periferica) della pressione
arteriosa, del quadro elettrocardiografico, della PVC (e CWP), della diuresi
oraria e della funzionalità renale. Vanno controllati frequentemente il reperto
polmonare (Rx, EGA), l'esame emocromocitometrico, la coagulazione.
-difetti
della coagulazione: CID (coagulopatia intravascolare disseminata). La sua
patogenesi è dovuta, come già detto, all'attivazione del fattore XII (fattore
di Hageman), cui fa seguito deposito di aggregati di piastrine e fibrina nei
piccoli vasi e formazione di trombi distali (cioè nelle parti distali
dell'albero circolatorio).
In
questa complicanza si rileva diminuzione dei fattori II, V, VIII, del
fibrinogeno, delle piastrine; l'iperfibrinolisi secondaria che può essere di
vario grado (ed essere responsabile di una grave diatesi emorragica) è
denunciata dalla comparsa degli FDP (prodotti di degradazione del fibrinogeno);
-insufficienza
respiratoria acuta (ARDS): costituisce forse la causa più frequente di morte
nei pazienti con shock settico. L'ARDS è caratterizzato da: edema polmonare
(non cardiogeno o "lesivo"), emorragie, atelectasie, formazione di
membrane ialine e di trombi capillari locali.
In
questa sindrome vi è aumento della permeabilità capillare, riduzione della
superficie di scambio, progressiva riduzione della compliance polmonare, grave
ipossiemia;
-insufficienza
renale acuta (IRA): può essere dovuta inizialmente ad ipovolemia; in seguito si
possono manifestare lesioni "organiche" (vedi "Rene da
shock");
-insufficienza
cardiaca (in pazienti non primitivamente cardiopatici).
È dovuta probabilmente a sostanze ad azione cardiodepressiva (FDM o
altre sostanze che si liberano nella regione splancnica ischemica);
-altre
complicanze: ulcere gastriche da stress, epatite ischemica (che si manifesta con
ipertransaminasemia, ittero, deficit vari della funzione epatica).
La
diagnosi è spesso difficile nelle fasi iniziali, in quanto possono essere
assenti i sintomi tipici della sepsi.
Così
può esservi apiressia in pazienti anziani e debilitati, affetti da gravi
infezioni.
L'unico
sintomo può essere rappresentato da confusione mentale o stato di agitazione,
tachipnea, tachicardia, ipotensione, oligo-anuria, o febbre (ricorrere alla
misurazione rettale! la temperatura ascellare può essere sotto i 37°). Talora
ad un esame clinico poco significativo fanno riscontro "reperti di esami di
incerta interpretazione" (acidosi, alcalosi, leucopenia, piastrinopenia
ecc.).
Questa
sindrome può essere considerata un a forma particolare dello shock settico.
Essa insorge all'inizio del periodo mestruale, o subito dopo il suo termine, in
donne che fanno uso di tamponi, particolarmente per l'uso prolungato di un solo
tampone (più di 8 ore). È
caratterizzata da febbre elevata, rash eritematoso, con successiva desquamazione
della cute, specie al palmo delle mani ed alle piante dei piedi, lingua color
fragola, iperemia congiuntivale, faringea e vaginale, vomito, diarrea, mialgie.
Il fegato può essere coinvolto, così come il rene ed il polmone. Compaiono
rapidamente l'ipotensione e lo stato di shock; l'etiopatogenesi è riferita
all'assorbimento di tossine conseguente ad infezione locale da stafilococco
aureo. La diagnosi si basa sulla positività delle colture vaginali per questo
tipo di germe. È presente
sempre leucocitosi e spesso sono presenti segni laboratoristici di
interessamento di vari organi (fegato, rene, polmone, sistema coagulativo). La
terapia antibiotica si basa su penicilline e cefalosporine beta-lattamasi
resistenti o vancomicina.
1.
Espandere il volume intravascolare con cristalloidi dietro monitoraggio della
PVC. Non impiegare soluzioni di colloidi, perché l'integrità capillare nello
shock settico è sempre compromessa e l'impiego di colloidi può aggravare
l'edema interstiziale.
Circa
le modalità del trattamento infusionale vedi shock ipovolemico. In genere si
somministrano 1-2 l di liquidi nella prima ora, regolandosi poi sulla PVC; se al
carico di volume ed al conseguente ritorno dei valori di PVC ai limiti normali,
non segue un miglioramento della situazione di shock, occorre somministrare
farmaci inotropi o vasocostrittori.
2.
Dopamina: si somministra per infusione (3-15 mcg/kg/min). Il dosaggio va
regolato in base al comportamento dei parametri clinici ed emodinamici: tra 2 e
5 mcg/kg/min, il farmaco esercita effetto "dopaminergico" con
incremento del flusso nei reni e nei principali organi splancnici; fra 5 e 15
mcg/kg/min, si somma all'azione "dopaminergica" quella
"beta-adrenergica", con progressivo incremento della portata cardiaca
e riduzione delle resistenze periferiche; sopra i 15-20 mcg/kg/min, prevale
l'azione "alfa-adrenergica" con aumento delle resistenze periferiche.
3.
Terapia antibiotica: va iniziata al primo sospetto di sepsi in maniera empirica,
in attesa dei risultati delle colture. Orientativa a questo fine la tab.23
Appare
utile, nelle sepsi, associare anche farmaci chinolonici (pefloxacina e simili)
tenuto conto della frequente presenza di germi antibiotico-resistenti (ad es.:
pefloxacina 400 mg x 2 p.d., in infusione e.v.).
La
terapia antibiotica potrà essere modificata in seguito, sulla scorta dei
risultati delle colture e della sensibilità batterica.
4.
Terapia chirurgica. Occorre incidere e drenare all'esterno gli ascessi
(perineali, perirettali ecc.) ed intervenire chirurgicamente al più presto su
ogni possibile fonte di sepsi (scessi intra-addominali, ostruzione biliare con
colangite ecc.). Non si insisterà mai abbastanza sul concetto che l'intervento
chirurgico in presenza di flogosi acuta identificata (specie intra-addominale)
è indispensabile e va tentato nonostante tutti i rischi prevedibili connessi
con lo stato di shock.
5.
Corticosteroidi. Si devono usare in dosi "farmacologiche", in bolo
endovenoso singolo (non per fleboclisi), in non più di 4 somministrazioni in
totale, da effettuare nelle prime 24/36 h. La loro efficacia è sostenuta da
alcuni e negata da altri. Gli steroidi glicoattivi iniettabili sono tutti
egualmente validi purché usati in dosi equipotenti(vedi tab.24
I
corticosteroidi agirebbero stabilizzando le membrane lisosomiali (prevenendo così
la liberazione di proteasi), diminuendo le resistenze vascolari sistemiche e
polmonari, migliorando la perfusione nel microcircolo, prevenendo l'attivazione
del complemento e dell'aggregazione piastrinica, inibendo l'immissione in
circolo di proteasi anche non lisosomiali e la ipergenerazione di radicali
liberi di ossigeno.
6.
Terapia delle complicanze.
-Oligoanuria:
diuretici (mannitolo, furosemide), dialisi.
-Alterazioni
della coagulazione: plasma fresco, sostituzione di fattori mancanti in caso di
necessità (antitrombina III ecc.). Il trattamento con eparina nella CID è
tuttora controverso e non accettato da tutti.
-Insufficienza
respiratoria (ARDS): vedi trattamento generale.
-Altri
farmaci: antisiero antiendotossina, anticorpi monoclonali antiendotossina,
antiproteasici, naloxone, prostaciclina, antiossidanti (glutatione,
desferoxamina, perossido dismutasi), ATP-asi, fibronectina opsonica, ecc.,
saranno considerati alla fine del capitolo sotto la voce: "Nuovi farmaci in
sperimentazione".
Lo
shock settico presenta tuttora una mortalità molto elevata. Ciò perché:
-il
suo riconoscimento è spesso troppo tardivo (solo in stadio conclamato e
"irreversibile"), perché la sintomatologia di esordio viene
sottovalutata o è atipica;
-spesso
non vengono adottate misure atte a prevenirlo, con tempestivi se pur rischiosi
interventi chirurgici, prima della comparsa di complicanze irreversibili;
-non
si rimuovono a tempo debito cateteri venosi od urinari, che rappresentano una
porta d'ingresso dei germi;
-la
terapia si deve spesso iniziare su basi "empiriche" non potendosi
sempre disporre di un laboratorio microbiologico efficiente, con rapide
risposte.
Risulta
pertanto evidente il ruolo importante ed essenziale della prevenzione che
consiste: nell'evitare contaminazione di cateteri venosi ed urinari, nell'igiene
del malato (evitare piaghe da decubito ecc.), nel riconoscimento precoce del
malato a rischio di infezioni, nell'attuazione di tutte le necessarie misure
profilattiche: come ad esempio la profilassi con farmaci antibatterici, atta a
prevenire eventuali complicanze settiche, specifiche dei vari interventi medici
specialistici o chirurgici.
Etiopatogenesi.
Reazione allergica drammatica di origine immunologica che segue alla
somministrazione per via parenterale, più frequentemente endovenosa, di un
farmaco, di un siero, di un mezzo di contrasto. Questo tipo di shock può fare
seguito anche a punture di insetti, morsi di serpenti, ingestione di cibi
particolari.
Cause
più frequenti. La penicillina e gli altri antibiotici beta-lattamici
rappresentano più del 75% dei casi di anafilassi da farmaci (le statistiche
riferiscono episodi fatali nello 0,001-0,002% dei casi; ovvero si verificano l o
2 decessi ogni 100.000 somministrazioni di penicillina).
Le
reazioni anafilattoidi dopo infusione di mezzi di contrasto radiografici si
verificano nel 2% della popolazione generale. (Negli Stati Uniti si registrano
sino a 500 decessi all'anno).
Anche
i plasma-expanders utilizzati nella terapia dello shock possono causare gravi
reazioni anafilattiche.
Le
punture di insetto hanno varie incidenze (fra 0,8% e 4% dei casi di shock
anafilattico).
Anche
vari tipi di alimenti possono essere causa di anafilassi (nelle tabelle 25 e 26
sono elencate le cause più frequenti di anafilassi ed i fattori di rischio
predisponenti).
Meccanismi
patogenetici. Gli allergeni che provocano la reazione anafilattica sono
generalmente proteine o grossi polipeptidi. Anche sostanze di peso molecolare
inferiore (come la penicillina) possono causare anafilassi interagendo con le
proteine tissutali e formando così complessi proteina-aptene.
L'introduzione
dell'antigene stimola la produzione di anticorpi specifici del gruppo delle
"reagine", che appartengono alle immunoglobuline IgE. Queste sono
legate alle membrane cellulari dei basofili e dei mastociti. Con la
riesposizione, l'allergene interagisce con almeno due molecole di IgE legate a
queste cellule, scatenando la degradazione cellulare ed il rilascio di mediatori
chimici farmacologicamente attivi. Questi mediatori sono: l'istamina, che
provoca aumento della permeabilità vascolare, la comparsa di orticaria,
arrossamenti cutanei, angioedema, ipotensione; i leucotrieni C4, D4 ed E4, a
spiccata azione broncospastica; ed inoltre il FAP (fattore attivante le
piastrine) che attrae le piastrine nella sede della reazione allergica ed
esercita altre funzioni farmacologiche.
I
principali effetti di tutti questi mediatori chimici sono la vasodilatazione con
ipotensione, la perdita di liquidi dai capillari, la formazione di edemi,
l'ipersecrezione mucosa e la broncocostrizione.
Quadro
emodinamico. Collasso vascolare da perdita di tono delle arteriole terminali
dell'apparato circolatorio in toto (resistenze vascolari diminuite, stasi
sanguigna periferica, riduzione del volume circolante). Parallelamente si ha
aumento della permeabilità capillare con fuoriuscita di liquidi verso
l'interstizio. La ipovolemia centrale più l'exoserosi a livello capillare è la
caratteristica fisiopatologica dello shock anafilattico, che è quindi uno shock
di tipo "distributivo".
Quadro
clinico. Lo shock grave ha alcune caratteristiche essenziali: insorgenza
improvvisa; rapido peggioramento dei sintomi; notevole reversibilità della
gravissima situazione per effetto di terapia od addirittura spontaneamente.
-Insorgenza
improvvisa: spesso durante l'iniezione o nei minuti che seguono (talora la
reazione anafilattica può comparire anche dopo 20-30 min dalla somministrazione
della sostanza). Le reazioni più tardive sono raramente mortali.
-Evolutività
del quadro: spesso l'inizio è caratterizzato da sensazione di estremo malessere
generalizzato e di prurito al palmo delle mani e alle piante dei piedi. Il
paziente può avere brividi, è angosciato, cade a terra. La facies è pallida,
grigia, raramente cianotica. Le pupille sono dilatate, il respiro è rapido e
superficiale, i toni cardiaci a frequenza elevata ed appena percettibili, la
pressione arteriosa non determinabile. Gli occhi si arrovesciano, la cute si
ricopre di sudore, si possopo avere perdita di coscienza e convulsioni. Si può
giungere alla morte. A volte uno stato di collasso si può prolungare per
due-tre ore, senza che il paziente riprenda conoscenza. Lo stato di shock si
aggrava progressivamente, compare cianosi, algidità, coma (generalmente seguito
da morte).
-Reversibilità:
nella maggioranza dei casi peraltro, sotto effetto di terapia, e talora anche
spontaneamente in casi meno gravi, il paziente si riprende, ricompaiono polso,
pressione, lo stato di coscienza si normalizza. Spesso la ripresa è
spettacolare come l'insorgenza dello shock.
La
forma suddescritta concerne lo shock anafilattico gravissimo, che è per fortuna
eccezionale. Le reazioni anafilattiche possono essere di varia entità e sono
per lo più accompagnate da altri segni di tipo più specificamente
"allergico" che sono:
-prurito
(con inizio alle mani ed ai piedi e poi generalizzato);
-eritema:
che può ricoprire l'intero corpo;
-orticaria:
placche giganti su tutto il corpo;
-edemi
al volto, congestione congiuntivale e nasale, respirazione difficile (edema
faringeo), broncospasmo con manifestazioni asmatiformi;
-ipotensione
in genere moderata. Generalmente poco interessato il cuore.
Nella
grande maggioranza dei casi l'anamnesi consente di definire il fattore
etiologico dello shock. Talora questo non appare evidente: così alcuni fattori
iniettati sotto forma insolubile o colloidale (insuline legate con zinco, ACTH
retard, derivati della penicillina come la benzatilpenicillina) possono indurre,
penetrando accidentalmente in una vena, uno stato di shock aspecifico (detto
shock "colloidale") la cui patogenesi è ovviamente diversa da quella
dello shock anafilattico propriamente detto. In questi casi caratteristica è
l'insorgenza del malessere durante o immediatamente dopo iniezione mentre
mancano prurito ed orticaria.
Anche
farmaci iodati somministrati per vena (mezzi di contrasto radiologici) possono
creare reazioni di tipo lipotimico (per ansia, per sensazione di calore
generale) che possono essere difficilmente distinguibili dall'inizio di un vero
e proprio shock anafilattico.
-Mettere
il paziente in posizione supina con gli arti sollevati.
-Controllare
i segni vitali.
-Applicare
prossimalmente alla sede di ingresso dell'antigene un laccio (rimuoverlo ogni
10-15 min).
-Somministrare
adrenalina allo 1:1000 (diluire una fiala da 0,5 mg di adrenalina 1:1000 in 10
cc di soluzione fisiologica. Iniettare lentamente ev. Ripetere eventualmente
dopo 5-15 min). L'effetto dell'adrenalina si esplica non solo a livello
cardiovascolare ma anche a livello cellulare, aumentando i livelli di AMP
ciclico, che inibisce il rilasciamento di sostanze mediatrici (chinine, istamina
ecc.) dalle cellule sensibilizzate.
-In
caso di ostruzione delle vie aeree superiori si deve tentare l'intubazione ed in
caso di mancata riuscita si deve ricorrere alla cricotireotomia .
-Somministrare
ossigeno al flusso di 5 l/min.
-Iniettare
antistaminici (dibenzoparatiazina 50-100 mg e.v. in 3-5 min o difenidramina 1-2
mg/kg e.v.fino a 50 mg in 2-3 min).
-Aminofillina:
utile in taluni casi la sua somministrazione, a dosi di 6 mg/kg in 50-100 ml di
soluzione fisiologica da infondere in 30 min. Anche l'aminofillina aumenta i
livelli di AMP ciclico intracellulare.
-Ristabilire
la volemia con soluzione fisiologica 1/2-1 l in 30 min.
-Dopamina:
nel caso permanga ipotensione, alla dose di 2-10 mcg/kg/min.
-Glicocorticoidi:
sono utili per prevenire il fenomeno dell'anafilassi protratta (ripresa tardiva
della sintomatologia), ma non per trattare l'episodio acuto. I glicocorticoidi
non sono alternativi all'adrenalina o aminofillina. Vanno usati in dosi di 500
mg di idrocortisone succinato iniettati a bolo, ogni 2-4 ore o di 20-30 mg/kg
e.v., in circa 10 min, di metilprednisolone.
-Per
gli adulti in terapia con betabloccanti usare atropina 0,5 mg, fino a
raggiungere una frequenza cardiaca di circa 60 bpm, od anche glucagone in dose
di 0,05 mg/kg in bolo e.v. seguito da 0,07 mg/kg/h in infusione continua.
-Ospedalizzare
sempre il paziente. Trattenerlo almeno 24 ore in ospedale anche dopo la
risoluzione dell'episodio per il rischio di anafilassi protratta.
Etiopatogenesi.
Consegue ad una diminuzione dei meccanismi nervosi di controllo del circolo od a
dilatazione anormale dei vasi venosi di capacità.
Cause.
Lo shock neurogeno è piuttosto raro ed è quasi sempre dovuto ad un trauma del
midollo spinale con quadro di quadriplegia o paraplegia.
Si
può anche verificare in corso di sindrome di Guillain-Barré e di altre
neuropatie, oppure a seguito di anestesia spinale alta. Non si verifica mai dopo
trauma cranico (se dopo un tale trauma si verifica ipotensione, bisogna pensare
sia piuttosto in atto un'emorragia di organi interni).
Può
essere anche considerato "neurogeno" lo shock che si manifesta in
corso di sovradosaggio di farmaci ganglioplegici (ipotensivi), vasodilatatori
(nitroderivati ecc.), fenotiazinici, glutetimide ed altri, o di avvelenamento da
barbiturici.
Quadro
emodinamico. La portata cardiaca può essere anche aumentata ma le basse
resistenze periferiche determinano ipotensione ed ipoperfusione degli organi.
Analogamente a quanto si verifica nella fase iniziale iperdinamica dello shock
settico, la cute è spesso calda ed asciutta.
Quadro
clinico. I sintomi ed i segni clinici dello shock neurogeno sono simili a quelli
dello shock ipovolemico (e settico, nella fase iniziale).
I
dati anamnestici sono molto importanti, così come l'associazione di segni di
malattia neurologica.
Terapia:
-misure
specifiche del caso (es.: lavanda gastrica in caso di intossicazioni ed
avvelenamenti per via orale, alcalinizzazione delle orine nell'avvelenamento
barbiturico, immediata sospensione di infusione di vasodilatatori ecc.);
-espansione
della volemia: infusione di soluzione di cristalloidi e.v. (1 l in 20-30',
proseguendo sino a normalizzazione dei valori di PVC). In questo tipo di shock
possono essere usati anche colloidi;
-farmaci
vasocostrittori: lo shock neurogeno è probabilmente il solo tipo di shock per
il quale vi è indicazione per l'impiego di farmaci vasocostrittori, data la
necessità di ripristinare il tono dei vasi di capacitanza. Quindi è utile la
somministrazione di dopamina in dosi di 15-20 mg/kg/min oppure noradrenalina in
dosi di 0,02-0,1 mcg/kg/min (l'infusione va regolata in maniera da non superare
i 100 mmHg di pressione arteriosa sistolica).
N.B.
Sono descritti in letteratura anche altri tipi di shock endocrini che hanno rara
incidenza e come tali e per i quali si rimanda agli appositi trattati.
Essi
sono:
-shock
da insufficienza ipofisaria acuta;
-shock
da coma mixedematoso;
-shock
da insufficienza surrenalica acuta;
-shock
da feocromocitoma;
Molta
strada resta da compiere per quanto attiene lo studio e la terapia dello shock:
-riconoscimento
clinico precoce di uno stato di shock (specie settico);
-valutazione
di nuovi indici di laboratorio: glutatione ridotto, malonildialdeide,
fibronectina, cachessina, elastasi neutrofila, mieloperossidasi, catepsine,
segni di attivazione del complemento (C1q) ecc.;
-valutazione
terapeutica di nuove sostanze tuttora in fase di sperimentazione, che potrebbero
essere inserite negli schemi terapeutici tradizionali dello shock:
antiossidanti: superossidodismutasi, glutatione ridotto, desferoxamina; sostanze
antiproteasiche: aprotinina ed altre; anticorpi monoclonali antiendotossina ed
anticachessina; cambio del plasma (presenza nel plasma di "RES depressant
substance"), prostaciclina, naloxone, crioprecipitati di fibronectina, ATP
magnesium cloride (MgCl2) ecc.;
-va
tenuto presente che in clinica generalmente si affronta uno shock già in atto,
con meccanismi di liberazione delle proteasi, di ipoperfusione e di squilibrio
radicalico già attivati;
-pertanto
l'uso precoce di sostanze interferenti i vari meccanismi patogenetici dello
shock potrebbe rivelarsi estremamente utile. Dal momento che non esiste un
rimedio universalmente valido, occorre cercare di agire non solo sulla causa
scatenante ma anche cercare di prevenire, inibire, modificare, correggere gli
squilibri appena sospettabili;
-è
pertanto auspicabile l'uso di nuovi schemi terapeutici che siano di valido aiuto
nella strategia di appoggio al malato in condizioni di shock.
LIBRI
Abboud F.M.: Text book of critical care. Ed. W.B. Saunders, 1989.
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Ho
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Text book of internal medicine. Ed. Lippncott Company, Philadelphia,
1990.
Lawin P.: Terapia intensiva. Ed. Piccin, 1979.
Schawartz e Coll.: Medicina d’urgenza. Principi e pratica. Ed. Piccin, 1987.
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Diagnosi ed interventi terapeutici nella pratica domiciliare ed ospedaliera. C.G.
Ediz. Med. Scient., Torino, 1988.
Rugali G. Manuale di medicina interna sistematica. Ed. Masson, 1989.
Schwartz e Coll.: Critical
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Williams & Wilkins Co., 1990.
ARTICOLI SU RIVISTE O PUBBLICAZIONI
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G. GARETTO
Pronto Soccorso,
Dipartimento Emergenza
Accettazione DEA,
Ospedale Maggiore di San
Giovanni Battista
e della Città di Torino
Sede Molinette
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