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Ultimo aggiornamento: 23.12.2013
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ARGOMENTI DI MEDICINA CLINICA
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Il
corpo umano è essenzialmente costituito da una soluzione acquosa (60% del peso
corporeo) in cui un vasto complesso di soluti si trovano distribuiti in
compartimenti, in comunicazione fra loro e divisi da membrane lipidiche.
Con
poche eccezioni le barriere sono altamente permeabili all'acqua la cui
distribuzione è determinata dalla concentrazione di soluti di ciascun
distretto.
La
pressione colloido-osmotica, dovuta alla concentrazione di soluti poco o non
permeabili attraverso le pareti capillari (per lo più proteine), favorisce i
movimenti dell'acqua dal liquido interstiziale, che possiede una relativamente
bassa concentrazione di proteine, entro lo spazio intravascolare ed
intracellulare (ricchi di proteine).
Le
forze di Starling, rappresentate dalla pressione idrostatica nel capillare (Pc),
pressione idrostatica nello spazio interstiziale (Pis), pressione
colloido-osmotica nel capillare (P greco c), pressione colloidoosmotica nello
spazio interstiziale (P greco ic), regolano tali movimenti.
Pc
e P greco ic muovono l'acqua dal capillare all'interstizio. Quando (Pc + P greco
is) > (Pis + P greco c), condizione che si verifica nel capillare arterioso,
il liquido fuoriesce dal capillare. La maggior parte rientra nel distretto
venoso quando l'aumento in P greco c e la caduta del Pc determinano una
condizione tipo (Pc + P grecois) < (Pis + p greco c) la rimanente parte viene
drenata nel circolo attraverso i linfatici.
Fondamentalmente
quindi le forze responsabili per il flusso dell'acqua (JV) sono costituite da
gradienti di pressione idraulica ed osmotica.
I
primi vengono generati dalla contrazione del cuore e sono importanti nel
determinare il flusso nel glomerulo ed in genere fra gli spazi intra ed
extravascolari.
Di
contro i movimenti fra spazi interstiziali e interno delle cellule sono dovuti
alle forze osmotiche.
Approssimativamente
un terzo dell'acqua totale è contenuta nel liquido extracellulare il cui volume
è direttamente dipendente dalla quantità di sodio totale corporeo.
Questa
relazione ricorre dal momento che i sali di sodio sono virtualmente ristretti al
volume extracellulare (VEC) e costituiscono il principale componente
osmoticamente attivo del compartimento. Perciò possiamo scrivere: PNa 2 = Posm.
Un aumento dell'osmolalità anche di sole poche mosmoli costituisce sia un
potente stimolo sul centro della sete con conseguente introduzione di H2O, sia
uno stimolo al rilascio dell'ADH che causa ritenzione renale dell'acqua
ingerita.
È ovvio pertanto che il mantenimento di un normale livello di sodio è
essenziale per il mantenimento di un normale VEC.
Nei
mammiferi la responsabilità dell'omeostasi è affidata al rene che la regola
attraverso il meccanismo di escrezione o di ritenzione del sale.
Un
brusco aumento nell'introduzione di Na con la dieta determina nell'arco di 3-5
giorni un bilancio positivo di Na e conseguente aumento ponderale L'escrezione
urinaria eguaglierà l'introduzione con stabilizzazione del peso.
Viceversa,
quando il sodio viene ridotto, si assisterà ad un bilancio negativo con
riduzione del peso corporeo.
Dopo
3-5 giorni si instaurerà una nuova condizione di equilibrio.
È evidente che in qualche modo lo stato di espansione o di riduzione del
VEC viene percepito ed il rene risponde di conseguenza riaggiustando
l'escrezione del Na.
I
compartimenti nei quali viene suddivisa idealmente l'acqua totale corporea (ATC)
sono fondamentalmente rappresentati dal volume intracellulare (VIC) e dal volume
extracellulare (VEC) (tab.01
Il
VEC a sua volta comprende il volume plasmatico (5% del peso corporeo) il volume
interstiziale, inclusi i liquidi pleurici, pericardici, linfatici, ed i liquidi
transcellulari (contenuto intestinale, liquor cefalorachidiano, intraoculare,
sinoviale ecc.).
I
metodi per determinare il contenuto dell'ATC sono basati sull'essicazione. Il
tessuto a contenuto più basso in H2O è rappresentato da quello adiposo (circa
il 10% del peso del tessuto), fra quelli a più alto contenuto d'acqua vanno
ricordati il muscolo, il rene, il sangue.
Utili
per determinare con una buona approssimazione la compartimentalizzazione
dell'H2O sono alcune sostanze isotopiche o non isotopiche iniettate nell'animale
da esperimento per via endovenosa o intraperitoneale.
Il
principio su cui si fondano tali misurazioni, è quello della diluizione, per
cui somministrata una quantità nota di una sostanza, se ne può misurare il
volume di distribuzione dividendo la quantità per la con centrazione finale di
equilibrio.
Per
valutare l'ATC si utilizza l'ossido di deuterio e di trizio; per il VEC
l'inulina, il bromo o il cloro radioattivi; per il volume plasmatico l'albumina
o il destrano marcati.
Per
il VIC invece non esistono sicuri metodi di misurazione per cui viene
approssimativamente calcolato per differenza fra ATC e VEC.
Alla
suddivisione ideale fra VIC e VEC si affianca anche una differente e
caratteristica concentrazione elettrolitica. Lo ione maggiormente rappresentato
nel VEC è il sodio mentre nel VIC è il potassio.
Questa
differenza è dovuta a specifiche selettività delle membrane cellulari e alla
esistenza di meccanismi di trasporto ionico richiedenti dispendio di energia
(trasporti attivi). La concentrazione degli elettroliti moltiplicata per i
rispettivi volumi di distribuzione fornisce una stima delle quantità totali
presenti nell'organismo.
La
composizione del VEC e del VIC è stata riportata in tab.02
Poiché
quindi il K e il Na con i rispettivi anioni rendono conto pressoché
completamente della osmolalità intra ed extracellulare rispettivamente,
l'acqua, diffondendo per osmosi da un distretto all'altro, farà sì che la
pressione osmotica generata nel VEC dal Na sia uguale a quella generata dal K
nel VIC.
La
differenza fra la somma dei cationi e quella degli anioni misurati
routinariamente è uguale all'intervallo anionico o anion-gap cioè alla
concentrazione complessiva degli anioni non misurati, essenzialmente fosforo e
proteine.
In
condizioni fisiologiche l'osmolalità plasmatica rimane controllata entro un
range costante grazie ai meccanismi di regolazione renale (modificazioni
dell'escrezione di Na e H2O). La capacità dell'individuo di introdurre grandi
quantità di liquidi senza significativa emodiluizione dipende da un'intatta
regolazione dell'ADH.
L'ipoosmolalità
inibisce fisiologicamente il rilascio dell'ormone da parte della neuroipofisi.
Viceversa,
nell'iperosmolalità, si assiste ad una iperincrezione con netta riduzione del
flusso delle urine.
Il
volume extracellulare è composto dal volume plasmatico, dal liquido
interstiziale e dai liquidi transcellulari. Un aumento di volume del VEC può
determinare emodiluizione, diminuzione della concentrazione plasmatica delle
proteine ed aumento della pressione di perfusione renale.
Queste
modificazioni, associate ad alterazioni nelle resistenze delle arteriole
afferenti ed efferenti possono portare ad un aumento del filtrato glomerulare ed
a una riduzione dei meccanismi di riassorbimento lungo i capillari peritubulari.
pressione
oncotica, ne consegue pressione idrostatica peritubulare, ne consegue
riassorbimento prossimale, ne consegue escrezione sodica.
In
aggiunta la percezione della espansione di volume risulta in una ridotta
dismissione di renina con conseguente riduzione di generazione di angiotensina
II. La caduta dell'angiotensina II riduce a sua volta il livello
dell'aldosterone e quindi il riassorbimento distale.
È tuttavia possibile che qualche recettore di volume non renale
percepisca l'aumento del VEC ed alteri la risposta del rene a stimoli nervosi
(recettori atriali, del seno carotideo p.e.) così come ormonali
(prostaglandine, ANP). Fra le sostanze ormonali, l'ADH è il solo ormone
riconosciuto in grado di regolare l'osmolalità dei liquidi corporei.
La
precisione con cui la secrezione è osmoticamente regolata, la potenza del suo
effetto e la rapidità della sua clearance fanno della vasopressina una sostanza
ideale per l'omeostasi dell'organismo.
Secreta
dalla parte posteriore dell'ipofisi è distribuita nel VEC associata alle
proteine. Presenta una emivita di 10-25 minuti e viene degradata in egual misura
sia dal fegato che dal rene. Pur avendo un effetto pressorio non lo esercita
fisiologicamente dal momento che il suo livello in circolo è molto al di sotto
di quello necessario per ottenere tale risultato. L'effetto primario rimane
pertanto associato alla conservazione dell'acqua.
Diversi
ormoni risultano in grado di promuovere la secrezione dell'ADH tra cui il più
importante è rappresentato dall'angiotensina, quindi dalla norepinefrina, dalla
dopamina e dalle endorfine.
Anche
agenti colinergici, istamina e TRH risultano capaci d'influenzare la secrezione.
Tra
i fattori indipendenti dal controllo osmotico, vanno ricordate alcune condizioni
patologiche:
a)nausea
(TADH mediato dal centro emetico);
b)ipoglicemia
indotta da insulina (TADH per meccanismo sconosciuto);
c)ipossia
(ADH per rilascio di ormoni in grado di provocare variazioni emo-dinamiche);
d)stimoli
noxicettivi (ADH con meccanismo incerto sull'uomo).
Recentemente
è stato osservato che anche il fattore natriuretico atriale (alfa-ANP)
rilasciato dai miociti può esercitare una varietà di effetti renali oltre che
cardiovascolari. Il poptide esogeno somministrato e.v. è in grado di aumentare
il filtrato glomerulare e, dagli esperimenti compiuti, pare possa inibire il
riassorbimento di sodio del tubulo prossimale e del dotto collettore. In
aggiunta può aumentare l'escrezione di acqua antagonizzando gli effetti
dell'ADH sulla conduttività idraulica del dotto collettore midollare.
In
accordo con questi risultati, recettori per ANP sono stati trovati sulla
vascolatura renale, sui glomeruli e sui dotti collettori. Non sono stati trovati
sul tubulo prossimale ma qui l'effetto della sostanza potrebbe essere
parzialmente indiretto, mediante la soppressione dell'asse renina-angiotensina o
l'innervazione simpatica renale. Altro meccanismo fisiologico che ricorre in
rapporto a variazione del VEC è la sete. Ricorre solo quando la perdita di
liquidi eccede l'introduzione abituale e la generazione metabolica di H2O.
È regolata largamente se non esclusivamente dalla tonicità plasmatica.
Il controllo di questo meccanismo viene mediato dall'effetto congiunto di
neuroni osmocettori localizzati nella parte ventromediale ed anteriore
dell'ipotalamo. I barocettori atriali ed arteriosi fungono da mediatori
emodinamici della sete.
L'eccesso
di acqua e soluti introdotti con la dieta vengono eliminati dagli organi
emuntori in condizioni fisiologiche. L'organo più sofisticato in grado di
regolare il volume dei liquidi, l'osmolalità e le concentrazioni dei sali è
rappresentato nei mammiferi dal rene che risponde agli stimoli eliminando urine
più o meno concentrate per salvaguardare l'omeostasi corporea.
Il
riassorbimento di Na e quindi di H2O mediato da differenti meccanismi tenderà a
riespandere il volume extra -cellulare.
Per
iponatremia si intende una condizione caratterizzata da una ridotta
concentrazione plasmatica di sodio.
Normalmente
circa il 92-94% del volume plasmatico è costituito da acqua. Il rimanente 8-6%
da solidi, principalmente lipidi e proteine. A causa della loro natura ionica,
gli ioni Na sono disciolti solo nell'acqua. Se una percentuale maggiore di
plasma viene occupata da lipidi e proteine la concentrazione serica di Na rimarrà
invariata, mentre la sua lettura effettuata con il fotometro a fiamma risulterà
inferiore (pseudo-iponatremia). L'iponatremia spuria può essere riscontrata nei
pazienti con iperlipidemia primaria o secondaria, con siero grossolanamente
lattescente, diabete mellito, sindrome nefrosica, in corso di alimentazione
parenterale, mieloma multiplo ecc.
Il
riconoscimento di una simile condizione è fondamentale dal momento che
qualsiasi trattamento volto alla correzione dello "squilibrio
idroelettrolitico" può risultare dannoso per il paziente.
Una
eventuale terapia pertanto in tali condizioni deve essere rivolta alla
correzione delle cause determinanti l'anormalità dei lipidi e delle proteine.
D'altra
parte, il contenuto di lipidi e proteine plasmatiche non altera il punto di
congelamento per cui non modifica l'osmolalità plasmatica. Un confronto fra
osmolalità "misurata" e osmolalità calcolata in base alle
concentrazioni di sodio, urea e glucosio costituisce un metodo semplice per
identificare queste situazioni di iponatremia spuria.
La
formula da applicare è la seguente:
Posm=
=2[Na+]
+ BUN mg/dl/2,8 +
glucosio mg/dl/10
La
disparità fra l'osmolalità misurata e quella calcolata può anche indicare che
un soluto non-misurato, non rappresentato né dal sodio, né dall'urea, né dal
glucosio è presente e contribuisce a determinare l'osmolalità.
Questa
condizione può ricorrere in corso di intossicazione di etanolo, metanolo e
glicole etilenico.
L'iponatremia
può essere associata anche ad iperosmolalità. La patologia nella quale più
frequentemente si riscontra questo problema è rappresentata dal diabete mellito
non controllato. Il deficit insulinemico riduce il movimento del glucosio dal
compartimento extra verso quello intracellulare aumentandone la concentrazione
nel VEC. L'accumulo di osmoli crea un gradiente osmotico per cui l'acqua lascia
le cellule per riversarsi nell'extracellula nel tentativo di correzione
omeostatica. In tal modo il sodio viene diluito. Similmente l'infusione di
sostanze ipertoniche quali il mannitolo o il glicerolo, riducono la
concentrazione plasmatica nel Na nel VEC.
Una
terza situazione patologica riconosce una condizione di iponatremia associata ad
ipoosmolalità. Poiché il VEC è un corrispettivo del sodio totale corporeo è
possibile formulare in questo caso una classificazione in base al grado di
espansione, per cui potremo distinguere:
-iponatremie
con VEC depleto;
-iponatremie
con VEC normale;
-iponatremie
con VEC espanso.
Il
VEC non va confuso con il volume plasmatico effettivo, per cui è necessario
prima di qualsiasi correzione una attenta valutazione clinica.
Per
esempio nello scompenso cardiaco, il VEC può essere marcatamente espanso mentre
il rene riceve segnali di "ipovolemia" e risponde trattenendo
esageratamente sodio ed acqua a dispetto dell'elevato contenuto sodico corporeo.
Il
deficit del Na totale corporeo eccede il deficit dell'acqua totale corporea.
Sono
presenti all'esame clinico tutti i segni della contrazione di volume:
ipotensione, vene collassate, cute disidratata, lingua asciutta, bulbi oculari
ipotonici, urine scarse a basso contenuto di Na (meno di 10 mEq/l).
Le
cause vanno ricercate anamnesticamente e generalmente riconoscono perdite di
liquidi attraverso il tubo digerente o perdite dal tubulo renale:
-perdite
gastroenteriche: vomito, diarrea, sanguinamenti, pancreatiti, abuso di
catartici, peritoniti ecc;
-perdite
renali: diuretici, insufficienza surrenalica, nefriti, acidosi tubulare renale,
diuresi osmotica ecc.
A
questo gruppo appartengono pazienti affetti da ipotiroidismo, malattie
ipotalamiche o ipofisarie con secondario deficit di secrezione surrenalica,
pazienti in trattamento con farmaci che riducono il contenuto di sodio.
Il
rene, avvertendo tramite i recettori sistemici la presenza di ipoperfusione
risponde stimolando la secrezione di renina e trattenendo avidamente il sale. La
concentrazione urinaria risulta spesso inferiore ai 10 mEq/l.
Unica
eccezione in corso di iponatremia con o senza edema è quella che si manifesta
in corso di insufficienza renale cronica dove invece ricorre un marcato aumento
dell'escrezione salina.
Questo
gruppo include pazienti che presentano un aumento del contenuto totale corporeo
di H2O. Tale condizione può essere riscontrata nello scompenso cardiaco, nella
sindrome nefrosica e nella cirrosi scompensata. Sono frequenti le cause
farmacologiche (oppiacei, nicotina, CPM, colchicina ecc.).
In
questo gruppo possono essere annoverati i pazienti con sindrome da inappropriata
secrezione di ADH (spesso paraneoplastica), in cui la escrezione sodica è
elevata.
Dipendono
dalla rapidità con la quale lo squilibrio si determina. I pazienti anziani e i
bambini sono quelli che manifestano sintomi anche per variazioni non
consistenti. Mentre lo sviluppo cronico dell'iponatremia causa pochi disturbi ed
è associato a bassa mortalità, quello acuto con severa ipoosmolalità porta a
morte nel 50% dei casi. I segni sono legati fondamentalmente all'edema cerebrale
e all'aumento della pressione intracranica e possono variare da senso di
disorientamento, agitazione, apatia, all'alterazione del sensorio, ipotermia e
coma.
I
sintomi gastrointestinali e muscolari (nausea, anoressia, crampi muscolari,
alterazione dei riflessi) sono fondamentalmente correlati al rigonfiamento
cellulare secondario all'ipotonicità. L'iponatremia grave, o se si preferisce
l'intossicazione d'acqua, costituisce una vera e propria emergenza medica,
quando è associata ad una severa ipotonicità. Un corretto inquadramento del
paziente pertanto è imperativo per una altrettanto corretta impostazione
terapeutica.
L'iponatremia
da deficit di mineralglucocorticoidi e da ipotiroidismo sarà trattata con la
sostituzione ormonale. In quella indotta da farmaci sarà sufficiente il più
delle volte sospendere la sostanza noxicettiva, così come nella sindrome da
inappropriata secrezione di ADH gioverà un trattamento con demeclociclina
(600-1200 mg/die). Correzione del VEC e terapia insulinica potranno migliorare
le condizioni del paziente diabetico fino a normalizzazione.
Nell'emergenza
iponatremica (PNa < 120 mEq/l) è necessario stimare con le apposite formule
il deficit di Na e/o l'eccesso di acqua. Le correzioni rapide sono giustificate
solo da sintomatologie gravi ricordando che non è mai necessario, anzi è
dannoso, correggere il deficit in un'unica soluzione. È sufficiente riportare l'iponatremia a livelli di non
pericolosità per il paziente e procedere poi lentamente con la ulteriore
correzione.
L'eccesso
di acqua può essere calcolato con la seguente formula:
(140-PNa
attuale) x peso attuale x 0,60 /140
(PNA=sodio
plasmatico)
Il
calcolo indica la perdita di peso necessaria per normalizzare la natremia.
La
terapia consiste nella infusione di soluzione salina isotonica in quantità
uguale al flusso delle urine tenuto elevato da ripetute somministrazioni di
furosemide (20-40 mg e.v. ogni ora).
Nel
paziente in coma potrà essere utilizzato inizialmente NaCl al 3% 500 cc seguito
da infusione salina isotonica. Nell'iponatremia non grave potrà essere
sufficiente la somministrazione di cialde di NaCl (se vi è deficit sodico)
unitamente alla restrizione idrica, che rappresenta l'unico presidio in caso di
contenuto sodico normale o elevato. Nel paziente anurico, invece, sarà
necessario utilizzare l'ausilio della dialisi extracorporea.
In
corso di iponatremia non somministrare:
-barbiturici
(se non si è esclusa la porfiria acuta intermittente)
-soluzioni
glucosate: aggravano il quadro;
-soluzioni
ipotoniche: aggravano il quadro;
-glucosate
ipertoniche: aggravano il quadro;
-non
iniziare terapia se non si è inquadrato clinicamente il paziente e non si è
certi della diagnosi.
Squilibrio
elettrolitico caratterizzato da un aumento del PNa oltre i limiti superiori
della norma (145 mEq/l).
In
rapporto alla causa se ne distinguono due entità:
1)perdita
di acqua o liquidi ipotonici;
2)guadagno
di sali.
La
forma dovuta a pura perdita di H2O è associata a contrazione del VEC.
Perdite
insensibili di H2O si verificano continuamente attraverso la pelle ed i polmoni.
L'evaporazione
attraverso la pelle, per esempio, aumenta marcatamente quando la febbre è
elevata, nella tireotossicosi o per esposizione a temperature elevate.Tuttavia
la maggiore potenziale perdita di H2O avviene attraverso le vie renali. Poiché
l'acqua serve come veicolo per l'escrezione urinaria di soluti che originano dal
metabolismo giornaliero, vi è una perdita continua. Se vi è un difetto del
meccanismo di concentrazione delle urine, l'acqua viene perduta in eccesso
rispetto al minimo richiesto per l'escrezione dei soluti. Poiché le membrane
cellulari sono permeabili all'acqua sia il compartimento intra che
extracellulare risentiranno delle perdite di volume in proporzione ai loro
relativi volumi. Con la disidratazione da sola, il collasso e lo shock sono
rari, ricorrendo invece negli estremi gradi di severa ipernatremia. L'osmolalità
urinaria usualmente eccede del doppio quella plasmatica eccetto quando la causa
della ipernatremia è rappresentata dal diabete insipido.
Altre
condizioni cliniche associate ad ipernatremia da perdita di liquidi si possono
verificare per diuresi osmotica (urea, glucosio, mannitolo, glicerolo) e durante
dialisi peritoneale soprattutto quando si utilizza un dialisato ipertonico. La
sintomatologia è esclusivamente legata alla contrazione di volume ed è
caratterizzata da ipotensione, estremità fredde e tachicardia. I segni di
interessamento del sistema nervoso centrale, se presenti, possono dipendere in
parte dall'ipoperfusione, in parte dall'ipernatremia (sonnolenza, stupore,
riflessi torpidi, coma).
La
intensità del quadro clinico dipende dalla rapidità con cui lo squilibrio si
instaura piuttosto che dai valori raggiunti. Un'ipernatremia intorno a 160 mEq/l
raramente desta preoccupazione. Sarà sufficiente limitare drasticamente il sale
e prescrivere o infondere H2O per normalizzare il quadro.
nel
caso di valori superiori a 160, la terapia consiste nella reinfusione di liquidi
privi di sali (p.e. sol. glucosata al 5%) in quantità pari al deficit idrico
calcolato con la seguente formula:
Volume
perduto=
=
(Na attuale-Na desiderato) x peso attuale x per 0,6 /Na desiderato
Si
utilizza soluzione glucosata dal momento che una volta metabolizzato il glucosio
rimane acqua e quindi l'infusione di glucosata è equivalente all'infusione di
acqua distillata.
Le
cause sono rappresentate dall'ingestione accidentale di sale (nei bambini
soprattutto) oppure dall'erronea somministrazione di soluzioni ipertoniche o di
NaHCO3 oppure dall'uso di resine a scambio ionico in fase sodica per la
correzione dell'iperpotassiemia. La sintomatologia è legata alla contrazione
del VIC e al sovraccarico del VEC che può evolvere verso crisi ipertensive,
scompenso cardiaco ed edema polmonare. La diagnosi differenziale con la forma
precedente si basa fondamentalmente sulla anamnesi e sui sintomi legati alla
condizione del volume extracellulare. La terapia è differente a seconda della
funzione renale. Se infatti il paziente fosse anurico o comunque con funzione
renale gravemente compromessa, conviene trattare lo squilibrio mediante dialisi
peritoneale.
Se
viceversa, la funzione renale fosse intatta, è utile la somministrazione di
diuretici dell'ansa (furosemide, ac. etacrinico) reinfondendo in parte il volume
perduto con acqua priva di sali (p.e. soluzione glucosata). La terapia dovrà
essere proseguita finché l'escrezione di Na cumulativa risulti uguale alla
stima dell'eccesso di Na calcolata con la seguente formula:
Na
escreto = (PNa - 140) x peso attuale 0,6
La
terapia sopraindicata è valida solo per i casi gravi, ove il paziente sia
sintomatico.
Una
trattazione a parte meritano altre due condizioni cliniche caratterizzate da
iperosmolalità ed ipernatremia e cioè la ipernatremia essenziale e la
ipodipsia primaria.
Il
termine di ipernatremia essenziale è osservato a casi in cui viene riscontrata
iperosmolalità, ipernatremia, euvolemia e assenza del senso della sete, quello
di ipodipsia primaria ad un inadeguato senso della sete nonostante la presenza
di normali stimoli. Mentre nel primo caso i pazienti non presentano segni o
sintomi che depongono per la contrazione del VEC, sono ipodipsici e lamentano
affaticabilità muscolare, nel secondo i sintomi sono chiaramente espressione
della disidratazione eccetto che per la assenza della sete.
La
diagnosi differenziale si basa in parte sui dati obiettivi di contrazione del
VEC e sulla osmolalità urinaria che risulta elevata nell'ipodipsia primaria,
normale nell'ipernatremia essenziale.
La
terapia consiste nel far assumere al paziente in orari prestabiliti una certa
quantità di acqua riabituandolo ad un abbondante consumo di acqua, come se si
trattasse di una qualsiasi medicina. Non esiste al momento nessun'altra terapia
farmacologica, dal momento che gli esperimenti compiuti con sostanze chimiche o
stimoli termogenici non hanno chiarito il meccanismo di stimolazione del centro
della sete.
Circa
il 98% del contenuto totale corporeo del K in un soggetto normale è
intracellulare (per lo più contenuto entro le cellule muscolari). Un gradiente
di concentrazione di 30 a 1 viene mantenuto fra i compartimenti intra ed
extracellulari mediante processi che implicano consumo di energia.
Questo
gradiente è il maggiore determinante del potenziale di membrana, fattore
critico nel funzionamento del muscolo, nervo ed epiteli di trasporto. La
interrelazione dinamica fra assorbimento, escrezione e distribuzione determina
la concentrazione plasmatica dell'elettrolita. Nel soggetto sano l'assorbimento
del potassio avviene nello stomaco e nel tratto superiore gastrointestinale.
Approssimativamente 10 mEq/die vengono eliminati con le feci. Sebbene le cellule
epiteliali del colon possano secernere K, la loro capacità è limitata; il rene
pertanto rimane il principale responsabile del bilancio.
Dopo
un carico acuto di K per os o per endovena circa il 50% appare nelle urine entro
le prime 4-6 ore. La restante frazione viene rapidamente trasportata dall'extra
all'intracellula per prevenire una potenziale iperkaliemia. Se infatti il K
venisse trattenuto nel VEC, la sua concentrazione plasmatica potrebbe
raggiungere livelli incompatibili con la vita. Fondamentalmente tre ormoni
giocano un ruolo importante nel mantenimento del bilancio potassico
extra-renale: l'insulina, l'aldosterone e l'epinefrina.
L'uso
dell'insulina nelle emergenze iperpotassiemiche è ormai codificato ed è basato
sulla capacità dell'ormone di favorire l'ingresso del K nell'intracellula. Il
meccanismo rimane però ancora controverso. Quando la secrezione basale di
insulina viene inibita dalla somatostatina, la concentrazione del K aumenta. Se
K viene infuso insieme alla somatostatina, la tolleranza per l'elettrolita è
marcatamente alterata.
Pertanto
gli effetti dell'infusione di somatostatina sulle modificazioni seriche di K
suggeriscono l'esistenza di un feedback fisiologico negativo fra insulina e K.
La
somministrazione di epinefrina nell'animale induce una risposta bifasica
caratterizzata da un transitorio aumento del potassio plasmatico (dovuto al
rilascio epatico) seguito da una prolungata ipopotassiemia. Anche l'aldosterone
riveste un ruolo alquanto controverso nell'omeostasi potassica extrarenale,
mentre risulta riconosciuta la sua importanza nel promuovere la secrezione di K
dal tubulo distale e dal colon. Una brusca caduta del VEC porterà a marcata
antinatriuresi e antidiuresi ma non alla depressione dell'escrezione potassica.
Fra
gli altri ormoni implicati nell'omeostasi potassica vanno ricordati i
glucocorticoidi, il glucagone, gli ormoni tiroidei e l'ormone della crescita. A
proposito di quest'ultimo si è osservato che alte concentrazioni di K causano
rilascio del GH e viceversa. Bassi livelli di ormone sono stati riscontrati
negli stati di deficienza potassica rientrati nel range dopo correzione dello
squilibrio. Fra gli agenti farmacologici in grado di modificare l'assetto
elettrolitico vanno ricordati:
-digitale:
inibisce la Na-K-ATPasi. Un'overdose può provocare iperK da rilascio di
potassio intracellulare;
-succinilcolina:
rilassante muscolare usato in anestesia, induce un rilascio di K aumentando la
permeabilità della membrana muscolare;
-inibitoriprostaglandine:
inducono iperK per inibizione dell'asse R.A.A.;
-diuretici
risparmiatori di K: inducono iperK (amiloride, triamterene, spironolattone);
-diuretici
dell'ansa: furosemide ed acido etacrinico aumentano l'escrezione di K ed
inducono ipopotassiemia.
Il
potassio occupa un ruolo importante nella composizione elettrolitica del nostro
organismo, essendo il più importante catione presente nel liquido
intracellulare. Il gradiente di concentrazione che risulta dalla sua differente
distribuzione attraverso le membrane è responsabile di diverse proprietà
elettriche (meccanismi di trasporto nel rene, intestino, eccitabilità nervosa e
muscolare ecc.).
Due
processi determinano la relazione di steady-state fra concentrazioni di K intra
ed extracellulari:
1)Na-K-ATPasi:
è responsabile dell'ingresso attivo di K entro le cellule contro gradiente e
quindi con dispendio di energia;
2)permeabilità
delle membrane al K: determina la quota di K che lascia passivamente la cellula
ed è il maggior determinante del potenziale di membrana.
La
quota di escrezione del K, in condizioni fisiologiche, è largamente determinata
dai livelli di attività del meccanismo di secrezione potassica localizzato
nella porzione corticale del nefrone distale.
I
fattori che modulano questo meccanismo sono rappresentati da fattori che
agiscono dall'endolume (flusso, concentrazione di Na, C1, differenza di
potenziale elettrico) e dal lato peritubulare (concentrazione plasmatica di K,
equilibrio acido-base, ormoni).
Lo
stato ipopotassiemico è una condizione clinica associata a basse concentrazioni
plasmatiche dell'elettrolita in presenza o in assenza di scorte totali corporee
ridotte. Le cause sono state schematicamente riportate nella tab.03
Le
complicazioni associate a questo squilibrio inducono alterazioni dell'equilibrio
acido-base, effetti metabolici, alterazioni nella funzione e struttura del
muscolo striato e del rene, effetti sul rilascio della renina e sulla produzione
delle prostaglandine.
La
sintomatologia è caratterizzata da astenia sempre più marcata in rapporto
all'ipopotassiemia ingravescente, tanto da determinare ipoventilazione e
paralisi respiratoria. Questa progressione può essere associata ad
iperreflessia, ipereccitabilità neuromuscolare, cloni, fascicolazioni muscolari
spontanee. Non rari i fenomeni di rabdomiolisi ed alterazioni renali
caratterizzate da alterazioni del potere di concentrazione con conseguente
poliuria.
Elettrocardiograficamente
può essere riscontrato un allungamento del tratto Q-T ed aritmie atriali.
L'obiettivo terapeutico è quello di rimpiazzare le perdite di K per prevenire
le complicanze cardiache (paralisi del muscolo cardiaco per blocco da
iperpolarizzazione).
La
rapidità del rimpiazzo dipende dalla stima della deplezione resa difficile del
fatto che fattori diversi possono alterarla (p.e. lo stato acido-base). Un calo
della concentrazione plasmatica di potassio da 4 a 3 mEq/l si ritiene indichi
una perdita di 100-200 mEq di K in un soggetto di 70 kg. Più recentemente
questo deficit è stato rivalutato intorno a 200-400 mEq rispetto al contenuto
totale corporeo.
Nella
correzione è preferibile utilizzare KClperos: 15 mEq per ora consentono la
somministrazione di 360 mEq/die. La dose e la frequenza delle somministrazioni
variano in rapporto alla gravità del quadro e alla risposta clinica.
L'infusione
endovenosa di cloruro di potassio o di fosfato potassico è indicata solo quando
sono presenti alterazioni elettrocardiografiche o durante la terapia
della
chetoacidosi diabetica.Fra i due preparati sopracitati è preferibile il KCl dal
momento che il fosfato di K può precipitare una condizione di ipocalcemia ed
ipomagnesiemia ed il suo impiego è comunque limitato alla chetoacidosi
diabetica o ad altre condizioni con contemporanea deplezione di P.
Qualora
si decidesse il trattamento endovenoso deve essere ricordato il potenziale
rischio del farmaco per cui la sua infusione prudenzialmente non dovrebbe
superare i 20 mEq/h.
Dovuta
ad un aumento del potassio serico oltre i 5,5 mEq/l, l'iperpotassiemia può
risultare come conseguenza di: ridotta produzione di renina, o di aldosterone,
difetto di secrezione tubulare, anomala distribuzione del K fra compartimento
intra ed extracellulare, insufficienza renale ed infine per errore terapeutico.
Le
cause sono schematicamente riportate nella tab.04
I
sintomi dovuti all'iperpotassiemia dipendono più che dal valore di PK in
assoluto, dal rapporto fra concentrazioni intra ed extracellulari di K.
Stimoli
normalmente subliminari riescono in condizioni di grave iperpotassiemia a
depolarizzare le cellule producendo contrazioni, cloni e fascicolazioni
muscolari.
La
progressione del quadro determinerà un blocco da depolarizzazione, clinicamente
rappresentato dalla paralisi muscolare flaccida.
I
primi segni dell'iperpotassiemia possono essere rilevati tramite un tracciato
elettrocardiografico.
A
seconda della gravità tali segni possono essere così riassunti in
progressione:
-accorciamento
del Q-T;
-onde
T alte ed appuntite;
-area
sottesa dall'onda T maggiore di quella sottesa dal QRS;
-progressivo
appiattimento e scomparsa dell'onda P.;
-ritmo
idioventricolare;
-allargamento
del QRS fino a fondersi con l'onda T;
-onda
di tipo sinusoidale dovuta a fusione QRS-T (segno di arresto cardiaco
incombente).
Di
fronte ad un rilievo plasmatico di iperpotassiemia, prima di tutto verificare
l'esame, eseguire un elettrocardiogramma alla ricerca dei segni caratteristici,
misurare pH, bicarbonati, creatininemia e filtrato glomerulare.
Controllare
quindi ed accertarsi sulla possibile causa di iperpotassiemia e sul precedente
utilizzo di farmaci in grado di indurre tale condizione.
Per
esempio, l'uso di agenti depolarizzanti come la succinilcolina durante anestesia
o manovre rianimatorie o per il trattamento dell'alcalosi metabolica può
provocare una brusca fuoriuscita di K dall'intracellula; ancora, l'uso di
diuretici risparmiatori di K durante il trattamento della cirrosi scompensata può
esitare facilmente nell'iperpotassiemia.
Il
trattamento dipende dalla severità e dalla rapidità con la quale si instaura
lo squilibrio. L'aggressività della terapia dipenderà pertanto oltre che da
questi fattori anche dalla presenza o assenza di manifestazioni cardiache o
neuromuscolari.
Il
razionale della terapia è basato su 4 capisaldi:
1)opporsi
direttamente agli effetti dell'iperK sulle membrane cellulari;
2)aumentare
il transfer del K dall'extra all'intracellula;
3)rimuovere
l'eccesso di K dall'organismo;
4)rimuovere
la causa specifica dell'iperK.
Durante
la correzione il paziente va attentamente monitorizzato dal punto di vista
elettrocardiografico. La successione terapeutica da seguire può essere così
ragionevolmente standardizzata da:
a)Ca
gluconato: infusione di 10-20 ml di Ca gluconato al 10%. La sostanza da
iniettare lentamente in 1-3 minuti è in grado di antagonizzare gli effetti del
K sul cuore. La dose potrà essere ripetuta dopo 30' se la precedente non avrà
sortito l'effetto desiderato. Il Ca dovrebbe essere somministrato con cautela
nei pazienti che assumono digitale poiché l'ipercalcemia potenzia gli effetti
tossici del farmaco. Nel caso somministrarlo lentamente in 20-30 minuti diluito
in 100 cc di glucosio al 5%.
b)NaHC03:
50-100 mEq a bolo ripetibili dopo 10-15 minuti controllando periodicamente
l'emogasanalisi (per la correzione e i calcoli relativi vedi squilibri
acido-base). La correzione, comunque venga eseguita, non deve mai essere
drastica dal momento che il pH può virare verso una condizione di alcalosi e
precipitare una crisi tetanica nel paziente con preesistente ipocalcemia.
L'aumento del pH ematico infatti aumenta il legame del Ca alla albumina.
c)Infusione
di insulina: stimola l'ingresso del K nelle cellule. Questo effetto è
indipendente dal trasporto di glucosio o dal metabolismo intracellulare di
glucosio. Il glucosio viene somministrato allo scopo di prevenire l'ipoglicemia.
Normalmente 10 U di insulina pronta possono essere prescritti unitamente a 50 g
di glucosio e iniettati nell'arco di 1 ora.
d)Diuretici:
furosemide 40-80 mg e.v. da ripetere eventualmente dopo 1-2 ore
per
aumentare la escrezione del K dal tubulo renale. Naturalmente il Na escreto in
eccesso per effetto del farmaco va restituito sotto forma di soluzione
fisiologica.
e)Resine
a scambio ionico: agiscono a livello gastrointestinale. Un grammo di resina
rimuove 0,5 -1 mEq di K unitamente a significative quote di Ca e Mg. La dose è
di 25-30 g per os o per clistere. Poiché il Kayexalate è costipante dovrebbe
essere disciolto in sorbitolo. Nel caso si preferisca la via rettale la dose di
Kayexalate dovrà essere disciolta in sorbitolo o glucosio al 10% e insufflato.
Il clisma per ottenere l'effetto desiderato dovrà essere trattenuto per 30
minuti almeno.
f)Dialisi
peritoneale o emodialisi: durante un'ora di seduta dialitica potranno essere
rimossi da 30 a 40 mEq di K.
Riscontrata
in genere nella IRC.
Le
misure terapeutiche in questo caso prevedono:
-eliminare
l'eccesso di K introdotto con la dieta;
-eliminare
farmaci potassio ritenenti; evitare la contrazione di volume (un basso flusso
urinario nel tubulo distale inibisce la secrezione di K);
-correzione
del pH con bicarbonato di Na. Poiché questo può indurre sovraccarico, il Ca
carbonato può essere utilizzato per la correzione dell'acidosi;
-Kayexalate
15-30 g per os o per clistere;
-diuretici
dell'ansa se indicati anche per la ritenzione sodica.
Nei
pazienti con moderata o leggera iperpotassiemia (PK 5-5,8 mEq/l) e in assenza di
manifestazioni cardiache, è spesso più prudente non istituire alcuna terapia e
controllare periodicamente il paziente.
Si
intende per acido una sostanza capace di liberare idrogenioni in soluzione, per
base una sostanza capace di accettare idrogenioni da una soluzione. Quindi acido
è lo H+ stesso mentre la base è l'idrossilione (OH-): una soluzione è tanto
più acida quanto maggiore è in essa la concentrazione di idrogenioni. Questa,
espressa come [H+]: è molto bassa nell'acqua distillata (35 mEq/l) ed identica
a quella degli idrossilioni: quindi l'H2O rappresenta la perfetta neutralità.
Poiché numeri come 35 miliardesimi di mole sono considerati scomodi e gli H+
non confrontabili direttamente con gli altri ioni in soluzione nell'organismo
biologico, molti preferiscono usare, quale unità di misura, il pH, che viene
definito come il reciproco del logaritmo della concentrazione molare di H+:
pH
= Log 1/[H+]
Nei
liquidi biologici, in particolare in quelli del corpo umano, si ha una
concentrazione di idrogenioni di 40 mEq/l, corrispondente ad un pH di 7,40.
Questo pH è mantenuto rigorosamente costante nonostante la continua produzione
di idrogenioni da parte dei processi metabolici. L'acqua totale è circa il 60%
del peso corporeo e cioè, per un uomo di 70 kg, circa 40 litri. Immaginiamo di
avere la stessa quantità di acqua distillata in un recipiente: se aggiungiamo
ad essa 160 mM di H+, ad esempio sotto forma di HCl, avremo una concentrazione
di idrogenioni di 4 mEq/l corrispondente ad un pH di 2,4: in queste condizioni
nessun organismo sopravviverebbe! Invece in condizioni patologiche, ad esempio
nel diabete scompensato, possono riversarsi nei liquidi organici 1200 mM di H+,
otto volte quelli usati nel nostro esperimento, ed il pH rimane superiore a 7.
L'organismo
possiede dunque qualche meccanismo che lo difende dall'accumulo di acidi. Questi
meccanismi di difesa sono costituiti da sistemi tampone che agiscono di concerto
con i meccanismi di regolazione polmonare e renale.
I
sistemi tampone sono costituiti da sali sodici di acidi deboli in equilibrio con
l'acido corrispondente. Il principale nell'uomo è costituito dalla base NaHCO3
accettore di protoni, e dall'acido carbonico H2CO3 donatore di protoni. Ora
ripetiamo l'esperimento previa immissione nel nostro recipiente di bicarbonato
di sodio (NaHCO3) sino alla concentrazione di 25 mEq/l e CO2 1,2 mM/l (la
concentrazione fisiologica del sangue): si avrà la seguente reazione:
160
H+ + 160 Cl- + 1000 NaHCO3 = 160
NaCl
+ 160 H2CO3 + 840 NaHCO3
Si
verificherà cioè la trasformazione totale dell'acido cloridrico nel sale
neutro corrispondente NaCl, gli idrogeno ioni si uniranno alla base bicarbonato
per formare H2CO3 e resteranno 840 mM di NaHCO3 la cui concentrazione nel
liquido si ridurrà da 1000/40 = 25 a 840/40 = 21 mEq/l.
L'H2CO3
formatosi si disidrata a CO2 + H2O. Si formeranno dunque 160 mM di CO2, che
unendosi alle 48 preesistenti (1,2/l 40litri) formeranno208 mM totali pari a 5,2
mM/l.
Il
pH sarà dato dalla equazione di Henderson e Hasselbach (HH):
pH
= 6,1 + log 21/ 5,2 = 6,70
Il
pH finale è ben superiore a quello ottenuto in assenza di tamponi. Se ora fosse
possibile tenere invariata la concentrazione di CO2 a 1,2 mEq/l il pH
risulterebbe:
pH
= 6,1 + log 21/ 1,2 = 7,34
valore
ancora fisiologico e compatibile con un perfetto benessere.
L'organismo
quindi, per potersi difendere da aggiunte di idrogenioni deve poter disporre
delle seguenti condizioni:
1)quantità
totale e concentrazione adeguata di tamponi che chiameremo riserva alcalina;
2)un
meccanismo capace di rigenerarli una volta consumati, altrimenti tale riserva
verrebbe rapidamente esaurita;
3)un
meccanismo per eliminare gli H+ che si accumulano, dato che, anche se tamponati
e cioè legati all'acido debole, possono essere riliberati. Se si potessero
eliminare gli H+ legati ai tamponi senza eliminare i tamponi stessi si
otterrebbe contestualmente la eliminazione degli idrogenioni e la rigenerazione
dei tamponi; cioè i meccanismi al punto 2 e 3 assieme;
4)un
meccanismo che consenta la eliminazione della CO2 mantenendone costante la
concentrazione ematica.
In
realtà nell'organismo umano sono presenti tutti questi meccanismi e sono
estremamente efficaci tanto che in condizioni normali la concentrazione di H+
viene mantenuta costante entro pochi nano equivalenti/litro.
Ricaviamo
ora la formula di HH usata in precedenza. Nei liquidi organici è presente CO2
che è un gas ma che può idratarsi e trasformarsi in acido carbonico secondo
l'equazione:
CO2
+ H2O = H2CO3;
ad
equilibrio, cioè quando un egual numero di molecole si idrata e si disdrata, il
prodotto della concentrazione di reattanti deve essere uguale al prodotto di
H2CO3 moltiplicato per una costante di equilibrio denominata K1:
[CO2]
[H2O] = [H2CO3] x K1
Lo
stesso succede per la ionizzazione del H2CO3:
[H+]
[HCO3] = [H2CO3] x K2
cioè
K2
= [HCO3] / [H2CO3] x H+
oppure
[H+]
= K2 [H2CO3] / [HCO3] ora se poniamo log 1/H+ = pH e log 1/K2 = pK si ottiene:
pH
= pK + log [HCO3] / [H2CO3]
Sostituendo
CO2 H2O a H2CO3 ed inglobando la costante K1 nella costante K si ottiene la
equazione di HH:
pH
= PK + log [HCO3-] / CO2
Poiché
normalmente pK ha il valore di 6,1 la formula diventa nel sangue normale:
7,4
= 6,1 + log [HCO3] / CO2
Nel
sangue la concentrazione di bicarbonato normale è 24 mEq/l. CO2 in mM/l = PaCO2
mmHg coefficiente di solubilità.
Quest'ultimo
risulta essere di 0,03 e la PaCO2 è 40 mmHg: pertanto CO2 avrà il valore di 40
0,03 = 1,2 mM/l e la formula diventa:
7,4
= 6,1 + log 24/ 1,2.
Il
sistema bicarbonato / acido carbonico è il principale sistema tampone
dell'organismo ed ha uno spazio di distribuzione pari al 50% dell'acqua totale
corporea; comunque, anche se esistono altri importanti sistemi tampone sia
extracellulari, quali le proteine plasmatiche e l'osso, sia intracellulari quali
l'emoglobina, dato che sono tutti in equilibrio con il sistema HCO3 / H2CO3, nel
considerare i sistemi tampone dell'organismo si può parlare soltanto di
quest'ultimo.
Analizziamo
ora le fonti di ingresso e di uscita degli idrogenoioni dell'organismo: la
principale sorgente di acido carbonico è costituita dal metabolismo aerobio del
glucosio: infatti i prodotti terminali della ossidazione del glucosio sono CO2 e
H2O; questi composti, in particolare all'interno dell'eritrocita che contiene
anidrasi carbonica, vengono idratati a H2CO3 che si dissocia in H+ e HCO3
negativo. I protoni che si formano per la dissociazione dell'acido carbonico
vengono per la maggior parte tamponati dall'emoglobina mentre il bicarbonato
lascia la cellula in scambio con il cloro. La quantità di acidi volatili
prodotti dal metabolismo è enorme, circa 22.000 mEq di H+ al giorno: essi
vengono però prontamente escreti dal polmone che elimina la CO2, che è un gas,
con facilità. Esistono nell'encefalo chemiorecettori per la CO2 molto sensibili
che regolano la frequenza e la profondità degli atti respiratori per adattarli
alle necessità dell'escrezione degli H+. In tal modo, se l'apparato
respiratorio è normale, la PaCO2 viene mantenuta costante a 40 mmHg.
La
maggior fonte di acidi non volatili è invece rappresentata dal metabolismo
degli aminoacidi solforati, cisteina e metionina, i quali in ultima analisi
producono acido solforico. Un'altra fonte di acidi non volatili è la
ossidazione di gruppi fosfati che produce acido fosforico. I tamponi reagendo
con tali composti formano solfati e fosfati neutri secondo la reazione:
2H+
+ SO4- + 2NaHCO3 = Na2SO4 +
H2O
+ CO2
In
effetti l'H+ è scomparso e quindi non sono stati aggiunti acidi ma si sono
consumate basi, riducendo la riserva alcalina. A questi debbono essere aggiunti
gli acidi organici escreti come sali sodici e debbono invece essere sottratti
gli acidi organici assorbiti con gli alimenti sotto forma di sali (aspartato,
citrato) che vengono metabolizzati generando bicarbonati secondo la reazione:
Na
citrato + H+ + HCO3 = NaHCO3 +
acido
citrico
Acido
citrico = CO2 + H2O
Dato
che la produzione metabolica di H+ è costante, in poco tempo si avrebbe un
consumo totale delle basi, immediatamente seguito da una acidosi letale a meno
che non vengano eliminati gli H+ e rigenerati i HCO3- con ritmo eguale alla
produzione metabolica, che è in media di 0,6 mEq/kg di peso/die.
L'eliminazione
degli acidi organici è compito precipuo del rene. Nelle cellule del tubulo
prossimale, ove esiste l'anidrasi carbonica, l'H2CO3 viene scisso in H+ e HCO3.
L'H+ viene portato nel lume tubulare in scambio con il Na+ da uno scambiatore di
protoni. All'interno della cellula tubulare il Na+ si coniuga col HCO3 a formare
NaHCO3 rigenerando così i bicarbonati. Gli H+ eliminati nel tubulo prossimale
si comugano con i tostati e solfati a formare composti acidi monosodici
(NaH2PO4, NaHSO4) oppure con il cloro per formare HCl. Il limite di tale
meccanismo sta nel fatto che la quantità di H+ eliminabile è limitata dal pH
urinario che non può scendere sotto 4,5 (limite della parete del tubulo distale
alla retro diffusione degli ioni H+) e che la quantità di fosfati e solfati
neutri escreti è limitata.
Il
rene ovvia a questa limitazione producendo una base che viene secreta al posto
del Na riassorbito. La base secreta è l'ammoniaca che si forma nelle cellule
tubulari principalmente dalla deaminazione della glutamina ad acido glutamico;
quest'ultimo viene metabolizzato a H2O + CO2 che vengono eliminati. L'NH3 è
altamente diffusibile e dalla cellula tubulare passa nel lume ove si coniuga
all'H+ per formare ione ammonio (NH+4). Questo, non essendo diffusibile, resta
intrappolato nel lume tubulare ove si unisce al cloro per formare NH4C1, cloruro
d'ammonio, che è un sale neutro. Nella cellula viene rigenerato NaHCO3 che
viene immesso in circolo.
La
quantità di H+ escreta sotto forma di fosfati e solfati acidi viene chiamata
acidità titolabile, la escrezione netta di acidi è data invece dalla somma
della acidità titolabile e della escrezione di ammoniaca meno i bicarbonati
escreti. Date queste brevi premesse vediamo ora i disturbi dell'equilibrio
acido-base.
La
suddivisione è riportata nella tab.05
Sono
più frequenti in clinica disturbi complessi, a volte difficili da interpretare,
ma in questa sede per chiarezza espositiva conviene descrivere solamente i
quattro disturbi fondamentali.
Caratterizzate
da ritenzione di idrogenoioni, possono essere, come abbiamo visto, metaboliche e
respiratorie.
Si
verifica per ritenzione di CO2: questa, che è in equilibrio con l'acido
carbonico, fa aumentare il denominatore della formula di HH e quindi fa scendere
il pH. Infatti l'H2CO3 si dissocia parzialmente facendo aumentare la
concentrazione di H+: [H+] = [H2CO3] / [HCO3]
Poiché
il compenso metabolico richiede un certo tempo per manifestarsi l'unica difesa
del pH durante l'ipercapnia acuta è costituita, in modesta misura, dalla
titolazione dei gruppi istidinici della emoglobina con H+: il Na+
"spiazzato" dagli H+ dai legami con i gruppi istidinici, si lega al
HCO3 negativo in una quantità il cui limite è rappresentato dalla quantità di
Hb. Empiricamente la relazione tra H+ e CO2 risulta la seguente:
[H+]
nEq/l = 0,76 PaCO2 mmHg + 9,3
Tutte
le volte che tale equazione è soddisfatta si è in presenza di ipercapnia
acuta. Le cause sono riportate nella tab.05
[H+]
nEq/l = 0,24 · PaCO2 + 27,2
Poiché
l'aumento della concentrazione plasmatica di bicarbonati può essere definito
come alcalosi metabolica si può affermare che l'acidosi respiratoria dopo pochi
giorni viene compensata da una alcalosi metabolica; l'organo deputato a tale
compenso è il rene. In tale sede in conseguenza dell'ipercapnia si ha un
aumento della concentrazione di CO2 nelle cellule tubulari e, di conseguenza, un
aumento degli H+ che verranno secreti nel lume a preferenza degli ioni K+: ne
deriva una maggiore titolazione dei tamponi urinari, un aumento della escrezione
di H+ accoppiata con una maggiore rigenerazione e riassorbimento di HCO3 e Na+.
Il valore delle equazioni empiriche consiste nel permettere di stabilire se
l'acidosi resiratoria è acuta o cronica e se il disturbo è puro o complicato
da altre alterazioni dell'equilibrio acido-base, con evidenti implicazioni
terapeutiche.
A
differenza delle forme respiratorie l'acido ritenuto nelle acidosi metaboliche
è fisso (cioè combinato in sali e non volatile come la CO2), eliminabile
esclusivamente per via renale. L'acido, oltre che per produzione endogena per i
normali processi metabolici, può venire ingerito o infuso e.v. (es. ac.
salicilico), oppure prodotto nell'organismo da precursori neutri ingeriti quale
il cloruro d'ammonio, oppure ancora essere prodotto dall'organismo per
alterazione dei normali processi bichimici (ac. lattico nella acidosi lattica
idiopatica o da anossia, betaidrossibutirrico nella chetoacidosi diabetica
ecc.), oppure, infine, può aversi acidosi per perdita di basi (NaHCO3).
L'acido, comunque immesso nell'organismo, libera H+ che consuma i tamponi,
principalmente NaHCO3, in misura stechiometricamente proporzionale alla quantità
di acido prodotta. Ad esempio supponiamo che vengano generate 0,4 moli di HCl in
un individuo con 40 kg di peso ed una bicarbonatemia di 24 mEq/l; il contenuto
totale di HCO3 risulta dal prodotto della sua concentrazione moltiplicato lo
spazio di distribuzione che è il 50% del peso, cioè 20 litri:
HCO3
totali = 24 · 20 = 480 mEq
Dopo
titolazione con 400 mM di HCl rimarrebbero solo 80 mEq di HCO3 che distribuiti
per lo spazio del bicarbonato danno una concentrazione di 80:20 = 4 mEq/l e
secondo la formula di HH il nuovo pH sarà: pH = 6,1 + log 4 / l,2 = 6,62 un
valore decisamente basso che può causare la morte del paziente.
In
realtà le cose vanno un pò meglio perché interviene l'immediato compenso
respiratorio: il polmone, iperventilando, elimina prontamente la CO2 e riduce il
denominatore della formula di HH difendendo ulteriormente il pH. Nell'esempio
precedente se la PaCO2 venisse ridotta a 13 mmHg il pH risulterebbe 7,10. Tale
compenso è comunque limitato perché la PaCO2 non scende al di sotto di 10 mmHg
e può essere ancora meno completo in caso di fatica dei muscoli respiratori o
quando la ventilazione è controllata artificialmente. Quindi il compenso
respiratorio acuto deve essere immediatamente seguito dalla correzione
terapeutica oppure da un compenso meno dispendioso della ventilazione polmonare.
Si è visto che nella acidosi metabolica cronica il HCO3 appare meglio
conservato e la PaCO2 meno depressa che nelle forme acute tanto che
empiricamente appare valida la formula: PaCO2 mmHg = 1,1 (HCO3-) mEq/l + 18,3
che indica come la PaCO2 rappresenti una funzione lineare del bicarbonato
plasmatico ma con pendenza inferiore a quella riscontrata nella acidosi
metabolica acuta. Probabilmente il compenso che interviene nella acidosi
metabolica cronica è dato dal lento consumo dei tamponi dell'osso.
Tra
le cause di acidosi, oltre che alla massiccia ingestione o formazione endogena
di acidi fissi esiste anche la incapacità del rene di eliminare H+ e di
riassorbire HCO3 negativo. La prima si ha nella insufficienza renale cronica e
nella acidosi tubulare renale tipo I (distale) e la seconda nella acidosi
tubulare prossimale (tipo II) e nella perdita di liquidi enterici. Nel plasma il
numero di cariche elettriche positive deve essere uguale a quello delle cariche
elettriche negative. Gli ioni positivi misurati routinariamente sono Na+ e K+
quelli negativi HCO3- e Cl- che assommano rispettivamente a 145 e 130 mEq/l: la
differenza di 15 mEq/l è chiamata intervallo anionico ed è dovuta a cationi
non misurati routinariamente quali fosfato, solfato, lattato, citrato.Esso si
espande a spese del bicarbonato quando l'acidosi è dovuta ad accumulo di acidi
rappresentati da uno o più degli anioni non misurati mentre non varia quando
l'acido accumulato è l'acido cloridrico (cloruro d'ammonio, cloruro di lisina
ecc.) o quando vi è perdita di bicarbonati. In queste circostanze si dovrebbe
avere una pura perdita di Na+ e HCO3 mentre il Cl dovrebbe rimanere
immodificato. Tutta via, poiché si ha deplezione del VEC ed il paziente
continua ad ingerire sale, il VEC si riespande con H2O e NaCl: il risultato è
che la sodiemia non varia mentre aumenta la cloremia. In questa situazione tutto
avviene come se nel sangue il Cl-avesse preso il posto del HCO3 negativo.
Nelle
acidosi da mancata escrezione di acidi (es. l'insufficienza renale cronica)
l'accumulo di fosfati e solfati espande l'intervallo anionico in misura non
esattamente predicibile a causa delle contemporanee modificazioni del VEC e del
variabile apporto di NaCl con la dieta.
Nelle
acidosi dovute all'accumulo di un acido prodotto o ingerito in quantità
eccessive il consumo di bicarbonato sarà stechiometricamente equivalente
all'accumulo di sale sodico dell'acido stesso (lattato, salicilato ecc.): perciò
l'intervallo anionico si dilata in misura equivalente alla quantità di acido
accumulato. La diagnosi differenziale sarà possibile solo in base all'anamnesi
o alla misura dell'acido specifico. Il compenso metabolico in questa forma di
acidosi è dato da un aumento della produzione di NH3 che provoca la
rigenerazione di quantità equivalenti di NaHCO3.
Le
manifestazioni cliniche delle acidosi acute e croniche sono schematicamente
riportate nella tab.05
1)stabilire
se l'acidosi è tanto grave da compromettere la sopravvivenza del paziente
(grave acidosi diabetica, acidosi lattica, intossicazione da salicilati ecc.) e
correggere parzialmente lo squilibrio con somministrazione di alcali (NaHCO3)
calcolando il deficit secondo la formula:
(24
- NaHCO3 misurato) 0,5 peso corporeo
2)se
non vi è pericolo immediato occorre eliminare o correggere l'alterazione che
causa acidosi e appurare se essa è in via di risoluzione spontanea o se tende a
progredire. Nel primo caso non è necessario intervenire, nel secondo si debbono
somministrare alcali.
La
correzione delle acidosi metaboliche con somministrazione di alcali deve essere
sempre parziale perchè quando migliorano le condizioni cliniche del paziente la
metabolizzazione degli acidi (lattato, chetoacidi) si accompagna a rigenerazione
di una equivalente quantità di bicarbonato tale da causare una alcalosi
metabolica se l'infusione di bicarbonati era stata troppo generosa. In genere,
conviene riportare il HCO3 negativi fra 12 e 15 mEq/l. L'acidosi tubulare di
tipo II richiede una terapia cronica con alcali e potassio; la quantità
necessaria deve essere stabilita con appropriate misure di pH e PaCO2.
Anche
per le alcalosi possiamo distinguere una forma respiratoria ed una metabolica (tab.06
È dovuta ad iperventilazione; questa può essere volontaria o
conseguente a stimolazione del centro respiratorio (da intossicazione da
farmaci, da ipossia, da respirazione assistita). Durante l'alcalosi respiratoria
la concentrazione plasmatica d H+ è una funzione diretta della PaCO2. Il
compenso determina una riduzione del HCO3 negativo nel siero dovuta ad un suo
minor riassorbimento renale che avviene con meccanismo inverso, anche se basato
sullo stesso principio, rispetto a quello descritto per l'ipercapnia. L'acidosi
metabolica di compenso è in parte dovuta ad una maggior produzione cellulare di
acido lattico. Il compenso più importante è rappresentato dalla liberazione di
H+ da parte dei gruppi istidinici dell'Hb, fenomeno inverso a quello descritto
come compenso della acidosi respiratoria acuta.
Si
definisce così una ritenzione netta di alcali e quindi un aumento della quantità
totale di NaHCO3. Il compenso respiratorio può essere ottenuto con una
ipoventilazione ed un aumento della PaCO2. La riduzione della ventilazione
alveolare comporterà riduzione della PaCO2: quando questa scende al di sotto di
60 mmHg la ipossiemia stimolerà il centro del respiro imponendo così dei
limiti ristretti alla entità del compenso respiratorio alla alcalosi
metabolica. Pertanto non è possibile definire in una formula empirica la
relazione tra PaCO2 e HCO3. Sarà sufficiente sapere che la entità del
compenso, per quanto variabile, non può essere mai tale da elidere lo stimolo
che lo ha generato e che ci si deve aspettare un compenso respiratorio poco
valido quando la PaO2 è vicina a 60 mmHg. Le cause di alcalosi metabolica sono
date o da una eccessiva introduzione di alcali o da una perdita di H+.
Aumentata
escrezione dli H+. La causa più nota e più frequenti di alcalosi metabolica è
la perdita di succo gastrico vomito protratto o per aspirazione gastrica
continuata; gli H+ del succo gastrico sono generati dalla seguente reazione:
Na+
+ C1-+ H+ + HCO3 = NaHCO3 + HCl
Pertanto
la escrezione col vomito del succo gastrico, che contiene solo HCl, comporta la
ritenzione da parte dell'organismo di una equivalente quantità di bicarbonato,
che rimane nel sangue. La perdita di liquidi genera disidratazione per cui nel
rene viene attivata la ritenzione di Na+ che viene riassorbito in scambio con
l'H+. Si forma così NaHCO3 nella cellula tubulare che viene riversato nel
sangue mantenendo l'alcalosi. La deplezione di volume infatti obbliga il rene ad
eliminare paradossalmente urine acide pur in presenza di alcalosi sistemica.
L'aumento della PaCO2 a sua volta, favorendo la idratazione a H2CO3, rende
disponibile una maggior quantità di H+ per la secrezione a livello del tubulo
renale. Parte del riassorbimento sodico avviene in scambio con il potassio e si
instaura così una progressiva deplezione di tale ione. La caduta del K+
intracellulare, a sua volta, favorisce la secrezione di H+ in scambio con il
Na+, contribuendo a perpetuare l'alcalosi. Questo comporta che non è possibile
correggere l'alcalosi metabolica se prima non sono state reintegrate le perdite
di potassio, quando queste sono superiori a 300 mEq. La correzione dell'alcalosi
metabolica consiste nel permettere al rene la escrezione di bicarbonato e questo
si ottiene in primo luogo reintegrando le perdite di potassio ed in secondo
luogo ripristinando il volume extracellulare mediante opportune infusioni di
soluzione salina isotonica. La conseguente inibizione del riassorbimento di Na+
produrrà l'escrezione di bicarbonato con ritenzione del Cl- e correzione
dell'alterazione metabolica.
Altre
alcalosi da aumentata escrezione di acidi si osservano nella deplezione
potassica, nell'iperaldosteronismo, nell'uso prolungato di diuretici, in cui è
dovuta alla deplezione potassica, alla contrazione del VEC, alla deplezione
sodica ed alla aumentata escrezione di H+.
Introduzione
di alcali. È una condizione
rara. Si verificava in passato soprattutto negli ulcerosi trattati con alcali
riassorbibili (milk-alkaly syndrome).
È una condizione transitoria perchè la ritenzione sodica e la
conseguente espansione del VEC provocano sodiuria ed escrezione di HCO3 con
correzione della alcalosi.
Questi
quattro disturbi fondamentali dell'equilibrio acido-base la maggior parte delle
volte non si presentano puri, ma sono variamente complicati da meccanismi di
compenso e da trattamenti medici. È
importante rendersi conto che la presenza di una determinata situazione
acido-basica raramente permette di risalire con sicurezza alle cause
fisiopatologiche che l'hanno determinata; quasi sempre solo una accurata
anamnesi può consentire la ricostruzione dell'iter fisiopatologico.
In
conclusione questa rassegna si limita a delineare i casi più importanti ed
esplicativi degli squilibri idroelettrolitici e a sottolinearne gli aspetti
fisiopatologici: i problemi terapeutici troveranno una più agevole soluzione
una volta che i processi fisiopatologici saranno stati recepiti nella loro
complessità.
Bartoli
E.: Alterazioni dell’equilibrio acido base e del metabolismo potassico.
La Medicina Internazionale, vol. 26, giugno 1979.
Bartoli
E.: Fisiopatologia e clinica degli squilibri idroelettrolitici. La
Medicina Internazionale, vol. 23, novembre 1976.
Beck
L.H.:Body fluid and electrolyte disorders. In “The medical clinics of
North America”, vol. 65, W.B. Saunders Co., Philadelphia, 1981.
Maxwell
M.H., Kleeman C.R., Narins R.G.: Clinical disorders of fluid and electrolyte
metabolism. McGraw-Hill Book Co., New York, 1987.
Morgan
D.B.: Electrolyte disorders. In “Clinics in Endocrinology and
Metabolism”, vol. 12, W.B. Saunders Co., Philadelphia, 1984.
R.
Faeda
Ricercatore
Confermato,
Istituto
di Patologia Medica,
Università
di Sassari
A.
Satta
Professore
di Nefrologia
Università
di Udine
E.
Bartoli
Professore
di Medicina Interna
Università
di Udine
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