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ARGOMENTI DI MEDICINA CLINICA
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Ultimo aggiornamento: 23.12.2013
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L'ulcera
gastro-duodenale è una patologia particolarmente frequente: è stato calcolato
che colpisce, nei Paesi occidentali, il 10% della popolazione. Questo dato
sottolinea la notevole rilevanza socio-sanitaria di questa malattia e la
conseguente importanza di un trattamento medico adeguato. L'avvento, negli
ultimi vent'anni, di nuovi farmaci "anti-ulcera"
e le nuove conoscenze eziopatogenetiche hanno consentito di ridurre non
solo la durata della malattia ma anche il numero delle recidive ulcerose. Ne è
conseguita una notevole riduzione del costo sociale di questa patologia, per una
diminuzione sia della spesa sanitaria (meno giornate di ricovero), sia dei
periodi di assenza dal lavoro.
La
trattazione della terapia medica dell'ulcera gastro-duodenale necessita di una
breve premessa eziopatogenetica, ma a questo proposito va subito detto che,
nonostante i notevoli successi terapeutici raggiunti negli ultimi anni,
permangono ancora punti oscuri sui meccanismi che portano alla comparsa
dell'ulcera, all'insorgenza delle complicanze, alla cicatrizzazione ed
eventualmente alla recidiva.
Una
serie di fattori sembrano comunque avere un ruolo nell'eziologia della malattia
ulcerosa.
Un
ruolo controverso è esercitato dalla dieta. Alcuni studi sembrano dimostrare
che una dieta povera di fibre possa determinare un aumento dell'incidenza della
malattia peptica ed in particolare un aumento della recidiva ulcerosa. Da questi
studi si desume che le fibre probabilmente esercitano un ruolo preventivo. In
particolare la frazione liposolubile presente nella crusca di frumento e nella
farina grezza potrebbe avere effetto protettivo sulla mucosa gastrica. Le spezie
ed il pepe, invece, sembrerebbero avere un effetto gastrolesivo, peraltro non
dimostrato. È difficile
comunque quantificare il ruolo svolto dai singoli alimenti ed in particolare
dalle proteine e dai glicidi della dieta. La differente distribuzione geografica
della malattia ulcerosa è stata, in alcuni studi, messa in relazione con le
diverse abitudini alimentari. La maggiore incidenza di malattia ulcerosa in
popolazioni civilizzate, e comunque in quelle che passano da uno stato di vita
primordiale a un grado di civilizzazione più elevato, è risultata sì
correlata con un aumento dello stress, ma anche con il cambiamento delle
abitudini dietetiche.
L'abuso
di alcool non sembra svolgere un ruolo fondamentale nell'eziologia dell'ulcera
anche se è noto che l'alcool in elevate concentrazioni ha un effetto irritante
diretto sulla mucosa gastrica favorendo la retrodiffusione degli idrogenioni.
Controverso è invece l'effetto dell'alcool sulla secrezione acida. Studi
recenti sembrano dimostrare che concentrazioni di alcool fra l'1 e il 4%
stimolano la secrezione acida, mentre concentrazioni più elevate non hanno
alcun effetto o addirittura inibiscono la secrezione stessa. Altri studi hanno
poi dimostrato che piccole quantità di alcool svolgono un'azione protettiva
sulla mucosa, in quanto stimolano la produzione di prostaglandine.
Dati
contrastanti sono stati riportati sul rapporto fra ulcera e caffè e coca-cola,
anche se è stato ampiamente dimostrato che il caffè stimola la secrezione
acida.
Ormai
definito è anche il ruolo svolto dal fumo di sigaretta. Il fumo favorisce
infatti sia l'insorgenza dell'ulcera, sia la ritardata cicatrizzazione, sia
l'aumento di numero delle recidive. Il fumo agirebbe aumentando la secrezione
cloridropeptica, riducendo la produzione di prostaglandine, riducendo la motilità
gastrica e determinando vasocostrizione, con conseguente diminuzione delle
resistenze della mucosa e ridotta capacità di rigenerazione cellulare.
Per
quanto si riferisce alla predisposizione genetica è stata dimostrata una
maggiore incidenza dell'ulcera duodenale nei maschi di gruppo sanguigno 0. In
particolare poi i soggetti "non secretori" presentano una tendenza ad
ammalare superiore ai "secretori".
È stato anche suggerito che l'aumentata risposta gastrinemica al pasto
proteico e l'accelerato svuotamento gastrico possano essere ereditari e
predisporre allo sviluppo di ulcera duodenale, ma queste osservazioni
necessitano di ulteriori conferme. Al momento lo studio degli antigeni di
istocompatibilità HLA non ha messo in evidenza alcuna tendenza particolare. Non
va comunque dimenticato che l'aumentata incidenza di ulcera all'interno di un
gruppo familiare o razziale può essere sì favorita da fattori ambientali ed
alimentari, ma anche da fattori genetici.
Fra
i fattori di rischio vanno poi ricordati quelli psicosomatici.
È particolarmente frequente l'osservazione clinica che l'ulcera, e in
particolare un suo peggiore decorso clinico, si associano a condizioni di stress
o a determinati profili psichici. Non vi sono peraltro state a tutt'oggi
evidenze sperimentali certe che i fattori psicosomatici possano di per sé
determinare l'insorgenza di una vera malattia ulcerosa.
Un
tipo particolare di ulcera è quella che si realizza a seguito dell'assunzione
di aspirina o di anti-infiammatori non steroidei (FANS). L'incidenza dell'ulcera
a seguito dell'assunzione di questi farmaci non è molto elevata, ma è
frequentemente gravata da complicanze quali l'emorragia digestiva.
Negli
ultimi anni è stata data notevole importanza eziologica anche ad agenti
infettivi. In particolare un ruolo di primo piano è stato attribuito all'Helicobacter
pylori. Si tratta di un batterio spirale, gram-negativo, il cui habitat naturale
è lo stomaco umano. L'infezione da Helicobacter pylori avviene probabilmente
per via oro-orale e oro-fecale e la prevalenza di questa infezione, che è alta
nell'infanzia, dipende da fattori di carattere sanitario e socio-economico. Dopo
l'infanzia l'incidenza dell'infezione varia dal 2% all'anno, nei Paesi in via di
sviluppo, allo 0,5% nelle classi socio-economiche più elevate dei Paesi
sviluppati. L'Helicobacter pylori è ormai riconosciuto come la causa più
diffusa di gastrite ed è stato isolato in circa il 95% dei pazienti affetti da
ulcera duodenale e in circa il 75% di quelli con ulcera gastrica,
indipendentemente dall'età. La prova che l'Helicobacter pylori svolge un ruolo
causale nell'ulcera peptica si basa sulla dimostrazione che l'eradicazione
dell'infezione nei pazienti con ulcera riduce notevolmente il tasso di recidiva
per questa patologia. Ciò suggerisce inoltre che l'eradicazione possa
influenzare la storia naturale ed il decorso delle malattie associate all'Helicobacter
pylori. L'infezione da Helicobacter pylori può essere individuata mediante
analisi sierologica, mediante breath test o, in maniera più accurata, mediante
test all'ureasi su biopsie gastriche o esame istologico.
Trattando
di patogenesi dell'ulcera è indispensabile ricordare che l'integrità della
mucosa gastro-duodenale si basa sull'equilibrio fra fattori aggressivi e fattori
difensivi.
Il
fattore aggressivo per eccellenza è costituito dalla secrezione acida gastrica
e, a questo proposito, è sempre valido il vecchio aforisma di Schwarz "no
acid - no ulcer". Tale affermazione è avvalorata dal fatto che
l'inibizione della secrezione acida gastrica determina generalmente una
cicatrizzazione dell'ulcera. L'acido è secreto dalla pompa protonica della
cellula parietale, cellula che è situata nelle ghiandole oxintiche della mucosa
gastrica. Attraverso i canalicoli secretori (dove il pH è 1) gli idrogenioni
raggiungono il lume gastrico. La secrezione acida è stimolata mediante
l'attivazione di recettori situati sulla membrana basale. I recettori finora
identificati sono almeno 3 e vengono attivati rispettivamente da istamina,
acetilcolina e gastrina, per cui si parla di recettori istaminici (costituiti
per la precisione da recettori H2), muscarinici e gastrinici.
Anche
il reflusso di sali biliari è gastrolesivo in quanto questi sali sono in grado
di alterare i meccanismi di difesa a livello gastrico.
I
fattori difensivi della mucosa sono costituiti essenzialmente dal muco che
ricopre l'epitelio, dalla secrezione di bicarbonati e dal pH duodenale. Il muco
trattiene i bicarbonati, realizzando così un marcato gradiente, una barriera,
fra pH acido del lume (circa 1,5) e pH neutro della superficie epiteliale (circa
7), e impedisce la diffusione della pepsina alla superficie mucosa. I meccanismi
di difesa della mucosa sembrano poi essere favoriti anche dal rapido turnover
cellulare, dallo svuotamento gastrico, dalla perfusione sanguigna e dalla
sintesi di prostaglandine. Un'alterata cinetica cellulare infatti favorisce la
retrodiffusione idrogenionica e un ritardato svuotamento gastrico determina un
più prolungato contatto tra acido e mucosa e quindi può svolgere un ruolo
patogenetico importante in particolare nell'ulcera gastrica del corpo e del
fondo. Le prostaglandine E2 sono sintetizzate dalla mucosa gastrica e sembrano
svolgere un ruolo protettivo nei confronti di agenti ulcerogeni, specie nei
confronti di farmaci che ne inibiscono la sintesi. Le prostaglandine svolgono un
ruolo citoprotettivo in quanto potenziano la barriera mucosa, aumentano la
secrezione di muco, stimolano la produzione di bicarbonati ed hanno un effetto
favorevole sulla perfusione sanguigna.
Studi
sulla regolarizzazione neuro-ormonale confermano infine il ruolo svolto dagli
ormoni gastrointestinali su secrezione acida, composizione del muco, svuotamento
gastrico e gastrina.
La
lesione ulcerosa può quindi essere considerata la conseguenza di un alterato
rapporto fra fattori aggressivi e fattori di difesa. Nell'ulcera duodenale è
stato documentato un ruolo prevalente dell'ipersecrezione acida, mentre in quasi
tutte le ulcere gastriche la secrezione cloridropeptica è normale o addirittura
ridotta. Nei pazienti con ulcera gastrica prevale pertanto la riduzione dei
fattori di difesa della mucosa e il muco presenterebbe un'alterazione delle sue
componenti glico-muco-proteiche. Anche se oggigiorno si è più propensi a
pensare che la patogenesi dell'ulcera sia sempre multifattoriale, in maniera un
po' semplicistica si potrebbe comunque dire che nella patogenesi dell'ulcera
duodenale prevale l'aggressività dell'acido cloridrico, mentre nell'ulcera
gastrica prevale il difetto dei fattori di difesa, favorito dalla presenza di
gastrite. La retrodiffusione di idrogenioni attraverso uno strato
muco-epiteliale alterato favorirebbe l'aggressività esercitata da acido e
pepsina.
Oggi
si è portati a pensare che l'ulcera insorga quando il rapporto fra fattori
aggressivi e fattori difensivi viene alterato da meccanismi quali l'infezione da
Helicobacter pylori o l'ingestione di FANS. E' probabile che in futuro possano
emergere altri agenti responsabili della eziologia dell'ulcera, ma si tratterà
comunque sempre di agenti che determinano un'alterazione di questo rapporto.
Per
quanto riguarda la storia naturale, l'ulcera può, nel 30% dei casi, andare
incontro a cicatrizzazione spontanea nell'arco di 4-8 settimane. L'ulcera
comunque tende poi a recidivare, specie nei primi due anni. La malattia ulcerosa
è infatti una malattia cronica che probabilmente ha una durata complessiva di
almeno 15 anni. Le recidive ulcerose possono presentarsi con una certa
periodicità, che può assumere carattere, forse solo apparentemente,
stagionale: in Italia per esempio si osserva una prevalenza in primavera ed in
autunno.
La
distensione dell'antro gastrico da parte del cibo stimola la secrezione
gastrica, ma, nello stesso tempo, il cibo svolge un'azione tampone e il pH
gastrico sale. Per questo in passato ai pazienti ulcerosi veniva prescritta una
dieta leggera "in bianco", suddivisa in pasti piccoli e frequenti. Il
latte, in particolare, veniva somministrato in abbondanza, in quanto considerato
una sostanza tampone. Non vi sono prove scientifiche a sostegno dell'utilità di
questo tipo di dieta sia nell'accelerare la guarigione dell'ulcera sia nel
ridurre il numero delle recidive. È invece stato dimostrato che pasti piccoli e
frequenti contribuiscono a ridurre la sintomatologia dolorosa nei pazienti con
ulcera duodenale; tale effetto sintomatico non si ha invece nei pazienti con
ulcera gastrica. Diversi ricercatori hanno valutato l'effetto dei vari alimenti
sull'acidità gastrica, tuttavia mancano prove certe sulla reale influenza dei
vari regimi dietetici sulla malattia ulcerosa.
Al
momento sembra ragionevole consigliare ai pazienti di assumere una dieta
normale, equilibrata, ricca di fibre, suddivisa in almeno tre pasti nell'arco
della giornata. Il singolo paziente eliminerà gli eventuali cibi mal tollerati.
Solo nelle fasi di riacutizzazione forse può essere utile consigliare per
alcuni giorni l'eliminazione dei cibi di più difficile digestione, come grassi
fritti, cibi piccanti e conservati.
Di
solito ai pazienti ulcerosi viene consigliata l'astensione assoluta dalle
bevande alcooliche, ma manca la validazione scientifica di questa affermazione.
Secondo alcuni ricercatori, un moderato apporto di alcool potrebbe anzi
contribuire ad una più rapida cicatrizzazione della lesione ulcerosa. Non va
comunque dimenticato che il paziente ulceroso di solito riferisce una
esacerbazione della sintomatologia dolorosa dopo l'assunzione di bevande
alcooliche.
Il
caffè aumenta la secrezione acida gastrica, ma non è stato dimostrato alcun
rapporto fra consumo di caffè e incidenza dell'ulcera peptica. Nel paziente con
lesione ulcerosa in atto si consiglia di sospendere o per lo meno di ridurre
temporaneamente l'assunzione di caffè, se non altro perché è stato dimostrato
che aumenta la sintomatologia dolorosa dell'ulcera. Tale effetto è
particolarmente evidente se il caffè viene bevuto a stomaco vuoto, per cui ne
è consigliabile l'assunzione solo dopo pasto.
Ai
pazienti ulcerosi deve essere consigliata l'astensione dal fumo, in quanto il
fumo sembra essere associato non solo ad una maggiore incidenza di malattia
ulcerosa, ma anche ad una più lenta guarigione dell'ulcera e ad una minore
risposta ai trattamenti medici che verranno in seguito discussi.
È anche stata documentata una maggiore frequenza di recidive nei
pazienti fumatori rispetto ai non fumatori (dopo un anno: 84% versus 53%).
In
passato, prima dell'avvento delle più moderne terapie anti-ulcera, il riposo,
in associazione al latte ed alle sostanze alcalinizzanti, sembrava svolgere un
effetto favorevole sulla guarigione dell'ulcera. Con l'avvento degli
H2-antagonisti si è visto che il riposo non comporta alcun beneficio aggiuntivo
alla terapia farmacologica. Il ricovero ospedaliero, in particolare, deve essere
oggigiorno riservato solamente ai pazienti che presentano complicanze severe,
quali emorragia e perforazione.
È noto che i farmaci steroidei, al pari dell'aspirina e dei FANS, sono
gastrolesivi, in quanto determinano infiammazione, erosioni, ulcerazioni acute
ed aumentato rischio di emorragie e perforazioni da ulcera peptica. Tutti i
pazienti ulcerosi dovrebbero quindi evitare l'assunzione di questi farmaci, ma
questo non è sempre possibile. Numerosi studi sono stati effettuati per
valutare l'efficacia dei vari farmaci nella prevenzione dell'ulcera da
gastrolesivi. E' stato proposto di associare le prostaglendine di sintesi ai
farmaci anti-prostaglandinici quali l'indometacina e sono stati impiegati i vari
antisecretivi. Al momento nessuno di questi farmaci si è dimostrato realmente
efficace in tale prevenzione, a meno che non venissero utilizzati a dosaggi
elevati, simili a quelli impiegati per il trattamento dell'ulcera in atto. Ma
questo comporta un notevole costo sanitario, in particolare se si considera
l'elevato numero di pazienti che utilizzano aspirina o FANS e la relativamente
bassa frequenza di complicanze ulcerose. Al momento pare quindi opportuno
consigliare di utilizzare forme tamponate, recentemente messe in commercio, ma
che comunque devono essere preferibilmente assunte al termine di un pasto. Solo
nei pazienti con storia di ulcera dovrà essere raccomandata la contemporanea
adozione di una adeguata terapia anti-secretiva.
Il
trattamento medico dell'ulcera peptica si basa sul tentativo di ripristinare
l'equilibrio fra l'azione aggressiva di acido, pepsina e forse sali biliari e i
meccanismi di difesa della mucosa. A questo proposito va ricordato che l'acidità
gastrica viene stimolata fisiologicamente dal cibo, ma, per l'effetto tampone
del cibo stesso, lo stomaco raggiunge i valori più bassi di pH durante la notte
e prima dei pasti. Tre fattori concorrono quindi nel determinare la
cicatrizzazione dell'ulcera: l'entità della soppressione dell'acidità, la
durata di tale soppressione nell'arco della giornata e la durata della terapia.
A questi fattori si è aggiunto, negli ultimi anni, il problema del trattamento
dell'infezione da Helicobacter pylori.
La
terapia medica dell'ulcera peptica si basa quindi sull'impiego dei seguenti
gruppi di farmaci: gli antiacidi, gli antisecretivi, i cosiddetti citoprotettivi
o di barriera e gli antibiotici per l'eradicazione dell'infezione da
Helicobacter pylori.
Gli
antiacidi sono composti chimici in grado di neutralizzare l'acido cloridrico,
con conseguente aumento del pH gastrico. Queste sostanze sono inoltre in grado
di aumentare la pressione a livello dello sfintere esofageo inferiore (LES),
opponendosi al reflusso, e favorire l'inattivazione della pepsina.
L'idrossido
di alluminio viene trasformato in cloruro a livello gastrico e può portare il
pH al massimo a valori di 5. Questo antiacido può determinare una serie di
effetti indesiderati che vanno dalla nausea, al vomito, alla stipsi e, in casi
estremi, alla ostruzione intestinale. Non va poi dimenticato che l'idrossido di
alluminio riduce l'assorbimento di numerosi farmaci: anticolinergici,
barbiturici, digossina, warfarin, tetracicline.
Anche
l'idrossido di magnesio reagisce con l'acido cloridrico formando cloruro e
portando il pH gastrico fino a valori di 9. Va usato con cautela nell'anziano
per il rischio di ipermagnesiemia (ipotonia, nausea, vomito, coma). Può inoltre
causare diarrea.
L'associazione
di idrossido di alluminio e di magnesio porta il pH gastrico a valori di
6,5-7,5, è la più utilizzata in quanto consente di ridurre i contrastanti
effetti indesiderati esercitati sull'alvo dai due singoli antiacidi.
L'aloglutamolo
è un complesso organico a base di alluminio che ha effetto tampone con massima
attività fra pH 3 e 5. Fra gli effetti indesiderati figura la riduzione
dell'assorbimento delle tetracicline.
A
scopo ormai esclusivamente nozionistico ricordiamo che in passato sono stati
impiegati il carbonato di calcio e il bicarbonato di sodio. Il carbonato di
calcio reagisce con l'acido cloridrico formando cloruro di calcio. La
sospensione di questo composto porta però ad un rebound della secrezione
gastrica forse per una ipergastrinemia determinata dal Ca stesso che svolge
un'azione locale sulle cellule parietali. La contemporanea somministrazione di
latte e vitamina D può poi determinare la milk-alkali syndrome caratterizzata
da ipercalcemia, nefrocalcinosi, alcalosi, nausea, vomito, cefalea. Non va
infine dimenticato che può potenziare l'effetto della digitale.
Il
bicarbonato di sodio neutralizza l'acido cloridrico con formazione di acido
carbonico e sviluppo di anidride carbonica, con conseguente aumento della
riserva alcalina plasmatica. Per questo motivo e per il fatto che viene
rapidamente svuotato dalla stomaco, non viene più impiegato nella pratica
clinica.
Per
lunghissimo tempo gli antiacidi sono stati il cardine della terapia anti-ulcera
e vengono ancora utilizzati, con indubbio vantaggio soggettivo, in larga misura,
anche se una revisione delle sperimentazioni in cui sono stati confrontati col
placebo ha dimostrato che solo nella metà degli studi sono risultati superiori
al placebo nel controllo del dolore ulceroso e che comunque vi è una scarsa
correlazione fra regressione dei sintomi e dose di antiacido assunta. Sulla base
di questi dati va quindi rivista la convinzione diffusa che l'antiacido sia un
ottimo sintomatico. A questo proposito va ricordato che uno studio
nord-americano ha dimostrato che i diversi antiacidi in commercio hanno potere
neutralizzante estremamente variabile (da 4,2 a 70,4 mmol H+/ml) e questo
dovrebbe essere tenuto presente quando si impiegano i vari prodotti. Non deve
peraltro essere considerata la sola capacità tampone: per esempio i sali di
alluminio svolgono un ruolo importante anche perché legano i sali biliari,
riducendo così le loro proprietà irritanti nei riguardi dell'epitelio
gastrico. Alcuni studi sembrano poi dimostrare che i sali di alluminio aumentino
la produzione di prostaglandine nella mucosa gastroduodenale.
Anche
se gli antiacidi non determinano una significativa riduzione della
sintomatologia ulcerosa, numerosi studi controllati hanno dimostrato l'efficacia
terapeutica di questi farmaci nella guarigione dell'ulcera, specie di quella
duodenale. A tal fine è però necessario che vengano somministrati ad alti
dosaggi (200-1000 mmol/24 h) e in somministrazioni ripetute nell'arco della
giornata (una e tre ore dopo i pasti). L'acidità gastrica diurna in questo modo
viene ridotta, ma permane elevata quella notturna. Le preparazioni in
sospensione si sono poi dimostrate più efficaci di quelle in compresse nel
ridurre l'acidità gastrica. La necessità di un elevato dosaggio e di un
elevato numero di somministrazioni pone due problemi: la scarsa compliance da
parte dei pazienti e un'alta frequenza degli effetti indesiderati
precedentemente descritti. A questo proposito va anche ricordato che il
contenuto di sodio nei vari prodotti è estremamente variabile e questo non deve
essere dimenticato nel caso in cui gli antiacidi vengano somministrati a
pazienti con insufficienza epatica, renale o cardiaca.
È infine importante tenere presente che gli antiacidi riducono
l'assorbimento degli H2-antagonisti, se somministrati ad un intervallo di tempo
inferiore ad 1 ora.
L'avvento
di questi farmaci ha rivoluzionato la terapia medica dell'ulcera peptica. Da
tempo era noto che l'istamina è un potente stimolatore della secrezione acida
gastrica, ma i normali anti-istaminici non si dimostravano in grado di ridurre
l'acidità gastrica. Fu quindi sviluppata da Black e coll. la teoria del
recettore istaminico H2, che fu dimostrato essere presente quasi esclusivamente
nella mucosa gastrica. L'istamina è un messaggero coinvolto nel percorso finale
che porta alla stimolazione della secrezione dalle cellule parietali, cosicché
gli H2-antagonisti inibiscono la secrezione acida in risposta non solo
all'istamina, ma anche alla stimolazione vagale ed al cibo. Questo comporta che
gli H2-antagonisti esercitano una massiccia inibizione della secrezione acida,
determinando la guarigione della maggior parte delle lesioni ulcerose.
La
metiamide è stata il primo H2-antagonista somministrato nell'uomo, ma non è
mai entrata nella pratica clinica. È
stato invece il suo successore, la cimetidina, il farmaco che ha aperto, negli
anni '70, l'era degli H2-antagonisti.
Cimetidina.
La cimetidina svolge la sua azione bloccando l'attacco dell'istamina ai
recettori H2, e conseguentemente riducendo la secrezione acida gastrica ed
elevando il pH gastrico in risposta a qualsiasi stimolo. La cimetidina è ben
assorbita per via orale ed ha una emivita di 110 minuti. Per questo motivo il
farmaco veniva inizialmente somministrato per via orale in quattro
somministrazioni nell'arco della giornata (200 + 200 + 200 + 400 mg). Studi
successivi hanno dimostrato che anche la somministrazione in due dosi (400 + 400
mg) o in una unica dose serale (800 mg) è efficace nel trattamento dell'ulcera.
Il razionale dell'unica dose serale nella terapia dell'ulcera in atto, ed in
particolare nella terapia cronica di mantenimento, sta nel fatto che l'acidità
gastrica raggiunge il suo acme nelle prime ore del mattino.
I
numerosi trial eseguiti hanno dimostrato che, dopo 4-6 settimane di terapia con
cimetidina, l'ulcera guarisce in una percentuale di casi che varia dal 60
all'80% per quanto riguarda l'ulcera duodenale ed in una percentuale che varia
dal 70 all'80% per quanto riguarda quella gastrica. Se il trattamento con
cimetidina viene prolungato fino a 3 mesi la percentuale delle guarigioni sale
al 90%. La variabilità dei risultati ottenuti nelle varie casistiche è
determinata dalle diverse posologie utilizzate, dai diversi regimi terapeutici
associati e dalla differente compliance dei pazienti. Complessivamente comunque
la cimetidina determina una guarigione dell'ulcera in una percentuale di casi
significativamente superiore rispetto al placebo e agli antiacidi. Meno
favorevoli sono invece i risultati che si riferiscono al controllo della
sintomatologia dolorosa. La cimetidina non risulta infatti significativamente
superiore agli antiacidi nel ridurre rapidamente il dolore determinato dalla
malattia ulcerosa sia gastrica sia duodenale.
La
cimetidina non è inoltre in grado di modificare la storia naturale dell'ulcera
duodenale. Alla sospensione del trattamento non si realizza un rimbalzo della
secrezione acida gastrica, ma comunque si assiste ad una recidiva in un
elevatissimo numero di casi (80% entro un anno). Solo una prolungata terapia di
mantenimento (400 mg alla sera) consente di ridurre il numero delle recidive
(25% entro un anno). L'eventuale recidiva impone che il farmaco venga nuovamente
somministrato a dosaggio pieno. È
stato dimostrato che il MAO (maximal acid output) si riduce del 25% dopo un
trattamento cronico di 2 anni con cimetidina. Questo dato può essere spiegato
dal fatto che una terapia così prolungata sembra determinare una riduzione di
massa delle cellule parietali gastriche. Tale osservazione è anche a sostegno
della opportunità di prolungare la terapia con cimetidina per numerosi mesi o
alcuni anni dopo la cicatrizzazione dell'ulcera duodenale.
Anche
nell'ulcera gastrica recidiva in percentuale elevata (50% a due anni) e i dati
disponibili sono indicativi di una netta diminuzione del numero delle recidive
nei pazienti in terapia di mantenimento.
Nel
10-20% dei casi l'ulcera peptica non risponde al trattamento con cimetidina.
Questo può essere dovuto alla scarsa compliance, ma soprattutto si ipotizza che
sia determinato da un insufficiente assorbimento del farmaco o da una ridotta
sensibilità della cellula parietale al farmaco stesso. Questo gruppo di
pazienti viene definito non-responder. In seguito verrà discusso
l'atteggiamento terapeutico da seguire in questi pazienti.
L'esperienza
mondiale insegna che la cimetidina è un farmaco sicuro anche se sono stati
descritti numerosi effetti indesiderati, comunque non molto frequenti. Fra
questi vanno ricordati quelli collegati alla modalità d'azione del farmaco e
quelli collegati al suo metabolismo. Nel primo gruppo rientrano la diarrea ed il
possibile aumento intragastrico di nitrosamine con il conseguente rischio,
peraltro teorico, di cancro. Nel secondo gruppo rientrano gli effetti
anti-androgeni (ginecomastia ed impotenza), l'aumento degli enzimi epatici, la
nefrite interstiziale e le turbe dello stato di vigilanza, probabilmente
determinate dal fatto che la cimetidina supera la barriera emato-encefalica.
L'effetto indesiderato più importante deriva comunque dal possibile alterato
metabolismo di altri farmaci che utilizzano il sistema enzimatico epatico del
citocromo P450: ad esempio warfarin, diazepam, propranololo, teofillina. Si
realizza quindi una competizione fra farmaci con conseguente prolungamento della
loro emivita. È stata infine
descritta anche la possibilità di iperprolattinemia.
Ranitidina.
È il secondo H2-antagonista entrato in commercio. La sua struttura
chimica è diversa da quella della cimetidina, avendo un anello furanico al
posto dell'anello imidazolico. È
cinque volte più potente della cimetidina e viene ugualmente bene assorbita nel
tubo digerente. La sua emivita è di 150 minuti. A differenza della cimetidina,
la ranitidina determina un aumento della pressione a livello della sfintere
esofageo inferiore, con conseguente riduzione del reflusso gastro-esofageo.
Inizialmente questo farmaco è stato somministrato ad una dose orale di 150 mg
due volte al giorno, ma studi successivi hanno dimostrato che un'unica
somministrazione serale di 300 mg (preferibilmente alle ore 18-20) ha pari
efficacia terapeutica. Questa dose è infatti in grado di inibire l'acidità
notturna del 90-95%, mentre 800 mg di cimetidina realizzano un'inibizione del
70%.
Nell'ulcera
duodenale si raggiungono tassi di guarigione dopo 4 settimane di terapia, che
variano dal 76 all'85% e risultati equivalenti si ottengono anche nell'ulcera
gastrica. Tali percentuali di guarigione salgono al 95% dopo 8 settimane di
trattamento. Anche dopo ranitidina è necessaria una lunga terapia di
mantenimento (150 mg alla sera) per ridurre significativamente il numero delle
recidive ulcerose.
La
ranitidina è un farmaco ben tollerato e raramente presenta effetti
indesiderati. A differenza della cimetidina ha scarsi effetti sul sistema
enzimatico del citocromo P450 e pertanto non ha interazioni con altri farmaci.
Nelle sperimentazioni cliniche eseguite sono riportati solo saltuariamente
effetti collaterali quali astenia, cefalea e diarrea, peraltro con frequenza
pari al placebo. La ranitidina inoltre non può essere nitrosata, per cui non ha
alcun rischio oncogeno.
Un
certo numero di lesioni ulcerose risulta resistente alla ranitidina, così come
alla cimetidina. In questi casi l'H2-antagonista deve essere sostituito con un
inibitore della pompa protonica.
Famotidina.
È un farmaco H2-antagonista di terza generazione, dotato di anello
tiazolico, 7 volte più potente della ranitidina. Viene somministrata per os in
un'unica dose serale di 40 mg nella terapia di attacco e di 20 mg nella terapia
di mantenimento. Determina un controllo della malattia ulcerosa con frequenza
simile alla ranitidina. Come per gli altri H2-antagonisti è comunque
indispensabile eseguire una terapia di mantenimento per ridurre il numero delle
recidive. Gli effetti indesiderati di questo farmaco sembrano essere molto
ridotti, come per la ranitidina.
Nizatidina.
È un H2-antagonista con potenza 3-5 volte superiore alla cimetidina.
Viene somministrata ad una dose di 300 mg al giorno per os (in una o due
somministrazioni) e determina una percentuale di guarigione della malattia
ulcerosa simile alla ranitidina.
Roxatidina.
E' un ulteriore H2-antagonista che alla dose giornaliera di 150 mg (in una o due
somministrazioni), ha efficacia terapeutica simile alla ranitidina.
In
conclusione, l'esperienza mondiale, sull'impiego degli H2-antagonisti, sia nei
trial controllati sia nella pratica clinica quotidiana, è vastissima, in
particolare per quanto si riferisce alla cimetidina ed alla ranitidina. Si
ritiene che diverse centinaia di milioni di pazienti siano stati trattati nel
mondo con questi farmaci e va sottolineato che gli H2-antagonisti si sono
sostanzialmente dimostrati sicuri nel trattamento a lungo termine per la bassa
percentuale di effetti indesiderati, anche se indubbiamente, a questo proposito,
la ranitidina sembra preferibile.
Nell'emergenza
ulcerosa, è possibile l'impiego di cimetidina o ranitidina per via endovenosa
rispettivamente alle dosi di 200 mg ogni 4-6 ore e di 50 mg ogni 6-8 ore. Nella
sindrome di Zollinger-Ellison è necessario impiegare gli H2-antagonisti a dosi
due o tre volte superiori, per cui diventa di più facile utilizzazione la
ranitidina.
I
farmaci anticolinergici in genere riducono la secrezione acida basale del 40-50%
e la secrezione stimolata dal cibo del 30% circa, mediante blocco dei recettori
muscarinici. Sfortunatamente la dose richiesta per la riduzione dell'acidità
provoca importanti effetti indesiderati: visione confusa, secchezza delle fauci,
difficoltà alla minzione nell'uomo, stipsi e rallentato svuotamento gastrico. I
trial eseguiti sull'impiego degli anticolinergici nella malattia ulcerosa non
hanno dato risultati concordanti, per cui non sono più impiegati nella pratica
clinica.
Pirenzepina.
Si tratta di un anticolinergico selettivo, specifico per i recettori muscarinici
della mucosa gastrica. Riduce la secrezione di acido e pepsina di circa il 50%,
senza incidere sullo svuotamento gastrico e con una bassa percentuale di effetti
indesiderati. Di questi il più frequente è la secchezza delle fauci, effetto
che è comunque dose-dipendente. Sembra che l'associazione con cimetidina
determini una riduzione della risposta acida del 90%.
Secondo
alcuni studi controllati la pirenzepina ha efficacia simile alla cimetidina, in
particolare se associata agli antiacidi. Alla dose di 100 mg al giorno, per os,
suddivisa in due somministrazioni, determina, nell'arco di 4-6 settimane, la
guarigione del 70% delle ulcere gastriche e duodenali. Anche gli studi sulla
terapia di mantenimento sembrano riprodurre i risultati ottenuti con la
cimetidina.
L'associazione
fra pirenzepina e H2-antagonisti presenta validi presupposti teorici ed è stata
impiegata nelle ulcere resistenti al trattamento con un singolo farmaco. Negli
studi eseguiti questa associazione non sembra comunque in grado di ridurre i
tempi di guarigione dell'ulcera, mentre probabilmente riduce l'incidenza di
risanguinamento da ulcera peptica.
La
pirenzepina non è attualmente considerata farmaco di prima scelta nel
trattamento dell'ulcera e viene anche raramente impiegata in associazione agli
H2-antagonisti.
Negli
Stati Uniti non è autorizzato il suo impiego per il trattamento dell'ulcera.
Proglumide.
Sembra che questo farmaco interagisca con i recettori gastrinici e che
conseguentemente riduca la secrezione acida sia in condizioni basali che dopo
stimolo. Lo scarso numero di sperimentazioni controllate non consente di
esprimere un parere sul suo ruolo nel trattamento dell'ulcera, anche se alcuni
studi sembrano documentare un'efficacia pari alla cimetidina. La posologia
giornaliera della proglumide è di 0,8-1,2 g da suddividere in 3
somministrazioni orali, prima dei pasti. Al momento non sono stati segnalati
effetti indesiderati importanti, se si esclude il riscontro occasionale di un
transitorio incremento della creatininemia.
Somatostatina.
Questo ormone riduce in vivo il flusso ematico splancnico del 20-30% e inibisce
la secrezione di gastrina. La sua emivita è molto breve, per cui può essere
somministrata solo in infusione endovenosa continua (3,5 microg/kg/ora) per un
massimo di 48-72 ore. Il suo campo di applicazione si limita quindi alla terapia
dell'emergenza ulcerosa, ed in particolare al trattamento medico dell'emorragia
in atto. La sua utilizzazione trova in pratica giustificati ostacoli nel costo
elevatissimo (L. 650.000 al giorno).
Omeprazolo.
È un derivato del benzimidazolo. Blocca l'ATPasi H+/K+ nella cellula
parietale gastrica e conseguentemente sopprime la secrezione acida mediante
azione diretta sulla pompa protonica.
È sensibile all'ambiente acido per cui deve essere somministrato in
forma gastro-protetta, preferibilmente prima o in concomitanza con i pasti. Con
dosaggi di 20 mg al giorno si ottiene un'inibizione della secrezione acida del
90%, mentre con 40 mg l'inibizione è pressoché completa. Tale effetto
antisecretivo aumenta progressivamente nei primi giorni di trattamento e si
stabilizza dopo 3-6 giorni.
Alla
dose di 20-40 mg per os al giorno, in monosomministrazione, l'omeprazolo
determina la cicatrizzazione del 65-85% delle ulcere duodenali dopo due
settimane e del 80-100% dopo quattro settimane. Per quanto riguarda l'ulcera
gastrica sono state riscontrate guarigioni nel 70% dei casi dopo quattro
settimane di terapia e nel 90% dopo otto settimane. Il farmaco sembra quindi
offrire un chiaro vantaggio terapeutico rispetto agli H2-antagonisti. Tale
vantaggio è poi particolarmente evidente per quanto riguarda la remissione
della sintomatologia. I pazienti trattati con omeprazolo presentano infatti una
scomparsa del dolore ulceroso talora nell'arco di "ore". Il farmaco è
in grado di portare a guarigione lesioni ulcerose resistenti alla terapia con
H2-antagonisti. In virtù della sua potenza d'azione trova indicazione elettiva
anche nel trattamento della sindrome di Zollinger-Ellison, condizione in cui può
essere aumentato il dosaggio e il numero delle somministrazioni giornaliere. E'
controindicato l'impiego dell'omeprazolo in associazione ad altri farmaci
antisecretivi.
Per
quanto riguarda gli effetti indesiderati a tutt'oggi sono stati descritti solo
effetti lievi quali dispepsia, astenia, vertigini, e raramente
ipertransaminasemia, comunque con frequenza simile alla ranitidina, quindi molto
bassa. La scarsa tossicità dell'omeprazolo è stata confermata anche
nell'impiego nel lungo termine. Va inoltre ricordato che l'omeprazolo, al pari
della cimetidina e a differenza della ranitidina, è metabolizzato nel fegato
tramite il citocromo P450 e di conseguenza può presentare interazione con
farmaci che utilizzano lo stesso sistema. Non sono stati documentati effetti sui
livelli pressori dello sfintere esofageo inferiore.
Lansoprazolo.
E' un inibitore della pompa protonica con efficacia terapeutica paragonabile
all'omeprazolo a dosaggi di 15-30 mg al giorno, in monosomministrazione.
Sale
colloidale di bismuto che, per azione topica, si lega all'ambiente acido alle
proteine e al tessuto di granulazione del fondo del cratere ulceroso, formando
così uno strato protettivo che limita la digestione peptica del fondo
dell'ulcera. Il TDB sembra inoltre in grado di stimolare la secrezione locale di
prostaglandine, di ridurre la produzione di pepsina, di aumentare la produzione
di bicarbonati e di modificare la composizione del muco. La sua posologia è di
1,2 g/die, per os, da suddividere in 2-4 somministrazioni a stomaco vuoto.
I
risultati ottenuti nei vari trial controllati sono favorevoli e paragonabili
alla cimetidina (guarigione dell'86% sia nell'ulcera gastrica sia in quella
duodenale), ma il sintomo dolore scompare più lentamente rispetto agli
H2-antagonisti. I risultati più interessanti si riferiscono alla percentuale di
recidive. E' stato infatti dimostrato che le recidive ulcerose, gastriche e
duodenali, sono significativamente meno numerose dopo TDB rispetto al numero di
recidive dopo H2-antagonisti. Questo dato favorevole è stato spiegato
ipotizzando che l'Helicobacter pylori sia sensibile al TDB. Oggigiorno questo
farmaco viene utilizzato solo in associazione con altri farmaci per
l'eradicazione dell'infezione da Helicobacter pylori. A conferma di ciò va
segnalata la recente commercializzazione della ranitidina bismuto citrato, che
sembra avere efficacia terapeutica superiore alla semplice associazione dei due
singoli farmaci.
Gli
effetti indesiderati del TDB sono di solito di scarsa rilevanza clinica e sono
costituiti dalla colorazione nerastra della lingua e dei denti e dalla
colorazione scura delle feci. Non deve essere dimenticato il rischio di
neurotossicità da bismuto, anche se il bismuto, in tale forma, viene
scarsamente assorbito.
E'
un polisaccaride, costituito da idrossido di alluminio e saccarosio solfato, che
si lega per interazione elettrostatica alle proteine della base dell'ulcera e
protegge dalla digestione acido-peptica il tessuto di granulazione. Inibisce
inoltre l'attività della pepsina, si lega ai sali biliari neutralizzandone
l'azione lesiva e aumenta la concentrazione locale di prostaglandine. Il
meccanismo d'azione del sucralfato è quindi prevalentemente topico, per cui
deve essere assunto a stomaco vuoto, anche perché un basso pH ne potenzia
l'azione. La posologia è di 2-4 g al giorno suddivisi in 2 o 4
somministrazioni.
Le
numerose sperimentazioni cliniche controllate hanno dimostrato che il farmaco
determina guarigione dell'ulcera in una percentuale di casi simile alla
cimetidina, ma inferiore alla ranitidina e agli inibitori della pompa protonica.
Interessante è poi l'osservazione che i pazienti trattati con sucralfato
presentano una minore incidenza di recidive nei primi mesi dopo la sospensione
del trattamento. Per quanto riguarda gli effetti indesiderati vanno ricordate la
nausea e la stipsi nell'8% dei casi e l'ipofosfatemia nei pazienti con
insufficienza renale.
E'
un poliestere solforico di un glicopeptide isolato dal duodeno di maiale.
Agirebbe localmente sulla mucosa gastrica e duodenale svolgendo un'azione
protettiva. Non possono essere considerate sufficientemente controllate le
sperimentazioni sulla sua efficacia nel trattamento della malattia ulcerosa. Il
dosaggio è di 200 mg tre volte al giorno, lontano dai pasti.
Piccole
dosi di prostaglandine sintetiche sembrano in grado di proteggere la mucosa
gastrica e di inibire la secrezione acida con scarsi effetti indesiderati.
È probabile che alcune prostaglandine di sintesi svolgano anche
un'azione antigastrinica, ma questi farmaci agiscono in particolare stimolando
una secrezione alcalina e quindi creando una specie di barriera a protezione
della mucosa. È importante
ricordare che le prostaglandine dovrebbero svolgere un effetto citoprotettivo
nei pazienti in trattamento con FANS. Sono comunque ancora contrastanti i dati
relativi all'efficacia di tali farmaci nella prevenzione dell'ulcera nei
pazienti in trattamento cronico con FANS.
Misoprostol.
E' un analogo sintetico delle prostaglandine che viene somministrato per os ad
una dose di 800 microg al giorno, ripartita in 2 o 4 somministrazioni,
preferibilmente dopo i pasti. Nell'ulcera duodenale ha un efficacia terapeutica
lievemente inferiore agli H2-antagonisti. L'effetto antalgico esercitato da
questo farmaco si instaura lentamente per cui, nei primi giorni di terapia, è
spesso indispensabile associare altri farmaci. Fra gli effetti indesiderati, non
frequenti, va ricordata prevalentemente la diarrea acquosa. E' controindicato in
gravidanza.
Una
serie di altri farmaci svolge un ruolo, oggigiorno, decisamente secondario. Non
vi sono infatti prove scientifiche valide che dimostrino che i farmaci
sottoelencati siano in grado di svolgere un reale effetto favorevole nel
trattamento dell'ulcera peptica.
In
primo luogo ricordiamo gli psicofarmaci con particolare riferimento agli
ansiolitici. Le benzodiazepine possono essere utilizzate nei pazienti che
presentano un marcato stato d'ansia o in coincidenza con situazioni di stress
importante. I più moderni farmaci anti-ulcera hanno comunque reso superfluo
l'impiego degli ansiolitici per il controllo della malattia ulcerosa. Deve poi
essere ricordata la sulpiride. Si tratta di un neurolettico che, mediante azione
centrale, determina un effetto antiemetico ed analgesico. Mentre in passato
veniva utilizzata con successo nella terapia dell'ulcera, oggi è scarsamente
impiegata.
In
secondo luogo si possono ricordare i sali biliari. In particolare l'acido
ursodesossicolico sembra essere in grado di modificare il rapporto fra i sali
biliari, con conseguente riduzione, in caso di reflusso duodeno-gastrico,
dell'effetto gastrolesivo esercitato dai sali refluiti.
Per
lo stesso motivo è stato proposto l'impiego della colestiramina, che ridurrebbe
la gastrolesività dei sali biliari, svolgendo un'azione chelante dei sali
stessi.
Il
loro impiego è indirizzato al trattamento dell'infezione da Helicobacter
pylori. Numerosi sono gli antibiotici che in vitro si sono dimostrati efficaci
nel neutralizzare questo batterio (eritromicina, tetracicline, amoxicillina,
fluorochinoloni, metronidazolo), ma gli stessi farmaci sono risultati
scarsamente attivi in vivo, se somministrati in mono terapia. La loro efficacia
in vivo viene potenziata dall'associazione con farmaci con potente effetto
antisecretivo che, realizzando un ambiente alcalino, determinano già di per sé
un effetto battericida. Gli antibiotici di più comune impiego sono oggi il
metronizadolo in associazione alla claritromicina o all'amoxicillina. Si segnala
che sono in aumento le infezioni da Helicobacter pylori
metronidazolo-resistenti.
E'
complessivamente sconcertante il numero dei farmaci per il trattamento della
malattia ulcerosa. Questo impone alcune considerazioni pratiche sulla scelta del
tipo di terapia da adottare nel paziente ulceroso.
Alla
base di un trattamento adeguato vi è, innanzitutto, una diagnosi corretta di
ulcera e l'esclusione, specie nel caso di ulcera gastrica, di malignità. Ne
deriva che la diagnosi di ulcera deve essere preferibilmente effettuata mediante
endoscopia, e comunque sempre associata a prelievo bioptico nel caso di ulcera
gastrica, tenendo peraltro presente che anche la biopsia può risultare
falsamente negativa in casi di linfomi gastrici ulcerati. Un controllo
endoscopico e bioptico, dopo un ciclo di terapia adeguato, è sempre consigliato
nel caso si tratti di ulcera gastrica. In tutti i casi si impone poi la ricerca
dell'infezione da Helicobacter pylori.
La
terapia dell'ulcera gastro-duodenale è oggigiorno indubbiamente una terapia
medica che, in maniera schematica, può riconoscere quattro momenti: la terapia
dell'ulcera in atto, la eradicazione dell'eventuale infezione da Helicobacter
pylori, la terapia di mantenimento e la terapia della recidiva ulcerosa. Non ci
addentriamo invece nel problema delle complicanze, alcune delle quali rendono
indispensabile il trattamento chirurgico: fra queste in particolare la
perforazione, la stenosi e l'emorragia che non si arresta dopo terapia medica. A
proposito della emorragia da ulcera peptica, a parte l'eventuale trattamento
emotrasfusionale, la terapia medica si basa sulla somministrazione di ranitidina
(50 mg ogni 6-8 ore) per via e.v. ed eventualmente sulla infusione continua di
somatostatina (3,5 microg/kg/ora) per un tempo massimo di 48-72 ore. In ambito
ospedaliero è disponibile anche l'omeprazolo per uso e.v.
Una
volta diagnosticata con certezza l'ulcera possono essere consigliate norme
generali quali l'astensione dal fumo, la sospensione o comunque la riduzione dei
farmaci gastrolesivi, la riduzione o la sospensione temporanea delle bevande
alcoliche ed una dieta bilanciata, ricca di fibre, suddivisa in almeno 3 pasti.
In attesa della diagnosi possono poi essere impiegati gli antiacidi, ma una
volta che la diagnosi sia stata accertata, e che sia stata ricercata l'eventuale
coesistenza dell'infezione da Helicobacter pylori, deve essere iniziata una
terapia più efficace.
Attualmente
gli H2-antagonisti e gli inibitori della pompa protonica costituiscono le classi
di farmaci che danno più sicurezza sia per l'efficacia terapeutica sia per il
ridotto numero di effetti indesiderati. A questo proposito deve essere
ulteriormente ricordata l'enorme esperienza mondiale nell'impiego di questi
farmaci. Difficile è comunque dire quale H2-antagonista o quale inibitore della
pompa debba essere utilizzato. Indubbiamente i farmaci più impiegati sono stati
la cimetidina (1 g/die), la ranitidina (300 mg/die) e l'omeprazolo (20-40
mg/die) per un periodo di 4-8 settimane (vedi paragrafo "Farmaci che
agiscono sulla secrezione gastrica"). La minor frequenza e importanza di
effetti indesiderati è invece stata riportata per la ranitidina e per
l'omeprazolo, che pertanto devono essere considerati farmaci di prima scelta.
In
presenza di infezione da Helicobacter pylori, durante i primi 7-14 giorni di
trattamento devono essere associati gli antibiotici efficaci nel neutralizzare
questo batterio (vedi paragrafo "Terapia dell'Helicobacter pylori").
Nel
caso in cui non si ottenga una rapida remissione della sintomatologia dolorosa
dell'ulcera si consiglia la sostituzione dell'H2-antagonista con un inibitore
della pompa protonica e, qualora il paziente sia già in trattamento con questo
tipo di farmaco, si consiglia l'aumento del dosaggio e del numero delle
somministrazioni giornaliere. A questo proposito va ulteriormente ricordato che
la contemporanea assunzione di antiacidi e H2-antagonisti riduce l'assorbimento
di questi ultimi e di conseguenza l'efficacia terapeutica. L'esperienza clinica
ed endoscopica insegnano che la terapia, sia come durata sia come posologia, non
deve essere basata solamente sulla sintomatologia, in quanto è dimostrato che
la scomparsa del dolore e cicatrizzazione non sempre vanno di pari passo: la
scomparsa del dolore non significa necessariamente cicatrizzazione dell'ulcera e
viceversa.
Dopo
un ciclo di 4-8 settimane con H2-antagonisti o con inibitori della pompa
protonica a pieno dosaggio è verosimile pensare che il 90% delle ulcere risulti
cicatrizzato. Il restante 10% vengono considerate ulcere non-responder o
refrattarie. In queste in passato veniva consigliata l'associazione di più
farmaci antiulcerosi, ma studi più recenti hanno dimostrato che tali
associazioni non realizzano un reale aumento di efficacia terapeutica. In queste
ulcere refrattarie oggi vengono consigliati un ciclo con inibitori della pompa a
dosaggi elevati e il controllo dell'avvenuta eradicazione dell'eventuale
infezione da Helicobacter pylori. Nel caso di ulteriore insuccesso devono essere
considerate ed escluse le seguenti possibilità:
1.
l'ulcera è di natura maligna;
2.
la compliance del paziente è inadeguata;
3.
il paziente è un forte fumatore;
4.
il paziente fa uso di FANS o di aspirina;
5.
è presente una condizione di marcata ipersecrezione gastrica.
Per
l'eradicazione dell'infezione da Helicobacter pylori sono stati proposti in
questi anni numerosi schemi terapeutici costituiti essenzialmente
dall'associazione di un farmaco antisecretivo e/o del bismuto citrato con uno o
due antibiotici. Mediante queste associazioni, che sono state impiegate anche
per periodi di 4 settimane, si sono ottenute fino al 95% delle eradicazioni
dell'infezione. L'impiego di queste associazioni per periodi così lunghi
determina però frequentemente effetti collaterali, quali diarrea e dispepsia,
che portano ad una ridotta compliance da parte dei pazienti. Per questo è stata
recentemente valutata l'efficacia di terapie condotte per periodi più brevi
(7-14 giorni) ed è stato dimostrato che tali terapie hanno equivalente
efficacia eradicante.
L'impiego
del solo bismuto citrato in associazione agli antibiotici determina una rapida
soppressione dell'Helicobacter pylori, ma in questo caso il batterio recidiva
rapidamente, ad indicare che l'eradicazione è stata incompleta.
Attualmente
gli schemi più utilizzati per il trattamento dell'infezione da Helicobacter
pylori prevedono il seguente protocollo per un periodo di 7 giorni: omeprazolo
20 mg b.i.d., metronidazolo 400-500 mg b.i.d., claritromicina 250-500 mg b.i.d.
La claritromicina può essere sostituita da amoxicillina 1 g b.i.d. Secondo
studi più recenti, ma meno convalidati, pari efficacia eradicante si otterrebbe
con l'impiego di ranitidina bismuto citrato e claritromicina ed eventualmente
metronidazolo per periodi di 14 giorni.
L'eradicazione
dell'Helicobacter pylori non riduce i tempi di cicatrizzazione delle ulcere
gastro-duodenali, mentre favorisce la cicatrizzazione delle ulcere refrattarie.
E' importante sottolineare che numerosi studi hanno dimostrato che
l'eradicazione dell'infezione diminuisce il numero delle recidive ulcerose,
anche nei fumatori.
L'assenza
dell'Helicobacter pylori dopo 4-6 settimane dall'interruzione della terapia
viene considerato espressione di avvenuta eradicazione. Reinfezioni sono
comunque possibili con frequenza del 1-5% circa per un anno.
Una
volta ottenuta la cicatrizzazione della lesione ulcerosa, dopo 4-8 settimane di
trattamento a pieno dosaggio, si pone il problema della profilassi delle
recidive. Nessuno dei farmaci antisecretivi è infatti in grado di influenzare
la storia naturale della malattia ulcerosa: tutti gli studi eseguiti hanno
dimostrato che, alla sospensione della terapia, l'ulcera recidiva in
un'altissima percentuale di casi. Solo l'eradicazione dell'infezione da
Helicobacter pylori consente di modificare la storia naturale dell'ulcera
riducendo in maniera significativa il numero delle recidive (nell'ulcera
duodenale da 85% a 5-20% a un anno), rendendo quindi superflua la terapia di
mantenimento. E' sulla base di questi studi che il Servizio Sanitario Nazionale
autorizza la prescrizione in fascia "A", quindi gratuita, degli
H2-antagonisti e degli inibitori della pompa protonica durante la terapia
dell'ulcera in atto, mentre ne autorizza la prescrizione gratuita per la terapia
di mantenimento.
Nonstante
i risultati degli studi più recenti e nonostante i limiti legislativi, la
terapia di mantenimento viene ancor oggi frequentemente attuata. Tale terapia,
che avrebbe lo scopo di ridurre la sintomatologia, il numero di recidive e il
rischio di complicanze, dovrebbe invece essere riservata ai pazienti che, sulla
base dei seguenti criteri, vengono definiti ad alto rischio:
1.pregresse
complicazioni da ulcera;
2.più
di 2 recidive in un anno;
3.ulcere
refrattarie;
4.mancata
eradicazione dell'infezione da Helicobacter pylori;
5.ulcere
Helicobacter pylori negative;
6.uso
di FANS;
7.forte
fumatore;
8.età
> 65 anni;
9.ulcere
non completamente cicatrizzate;
10.duodeno
deformato.
I
problemi della terapia di mantenimento riguardano la scelta del farmaco, la sua
posologia e la durata somministrazione. Il farmaco di scelta dovrebbe essere
quello che ha portato alla cicatrizzazione dell'ulcera. Tale farmaco dovrebbe
essere somministrato a dosi dimezzate rispetto al dosaggio utilizzato per il
trattamento dell'ulcera in atto. E' noto che il rischio di recidiva è elevato
soprattutto nei primi due anni e che in seguito progressivamente decresce. La
terapia di mantenimento dovrebbe essere quindi protratta per almeno 24 mesi.
Studi eseguiti negli anni '80, prima delle recenti conoscenze sull'Helicobacter
pylori, avevano dimostrato che la monosomministrazione serale di 150 mg di
ranitidina riduce le recidive ulcerose ad un anno dal 60-90% al 20-25%.
La
necessità di terapie così prolungate gioca senza dubbio a favore dei farmaci
che sono stati più utilizzati e che hanno dimostrato un minor numero di effetti
indesiderati anche nel lungo termine. Nell'attuale realtà in particolare la
ranitidina risponde esigenze. Mancano invece a tutt'oggi sicure evidenze in
questo senso per tutti gli altri farmaci descritti e a questo proposito va
ricordato che ogni farmaco, specie se nuovo, deve essere considerato
potenzialmente tossico nel trattamento a lungo termine fino a quando non venga
dimostrato il contrario.
Accanto
ad una terapia di mantenimento continuativa, ne è stata proposta una
intermittente, che si basa sulla stagionalità dell'ulcera e che quindi deve
essere instaurata all'inizio delle stagioni a "rischio ulcerogeno",
cioè primavera e autunno. La percentuale di recidive con la terapia
intermittente è comunque superiore rispetto alla terapia continua.
Recentemente
è stata proposta anche una terapia "pulsata" con omeprazolo (20 mg
tre giorni alla settimana). Questa terapia ridurrebbe le recidive a 6 mesi dal
67% al 23%.
Nonostante
l'eradicazione dell'infezione da Helicobacter pylori e la terapia di
mantenimento, l'ulcera può recidivare per motivi non ancora definiti. La
recidiva impone che il trattamento anti-ulcera venga ripristinato a dosi piene,
come precedentemente descritto, e che venga ricercata e trattata l'eventuale
infezione da Helicobacter pylori. Nel caso di recidiva di ulcera gastrica non
deve essere sottovalutata l'importanza di un controllo endoscopico e bioptico
della lesione, per escludere con certezza la malignità della stessa.
Bayless
T.M. (ed.): Current therapy in malattie dell’apparato digerente e del
fegato, edizione italiana. Doyma Italia, 1996.
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Sleisenger
M. H., Fordtran J.S. (eds.): Gastrointestinal diseases. W.B. Saunders
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Emilio
Pisi
Professore
Ordinario
Di
Medicina Interna
Direttore
Dipartimento di Medicina Interna,
Cardioangiologia,
Epatologia
Università
di Bologna
Marco
Zoli
Professore
Associato
Di
Semeiotica e Metodologia Medica
Università
di Bologna
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