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La dissoluzione degli Imperi
La soluzione diplomatica che prevalse al termine della prima guerra mondiale disegnò un quadro politico dell'Europa completamente differente da quello del 1914. La scomparsa di tre imperi (russo, tedesco, austroungarico) fu colmata dalla creazione di nuove unità statali, entro le quali l'identità nazionale era tutt'altro che omogenea. Si trattò di un autentico terremoto geopolitico che investì particolarmente l'area centrorientale dell'Europa, laddove oltre 250 milioni di persone (russi, tedeschi ed ex sudditi austroungarici) videro modificarsi sotto i loro occhi antichi confini e cadere autorità secolari. Dovettero perciò cominciare a fondare su nuove basi le loro relazioni sociali e politiche. In Russia la dissoluzione dell'impero zarista, sopraggiunta già prima della fine del conflitto, era stata accelerata dal processo rivoluzionario sfociato nell'instaurazione del regime bolscevico.
In Germania e nell'Austria-Ungheria il disfacimento della compagine imperiale coincise con la sconfitta militare, così che la soluzione al vuoto di potere determinatosi nel 1918 fu in parte lasciata alle decisioni delle potenze vincitrici. Se per l'ex impero asburgico si trattava di sanzionare quel frazionamento tra nazioni che era già in atto prima del conflitto, nel caso della Germania bisognava fare i conti da una parte con lo spirito punitivo della Francia e dall'altra con la coesione nazionale dei tedeschi. Gran Bretagna e Francia, imponendo pesanti sanzioni economiche e amputazioni territoriali, ferirono il sentimento nazionale dei tedeschi: l'umiliazione risultava ancor più grave per il fatto che l'esercito tedesco, a differenza di quello austriaco, non aveva subito una vera e propria disfatta.
Comunque risultò chiaro sia ai vinti sia ai vincitori che la guerra aveva preparato il declino dell'Europa. L'instabilità dei suoi confini centrorientali lasciava presagire un futuro di tensioni interstatali: a est la Russia bolscevica apriva una potente minaccia ideologica all'ordine europeo e al di là dell'Atlantico irrompevano due nuove grandi potenze, quali gli Stati Uniti e il Giappone, candidate a rimpiazzare le potenze europee nella conduzione del capitalismo mondiale.
Conseguenze economiche
Ancor più grave fu il dissesto finanziario i cui effetti negativi si aggiunsero ai problemi derivanti non solo dalla riconversione delle industrie dalla produzione militare a quella civile, ma più in generale dal riassetto di un intero sistema economico. La guerra per oltre quattro anni aveva finalizzato la produzione, gli scambi, la gestione monetaria, la macchina burocratica degli stati, realizzando la mobilitazione totale delle risorse umane e materiali. Ne erano state sconvolte le regole precedenti.
Per quanto concerne l'aspetto finanziario, la guerra aveva generato un enorme disavanzo nei bilanci statali, sollecitati alla spesa dalle esigenze militari. Nelle transazioni monetarie l'instabilità dei cambi aveva prodotto inflazione e svalutazione a livelli incontrollati. In queste condizioni rimettere sotto controllo le finanze statali si presentava come un problema arduo, dai complessi risvolti sociali e politici, prima che tecnici. Anche la situazione industriale apparve di difficile gestione nel momento in cui vennero a mancare le commesse statali, che in tempo di guerra avevano trainato interi settori, quali il meccanico, il tessile, il chimico. Insorsero gravi problemi legati alla riconversione dell'industria bellica. Inoltre bisognava trovare un lavoro per i milioni di reduci dal fronte.
Il Trattato di Versailles
Il trattato di pace con la Germania, Versailles 28 giugno 1919, non fu negoziato ma imposto:
Conflitti sociali
La guerra aveva innescato profondi e ampi sommovimenti in tutte le società coinvolte e aveva depositato nella coscienza di milioni di uomini il ricordo brutale della violenza. Dal rifiuto morale che molti soldati e ufficiali elaborarono in risposta ai massacri, scaturì un odio profondo verso la guerra che si tramutò in un impulso di riscatto. Sentimenti simili furono all'origine della Rivoluzione Russa del 1917, ma anche delle lotte operaie e contadine che si manifestarono in Germania, in Francia, in Italia tra il 1917 e il 1922. Al contrario, nei soldati che non avevano avvertito un'opposizione morale alla guerra, l'esperienza sotto le armi aveva lasciato impressioni di forza bruta, abitudini all'uso della violenza, attitudine alla prevaricazione fisica, tutte componenti queste che prepararono il clima psicologico delle forze reazionarie attive in Europa già dal 1919. La crisi del dopoguerra infine, se travolse operai e contadini, agrari e industriali, turbò ancora di più i ceti medi, esposti ai contraccolpi dell'inflazione e alla perdita di reddito e di prestigio, predisponendoli a favorire soluzioni autoritarie con le quali liquidare i conflitti ideologici e gli squilibri sociali.