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ARGOMENTI DI MEDICINA CLINICA
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Ultimo aggiornamento: 23.12.2013
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Le
malattie flogistiche del sistema venoso periferico possono avere una eziologia
varia alla quale però non sono estranei i fattori patogenetici enunciati da
Virchow (stasi ematica, alterazione parietale, variazione dell'assetto
emocoagulativo).
In
ogni caso i fenomeni patologici che si verificano sono due: un processo
infiammatorio della parete ed una trombosi in quel distretto. Questi due aspetti
diversamente rappresentati, possono essere consecutivi indifferentemente uno
all'altro, ma in ogni caso, nell'evolversi della malattia, sono coesistenti. E'
consuetudine parlare di tromboflebite quando si presuppone che l'evento
infiammatorio sia prevalente, e parlare di flebotrombosi quando invece lo sia il
fenomeno trombotico.
Per
consuetudine e per comodità espositiva adotteremo la terminologia corrente, che
in realtà tiene conto di quanto abbiamo detto precedentemente, trattando le
diverse problematiche di diagnostica e terapia. Distingueremo le forme dell'arto
superiore da quelle dell'arto inferiore, quelle del circolo venoso superficiale
da quelle del circolo venoso profondo.
Arto
superiore:
tromboflebite
superficiale
trombosi
venosa profonda
Arto
inferiore:
tromboflebite
superficiale
trombosi
venosa profonda e sindrome post-flebitica.
Forme
rare: malattia di Mondor, flebiti sentinella o rivelatrici, flebiti migranti,
tromboflebiti dei muscoli soleo e gastrocnemi.
Il
sistema venoso superficiale dell'arto superiore va più comunemente incontro ad
un processo tromboflebitico a seguito di somministrazioni endovenose di farmaci
o terapie parenterali o comunque all'uso prolungato di cateteri. In questo caso
esistono due eventi: il trauma della vena superficiale, specialmente se
ripetuto, e l'azione endotelio-lesiva di alcune sostanze farmacologiche
(soluzioni ipertoniche, sostanze iodate, anestetici).
Non
è raro quindi reperire questo tipo di patologia fra i pazienti sottoposti a
terapia infusionale, fra gli emodializzati, fra i tossicodipendenti.
Abbiamo
osservato inoltre alcune forme secondarie a contusione in alcuni sportivi, per
effetto di trauma causato dall'attrezzo o dal contatto con l'avversario (es.
pallacanestro, football americano).
La
vena superficiale è rettilinea, arrossata, dolente in maniera spontanea ed alla
palpazione, ed è di consistenza dura. La malattia è afebbrile ed il decorso è
del tutto benigno.
La
diagnosi è fondamentalmente clinica ed è basata sui criteri prima enunciati.
La
terapia, in questi casi, è fondamentalmente topica. Sono consigliabili impacchi
freddi, per la loro azione decongestionante, e l'uso di creme o pomate
antinfiammatorie.
L'impiego
di farmaci antinfiammatori per via parenterale dovrebbe essere limitato alle
forme molto estese, interessanti ad esempio tutto il decorso della vena cefalica
o della vena basilica.
L'esito
finale comporta quasi sempre la sclerosi definitiva della vena, che si trasforma
in un cordone fibroso con morfologia aspecifica.
Si
tratta di una sindrome molto particolare, che si localizza in un settore
anatomico ben definito. Nella regione costoclavicolare infatti, il fascio
vascolo-nervoso dell'arto superiore decorre in uno spazio ristretto, soggetto a
variazioni di ampiezza durante i movimenti dell'arto. In particolare
l'abbassamento della spalla che si verifica nel portare o sollevare un peso,
provoca una riduzione dello spazio costoclavicolare con schiacciamento della
vena succlavia. In abduzione ed extrarotazione del braccio lo spazio diminuisce
per una rotazione assiale della clavicola, che viene anche retroposta: il fascio
vascolo-nervoso viene stirato all'indietro e verso l'alto, per cui risulta
compresso contro il tendine del muscolo piccolo pettorale. Questi movimenti
possono determinare continue sollecitazioni abituali oppure esasperate in alcuni
gesti che quindi comportano un micro-traumatismo reiterato capace di causare una
modificazione della struttura parietale della vena (compressione intermittente).
In
occasione della compressione si verifica un arresto al deflusso venoso dell'arto
superiore che può essere più o meno prolungato. Si verifica quindi una
alterazione parietale ed un rallentamento circolatorio, evocando due presupposti
per una trombosi venosa axillo-succlavia.
Esistono
soggetti predisposti per ragioni anatomiche ma è caratteristica l'osservazione
di questa patologia negli sportivi, e soprattutto in quelli che utilizzano
prevalentemente gli arti superiori (tennis, pallanuoto, pallacanestro,
baseball).
L'arto
superiore colpito si presenta nelle prime ore progressivamente edematoso,
cianotico, dolente alla palpazione profonda in tutta la sua estensione. Spesso
viene tenuto in una posizione di semiflessione a scopo antalgico.
I
polsi arteriosi sono presenti, anche se, soprattutto nelle prime ore, l'arto può
essere freddo per un riflesso vasospastico arteriolare. L'impotenza funzionale
è molto modesta, ed è dovuta prevalentemente al dolore provocato dal movimento
anche attivo e dall'edema.
Successivamente
nel volgere di alcune ore, la sfumatura cianotica si attenua, l'edema si rende
più manifesto, il dolore tende a scomparire. La cute diventa calda e cominciano
a comparire circoli venosi superficiali, indice di tentativo di compenso
attraverso un circolo collaterale, soprattutto alla radice dell'arto e sulla
superficie anteriore della spalla.
Questo
quadro clinico tipico della flebotrombosi acuta, può essere preceduto da una
sintomatologia sfumata, intermittente, caratterizzata da edema, turgore venoso,
sfumatura cianotica, parestesie che regrediscono con il riposo dell'arto.
L'intermittenza
è il prodromo di una forma stabilizzata: è infatti l'aspetto clinico della
fase di compressione prima che sopraggiunga la trombosi.
La
diagnostica strumentale di questa condizione può essere invasiva o
non-invasiva.
Nel
gruppo di queste ultime è utile il Doppler continuous wave (C. W.), che,
eseguito ponendo la sonda in corrispondenza dei vasi venosi superficiali e
profondi dell'arto, segnala un rallentamento del deflusso venoso del circolo
profondo omerale ed ascellare. Inoltre la dinamica respiratoria non influenza
direttamente la velocità di deflusso in quanto esiste un ostacolo a valle del
punto di misurazione. Nel circolo venoso superficiale è possibile documentare
un aumento di velocità soprattutto in corrispondenza della radice dell'arto,
espressione di una collateralizzazione.
L'esplorazione
diretta della vena cefalica può invece rilevare gli stessi caratteri di stasi
venosa, se la trombosi ha coinvolto il suo sbocco nella vena ascellare o la vena
succlavia a valle di esso.
Nella
fase di intermittenza il Doppler C.W. eseguito con manovre posturali, può
documentare, soprattutto abduzione del braccio un arresto allo scarico della
vena ascellare, dopo una iniziale accelerazione dovuta all'effetto gravitario,
fino a che i circoli collaterali non raggiungono la loro massima portata (fig.01
La
ecotomografia venosa con Duplex Scanner permette generalmente due tipi di
informazione: un dato morfologico ed un dato funzionale attraverso l'ecografia
B-mode ed il Doppler pulsato.
Nel
caso specifico questa tecnica permette uno studio della vena ascellare ed in
particolare la misurazione di una velocità di flusso su guida ecografica.
I
limiti della esplorazione sono costituiti dalla presenza della clavicola che non
permette l'esame dello spazio costoclavicolare; inoltre la morfologia del vaso
ed in particolare del trombo recente non ha caratteristiche peculiari, in quanto
il trombo recente ed il sangue riflettono gli echi allo stesso modo.
La
diagnostica invasiva è rappresentata dalla flebografia, che dovrebbe essere
eseguita con l'introduzione del mezzo di contrasto contemporaneamente nel
versante cefalico ed in quello basilico per mezzo di due aghi.
La
flebografia si rende necessaria ogni qual volta si voglia confermare una
diagnosi, precisare l'estensione, verificare la validità di un trattamento
eseguito o lo sviluppo di un circolo collaterale.
Generalmente
la infissione degli aghi viene fatta alla piega del gomito; viene usata una
quantità di circa 40 ml di mezzo di contrasto iodato, ad una velocità di 4-6
ml/sec.
Può
essere utile applicare un laccio al di sopra del punto di iniezione, per
bloccare il circolo venoso superficiale ed ottenere una migliore opacizzazione
di quello profondo. Sono generalmente sufficienti quattro radiogrammi, scattati
a 5-10 sec uno dall'altro, con il paziente in posizione supina. La flebografia
"dinamica" richiede un'attiva collaborazione del paziente: è
particolarmente indicata per documentare una compressione costo-clavicolare
intermittente. E' preferibile eseguirla con il paziente in posizione
ortostatica, in quanto l'atteggiamento posturale del paziente è quello
naturale, e non viene artefatto dal decubito passivo su di un tavolo
radiologico. Un altro vantaggio è quello di poter vedere direttamente in scopia
l'arrivo del mezzo di contrasto e di scattare istantaneamente il radiogramma.
In
questo modo è possibile iniettare i primi 20 cc di mezzo di contrasto con il
braccio addotto, altri 20 cc dopo l'abbassamento forzato della spalla, infine
altri 20 cc in iperabduzione forzata. Il tutto scattando tre radiogrammi in
tempo reale.
In
caso di compressione estrinseca costo-clavicolare, si otterrà una
caratteristica immagine di arresto del mezzo di contrasto dopo le manovre
descritte (fig.02x).
La
terapia della trombosi venosa profonda axillo-succlavia è fondamentalmente di
tipo medico.
La
trombectomia chirurgica infatti non sarebbe che una tappa intermedia del
trattamento ed è attualmente sostituibile con quella farmacologica: entrambe
però sono in grado di eliminare l'effetto (la trombosi), ma non la causa
compressiva la quale quindi necessita di un ulteriore gesto terapeutico.
I
farmaci attualmente impiegati sono anticoagulanti e fibrinolitici.
Farmaci
anticoagulanti: l'eparina sodica viene somministrata in perfusione endovenosa
continua al dosaggio di 5-10.000 U.I. ogni 6 ore, in modo tale da assicurare un
allungamento del tempo di tromboplastina parziale (PTT) di 1,5-2 volte i valori
basali. La sua attività è particolarmente preziosa nel bloccare la formazione
di un nuovo trombo e consente alle vene collaterali presenti, la loro graduale
ipertrofia.
Il
trattamento deve essere prolungato fino a che l'arto non migliora; in
particolare i segni clinici del miglioramento sono una diminuzione fino alla
scomparsa della cianosi, una riduzione dell'edema e quindi del volume globale
dell'arto.
Farmaci
fibrinolitici o trombolitici: si tratta di farmaci entrati nell'uso corrente da
pochi anni; sono attivatori del plasminogeno, precursore della plasmina la quale
dissolve la fibrina, ma anche il fibrinogeno, la protrombina e i fattori V ed
VIII.
I
farmaci fibrinolitici attualmente disponibili sono la streptokinasi e la
urokinasi.
La
streptokinasi viene estratta da colture di streptococco beta-emolitico ed è
quindi dotata di spiccato potere antigenico.
E'
attivatore indiretto del plasminogeno e viene utilizzata con una dose di attacco
di 250.000 U.I., che vengono infuse per via endovenosa in circa 15' seguite da
una dose di mantenimento di 100.000 U.I./ora. Sono possibili reazioni
allergiche, febbrili ed emorragie, nonostante il rispetto delle
controindicazioni. Occorre accertare preventivamente e durante il trattamento i
valori della fibrinogenemia, della attività protrombinica e del P.T.T.
La
urokinasi viene estratta dalle urine umane ed è un attivatore diretto del
plasminogeno. Viene utilizzata ad una dose di attacco di 300.000 U.I. in 15',
seguita da una dose di mantenimento di 100.000 U.I./ora. Attualmente viene
largamente impiegata la urokinasi per la sua maneggevolezza.
Lo
scopo della terapia fibrinolitica è quello di lisare il trombo e la trombolisi
riesce se il trombo è di recente formazione.
Poiché
spesso l'osservazione clinica avviene dopo alcuni giorni dall'insorgenza dei
sintomi, non è possibile ottenere ricanalizzazioni totali della vena ostruita (fig.03
Uno
schema terapeutico consigliabile prevede l'associazione di eparina e
fibrinolitico, fino ad un massimo di sette giorni di terapia.
Successivamente,
sospeso il fibrinolitico, si può proseguire con eparina calcica, che dovrà poi
essere sostituita da anticoagulanti orali, con lo scopo di mantenere una attività
protrombinica fra il 20 e il 40%.
E'
consigliabile proseguire questo ultimo trattamento per almeno sei mesi, per
evitare recidive immediate.
A)
Eparina 5-10.000 U.I. ogni 6 ore per 7 giorni.
Successivamente
anticoagulanti orali per 6 mesi.
B)
Fibrinolitici 250-300.000 U.I. in 15'.
Successivamente 100.000 U.I./ora fino a 7 giorni.
Recentemente
vengono utilizzate nuove molecole ad attività fibrinolitica. Si tratta ad
esempio dell'attivatore tissutale umano ricombinante del plasminogeno (rt-PA),
il quale si lega alla fibrina e converte il plasminogeno presente nel trombo a
plasmina.
In
questo modo inizia la fibrinolisi locale. Attualmente non si conoscono che
alcuni dati preliminari sull'impiego clinico di questi farmaci nella trombosi
venosa che però sembrano incoraggianti.
Nei
casi nei quali si riesce ad ottenere una ricanalizzazione completa, occorrerà
documentare la presenza di una compressione estrinseca axillo-succlavia e
procedere in un secondo tempo ad un intervento decompressivo (costectomia).
L'intervento chirurgico consiste nell'asportare quel tratto di prima costa che
costituisce il pavimento inferiore dello stretto costoclavicolare, sul quale
passa il fascio vascolo-nervoso dell'arto.
Le
vie di accesso chirurgiche sono praticamente due, la via sopraclavicolare e la
vita transascellare. E' da preferirsi la via transascellare la quale, oltre a
permettere una ampia e controllata asportazione della prima costola, limita
molto il danno estetico.
La
forma clinica più frequente di processo flebitico superficiale degli arti
inferiori è, senza dubbio, la varicoflebite, che insorge su varici.
Si
possono complicare con flebite sia le varici essenziali che quelle sintomatiche,
in entrambi i casi il meccanismo patogenetico favorente la trombosi è la stasi
ematica che si viene a verificare in corrispondenza dei gavoccioli varicosi. La
dilatazione venosa infatti e la insufficienza valvolare provocano un
rallentamento generalizzato od una inversione del flusso ematico all'interno
delle varici. Esiste inoltre un'alterazione strutturale della parete venosa, che
interessa però la tonaca media la quale diviene fibrosa, perdendo in elasticità.
La
tonaca intima rimane indenne ed in particolare l'endotelio riveste completamente
il gavocciolo varicoso.
Nonostante
ciò, fin dai primi momenti, la tromboflebite acquista immediatamente i
caratteri infiammatori: il trombo aderisce rapidamente alla parete venosa per la
presenza di una vivace risposta infiammatoria.
Un
secondo fattore scatenante la varicoflebite può essere un traumatismo diretto
sulla vena. In questo caso si possono avere due conseguenze: una rottura della
vena con immediato ematoma sovrafasciale, oppure una contusione venosa, che può
interessare le tonache della vena varicosa. La superficie disendotelizzata che
viene così a formarsi, è il punto di origine di una trombosi post-traumatica
con spiccate caratteristiche infiammatorie.
L'aspetto
clinico di una varicoflebite è caratterizzato da un esordio rapido: la varice
diventa di consistenza dura, non più compressibile, assume un colorito
rossastro, diventa dolente spontaneamente, ma soprattutto alla palpazione. La
vena ed il tessuto sottocutaneo circostante sono caldi.
Generalmente
l'arto inferiore interessato non riporta un grave impedimento funzionale;
inoltre nelle varicoflebiti essenziali non si verifica generalmente un edema a
carico del piede o della caviglia, in quanto il circolo venoso profondo è, per
definizione, indenne.
E'
più frequente la presenza di un edema dell'arto inferiore nel varicoso anziano
o nelle varicoflebiti secondarie: in entrambi i casi occorre tener presente la
concomitanza di insufficienza del circolo venoso profondo sia per incontinenza
valvolare, sia per ostruzione vera e propria.
La
diagnostica strumentale può essere superflua in quanto l'aspetto clinico è più
che sufficiente per fare una diagnosi corretta. Inoltre da una diagnostica
strumentale non possiamo aspettarci notizie utili per un risvolto terapeutico
diverso.
Esiste
però una eccezione: si tratta delle varicoflebiti nelle quali compare,
soprattutto a distanza di qualche giorno, un edema del piede o della caviglia.
E'
bene sempre escludere che vi sia stata una propagazione del processo flebitico
al circolo venoso profondo: l'esame che deve essere eseguito in questi casi è
una flebografia dell'arto, unico esame che consente una visualizzazione globale
del circolo venoso profondo in tutta la sua estensione. Questa documentazione è
importante non solo a scopo diagnostico, ma soprattutto per i risvolti di
terapia che, come vedremo, una tromboflebite profonda comporta.
L'esame
Doppler è utile come indagine preliminare ma non fornisce dati morfologici e di
localizzazione precisa.
La
terapia è essenzialmente locale. Per le caratteristiche del circolo venoso
superficiale e la prevalenza della componente infiammatoria, la trombosi venosa
è fortemente aderente alla vena e pertanto l'embolia è estremamente rara.
Deve
essere evitato il riposo a letto, che è del tutto inutile, mentre è necessaria
una deambulazione normale, che favorisce lo scarico del circolo venoso profondo,
il quale così rimane pervio.
Una
contenzione elastocontenitiva con fasciatura può essere utile nelle forme che
insorgono al di sotto del ginocchio: comprimendo il circolo venoso superficiale
rimasto libero, si evita il fenomeno della stasi in altri settori varicosi e
quindi si evita la progressione della tromboflebite. E' da ritenere inutile
l'impiego di impacchi caldi: l'effetto vasodilatatore del calore, accentua il
fenomeno della stasi e quindi, anche se apparentemente può lenire il dolore, in
realtà è controproducente. L'impacco freddo invece ha il vantaggio di
contribuire a limitare l'estensione del trombo, attraverso una vasocostrizione
locale.
Si
ritiene inoltre efficace l'applicazione locale di pomate o creme
antinfiammatorie, a base di farmaci non steroidei (naprossene, ketoprofene).
La
modalità di applicazione migliore consiste nell'impacco permanente di un
abbondante strato di pomata o crema, con una successiva fasciatura
elastocontenitiva, in modo tale da permettere, come si è detto prima, una
attività motoria normale.
La
terapia antinfiammatoria per via generale è utile, tenendo conto però della
potenziale azione gastrolesiva.
La
terapia antibiotica è inutile, essendo la tromboflebite asettica per
definizione.
A)
Locale
Antinfiammatori
Impacchi
Fasciatura
elastocontenitiva
Flebotomia
B)
Generale
Antinfiammatori
Esiste
un unico provvedimento chirurgico in fase acuta: la flebotomia. Essa va
riservata a quei casi di varicoflebite che insorgono su varici molto grosse.
In
questi casi si ha la formazione di una quantità di trombo cospicua, che andando
incontro a successiva organizzazione, lascia una massa di consistenza dura,
spesso in posizione mediale dell'arto, dove facilmente si possono avere contatti
o sfregamenti con l'altro arto durante gli atti della vita quotidiana. In più,
la presenza di un trombo eccedente non fa altro che perpetuare lo stato
infiammatorio e la sensazione dolorosa. Con una semplice incisione della cute e
della vena che è immediatamente sottostante ed aderente ad essa (flebotomia) è
possibile provocare la fuoriuscita del trombo fresco; comprimendo poi al di
sopra ed al di sotto della incisione verso di essa, è possibile spremere verso
l'esterno la quantità di trombo eccedente. Queste manovre vengono eseguite con
l'ausilio di anestesia locale (cloruro di etile, lidocaina) nel punto di
incisione.
Questa
semplice tecnica è utilissima per accelerare il processo di guarigione; deve
essere applicata entro dieci giorni circa dall'inizio del processo
infiammatorio, poiché, dopo, il trombo è ormai organizzato in un tessuto
connettivale e non fuoriesce. Inoltre ne raccomandiamo l'uso nei pazienti che,
per motivi vari, non possono fare uso di farmaci antinfiammatori per lungo tempo
o nelle donne giovani, per motivi estetici: la flebotomia infatti serve ad
evitare la pigmentazione cutanea scura che si viene a verificare per effetto del
deposito di emosiderina nei tessuti ed il suo affioramento alla cute dove lascia
un vero e proprio tatuaggio del tutto inestetico.
La
terapia successiva, a distanza di alcuni mesi, potrà essere quella chirurgica
di safenectomia radicale, se la varicosità, una volta guarita l'infiammazione,
è di tipo essenziale e permane nella sua estensione.
In
alcuni casi si ottiene paradossalmente una guarigione delle varici: la
varicoflebite infatti realizza una vera e propria terapia sclerosante di alcuni
gavoccioli varicosi, che successivamente scompaiono.
La
trombosi del circolo venoso profondo (TVP) degli arti inferiori è ancora oggi
una malattia importante per le conseguenze immediate e tardive.
Il
movente eziopatogenetico principale è in questo caso la stasi venosa; più
raramente è possibile riscontrare in questi pazienti alterazioni dell'assetto
emocoagulativo primitive, che possono aver favorito l'insorgere di questa
patologia. La trombosi inizia nei seni valvolari e si propaga a monte ed a
valle, interessando progressivamente l'orifizio di sbocco delle vene
collaterali. Nei giorni successivi il trombo di recente formazione viene
trasformato in tessuto connettivo fibroso tenacemente aderente alla parete
venosa.
Le
caratteristiche evolutive della malattia la rendono poi estremamente grave.
Nella prima fase vi è il rischio di una embolia polmonare e successivamente
compare una insufficienza venosa cronica dovuta alla scomparsa delle valvole
nella fase di ricanalizzazione.
Successivamente
le sequele cronicizzanti portano comunque alla sindrome postflebitica, con tutto
quello che segue sul piano del disturbo funzionale.
A
tutt'oggi esiste una incidenza abbastanza sensibile di TVP nei reparti medici o
chirurgici, nonostante sia fortemente calata negli ultimi anni a seguito della
profilassi attiva, passiva e farmacologica. In particolare i pazienti in stato
di shock prolungato e quelli operati a livello dell'anca o del femore, per
patologia urologica o ginecologica, sembrano avere la massima incidenza di TVP.
In
ogni caso si tratta di pazienti costretti a letto per periodi prolungati nei
quali la stasi interviene in maniera determinante. Inoltre, immediatamente dopo
l'intervento chirurgico si trovano in circolo fattori coagulanti in forma
attivata.
La
stasi è massima nelle vene tibio-peroniere quando il paziente è in posizione
supina con l'arto orizzontale ed immobile.
Recentemente
gli studi di microscopia elettronica a scansione e trasmissione, hanno
dimostrato la presenza di leucociti nella parete venosa in caso di stasi ematica
prolungata, fatto indicativo di uno stato infiammatorio iniziale.
La
diagnosi clinica dovrebbe essere molto precoce, poiché il rischio di embolia
polmonare è maggiore nelle prime ore della malattia, quando il trombo è di
recente formazione, non ancora organizzato e poco aderente.
Spesso,
allorché insorge un edema apprezzabile dell'arto, si è già ad una fase di
estensione massimale della flebotrombosi.
I
sintomi più precoci sono:
1)
aumento della consistenza delle masse muscolari del polpaccio;
2)
dolore spontaneo lieve, che diventa maggiore con la palpazione profonda dei
muscoli del polpaccio (segno di Bauer) o con la flessione rapida del piede
(segno di Homans);
3)
una sintomatologia generale spesso accompagna l'esordio della trombosi con
febbricola, astenia, depressione e fenomeni funzionali cardio-respiratori,
verosimilmente espressione di fenomeni riflessi o di micro-embolie polmonari;
4)
l'edema che compare dopo qualche ora se il paziente deambula, ma che può essere
molto tardivo nella sua insorgenza nel paziente allettato, rappresenta il
sintomo più chiaro. L'edema cardiaco è bilaterale e declive, mentre quelli da
cause generali (renali, discrasie, ipotiroidismo) sono diffusi a tutto
l'organismo compreso il volto ed il dorso.
Un
tipo particolare di edema è quello dell'arteriopatico grave, che è posturale,
per la posizione antalgica assunta anche durante il riposo notturno.
Soprattutto
nel paziente ospedalizzato, costretto a letto da lungo tempo, sarebbe necessaria
una diagnosi più precoce, poiché il periodo della malattia tromboembolica è
quello iniziale, ed una embolizzazione in questa fase può risultare letale per
il verificarsi di una embolia polmonare;
5)
la cianosi generalmente è appena sfumata e questo è tipico di quelle forme più
usuali che venivano definite con phlegmasia alba dolens.
La
obiettività arteriosa è normale, ma spesso la palpazione dei polsi riesce
difficile nelle prime ore per la presenza di uno spasmo arterioso riflesso o di
una ipotensione; successivamente con l'insorgenza dell'edema, questo rende
spesso non apprezzabili palpatoriamente i polsi popliteo e tibiali.
La
cute inizialmente può essere fredda ed umida per lo spasmo arteriolare
riflesso, diventando poi calda con l'evolvere della malattia.
Esiste
inoltre una forma clinica estremamente grave dove i sintomi della trombosi
venosa profonda sono seguiti da una vera e propria sofferenza ischemica
(phlegmasia caerulea dolens). Se la trombosi venosa profonda si estende ad
ostruire il circolo venulare si arriva ad un blocco totale al deflusso venoso:
in questo modo la pressione nella rete capillare sale fino a contrastare ed a
superare la pressione di perfusione arteriosa tissutale. L'ischemia conseguente
può portare ad una vera e propria gangrena venosa.
Gli
esami di laboratorio sono raramente significativi e soprattutto servono a
monitorizzare i trattamenti terapeutici eseguiti. A volte possono essere
alterati il dosaggio dell'antitrombina III, il tromboelastogramma ed il tempo di
coagulazione, ma soprattutto sono testimoni di un profondo disturbo della
bilancia emocoagulativa del paziente più che di un vero stato trombofilico.
Fra
gli esami strumentali, un utile contributo potrebbe darlo l'impiego del
fibrinogeno marcato con 125I, che viene incorporato dai trombi in formazione. La
sua somministrazione endovenosa è seguita da una ricerca con contatore Gaiger
di eventuali accumuli lungo il decorso delle vene profonde dell'arto,
significativi per presenza di una trombosi profonda anche in fase scarsamente
sintomatica, allorché non è ancora comparso un significativo edema (fig.05
La
flebografia rimane un esame necessario non tanto per confermare una diagnosi a
malattia conclamata, ma per un dettaglio topografico sui limiti della estensione
della trombosi e sulla sua adesione o meno alla parete venosa.
L'applicazione
di lacci o meglio di manicotti pneumatici nelle posizioni indicate, serve ad
escludere il circolo venoso superficiale permettendo così una opacizzazione
migliore del circolo venoso profondo.
Il
laccio o manicotto posto alla radice della coscia controlaterale, serve a
rallentare il flusso nella vena iliaca ed a dare una maggior densità alla
contrastografia (fig.05
L'iniezione
in una vena dorsale del piede di circa 60 cc di mezzo di contrasto iodato si
esegue con iniettore automatico alla velocità di 4-6 ml/sec, mentre le
radiografie debbono essere scattate ogni 10-20 secondi, tenendo conto del fatto
che più estesa è la trombosi, più lenta è la progressione del mezzo di
contrasto (fig.06x).
Il
Doppler C.W. può essere utile se impiegato per confermare la diagnosi clinica.
Il dato che può fornire (fig.06
L'ecotomografia
venosa se eseguita con apparecchi Duplex Scanner può fornire utili
informazioni.
L'ecografia
B-mode documenta una immagine generalmente poco precisa anche per ragioni
anatomiche, ma soprattutto perché il trombo recente ha caratteristiche
ecografiche che poco si discostano da quelle del sangue circolante e pertanto
non è facile identificare la morfologia del limite superiore del trombo, quello
cioè potenzialmente più pericoloso, che potrebbe embolizzare.
Il
Doppler pulsato ecoguidato però documenta l'assenza di un flusso endovasale
anche in caso di ostruzione trombotica recente.
La
pletismografia ad impedenza si basa sulla selezione esistente tra variazione del
volume ematico e variazione dell'impedenza elettrica dell'arto. Tale test, per
la facilità e rapidità di esecuzione, trova indicazione anche nel paziente
allettato o sottoposto ad interventi chirurgici nei quali esiste una elevata
incidenza di TVP e conseguente embolia polmonare (fig.07
Riposo
a letto.
Eparina.
Fibrinolitici.
Antinfiammatori.
Diuretici.
Terapia
chirurgica: trombectomia, interruzioni cavali in casi selezionati.
Il
riposo a letto è necessario entro i primi quindici giorni: gli studi istologici
infatti confermano che dopo questo periodo, il trombo è aderente alla parete
venosa e quindi il rischio del distacco di emboli è fortemente ridotto.
La
terapia anticoagulante con eparina è il primo provvedimento da mettere in atto.
L'eparina sodica viene somministrata per via endovenosa meglio se in perfusione
continua ad un dosaggio variante fra le 5 e le 10.000 U.I. ogni sei ore.
L'eparina calcica viene somministrata per via sottocutanea, allo stesso dosaggio
ogni otto ore. Per ottenere un effetto anticoagulante occorre prolungare il PTT
ad 1,5-2 volte il valore di base.
Recentemente
sono state introdotte nella pratica clinica eparine a basso peso molecolare
(LMWH) che avrebbero la prerogativa di un maggior effetto antitrombotico ed un
minor effetto emorragico (rispetto alle eparine standard, non frazionate: (UFH).
Attualmente le LMWH si rivelano particolarmente utili nella profilassi
antitromboembolica.
Nei
confronti della TVP studi clinici controllati sulla efficacia delle eparine LMWH
e della UFH, hanno messo in evidenza un miglioramento del quadro flebografico
nel gruppo dei pazienti trattati con eparine a basso peso molecolare, ma nessuna
variazione nella incidenza delle complicanze emorragiche e nessuna differenza
significativa per quanto riguarda quella della embolia polmonare.
Fatte
salve le premesse sulla terapia fibrinolitica, è noto come nella pratica
clinica vengono usate sia la streptochinasi che l'urokinasi dando comunque a
quest'ultima una preferenza. I risultati sono ottimi sul piano clinico ma sul
piano della ricanalizzazione, valutati con l'angiografia, dimostrano una
prevalenza di ricanalizzazioni parziali.
I
risultati indicano una efficacia che varia secondo l'età del trombo, la sua
estensione, il dosaggio impiegato e la durata della terapia.
L'infusione
di fibrinolitico deve essere eseguita nell'arto ammalato attraverso un catetere
endovenoso.
Dopo
una dose di attacco di 300.000 U.I. in 15-20 minuti, si prosegue con un dosaggio
di 100.000 U.I./ora fino a sei giorni oltre i quali sembra inutile proseguire.
L'esperienza
della letteratura in materia, allorché il trattamento fibrinolitico è stato
comparato a quello eparinico, sembra favorevole al primo per una maggior
incidenza di ricanalizzazioni complete (tab.01
In
ogni caso i due trattamenti, una volta accertate eventuali controindicazioni
(ulcera peptica attiva, ipertensione labile non trattata, diatesi emorragica),
debbono associarsi secondo lo schema che prevede il controllo flebografico
seriato della efficacia della fibrinolisi (fig.08
A)
Eparina:
5-10.000 U.I. ogni 6 ore, per 7 giorni. Successivamente
anticoagulanti orali per 6 mesi.
B)
Fibrinolitici:
300.000 U.I. in 15'. Successivamente 100.000 U.I./ora fino a 77
giorni.
Durante
il trattamento, specialmente se combinato, debbono essere controllati
giornalmente: tempo di coagulazione, PTT, attività protrombinica, fibrinogeno,
FDP, piastrine. Stando ai dosaggi riferiti, difficilmente si arriva a valori di
parametri preoccupanti, tali da consigliare la sospensione del trattamento.
La
terapia antinfiammatoria è molto utile nei primi giorni, nei quali viene
sfruttata anche l'azione antalgica. Sono da preferire gli antinfiammatori non
steroidei (naprossene, ketoprofene, diclofenac), somministrati per via rettale o
per via intramuscolare, tenendo conto dei possibili effetti dannosi a livello
gastroenterico.
Può
essere impiegata la terapia diuretica nella fase di edema conclamato: in questo
caso più pronta ed efficace sembra essere la furosemide, somministrata per via
orale o per via intramuscolare. Durante questo trattamento, specie se
prolungato, debbono essere controllati i valori degli elettroliti plasmatici,
data la nota azione di deplezione potassica esercitata da questi farmaci.
La
trombectomia chirurgica può trovare una indicazione importante, ai casi di
controindicazione alla terapia fibrinolitica, nel rischio di embolia polmonare
per trombi flottanti oppure quando la terapia fibrinolitica è stata del tutto
inefficace.
La
sede nelle quali si può eseguire una trombectomia chirurgica è soprattutto
quella iliaco-cavale.
La
trombectomia indiretta consiste nell'isolamento inguinale delle vene femorali e
nella introduzione di due cateteri di Fogarty. Il primo viene posizionato in
vena cava per trattenere ed estrarre eventuali frammenti trombotici embolizzanti
a seguito delle manovre di trombectomia eseguite con un secondo catetere di
Fogarty con il quale viene effettuata la trombectomia della vena iliaca e
femorale controlaterale.
La
trombectomia diretta si esegue invece per via laparotomica mediana, isolando in
sede retroperitoneale la vena cava e le vene iliache che vengono disostruite a
cielo aperto.
Gli
interventi di interruzione cavale (legatura sottorenale, clip) vengono sempre
associati alla trombectomia diretta. La trombectomia permette l'asportazione di
un trombo (fig.09x) e la interruzione cavale ne impedisce la recidiva o
per lo meno la complicanza maggiore. La clip cavale permette un flusso venoso
centripeto ma impedisce il passaggio di grossi emboli polmonari che potrebbero
essere mortali e può essere inserita con un gesto chirurgico isolato. Sono oggi
entrati nell'uso anche i cosiddetti filtri cavali ad ombrello che vengono
posizionati attraverso le vene giugulari e quindi evitano l'atto chirurgico
diretto.
I
risultati della terapia chirurgica sembrano essere molto contraddittori anche
nelle casistiche di Autori che la praticano spesso. In particolare i risultati
sembrano essere favorevoli nei confronti della terapia delle forme emboligene,
ma lo sono molto di meno riguardo la pervietà dei tratti disostruiti che vanno
incontro a recidiva.
La
sequela evolutiva di una trombosi venosa profonda, è rappresentata dalla
sindrome post-flebitica (o post-trombotica).
Si
tratta di un quadro clinico caratteristico, dovuto alle alterazioni della
emodinamica venosa conseguenti alla ostruzione cronica del circolo venoso
profondo, ma soprattutto alla incontinenza delle valvole proprie del circolo
venoso profondo e di quella delle vene perforanti, allorché si ha la
ricanalizzazione spontanea delle vene ostruite. La vena ricanalizzata infatti è
profondamente alterata nella sua struttura ed i lembi valvolari sono inglobati
nel processo fibrotico residuo. La stasi ed il reflusso venoso sono maggiori nel
terzo inferiore della gamba dove avvengono progressivamente distrofie che
interessano il tessuto sottocutaneo (liposclerosi). La cute assume una
pigmentazione brunastra, ma soprattutto perde in elasticità e diventa soggetta
ad ulcere.
La
diagnosi della sindrome postflebitica è fondamentalmente clinica:
1)
L'edema ha caratteristiche indurative: contribuisce all'aumento volumetrico
cronico dell'arto ed è scarsamente riducibile. La stasi cronica provoca una
aumentata filtrazione proteica ed eritrocitica nei tessuti interstiziali, e a
lungo andare comporta una insufficienza del circolo linfatico e successiva
stasi, che inquina un edema inizialmente venoso.
2)
Le alterazioni cutanee sono maggiormente presenti nella zona mediale del terzo
inferiore della gamba. La cute assume progressivamente un aspetto lucido,
sottile, mostrando poi una pigmentazione scura, dovuta al deposito interstiziale
di emazie e quindi di emosiderina. L'ulcerazione successiva ne rappresenta
l'epifenomeno e si tratta di una ulcera molto dolente poiché spesso infetta, il
cui fondo è roseo, ma con i margini che non accennano a guarire spontaneamente.
Frequenti sono gli eczemi secchi o umidi, accompagnati da prurito.
3)
Le varici sono di tipo secondario e sono soprattutto presenti nella gamba, in
corrispondenza di vene perforanti incontinenti.
4)
La sintomatologia dolorosa è scarsa, se non esistono ulcere. Esistono una serie
di sintomi caratteristici di insufficienza venosa cronica che sono la
pesantezza, il dolore gravativo e i crampi notturni, che si accentuano dopo un
periodo di prolungata stazione eretta, soprattutto nella stagione calda.
In
questo caso occorre differenziare questa sindrome da altre situazioni che
possono portare a degli errori terapeutici.
In
primo luogo occorre distinguere una sindrome post-flebitica da una insufficienza
venosa cronica secondaria a varici essenziali inveterate. In questo caso la
distribuzione topografica delle varici, l'anamnesi e l'utilizzo di una manovra
semeiologica semplice quale la prova di Perthes, possono essere sufficienti. In
casi dubbi si può ricorrere ad accertamenti strumentali anche invasivi come la
flebografia, utile soprattutto in prospettiva chirurgica, per una eventuale
safenectomia o per una semplice legatura delle vene perforanti.
A
volte può essere difficile distinguere una ulcera ipertonica di Martorell da
una ulcera post-flebitica. Nel primo caso la sede è la faccia esterna della
gamba e il paziente è un iperteso sisto-diastolico.
Meno
difficile dovrebbe essere la diagnosi differenziale con le ulcere ischemiche
dovute ad insufficienza arteriosa cronica: la obiettività arteriosa ed, in casi
dubbi, una semplice diagnostica strumentale non-invasiva possono costituire
ottimi elementi discriminanti.
Esiste
poi una diagnostica strumentale della sindrome post-flebitica, utile soprattutto
per interpretarne la fisiopatologia.
Abbiamo
già accennato alla manovra di Perthes, estremamente semplice da eseguire, che
nella sindrome post-flebitica generalmente non provoca lo svuotamento del
circolo venoso superficiale.
Il
Doppler C.W. può essere molto utile, allorché viene utilizzato sfruttando le
sue capacità di identificare la presenza del flusso e la sua direzione.
La
misurazione della pressione venosa nella vena tibiale posteriore rivela dei
valori mediamente molto elevati in posizione ortostatica; altrettanto elevati
permangono i valori pressori durante e dopo l'effettuazione di un esercizio
fisico.
Lo
studio direzionale del circolo venoso profondo e di quello delle vene
perforanti, è molto caratteristico. In particolare le manovre di compressione
prossimale e di Valsalva provocano una vera e propria inversione ed un reflusso
per effetto di apparati valvolari incontinenti (fig.10
Altri
esami diagnostici non invasivi possono fornire dati di tipo quantitativo sulla
emodinamica venosa dell'arto inferiore, e possono essere utili per indagare su
di una sindrome post-flebitica.
La
plestismografia strain-gauge studia le variazioni di volume di un arto dopo
arresto del deflusso venoso, ottenuto gonfiando un manicotto pneumatico posto a
monte di un sistema di rilevazione a mercurio. In particolare si valutano, al
momento della ripresa del flusso venoso ottenuta detendendo il manicotto,
l'entità del deflusso venoso massimo.
Utilizzando
poi un manicotto pneumatico ulteriore per occlusione arteriosa (fig.11
La
reografia a luce riflessa misura le capacità di riflessione della cute di una
fonte di radiazione infrarossa. Poiché la riflessione è massima in caso di
svuotamento del circolo venoso superficiale, ottenibile con un esercizio di
dorso-flessione ripetuta del piede, vengono successivamente misurati vari
parametri fra i quali il tempo di riempimento venoso che in condizioni di
reflusso venoso per insufficienza valvolare è molto breve. Anche il drenaggio
venoso sarà nettamente ridotto per ostruzione del circolo venoso profondo o per
reflusso da insufficienza valvolare (fig.12
La
terapia della sindrome post-flebitica si avvale di numerosi provvedimenti che
debbono essere presi possibilmente in maniera globale.
In
primo luogo la elastocontenzione con calza a compressione generalmente di tipo
forte (140 cm H2O) con lo scopo di contrastare la ipertensione venosa e la stasi
del circolo venoso superficiale. Anche una attività fisica regolare, intesa
come deambulazione attiva è sicuramente indicata a questo scopo.
L'impiego
dei farmaci flebotomici flebotropi può essere prescritto a periodi, soprattutto
nella stagione calda, con lo scopo di aumentare il tono vascolare, di ridurre la
permeabilità vasale e quindi l'edema ortostatico. Parimenti in caso di edema
tenero, ortostatico, può essere utile l'impiego saltuario di diuretici,
specialmente se è presente una ritenzione idrica generalizzata od insufficienza
cardiocircolatoria.
La
terapia topica è necessaria per le alterazioni del trofismo cutaneo: nei primi
tempi è necessaria una terapia disinfettante od antibiotica mirata, sulla guida
di un antibiogramma delle ulcere.
Si
potranno anche impiegare prodotti che stimolano il tessuto di granulazione, il
tutto però deve essere completato da una contenzione elastica a permanenza
rimovibile ad ogni medicazione. Solo così, combattendo la stasi e in condizioni
di asepsi, è possibile ottenere la guarigione dell'ulcera.
L'eczema
varicoso deve essere curato con l'applicazione di pomate o creme cortisoniche,
evitando altri prodotti disinfettanti od antibiotici, i quali molto spesso
perpetuano lo stato eczematoso.
Esiste
anche una fisioterapia particolare, la crenoterapia, che consiste
nell'idromassaggio con acque salsobromoiodiche con o senza l'aggiunta di ozono.
Questa terapia, disponibile in ambiente termale, sfrutta l'effetto meccanico del
massaggio idrico e l'effetto decongestione, antinfiammatorio e detergente,
dell'acqua termale. Le metodiche di impiego possono essere varie,
dall'idromassaggio in vasca singola al camminamento in vasche lunghe, a varie
temperature, in modo tale da stimolare direttamente il tono delle arteriole e
delle venule superficiali e fare loro compiere una vera e propria ginnastica
vascolare.
La
terapia sclerosante deve essere di tipo eminentemente selettivo ed è indicata
per la sclerosi indotta delle vene perforanti incontinenti. Poiché si tratta di
arti nei quali molto spesso gli episodi tromboflebitici si sono succeduti con
cronologia molto varia è impossibile avere al momento dei dati clinici certi,
se non con l'utilizzazione di una tecnica Doppler C.W. o di una flebografia che
possano verificare la pervietà del circolo venoso profondo. Si tratta di una
terapia sclerosante che può essere eseguita solo da operatori molto esperti,
per il rischio di eccedere nella quantità o nella concentrazione del farmaco
sclerosante che può giungere nel circolo venoso profondo e trombizzarlo.
La
terapia chirurgica della sindrome post-flebitica ha una lunga storia. In pratica
si è passati da una legatura sottofasciale completa delle vene perforanti
secondo la tecnica di Linton, ad una legatura selettiva delle sole vene
perforanti incontinenti e chiaramente identificabili pre-operatoriamente, con lo
scopo di impedire il reflusso verso il circolo venoso superficiale e di ridurre
conseguentemente la ipertensione venosa.
Non
hanno trovato il favore dei chirurghi altri interventi di rivalvolazione o di
by-pass venosi, per la pochezza dei risultati ottenibili, soprattutto a
distanza.
Si
tratta di una forma rara di tromboflebite superficiale che colpisce le vene
della parete toraco-addominale.
Si
manifesta con un indurimento lineare di una delle vene della parete toracica,
che nei primi giorni è arrossata e dolente alla palpazione. La sua eziologia
non è per niente chiarita: si suppone che alla base sussista una patogenesi
autoimmunitaria, anche se gli esami di laboratorio non riescono a dimostrare un
chiaro movimento anticorpale. L'evoluzione è del tutto benigna e la guarigione
può essere aiutata dall'impiego topico di farmaci antinfiammatori.
Si
tratta di processi infiammatori aspecifici, che si manifestano su vene
superficiali indenni, per la probabile presenza in circolo di anticorpi nei
confronti della parete venosa, provocati dalla presenza di alcune malattie
particolari. Le tromboflebiti rivelatrici, vengono quindi ad essere parte
integrante dei quadri clinici di alcune malattie particolari. Altre volte la
tromboflebite rivelatrice può insorgere su vene varicose, su vene viscerali o
su vene profonde (tab.02
La
diagnostica è quella di tutte le possibili eziologie: in ogni caso queste
evenienze patologiche debbono essere tenute presenti soprattutto allorché, in
un individuo giovane, compare un processo flebitico specialmente se su vene
apparentemente sane.
Si
tratta di forme particolari di flebiti rivelatrici, che precedono il cosiddetto
morbo di Buerger od altre forme arteritiche aspecifiche a volte di anni.
Spesso
poi accompagnano il decorso clinico d1 queste forme rare di arteriopatia,
interessando le vene superficiali.
Le
caratteristiche di queste tromboflebiti sono quelle di interessare piccoli
tratti venosi, di guarire spontaneamente e di comparire successivamente in un
altro segmento venoso dello stesso arto. Sul piano istopatologico, si tratta di
processi infiammatori del tutto aspecifici.
Le
vene dei muscoli gastrocnemi e del soleo raccolgono il sangue refluo dai ventri
muscolari, prima di confluire con un unico tronco nella vena poplitea,
attraversando la fascia propria del muscolo gastrocnemio.
Un
processo flebitico in questa sede si manifesta con un dolore al polpaccio,
spontaneo e provocato dalla palpazione, e con una lieve tumefazione. E' molto
raro un modesto edema della caviglia che sta ad indicare una propagazione del
processo flebitico al circolo venoso profondo. L'importanza di questo tipo di
flebite è nella diagnosi differenziale, ad esempio con lo strappo muscolare per
la diversità della terapia. Inoltre non dobbiamo dimenticare la potenzialità
emboligena di questa peculiare tromboflebite profonda, che richiede quindi tutte
le precauzioni e le terapie necessarie per qualsiasi processo tromboflebitico.
La
diagnosi è soprattutto clinica; a livello strumentale possono essere
significative la flebografia oppure l'impiego del fibrinogeno marcato con 125I,
il quale, come abbiamo detto in precedenza, viene incorporato dai trombi in
formazione.
Bergen J.J., Yao J.S.T.: Malattie delle vene. Edizioni Mediche Scientifiche Internazionali, Roma, 1981.
Hobbs J.T.: Trattamento delle malattie delle vene. Il Pensiero Scientifico Editore, Roma, 1978.
Serradimigni
A., Mercier C.: Les thromboses veineuses profonders des membres. Ed.
Masson et C., Paris, 1973.
Tesi M., Cospite M., Romeo s., Pola P., Bertini D., Bracale C.G., Corsi C., D’addato M., Novo S., Progesi in Flebologia. Edizioni Minerva Medica, Torino, 1986.
Verstraete M., Vermylen J.: Trombosi. Il Pensiero Scientifico Editore, Roma, 1988.
M. D’Addato
Professore
Ordinario
di Chirurgia
Vascolare
Università di Bologna
T. Curti
Ricercatore
Cattedra di
Chirurgia Vascolare
Università di Bologna
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