La colonizzazione
abissina nell’Etiopia Occidentale.
Per
ben comprendere l’origine, la mentalità, le abitu-
dini ed i metodi delle popolazioni con le quali gli italiani
erano destinati a convivere, è senz’altro opportuno un
breve
excursus sulla colonizzazione abissina nell’Etiopia
Occiden-
tale, anche per meglio valutare le differenze tra “ciò che
era e ciò che è!”, e metterle a confronto, sempre però
con-
siderando che si tratta di analisi riferentesi agli anni del-
le nostre conquiste.
A
tal riguardo, è opportuno specificare come, tutte le
terre dell’Etiopia Occidentale, non fossero Abissinia vera
e
propria, bensì una colonia degli Abissini.
Vale a dire:
- una colonia che costituiva da sola una delle più vaste e
ricche regioni
dell’Africa Orientale;
- una colonia abitata da popolazioni Galla e Sidama, di razza
e religione
diverse;
- una colonia sfruttata da un popolo ancora barbaro, con si-
stemi
altrettanto barbari;
- una colonia, infine, che risaliva ad un’epoca molto
recente
e che,
pertanto, non poteva neanche essere giustificata dai
diritti storici
del popolo abissino.
L’Etiopia Occidentale, questa grande colonia, era in realtà
opera della Francia.
Eccone,
in sintesi, la storia:
nel 1896, approfittando della situazione venutasi a creare
con il fallimento del trattato di Uccialli e della conseguen-
te guerra italo-etiopica, la Francia concepì il grandioso
piano di stringere in una morsa tutta l’Africa a Nord dello
Equatore, con l’intenzione di ostacolare la politica
italia-
na nell’impero dei Negus, estendere la penetrazione franco-
etiopica nell’Ovest e stabilire tra la Francia e
l’Abissinia
relazioni tali da pesare, al momento opportuno, sull’avveni-
re di queste regioni.
Ma
la storia impedì la realizzazione del grande sogno
francese di egemonia nord-africana, tenendo così “a
battesi-
mo” il nascente imperialismo abissino.
In
tal modo, il “piccolo re dello Scioa” si trovò pa-
drone di regioni vaste e fertilissime, da cui poteva trarre
in abbondanza i mezzi occorrenti per affermare la sua supre-
mazia sui capi rivali e soffocare le tradizioni autonomisti-
che delle regioni vicine.
Non
da Adua, ma dalla conquista dell’Ovest trae vera-
mente origine l’impero dei Negus.
Parlando di amministrazione e sfruttamento,la colonizzazio-
abissina dell’Etiopia Occidentale - fatta eccezione per i
territori semi-indipendenti come il Gimma, che erano tenuti
soltanto a pagare un tributo annuo alla Corona Etiopica -
presentava due caratteristiche salienti:
- le gerarchie tradizionali del luogo erano state pressocché
sostituite da
nuove gerarchie, devote alla causa etiopica;
- il territorio era controllato da “soldati-funzionari”
che
non percepivano
stipendio, ma vivevano sfruttando proprie-
tari e
agricoltori indigeni.
Era
sorta, pertanto, una nuova “impalcatura” che inci-
deva fortemente:
a) sulla organizzazione civile e politica preesistente;
b) sul regime della proprietà terriera.
Per
quanto riguarda il primo punto (a), l’organizzazione
anteriore all’arrivo degli abissini aveva carattere
patriar-
cale.
In
genere, il potere politico era affidato ad alcune ge-
rarchie elettive, scelte attraverso il sistema delle classi
di età o altro analogo, mentre il potere religioso era
gesti-
to dai cosiddetti Callu (o Gran Sacerdote), che si trasmette-
vano tale dignità di padre in figlio.
Gli
abissini modificarono profondamente tale situazione.
Ripercorriamo, qui di seguito, i punti essenziali di questi
cambiamenti:
A) senza abolire le gerarchie tradizionali, le avevano però
svuotate
di ogni contenuto politico, lasciando loro un po-
tere
giudiziario limitato alle controversie di minore im-
portanza;
B) accanto alle gerarchie tradizionali, avevano creato un si-
stema
nuovo, nominando in ogni villaggio un capo locale,
denominato
Balabbat,che dipendeva eccezionalmente dal Cal-
lu,
normalmente dal Capo Presidio abissino, il Meslenié,
con
mansioni di carattere esecutivo (riscossione dei tri-
buti,
trasmissione ed esecuzione di ordini, arresto dei
colpevoli
ecc.). I Balabbat partecipavano alla distribu-
zione
delle terre e, quindi, erano fedeli al nuovo regime.
C) Avevano creato una fitta rete di Presìdi etiopici, i cui
capi - i
Meslenié - avevano anche funzioni civili e rap-
presentavano,
di fronte al Balabbat locale, il governo
etiopico.
Talvolta si auto-attribuivano anche le mansio-
ni di
Giudice, per i proventi pecuniari che ne derivava-
no.
D) In alcuni casi, per consolidare meglio il nuovo stato di
cose,
sceglievano un Callu più autorevole degli altri e lo
ponevano
a capo di tutti i Balabbat, facendone l’interme-
diario
fra questi e il governatore etiopico;
E) avevano posto a capo di una o più regioni un governatore,
Ras o
Degiac, che comandava tutti i presìdi abissini e da-
va ordini
in nome del Negus.
Tutti
questi pubblici funzionari non percepivano dal go-
verno centrale alcuno stipendio, ma vivevano esercitando, più
o meno clandestinamente, il commercio degli schiavi, traffi-
cando in caffè, pelli o cereali, coltivando le terre avute
in
dono dal governo e, soprattutto, sfruttando con tributi e
pre-
stazioni personali di ogni genere gli agricoltori indigeni.
Il
secondo punto(b), quello sulle proprietà terriere, co-
stituisce l’aspetto più interessante e che più
eloquentemente
rivela i sistemi etiopici di colonizzazione.
La
situazione preesistente alla occupazione abissina ve-
deva:
- territori ad economia pastorizia, nei quali non esisteva
proprietà
individuale; la terra apparteneva alla tribù che
la utilizzava
per il pascolo;
- territori ad economia agricola, dove, invece, prevaleva la
proprietà
privata, alienabile e trasmissibile per via ere-
ditaria.
L’arrivo
degli abissini rivoluzionò completamente tale
situazione, soprattutto nei territori ad economia agricola.
I
conquistatori, infatti, mentre nelle zone ad economia
pastorizia si limitarono ad affermare una demanialità pura-
mente teorica, nelle zone agricole misurarono con lo strumen-
to del Qalad (*) tutte le proprietà terriere con
l’intenzione
di confiscarle.
A
misurazione ultimata, il governo decise di incamerare
le terre medesime che destinava:
- per i 3/4 al governo stesso e ai suoi funzionari;
- per 1/4 ai Balabbat locali.
Le
terre assegnate al governo avevano le seguenti desti-
nazioni:
- 1/4 alle chiese (diritto di Mederià e Ticlignà);
- 1/4 per vendite e future assegnazioni;
- 1/4 agli Amara, come premio per i servizi prestati (diritto
di Rest).
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(*)
Qalad, corda di lunghezza pari a mt. 67,50 circa, uti-
lizzata per le misurazioni fondiarie.
Per
quanto concerne, invece, il quarto di terre asse-
gnate ai Balabbat, questi venivano a trovarsi nella stessa
posizione degli Amara, e cioè potevano averle in Rest o in
Mederià, assumendo così la figura di proprietari veri e
pro-
pri.
Però,
sul quarto loro assegnato, essi dovevano cedere:
- 1/10 di terra alle milizie, che, in guerra, scortavano la
tenda del Negus
(diritto di Destà);
- 1/10 di terra alle milizie che, sempre in guerra, erano ad-
dette al
servizio delle salmerie (diritto di Ghindebel).
Nel
1925, Ras Tafari (il futuro Negus Hailé Sellasié),
ordinava un nuovo Qalad; mirando ad accrescere il demanio,
incamerava tutti i possessi di estensione superiore ad un
Gascià (*), e fissava in questa misura la superficie massima
consentita al possesso dei singoli. Le terre ricavate da ta-
le Qalad vennero poi vendute o date in Mederià ai soldati.
Occupiamoci,
ora, dell’ordinamento tributario.
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(*)
Gascià: unità di misura fondiaria. Corrisponde ad un ret-
tangolo
di corde (Qalad) 7x11 per i terreni coltivati, 9x15
per
quelli incolti. Quindi, circa 35 HA per i primi, e circa
61
HA per i secondi.
A) L’imposta fondiaria (ye-meriet-ghebr), che variava da
luogo a
luogo e secondo le circostanze. Nelle regioni ad
economia
pastorizia, con forme di proprietà collettiva
delle
tribù, tale imposta pesava e rendeva normalmente
assai
poco; non così, invece, nelle regioni ad economia
agricola
dove, su un totale approssimativo di 10.000 ga-
scià
coltivati e soggetti ad imposta, si poteva calcola-
re un
gettito annuo di circa 250.000 talleri.
B) La decima sul raccolto (ye-chel-asrat). Nei territori ove
si
esercitava la pastorizia, e, quindi, il raccolto era
irrisorio,
era dovuto il 10% di ogni prodotto agricolo;
nei
territori a regime agricolo, la decima era stata tra-
sformata
in imposta fissa, commisurata alla produttività
del
suolo. A tale scopo, le terre erano classificate in
tre
categorie:
- ye-lem,
le migliori, coltivate a caffè e cereali: tas-
sate 6 talleri annui;
-
ye-lem-tef, adibite a coltivazioni meno redditizie: la
tassa era di 4 talleri l’anno;
- tef,
incolte o adibite a pascolo: tassate 2 talleri an-
nui;
C) L’imposta sul bestiame (ye-kebt-ghebr). Oltre ad una ci-
fra fissa
per ogni capo di bestiame, pari ad un gettito
di circa 200.000 talleri l’anno, le altre imposte si ri-
ferivano
a:
- tassa
di mercato (ye-cheneià qeret)
- tassa
di macellazione (laquandegnà)
Per le altre attività, le tasse ed imposte erano costituite
da:
- tasse sui negozi
- tasse professionali
- l’odiatissima imposta sul sale (ye-ceu-qeret)
- dazio doganale di frontiera (con il Kenia)
- dazi interni (sia per i prodotti alimentari, sia per il
bestiame).
In
definitiva, i proventi che il fisco abissino ricava-
va erano assai notevoli (oltre 1 milione di talleri
l’anno).
Di
essi, una quota parte spettava al governo centrale,
il resto (la parte più congrua) ai Ras delle singole
regioni.
Ma
tutto il “sistema”, evidentemente, presentava dei di-
fetti macroscopici.
Per
prima cosa, questa forma di colonizzazione era de-
stinata al fallimento più totale, in quanto minata, sin
dalle
fondamenta, dalla corruzione che dilagava nelle file dei co-
lonizzatori.
L’unica legge rispettata e seguita dagli abissini
nell’Etio-
pia Occidentale, era infatti quella del sopruso e della vio-
lenza, che si manifestavano nelle seguenti forme:
- esosità fiscale
- cattiva amministrazione della giustizia
- schiavitù
Tutto
ciò, ovviamente, non faceva che alimentare odio e
malcontento sul governo Amara.
Così
stando le cose, come poteva reggersi un tale domi-
nio? Sulla base di tre fondamentali condizioni:
- l’appoggio dei Balabbat, pronti, è vero, a seguire gli
a-
bissini nella
prospera fortuna, ma altrettanto pronti ad
abbandonarli
nelle avversità;
- la schiacciante superiorità dell’armamento etiopico su
quello delle
popolazioni locali;
- il numero decisamente rilevante di presìdi etiopici, si-
tuati in
territori ricchi e ben protetti.
Tutto
ciò spiega per quali ragioni il dominio etiopico
sorse e durò, ma spiega anche perchè, al primo apparire
del-
le truppe italiane, tutta l’impalcatura abissina
nell’Etio-
pia Occidentale crollò come un castello di carte.
Ciò che è creato e mantenuto soltanto con la violenza, ces-
sa di esistere appena la violenza non è più sostenuta dalla
forza.
Questa
è la dimostrazione che un popolo barbaro può con-
quistare, ma non colonizzare, può distruggere, ma non co-
struire.
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Tratto
da GIACCARDI A., La colonizzazione abissina nella
Etiopia
Occidentale, in “Annali dell’Africa Italiana”,
Vol.IV°,
Verona, A.Mondadori, 1939-XVII .
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