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Per certi versi, paradossalmente, gli italiani ed il mondo intero devono molto a Mussolini, almeno a giudicare dalle osservazioni della RIEFENSTHAL, la famosa regista, che, a fine guerra, riporta alcune confidenze di Hitler "Per noi, l'entrata in guerra dell'Italia è stata una sventura, se non attaccavano la Grecia che provocò il nostro intervento di aiuti, il conflitto sarebbe evoluto diversamente. In Russia, avremmo anticipato la morsa del gelo, conquistando Leningrado e Mosca, nè mai ci sarebbe stata alcuna Stalingrado" . Appare dunque probabile che la scellerata avventura bellica dell'Italia abbia contribuito alla caduta del nazismo. I molti italiani che sono andati a morire su tutti i fronti senza nemmeno sapere per quale buona ragione stesse accadendo proprio a loro tutto ciò, dovrebbero almeno avere per epitaffio la frase sopra riportata.
Benito Mussolini
Filmato Mussolini ( 2,8 MB)
Nacque a Dovia di Predappio (Forlì) il 29 luglio del 1883. Figlio di Alessandro, fabbro ferraio, e di Rosa Maltoni, maestra elementare, visse un'infanzia modesta. Studiò nel collegio salesiano di Faenza (1892-93) e poi nel collegio Carducci di Forlimpopoli, conseguendo nel 1901 il diploma di maestro elementare. Quello stesso anno, in dicembre, viene assunto quale "supplente" nella scuola elementare di Pieve di Siliceto. Iscrittosi al Partito Socialista Italiano sin dal 1900, mostrò subito un acceso interesse per la politica attiva stimolato tra l'altro dall'esempio del padre, esponente di un certo rilievo del socialismo anarcoide e anticlericale di Romagna. Emigrato in Svizzera (1902) per sottrarsi al servizio militare, entrò in rapporto con Serrati, A. Balabanov e altri rivoluzionari, ponendo contemporaneamente le basi della propria cultura politica, in cui si mescolavano gli influssi di Marx, Proudhon e Blanqui insieme a quelli di Nietzsche e Pareto. Ripetutamente espulso da un cantone all'altro per il suo attivismo anticlericale e antimilitarista, rientrò in Italia nel 1904 approfittando di un'amnistia che gli permise di sottrarsi alla pena prevista per la renitenza alla leva e compì il servizio militare nel reggimento bersaglieri di stanza a Verona. Ottenuta una supplenza a Caneva di Tolmezzo, il 17 febbraio del 1907 venne posto in congedo dai suoi superiori, dopo una sua anticlericale e rivoluzionaria commemorazione di Giordano Bruno. La Polizia lo schedò come "sovversivo" e "pericoloso anarchico".
Dopo aver insegnato francese qualche tempo in una scuola privata a Oneglia (1908), dove collaborò attivamente al periodico socialista "La lima" con lo pseudonimo di "Vero Eretico", tornò a Predappio, dove si mise a capo dello sciopero dei braccianti agricoli. Il 18 luglio fu arrestato per aver minacciato un dirigente delle organizzazioni padronali. Processato per direttissima, fu condannato a tre mesi di carcere. Dopo 15 giorni è posto in libertà provvisoria dietro cauzione. In settembre venne incarcerato per dieci giorni, per aver tenuto a Meldola un comizio non autorizzato.
Ricoprì quindi la carica di segretario della Camera del Lavoro di Trento (1909) e diresse il quotidiano "L'avventura del lavoratore". Presto in urto con gli ambienti moderati e cattolici, dopo sei mesi di frenetica attività propagandistica, non priva di successo, fu espulso anche da qui tra le proteste dei socialisti trentini, suscitando una vasta eco in tutta la sinistra italiana. Tornato a Forlì, Mussolini si unì, senza vincoli matrimoniali né civili né religiosi, con Rachele Guidi, la figlia della nuova compagna del padre e da essa ebbe, nel settembre 1910, la prima figlia Edda (Vittorio sarebbe nato nel 1916, Bruno nel 1918, Romano nel 1927, Anna Maria nel 1929, mentre nel 1915 sarebbe stato celebrato il matrimonio civile e nel 1925 quello religioso). Contemporaneamente la federazione socialista forlivese gli offriva la direzione del nuovo settimanale "Lotta di classe" e lo nominava proprio segretario. Nei tre anni in cui conservò tali incarichi, M. dette al socialismo romagnolo una sua impronta precisa, fondata su istanze rivoluzionarie e volontaristiche, ben lontane dalla tradizione razionale e positivista del marxismo così come era interpretato dagli uomini più rappresentativi del P.S.I.
Dopo il congresso socialista di Milano dell'ottobre 1910 ancora dominato dai riformisti, M. pensò di scuotere la minoranza massimalista, anche a rischio di spaccare il partito, provocando l'uscita dal P.S.I. della federazione socialista forlivese, ma nessun altro lo seguì nell'iniziativa. Quando sopraggiunse la guerra di Libia a mutare i rapporti di forza tra le correnti del socialismo italiano, M. (che del resto era stato condannato a un anno, poi ridotto a cinque mesi e mezzo, di reclusione per le manifestazioni organizzate in nel settembre del 1911 Romagna contro la guerra in Africa, trasformate in azioni rivoluzionarie di sabotaggio) apparve come l'uomo più adatto a impersonare il rinnovamento ideale e politico del partito. Nel luglio del 1911 fu uno dei protagonisti del congresso di Reggio nell'Emilia: si pose alla testa degli intransigenti, deplorando i deputati che si erano congratulati con il Re per lo scampato pericolo e riuscendo ad ottenere l'espulsione dei "traditori". Assunse la direzione dell' Avanti! il 1° dicembre del 1912. Lo scoppio del conflitto mondiale lo trovò allineato sulle posizioni ufficiali del partito, di radicale neutralismo. Nel giro di qualche mese, tuttavia, in lui maturò il convincimento - comune ad altri settori dell' "estremismo" di sinistra - che l'opposizione alla guerra avrebbe finito per trascinare il PSI a un ruolo sterile e marginale, mentre sarebbe stato opportuno sfruttare l'occasione offerta da questo sconvolgimento internazionale per far percorrere alle masse quella via verso il rinnovamento rivoluzionario dimostratasi altrimenti impossibile. Dimessosi perciò dalla direzione dell'organo socialista il 20 ottobre, due giorni dopo la pubblicazione di un articolo dal titolo chiaramente indicatore del suo mutato programma, "Dalla neutralità assoluta alla neutralità attiva ed operante", pensò di realizzare un suo quotidiano. Il giorno dopo l'assemblea straordinaria del PSI milanese approvò la linea propugnata da Mussolini. Ma la direzione nazionale la pensava diversamente. Il 15 novembre pertanto, M. accettando l'aiuto di un gruppo di finanziatori facenti capo a Filippo Naldi, pubblicò "Il popolo d'Italia", ultranazionalista, radicalmente schierato su posizioni interventiste a fianco dell'Intesa e in grado di conseguire immediatamente un clamoroso successo di vendite. Espulso di conseguenza dal PSI (24-29 novembre 1914), nell'aprile del 1915 fu arrestato a Roma mentre si accingeva a presiedere un comizio interventista. Un mese dopo, il 24 maggio, quando l'Italia entrò in guerra, definì questa giornata "la più radiosa della nostra storia". Richiamato alle armi (agosto 1915), dopo essere stato ferito durante un'esercitazione (febbraio 1917), poté ritornare alla direzione del suo giornale, dalle colonne del quale, tra Caporetto e i primi mesi del 1918, ruppe gli ultimi legami ideologici con l'originaria matrice socialista, in nome di un superamento dei tradizionali antagonismi di classe, prospettando l'attuazione di una società produttivistico-capitalistica capace di soddisfare le aspirazioni economiche di tutti i ceti. Con la fine della guerra, la fondazione dei fasci di combattimento avvenuta a Milano, in Piazza San Sepolcro, il 23 marzo 1919, benché facesse appello alle simpatie di elementi quanto mai eterogenei e si basasse su un ambiguo programma mescolante in modo spregiudicato istanze radicali di sinistra e fermenti di acceso nazionalismo, non ebbe inizialmente successo. Tuttavia, man mano che la situazione italiana si andava deteriorando e il fascismo si caratterizzava come forza organizzata in funzione antisocialista e antisindacale, M. otteneva crescenti adesioni e favori da agrari e industriali e quindi dai ceti medi. Alle elezioni del maggio 1921 alla Camera vennero eletti 36 deputati fascisti.
Il 24 ottobre del 1922, in una riunione all'Hotel Vesuvio di Napoli, M. e i suoi collaboratori decisero di marciare su Roma. Il 27 ottobre, quando i fascisti erano alle porte della capitale, il presidente del Consiglio Factapresentò le sue dimissioni. Il 28 ottobre i fascisti entrarono a Roma. Il Re rifiutò di firmare il decreto per lo stato di assedio e il 30 ottobre diede a M. l'incarico di costituire il governo. Mussolini costituì un gabinetto di larga coalizione al quale inizialmente parteciparono anche i popolari (ne uscirono nell'aprile del 1923). Il 17 novembre la Camera approva il governo con 306 voti favorevoli e 116 contrari.
Consolidato ulteriormente il potere dopo le elezioni del 1924 (il "listone" dei fascisti e liberali ottiene 356 deputati; i popolari conquistano 40 seggi, i socialisti 47, i comunisti 18, gli altri partiti 45), M. fu messo per qualche tempo in grave difficoltà dall'assassinio del deputato socialista G. Matteotti. Il discorso del 3 gennaio 1925 con cui egli rivendicò a sé ogni responsabilità politica e morale dell'accaduto segnò però la sua controffensiva e la pratica liquidazione del vecchio Stato liberale. Alla fine di quello stesso anno M. fu fatto oggetto di una serie di attentati. Il primo fu ideato (novembre 1925) dal socialista e massone T. Zaniboni, ma le spie dell'O.V.R.A. (Opera di Vigilanza e di Repressione dell'Antifascismo) lo evitarono. Il 7 aprile 1926 un'anziana signora irlandese, Violet Gibson, sparò a M. durante una cerimonia al Campidoglio, ma il proiettile gli sfiorò appena il volto. Nel settembre dello stesso anno l'anarchico G. Lucetti lanciò una bomba contro l'auto del capo del fascismo; l'ordigno scivolò sul tetto della vettura ed esplose a terra ferendo lievemente soltanto un passante. Sempre in quell'anno, nell'ottobre, un altro attentato fu attribuito a un giovane (Anteo Zamboni) che avrebbe sparato, senza successo, sfiorando appena il bersaglio, e che fu subito dopo pugnalato a morte dai legionari fascisti. M. si salvò da altri due attentati progettati e non eseguiti per ingenuità o per mancanza di determinazione nel 1931 e nel 1932 rispettivamente dagli anarchici Schirru e Sbardellotto, che furono condannati a morte solo perché avevano avuto l'intenzione di commettere il reato. Il 21 aprile del 1927 venne pubblicata la "Carta del Lavoro", che prevedeva 22 corporazioni. L'11 febbraio del '29 M. firmò i Patti Lateranensi con il Vaticano che rappresentavano la conciliazione fra lo Stato italiano e la Santa Sede.
Un'incessante propaganda cominciò a esaltare in maniera spesso grottesca le doti di "genio" del "duce supremo" (il titolo dux fu attribuito a M. dopo la marcia su Roma), trasfigurandone la personalità in una sorta di semidio "insonne" che aveva "sempre ragione" ed era l'unico in grado di interpretare i destini della patria.
In politica estera, dopo lo sconcertante episodio di Corfù occupata dalle truppe italiane nel 1923 e la decisa presa di posizione contro la minaccia tedesca di annessione dell'Austria, cui fece seguito il Convegno di Stresa con Francia e Gran Bretagna (1935) che parve delineare un comune fronte antihitleriano, M. si gettò nella conquista dell'Etiopia: il 3 ottobre 1935 le truppe italiane varcarono il confine con l'Abissinia; alla minaccia delle "sanzioni" formulate a Ginevra rispose con l'autarchia. Il 9 maggio 1936 M. annunciò la fine della guerra e la nascita dell'Impero italiano d'Etiopia. Ma l'impresa, se da un lato segnò il punto più alto della sua popolarità in patria, dall'altro lo inimicò con la Gran Bretagna, la Francia e la Società delle Nazioni, costringendolo a un lento ma fatale avvicinamento alla Germania. Il 6 novembre del 1937 l'Italia firmò il "Patto Anticominform" con Germania e Giappone. L'11 dicembre di quello stesso anno uscì dalla Società delle Nazioni. Nel frattempo l'Italia emanava le leggi razziali contro gli ebrei, che entrarono in vigore il 17 novembre del '38. Nel 1939, infine, M. firmò il "patto d'Acciaio" legandosi definitivamente a Hitler.
La sfida all'Inghilterra ed alla Società delle nazioni, la sua apoteosi di "fondatore dell'Impero" e di primo maresciallo (30 marzo 1938) e, infine, il comando supremo delle truppe operanti su tutti i fronti (11 giugno 1940) assunto il giorno dopo l'ingresso in guerra al fianco dell'Asse, furono l'inizio della fine per il regime fascista. M. scelse di entrare in guerra benché impreparato e contro le idee dei suoi più vicini collaboratori (Badoglio, Grandi, Ciano), nell'illusione di un veloce e facile trionfo. Egli stesso dirà in un discorso di considerare "la pace perpetua come una catastrofe per la civiltà umana". In realtà ottenne solo insuccessi che ridiedero spazio a tutte le energie contrarie al fascismo precedentemente represse. E così vennero le gravi vicende della guerra, in Grecia (1941) e poi in Egitto (1942); il proposito di stendere sul "bagnasciuga" i nemici che avessero osato porre il piede sul suolo d'Italia (24 giugno 1943); fino a che, dopo l'invasione anglo-americana della Sicilia e il suo ultimo colloquio con Hitler (19 luglio 1943), fu sconfessato da un voto del Gran Consiglio (24 luglio) e fatto arrestare dal re Vittorio Emanuele III (25 luglio). Trasferito a Ponza, poi alla Maddalena e infine a Campo Imperatore sul Gran Sasso, il 12 settembre fu liberato dai paracadutisti tedeschi al comando del Maggiore della Luftwaffe Harald Mors (Otto Skorzeny in realtà aveva compiuto il lavoro di indagine sui luoghi dove Mussolini veniva tenuto prigioniero; lui aveva individuato e sorvolato per primo Campo Imperatore; gli fu perciò permesso di seguire da osservatore e senza mansioni di comando la missione). Mussolini liberato fu portato in Germania, da dove il 15 settembre proclamò la ricostituzione del Partito Fascista Repubblicano.
Ormai stanco e malato e in completa balia delle decisioni di Hitler, si insediò quindi a Salò, capitale della nuova Repubblica Sociale Italiana (fondata il 23 settembre 1943), inutilmente cercando di far rivivere le parole d'ordine del fascismo della "prima ora". Sempre più isolato e privo di credibilità, quando le ultime resistenze tedesche in Italia furono fiaccate M., trasferitosi a Milano, propose ai capi del C.L.N.A.I. (Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia) un assurdo passaggio di poteri, che fu respinto. Travestito da militare tedesco, tentò allora, insieme alla compagna Claretta Petacci, la fuga verso la Valtellina. Riconosciuto a Dongo dai partigiani, fu arrestato e il 28 aprile 1945 giustiziato insieme alla Petacci, per ordine del C.L.N., presso Giulino di Mezzegra. Più tardi i loro corpi, assieme a quelli degli altri gerarchi, vennero esposti nel Piazzale Loreto, a Milano.
A NON VOLERE LA GUERRA ERA RIMASTO SOLO MUSSOLINI
"Sembra che come pacifista, in Italia, sia rimasto solo io" (Mussolini dal Diario di Ciano)
Quando Hitler aveva occupato l'Austria, ne aveva dato comunicazione a Mussolini soltanto a cose fatte. Un sistema che poi avrebbe adottato per tutte le sue altre imprese. L'ingordigia di Hitler non aveva più freni. Il 15 marzo 1939 ingoiò sotto diverse forme tutta la Cecoslovacchia. Il 7 maggio l'Italia e la Germania firmavano il Patto d'acciaio, una vera e propria bomba che recitava all'articolo tre: "Se malgrado i desideri e le speranze delle parti contraenti dovesse accadere che una di esse venisse impegnata in complicazioni belliche con un'altra o altre potenze, l'altra parte contraente si porrà immediatamente come alleato al suo fianco e la sosterrà con tutte le sue forze militari per terra, per mare e nell'aria".
La rete si era chiusa. Hitler aveva in mano una cambiale in bianco che gli consentiva la più ampia libertà di manovra con la connivenza italiana. Il 24 agosto il dittatore nazista annuncia un altro colpo di mano, la firma dell'accordo di non belligeranza con Mosca per avere campo libero nel suo piano di invasione della Polonia. Mussolini ingoia il rospo ("ma come! ho lottato una vita a combattere contro i comunisti e ora quello lì si allea"! che figuraccia in Italia con i comunisti!! perfino imbarazzante)) inoltre è consapevole di non essere preparato militarmente ad avventurarsi in un conflitto armato; ma il primo settembre 60 divisioni tedesche occupano la Polonia e due settimane dopo Varsavia capitola.
Francia e Inghilterra per i patti stipulati in precedenza con la Polonia, dichiarano guerra alla Germania. Ma l'impegno sul fronte orientale fu quasi ininfluente. La voglia di "morire per Danzica" i Francesi non l'avevano. Il 70 per cento degli studenti disse, no, la popolazione il 90 per cento.
I francesi combatterono per 11 giorni, subirono 1800 perdite, arretrarono e si ritirarono nella loro Maginot a fare la guerra da seduti. La sitz krieg, dileggiata dai tedeschi che invece adottarono poi la blitz krieg (guerra lampo).
Per gli inglesi l'impegno fu ancora minore, la percentuale di non interventisti era come in Francia. Il suo "appoggio" ai polacchi, in questa guerra che nessuno in patria voleva, registrò un solo caduto.
A "pagare" furono solo i polacchi. I morti non si sapranno mai. Ma i prigionieri sappiamo furono 910.000. Questi erano andati incontro ai panzer con i cavalli, come ai tempi dello Zar.
Mussolini pur esistendo il "patto d'acciaio", si era dichiarato subito di voler "rimanere estraneo al conflitto", usò anche un neologismo, "non belligerante", perché sa di essere impreparato per stare a fianco del Furher anche se ne soffre per tre ben precisi motivi: la sua simpatia per Hitler, la sua antipatia per Stalin, e il disprezzo che nutre per la Francia e l'Inghilterra, ancora dalla Grande Guerra (Versailles) - Al Consiglio dei ministri così Grandi ce lo descrive "Era troppo evidente che contrastanti sentimenti cozzavano in lui. La delusione, l'amarezza, seppure contenute attraverso un linguaggio freddo, traspiravano da ogni parola. Terminò la seduta dichiarando che era dovere ed interesse dell'Italia rimanere estranea al conflitto dopo che la Germania era venuta meno ai suoi impegni di alleata". Sorprese tutti; amici e nemici. Per giorni e settimane evitò tutti, le folle, i gerarchi, le manifestazioni pubbliche. Si chiuse in un mutismo totale. In una occasione si affacciò al "suo balcone"; lo applaudirono come uomo della pace, rispose stizzito e sarcastico, "é quello che volevate no?" e girò i tacchi.
Arriviamo al 21 ottobre del '39. La guerra in Polonia si è conclusa in modo fulmineo. Tutti si chiedono ora cosa farà Hitler? Ha tutte le divisioni disimpegnate. Dove le dirigerà e quando?
E' il momento più terribile per Mussolini. Non sa da che parte andare. Con chi allearsi. Hitler lo ha perfino umiliato quando Mussolini gli ha chiesto di voler far qualcosa per lui se solo avesse avuto i mezzi (che chiese proprio a Hitler, rivelandogli: "sulla preparazione bellica italiana...... Considero mio sacro dovere di amico leale dirvi l'intera verità" - buttò giù la maschera, in casa non aveva nulla o quasi - lo vedremo a suo tempo nei vari anni del conflitto). Il Furher gli rispose quasi ironico, consigliandogli di fare solo propaganda anti francese e inglese, di occuparsi solo della "pubblicità" e basta. E lui dovette ubbidire.
Del resto mettersi contro Hitler voleva dire farlo scendere dal Brennero. Non era un mistero questa mossa. Due alti funzionari, a Praga e a Dresda, avevano riferito in un banchetto, non proprio sobri, che "nello spazio vitale della Germania figurava l'Alto Adige, Trieste, l'intera pianura padana, con lo sbocco sul mare Adriatico". Era presente un console italiano, e uno dei due che aveva fatto l'inquietante dichiarazione, era il nuovo sindaco di Praga.
Ma anche mettersi con Francia e Inghilterra, dopo aver visto il blando e fittizio "appoggio" dato alla Polonia, non è che Mussolini aveva molte scelte; per evitare la "padella" si sarebbe ritrovato nella "brace". E per come andarono poi le cose al di là del Reno, il 10 maggio del 1940, non è che sbagliò valutazione. Se la Francia capitolò in un mese, e l'appoggio dell'Inghilterra durò solo 5 giorni (Il Corriere della Sera del 24 giugno- parlerà di vera e propria diserzione degli inglesi dai campi di battaglia sul suolo francese) per l'Italia bastavano poche ore. In Alto Adige, i Sudtirolesi, già si stavano organizzando per dare il benvenuto ai tedeschi (quello che poi fecero l'8 settembre sera del 1943, alle ore 18.03 (tre minuti dopo Radio Algeri, due ore prima la lettura del comunicato di Badoglio -vedi 1943).
Comunque gli ultimi giorni di non belligeranza furono per Mussolini i peggiori della sua vita. Cercava di capire dov'era il male minore. Non era facile!
Se dobbiamo credere al Diario di Ciano, Mussolini tentenna tra i due mali: quello immediato (la colonizzazione tedesca) e quello futuro (se Hitler perde la guerra): "Mi ha telefonato il Duce che dice "se pensano di spostare un solo metro il palo della frontiera, sappiano che ciò non avverrà senza la più dura guerra, nella quale coalizzerò contro il germanesimo tutto il mondo. (ma a chi avrebbe chiesto aiuto? Ndr) E metteremo a terra la Germania per almeno due secoli" Mussolini era indignato "Questi tedeschi mi costringeranno ad ingoiare il limone più aspro della mia vita. Parlo del limone francese". Sta dunque pensando di allearsi con la Francia? (Per la fine che poi fece la Francia il 10 Maggio, sarebbe stato un vero disastro per l'Italia). Per vendetta (e per il tradimento del Patto) Hitler avrebbe sull'Italia infierito oltre misura, e senza tanta strategia, ora che sapeva (dopo la famosa lettera di Mussolini citata sopra) che l'Italia non aveva nulla. Che era tutto un bluff.
Ed aveva tutte le armate ai valichi est, nord, e ovest. Gli bastavano due, al massimo tre ore per scendere su Udine, Verona, Ivrea.
Dall'America Roosevelt (dopo le varie relazioni dei suoi emissari) tentò una pacificazione prima che scoppiasse il peggio. "Hitler gli rispose sprezzante "Io sono il capo di una povera nazione, voi signor Roosevelt parlate di pace e avete uno spazio vitale quindici volte più grande; parlate anche di giustizia, ma io non posso sentirmi responsabile dei destini del mondo, visto che il mondo non si è mai interessato prima d'ora delle condizioni pietose del mio popolo e della mia Germania".
Il 10 maggio 1940 le armate di Hitler invadono l'Olanda e il Belgio e dilagano in Francia. Mussolini non può più tirarsi indietro; il 10 giugno scende in armi al fianco dell'alleato tedesco. Il prologo era finito, il primo atto della tragedia (che non poteva evitare) si stava compiendo.
Nell'anno 1940 abbiamo visto un CIANO alla vigilia dubbioso e quasi ostile ai tedeschi. Ma il 20 maggio, a Milano, prima di recarsi a Berlino per incontrarsi con Hitler, fa un discorso che ha una profonda ripercussione. Tutta la stampa si schiera con Ciano e con le sue parole, "pronunciate in un clima di fascistissimo ardore e formidabile entusiasmo". Anche se Mussolini non ha ancora rotto "gli indugi".
Tentennerà fino al 5 giugno, poi si decise. Ma Hitler lo blocca. Sa di aver vinto la partita da solo e non vuole alleati per spartire la "torta" Francia. Mussolini rinvierà l'entrata in guerra il 10 giugno "quando dichiarerà che "...secondo le leggi della morale fascista, quando si ha un amico si marcia con lui fino in fondo... Popolo italiano corri alle armi..... !!!"
Perchè si decise? Vi fu spinto da tutta l'opinione pubblica, di ogni ceto. A parte le enfatiche e pompose pagine di "tutti" i giornali, le battute della gente comune in Italia non mancavano (ed erano anche piuttosto realiste): "per fortuna che l'Italia è alleata della Germania, altrimenti li avremmo in due giorni addosso"; tutti hanno paura di non poter saltare sul "treno Hitler" che va di corsa verso Parigi. "Perché mai ci siamo alleati allora con Hitler, per stare a guardare?'". E se Prezzolini spingeva all'azione gli italiani, Berto (che fra l'altro non era un fascista!) li offendeva pure: "starsene inerti a guardare gli avvenimenti è la cosa piu' vile che si possa fare". E così molti altri, fior di intellettuali, a dire le stesse cose sui giornali, come questa sul Bertoldo: "chi aspira spara, e chi non spara, spira".
Ma non c'era bisogno nemmeno degli intellettuali, tutti gli italiani (anche il più stupido) erano convinti che bisognava salire sul carro del vincitore. Hitler si era permesso di ricacciare gli inglesi sull'isola e ora stava occupando l'intera Francia. Ed entrambe non erano il piccolo Stato di San Marino o il Principato di Monaco, ma due potenze mondiali travolte in una decina di giorni; (l'Inghilterra in cinque giorni!) perfino umiliate e dileggiate sulla stampa nazionale.
"... fanno la figura di cattivi dilettanti in paragone con i tedeschi. Non ci s'improvvisa soldati e tanto meno quando si tratta di fronteggiare delle truppe come quelle del Terzo Reich.
Forzata la prima linea chi può ora minacciare le fortezze mobili dell'esercito di Hitler? Superiorità di materiale? Non c'è dubbio....Velocità? Anche.... Ma vogliamo immaginare che queste fortezze mobili tedesche hanno una corazza imperforabile come la pelle di Sigfrido dopo il bagno di sangue del drago" (Giornale di Sicilia, 25 maggio 1940 - e molti altri con lo stesso tono).
"IL FUHRER DIRIGE PERSONALMENTE LE OPERAZIONI DELL'OFFENSIVA - Questa è la realtà. E i suoi generali, anche quelli altolocati, sono esecutori collaboratori di dettagli....e presuppongono non soltanto un'assolutamente eccezionale facoltà di concentrazione, quali tutti ormai riconoscono a Hitler, ma nello stesso tempo una vastità di concezione, una forza e un'audacia di decisione che, pur tributando il giusto riconoscimento ai generali, soltanto il Fuhrer può avere in questo momento" (Ibid.)
" GUAI AI NON PROTAGONISTI - Oggi non è più tempo di reclamare i nostri diritti calpestati facendo appelli a tardivi atti di resipiscenza; non è più tempo di piangere sulle tombe dei nostri seicentomila caduti nella Grande Guerra...è tempo di realizzare i nostri diritti, realizzarli nella sola maniere nella quale potevano e dovevamo realizzarli, con la precisa volontà di mantenere alto e puro il prestigio dell'Italia quale grande potenza operaia, guerriera e fascista, che intende mantener fede ai suoi impegni, e insieme con essi, al suo più grande destino. Nelle vicende di questi giorni si combatte una guerra che non è soltanto grande per le sue dimensioni belliche, ma che è tale, soprattutto per la funzione storica che assolve, fatalmente, come moto di giustizia e di liberazione. Funzione al cui sviluppo noi abbiamo preso e più prenderemo attivamente parte.
E GUAI AI VINTI ED AI NON PROTAGONISTI. (ibid)
Poi c'erano i "tutori" della Nazione. Il piccolo Re con i grossi stivali (di sette leghe, che gli serviranno poi nel '43 per scappare) smise all'improvviso di essere un insofferente antitedesco; la sua frase che girava negli alti comandi militari era "gli assenti hanno sempre torto".
Poi volle anche strafare a blitz concluso. In pompa magna cinse il collo di Goering con il collare dell'Annunziata, che vuol dire trasformarsi in "cugino del Re". (Al processo di Norimberga, a Goring gli stavano mettendo un altro "collare" meno nobile, ma preferì suicidarsi)
Il Re, aveva già dimenticato la congiura ordita soli pochi mesi prima. Un golpe antifascista per scaricare Mussolini. L'anno prima infatti, dalla fine di luglio al 19 agosto, fu messo in atto un tentativo per evitare la catastrofe dell'implicazione italiana nel conflitto polacco, che ebbe per protagonisti Dino GRANDI e un personaggio insospettabile, il Principe UMBERTO di Savoia (ispiratrice forse sua moglie MARIA JOSE ). La rivelazione dell'episodio -passato inosservato ai più- ma che stava per mutare il corso della nostra storia, ci viene da un giornalista americano, FRANK STEVENS, che il 10 ottobre 1939 scrisse sul "El Tiempo", quotidiano di Bogotà, un'ampia corrispondenza dall'Italia in cui, esaminando la situazione politica del nostro Paese, dava notizia di una "congiura delle barbette" che, facendo perno su DINO GRANDI e ITALO BALBO, mirava a provocare un voto di sfiducia nel Gran Consiglio fascista per consentire al Re di destituire Mussolini e di formare un nuovo governo presieduto dal maresciallo Badoglio, formato da personalità ostili al fascismo o da fascisti di tendenza antitedesca.
(ma qualcosa del genere era già accaduto nel 1922, alla Marcia su Roma e accadrà ancora nel 1943, il 25 luglio. E quasi con gli stessi protagonisti
Montanelli il 27 nov 2000, sul Corriere della Sera, scrive che quella della "Congiura delle barbette" (riferita qui) è una notizia degna di un giornale di Bogotà. Ma sappiamo poi il seguito. Balbo morto, Grandi fu il protagonista alla famosa seduta (ci andò con in tasca due bombe a mano) poi dovette far fagotto per non finire anche lui come l'altra "barbetta" De Bono, fucilato a Verona come "traditore". Aveva ragione il giornalista di Bogotà! Come sarebbe andata a finire non lo sapevano in Italia, ma a Bogotà lo sapevano.
Intanto gli italiani come si prepararono in quei giorni di inizio guerra? Se dobbiamo sempre credere a Montanelli ecco la sua risposta in L'Italia dell'Asse,, Rizzoli ed. 1981- "I più fecero come chi scrive, cioè nulla. Ci lasciammo portare dagli avvenimenti quasi dissolvendoci in essi, e senza contribuirvi né in un senso né nell'altro. Quelli di noi che vennero richiamati alle armi, cioè quasi tutti, non furono soldati traditori, ma nemmeno buoni soldati".
Insomma non si poteva a queste condizioni "fare nulla" nemmeno lontanamente sperare di vincere; ma a Bogotà già lo sapevano! Anzi se gli italiani avessero letto i giornali di Bogotà avrebbero capito che questi erano più credibili, o almeno non falsi.
Il Corriere della Sera, del 24 giugno in prima pagina scriveva "L'Italia contribuisce in modo positivo a modificare profondamente la situazione strategica e il rapporto delle forze in questo teatro della guerra....E troveranno il loro giusto compenso, come hanno già trovato il leale riconoscimento del nostro alleato". A Bogotà non scrivevano questo!
"Giusto compenso" che l'Italia poi non ebbe, forse proprio perchè, molti "fecero nulla", e questo lo avevano capito non solo a Bogotà, ma lo aveva capito anche Hitler.
Liquidato Mussolini, l'Italia avrebbe denunciato il Patto d'acciaio e rinsaldato i legami con la Francia e l'Inghilterra. Il Principe Umberto, non sappiamo se vero protagonista del complotto, si sarebbe adoperato per mandare in porto l'operazione e avrebbe avuto tre incontri con il neoeletto Papa PACELLI, al quale avrebbe chiesto consiglio e sostegno. Ecco a proposito quanto scrisse Stevens, a Bogotà:
"Umberto si è recato in tutta segretezza dal Pontefice. Il cardinale Maglione lo ha introdotto nelle stanze private di PIO XII. Il Principe ha uno sguardo triste, preoccupato. E' latore di una proposta audace. L'Imperatore e Re suo padre è disposto a rinunciare al trono in favore del figlio se questo gesto e le sue ripercussioni possono permettere al nuovo sovrano di liberare l'Italia dalla degradante obbedienza agli ordini di Berlino. Il Papa chiede due giorni per riflettere e allo scadere del secondo giorno Umberto riattraversa il cortile di San Damaso in Vaticano per conoscere il responso del capo della Chiesa.
Pio XII parla a lungo, tristemente. Il Principe ascolta in silenzio. Quando Umberto lascia la biblioteca sa che il Papa teme, non per lui ma per il Paese, che un così radicale mutamento sconvolga la situazione interna, conduca a una guerra civile e favorisca l'avvento di un razzismo pagano".
... MA IL PAPA NON GLI DIEDE APPOGGIO - Senza l'appoggio del Papa il "golpe" non avvenne, ma il fatto non toglie nulla alla veridicità della rivelazione fatta dal giornalista americano, che appare molto ben informato sui retroscena della politica italiana del tempo. Una rivelazione che contiene molti elementi di credibilità, avvalorati nel 1966 dall'esilio di Cascais da parte dello stesso Umberto che ammise l'intenzione, maturata nel 1939, e concretamente poi condotta a termine solo il 25 luglio 1943; l'intenzione di provocare un voto di sfiducia del Gran Consiglio del fascismo per mettere in minoranza Mussolini e chiederne le dimissioni.
Resta infine da capire l'atteggiamento marcatamente contrario del Papa al tentativo di destituzione del Duce. Ed è anche risaputo che Pio XII era ostile a Hitler e al suo regime perchè esaltava i valori pagani. Probabilmente il Pontefice, nella sua valutazione negativa, aveva anteposto all'avversione per il dittatore nazista il timore di peggiorare la situazione provocando le sue violente ritorsioni contro l'intero cattolico popolo italiano.
Ma ritorniamo a CIANO, che secondo tante fonti storiche, era insofferente ai tedeschi, ed era contrario alla guerra. Ma fino a che punto?
Abbiamo rintracciato sulla Gazzetta del Popolo, il suo discorso tenuto a Milano il giorno 20 maggio, poche ore prima di recarsi a Berlino (da 10 giorni Hitler ha già scatenato l'inferno in Francia, e proprio il 20 ha chiuso Belgi, Olandesi, Inglesi e Francesi in una sacca ). Ciano, nei commenti dei giornali, che amplificano il suo discorso, non sembra proprio che gli manchi l'entusiasmo e la determinazione di marciare a fianco dei tedeschi. Il suo fu un discorso di guerriero, e nel declamarlo prese perfino atteggiamenti mussoliniani.
Senza voler interpretare nulla, pubblichiamo semplicemente il giornale e il testo.
" PRONTI AGLI ORDINI DEL DUCE" Roma, 20 maggio, pom. - Se come riferiscono le notizie da Londra e da Parigi, il discorso di Milano ha fatto all'estero una forte impressione, all'interno ha suscitato i più larghi e calorosi consensi. Il discorso del nostro ministro degli esteri ha ricordato le nostre aspirazioni.
"Tutti avvertono e profondamente sentono che l'Italia non può rimanere estranea alla nuova sistemazione europea e mondiale che si sta preparando. Il trattato di Versaglia è ormai in pezzi e qualcuna delle ingiustizie che aveva sanzionato è già stata riparata. Ma altre rimangono e dovranno essere cancellate ....Le nostre aspirazioni sono naturali perchè sono eque ed indispensabili alla vita medesima del Paese. Esse avrebbero potuto e dovuto già essere state appagate: ma la cattiva volontà delle Potenze demo-plutocratiche ha impedito ogni concreta realizzazione.
E prima di tutto l'Italia imperiale intende far valere i suoi diritti sovrani in terra, in aria e sul mare, diritti che da quando è scoppiata la guerra sono stati misconosciuti e offesi.
La recente formidabile documentazione resa pubblica colla relazione Pietromarchi ha dimostrato e denunciato alla Nazione e al mondo la pretesa anglo-francese di tenerci prigionieri nel mediterraneo, di sottoporci al loro controllo, di limitare arbitrariamente i nostri traffici e i nostri rifornimenti.
Questo stato di cose (si riferisce alla non belligeranza - Ndr) deve cessare e cesserà.
La violenza esercitata a nostro danno ha chiarito la pretesa anglo-francese di tenere l'Italia in uno stato di soggezione che è intollerabile e incompatibile coi nostri diritti, colla nostra dignità di Stato sovrano, colle nostre stesse possibilità di vita.
Tutti gli italiani che sentono la fierezza di vivere in questa eccezionale epoca, in questo clima eroico creato dal Duce, avvertono come la nostra ora si avvicini".
E l'immensa eco che le fiere parole del conte Ciano hanno avuto prima fra la moltitudine milanese e poi in ogni parte d'Italia dimostra che gli italiani sono pienamente consapevoli dell'ora storica.
LA PAROLA D'ORDINE E': PRONTI AGLI ORDINE DEL DUCE".
L'unico a non parlare era Mussolini.
Quando poi la sofferta "avventura" iniziò (dopo aver visto umiliare in un baleno, Francia e Inghilterra nelle Fiandre, proprio lo stesso giorno, il 20) tutti plaudirono.
L'Eco di Bergamo , il 21 giugno, titolò su 8 colonne in prima pagina "Crisi dinastica in Gran Bretagna. Dopo la sconfitta degli inglesi - Era di prosperità per l'Europa"
"A Madrid rievocano Napoleone: Gli inglesi si comportarono in Spagna come i briganti"
Il Corriere della Sera, il 24 giugno "L'Italia contribuisce in modo positivo a modificare profondamente la situazione strategica (all'uscita del giornale la Francia capitolava - Ndr) e il rapporto delle forze in questo teatro della guerra....E troveranno il loro giusto compenso, come hanno già trovato il leale riconoscimento del nostro alleato".
Una panzana! - I compensi furono poi irrisori. Mussolini aveva chiesto la Corsica, la Tunisia, Avignone, Valenza, Lione, Casablanca, Beirut; l' occupazione fino al Rodano e testa di ponte a Lione più la consegna della flotta francese dentro il Mediterraneo. Quanto a lealtà, Hitler non lo invitò nemmeno in Francia; lui farà il "suo" armistizio e detterà le "sue" condizioni a Parigi, e Mussolini si faccia le proprie in separata sede a Roma con i i francesi. "Io non chiederò queste cose ai Francesi".
Alla fine Mussolini otterrà, solo l'uso del porto di Gibuti, in Africa.
Per Mussolini fu una cocente umiliazione. Era entrato nell'avventura per riscattare la "vittoria mutilata" della Grande Guerra e ora il grande spettro di Versailles era ancora nell'aria, a Compiegne, ancora una volta l'Italia non invitata.
Tenta di mettere a disposizione un corpo di spedizione per la progettata invasione dell'Inghilterra, che tutti si aspettano, ma Hitler rifiuta (ma Mussolini invierà comunque alcune inutili "libellule").
Rientrato in Italia, Mussolini è furibondo; ha deciso di fare da solo. Iniziare una "Guerra Parallela". Anche dopo un incontro con Hitler al Brennero avvenuto il 4 ottobre, non porta a conoscenza del Fuhrer la sua intenzione di invadere la Grecia. Vuol fare come lui, stupirlo a cose fatte. Lo informa nell'incontro successivo a Firenze il 28 dello stesso mese. Hitler è furibondo. E non sa ancora che la guerra in Grecia (perderà un mese con i Serbi, per arrivarci) è la manciata di sabbia dentro il suo perfetto ingranaggio strategico, logistico e militare, preparato per invadere la Russia; un piano che Mussolini ignorava e che Hitler gli tenne nascosto.
Perderà tempo, partirà in ritardo per la Russia e, come Napoleone, quasi nello stesso luogo (Borodino) andrà incontro alla disfatta. A causa dei Balcani, Hitler ritardò di 6 settimane, non aveva tutte le divisioni, e in più l'inverno in Russia arrivò in anticipo di 6 settimane. Le 12 settimane provocarono il disastro, la disfatta; la trappola di Stalingrado
Andò quasi meglio a Napoleone, perchè Hitler non arrivò mai a Mosca, comunque giunsero entrambi alle porte di una città vuota, data alle fiamme dagli stessi russi, con temperature a 40 gradi sottozero con tutti i rifornimenti bloccati dalla neve.
Comandante in capo nel 1812 era un certo generale Kuzov, mentre l'uomo che stava attendendo Hitler si chiamava generale Zukov. Entrambi con lo stesso alleato: il generale "Gelo".
Fatto singolare, e non certo di buon auspicio, Hitler per invadere la Russia scelse la data del 22-23 GIUGNO, lo stesso giorno che Napoleone scelse per invadere la Russia.
La compilazione di questa biografia si avvale ampiamente del materiale reperito nel sito dell'A.N.P.I. Roma e di CRONOLOGIA.IT