L’opera compiuta nello Scioa
Come
accennato nell’introduzione di questo elaborato,
già alla fine di ottobre del ‘36, il Vice Re Graziani passò
in rivista le prime centurie di soldati-contadini diretti a
prendere in consegna le terre demaniali intorno alla capitale
dell’Impero, nei comprensori di Olettà e Biscioftù che,
in
virtù degli accordi intervenuti tra il Ministero
dell’Africa
Italiana e l’O.N.C., erano state loro concesse per un primo
esperimento di colonizzazione demografica.
Si
può ben dire, dunque, che nello Scioa, la civilizza-
zione del paese fu posta in atto non appena ebbero termine le
operazioni belliche.
L’Opera
Nazionale Combattenti - l’ente che ha attuato le
più vaste realizzazioni nel campo della bonifica di coloniz-
zamento italiana - è stata chiamata per prima ad operare
nel-
l’Impero ai fini della colonizzazione demografica.
Particolari
ragioni di opportunità politica vollero che
l’O.N.C. iniziasse la propria azione nella regione che, tra
quelle adatte a tale tipo di colonizzamento, non era certo
pedologicamente tra le più favorevoli.
Il
territorio inizialmente assegnato all’Opera ricadeva
nel governatorato di Addis Abeba, cioè in pieno Scioa.
Quì,
il problema del denso popolamento e dell’agricoltu-
ra indigena si presentava in tutte le sue complessità e dif-
ficoltà.
Si
accennerà più avanti ai modi applicati dall’Opera, in
pieno accordo con i responsabili organi governativi, per ri-
solvere il problema e per realizzare nel modo migliore quella
inserzione di attività rurale metropolitana alla quale si è
già fatto riferimento.
Si
trattava, per l’O.N.C., non solo di individuare ter-
re libere e adatte allo scopo, ma che le stesse corrispondes-
sero alle seguenti caratteristiche:
a) offrire un margine di sicurezza e tranquillità politica;
b) estensione abbastanza vasta, tale da consentire la nasci-
ta e lo
sviluppo di un comprensorio di colonizzazione de-
mografica;
c) ubicazione favorevole, in rapporto alla sistemazione del-
le
comunicazioni stradali.
L’attenzione cadeva opportunamente sulle località di Olettà
e
Biscioftù, le quali rispondevano, in linea di massima, ai
re-
quisiti prestabiliti e potevano prestarsi a divenire centri
agricoli aziendali, cioè i nuclei dei primi due comprensori
di colonizzazione.
Per
quanto concerne le direttive dell’Opera per l’espli-
cazione del suo compito, senza scendere a particolari di mi-
nore importanza, vengono quì di seguito accennati i tre con-
cetti fondamentali sui quali le direttive di colonizzazione
dell’O.N.C. erano basate:
1) Costituire una salda base economica all’appoderamento,
nel
senso di
tendere alla più rapida autarchia dei singoli po-
deri
costituiti, così da poter più presto possibile svin-
colare i
coloni dal periodo passivo di avviamento poderale
e da
portarli, in breve tempo, alla responsabilità e alla
dignità
di piccoli proprietari;
2) associazione del lavoro indigeno, nel senso di rendere i
coltivatori
e pastori indigeni compartecipi alle colture
ed agli
allevamenti poderali in ausilio dei coloni metro-
politani.
Tale direttiva, come si è visto nei precedenti
capitoli,
oltre a rispondere ad una evidente opportunità
economica,
aveva anche un notevole contenuto politico.
3) Piani di appoderamento: in relazione alla situazione am-
bientale,
che rendeva inopportuna l’istallazione di fami-
glie
isolate e sparse per i territori in paesi così nuovi
e così
lontani dalla madre patria, ed esclusa la costitu-
zione in
agglomerati urbani di popolazione rurale metropo-
litana,
l’O.N.C. si orientò verso un tipo di appoderamen-
to che,
pur ubicando la casa colonica nel podere, rendesse
possibile,
anche ai fini di reciproco appoggio, assistenza
e difesa
dei nuclei familiari, costruire le abitazioni per
gruppi di
case.
L’Opera,
tramite i suoi Servizi Tecnici, ideò uno sche-
ma a raggiera, per gruppi di otto case coloniche ciascuno,se-
guendo il criterio del “reticolato romano” e di altri
simila-
ri,(ad esempio il sistema “cacherano” utilizzato per le
anti-
che paludi pontine). Vedi figure 1 e 2 pag.75.
Tale
schema, era da considerarsi come pura indicazione
teorica, e soggetta, quindi, a modificazioni per il diverso
adattamento alle variabili condizioni delle singole zone.
Era
considerato, tuttavia, almeno nella prima fase della
colonizzazione, una opportuna soluzione intermedia, partico-
larmente adatta soprattutto per le seguenti situazioni:
- economia delle spese di impianto (servizi comuni, come poz-
zi, forni,
ecc.);
- notevole riduzione della rete di comunicazioni;
- più facile rifornimento di materie prime e smercio di pro-
dotti;
- maggior livello di sicurezza (gruppi di 20/30 persone, op-
portunamente
armate, rappresentavano un valido elemento di
difesa).
Da notare che, gli stessi elementi indigeni compartecipanti,
e pertanto cointeressati alla tranquillità della zona, veni-
vano raggruppati nei loro “tucul” al vertice opposto di
cia-
scun podere; nettamente separati, quindi, nonché distanziati
dal nucleo delle abitazioni metropolitane (da 1,5 Km a 2).
I
terreni a pascolo, ubicati opportunamente, venivano
a formare zone contermini, che, oltretutto, nel loro com-
plesso potevano costituire un’opportuna massa di riserva
per eventuali successive ripartizioni poderali, nell’inte-
resse dell’una o dell’altra famiglia colonica.
Il
comprensorio di Olettà. Il comprensorio prescelto
per l’O.N.C. ad Olettà, era costituito da una vasta zona
pianeggiante, complessivamente per alcune migliaia di etta-
ri, dominata dal sistema montagnoso dell’Uocciacià.
Situato
a circa 40 Km dalla capitale Addis Abeba, pre-
sentava l’indubbio vantaggio della sua vicinanza al massimo
centro urbano dell’Etiopia, sulla strada di Lechenti.
D’altitudine
variabile dai 2200 ai 2400 mt, con il cli-
ma tipico di quelle alture nella regione.
Il
periodo, o meglio, le stagioni delle piogge così rin-
novavano il loro ciclo:
- grandi piogge: dal 15 al 30 settembre, con una breve ripre-
sa a novembre;
- piccole piogge: normalmente tra aprile e maggio.
Per
quanto concerneva la temperatura, l’escursione ter-
mica tra il giorno e la notte oscillava tra i 16 ed i 10°C,
con una temperatura media di 15°C durante l’anno.
Il primo problema, comune a tutte le iniziative del genere
sull’altopiano etiopico, era rappresentato dalla questione
fondiaria.
Indipendentemente
o meno dall’esservi terre già appar-
tenute al Negus o da lui concesse ai nativi, la realtà ve-
deva un territorio con una notevole popolazione, tutta de-
dita all’agricoltura.
Per
l’O.N.C., si trattava di conseguire un’estensione
di terra libera di almeno 12.000 ettari, in grado cioè di
contenere un vero e proprio centro di colonizzazione.
A
tale scopo si imponeva lo spossessamento ed il tra-
sferimento della popolazione rurale indigena, residente nel-
la località prescelta.
Si
pensò di risolvere il problema con il sistema delle
permute (come abbiamo già visto), dando cioè ai nativi, in
cambio dei terreni da loro posseduti, altri terreni (dema-
niali) situati altrove.
Sistema,
questo, di apparente semplicità, ma sotto il
profilo pratico di non poca difficoltà.
Per
quanto concerne la colonizzazione nazionale, erano
possibili due opzioni:
- vasti comprensori, senza soluzione di continuità; vere e
proprie
“isole” di popolazione rurale bianca su poderi con-
dotti e
organizzati cooperativamente: esempio di colonizza-
zione
demografica, intensiva e integrale.
- Comprensori di colonizzazione demografica, nei quali far
collaborare,
sotto la dipendenza e le direttive delle fa-
miglie dei
coloni bianchi, gli agricoltori indigeni nelle
singole unità
poderali.
L’O.N.C.,
nei comprensori di Olettà e Biscioftù, si o-
rientò verso questo secondo tipo di colonizzazione, con i
piani di appoderamento già ampiamente descritti.
L’ampiezza
dei poderi venne fissata in 50/60 ettari cia-
scuno; da considerare non necessariamente eccessiva, se posta
in relazione con l’ambiente agricolo africano in generale e
con l’altopiano etiopico in particolare.
Prima
di descrivere l’ordinamento colturale di questi
poderi, sarà forse opportuno un breve cenno sull’economia
in-
digena del comprensorio.
Secondo
una caratteristica comune a tutta l’economia in-
digena africana, anche quella del territorio sul quale si
svi-
luppa la nostra analisi si basava sulla cerealicoltura e sul-
la pastorizia.
“Poco
frumento, molto orzo e tieff, coltivati di prefe-
renza nelle terre rosse, con semine in giugno e luglio, op-
pure nelle terre nere, più umide o soggette ad allagamenti,
con semine a fine agosto.
Nelle
terre nere si coltiva quasi esclusivamente il fru-
mento nero (Tukur Sindi). I lavori preparatori del terreno
consistono in due o tre arature, eseguite sempre in direzione
trasversale l’una dall’altra, prima delle piogge.
Il
seme viene interrato, per il frumento e l’orzo, con
un’aratura leggera; eseguendo piccole scoline per il
deflusso
delle acque superficiali e facendo camminare il bestiame sul
seminato, per quanto riguarda il tieff.
In
agosto e settembre si eseguono una scerbatura per il
grano e l’orzo, due per il tieff.
Viene
praticato il riposo annuale per il terreno; in al-
cuni casi funziona una specie di rotazione biennale con legu-
minose, cioè fave e piselli (grano-fave; tieff-piselli).
A
quote minori, e nei terreni vallivi, vengono coltivati
il granturco o la dura, con
semine in aprile e maggio, e con
due o tre zappature durante il ciclo vegetativo.
Il
berberé ed il ghesciò assumono, anch’essi, una note-
vole importanza: la loro coltivazione è molto curata.
Attualmente
prendono intenso sviluppo le colture ortico-
le, per la crescente richiesta del mercato di Addis Abeba.
La
superficie del terreno coltivato dagli indigeni viene
molto approssimativamente calcolata in 30.000 ettari,dei qua-
li una buona metà ad orzo, un quarto e forse più a tieff e
la
rimanenza a dura, granturco, neuk, lino seme, berberé, ghe-
sciò, piselli, fave, ceci, ecc.
Nel
mediopiano qualche pianta di caffè, banano e cotone.
Sono stati distribuiti per le semine in corso, in forma di
prestito, circa 900 q.li di cereali diversi, fra cui 500 q.li
di frumento. L’incremento della superficie coltivata, da un
anno all’altro, è decisamente notevole”.
L’ordinamento
colturale di questi poderi, e la rotazione
ad essi associata, riguardavano principalmente le seguenti
colture: frumento, orzo, granturco, lino da seme e neuk, le-
guminose da granella, foraggere, oltre alle varie colture
orticole, la vite e alcune varietà di frutti vari.
Circa
un ettaro di terreno, nelle immediate vicinanze
della casa colonica, era destinato ad orto, frutteto e vigna;
la zona più distante dal podere, rispetto alla casa
colonica,
per un’estensione di circa 20 ettari, veniva utilizzata
come
pascolo, onde formare aree contermini nelle quali si venivano
a trovare i gruppi dei tucul dei coloni indigeni comparteci-
panti alla produttività del podere.
Un’attenzione
particolare doveva porsi nell’allevamento
del bestiame, al fine di incrementare adeguatamente la produ-
zione della carne, del latte, della lana, nonché il lavoro
animale per le operazioni colturali minori.
Secondo
il piano O.N.C., gruppi di poderi dovevano esse-
re riuniti in aziende, coordinate attraverso la costituzione
di centri - Casa del Fascio, chiesa, scuole, direzione azien-
dale, magazzini, officine, cinematografo, ecc. - atti a prov-
vedere alle varie necessità della vita civile.
La
superficie del comprensorio di Olettà constava di et-
tari 12.000 circa, di cui più o meno la metà già
appoderati
dopo neanche due anni dalla fine delle operazioni belliche.
Quello che segue è lo schema di una prima ripartizione del-
le superfici organizzate e destinate:
- terreni seminativi . . . . . . . . . . . . . . Ha
2.060
- pascoli permanenti . . . . . . . . . . . . . .
“ 943
- macchie e boschi . . . . . . . . . . . . . . .
“ 130
- vigneto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “
4
- orto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
“ 16
- incolto produttivo . . . . . . . . . . . . . .
“ 1.646
- superficie occupata da acque . . . . . . . . .
“ 335
- superficie occupata da fabbricati, strade, ecc. “
65
- terreni improduttivi per natura . . . . . . . . “
301
_
________
Totale
Ha 5.500
Il
centro di Olettà disponeva,naturalmente, di una re-
te stradale adeguata; costruiti circa 35 Km di vie e piste
poderali, oltre ad altri 13 Km di pista per raggiungere il
bosco di Sullà, dove era in corso l’impianto di una seghe-
ria.
Per
quanto concerne la situazione abitativa, nei primi
mesi del 1938 era già ultimata la fase di costruzione delle
prime 80 case coloniche, già servite da un regolare approv-
vigionamento idrico, in parte con pozzi, in parte con cap-
tazione di sorgive o imbrigliamento di torrentelli e posa di
tubazioni fino ai gruppi colonici, dotati di relative opere
di erogazione (fontana, lavatoio, abbeveratoio per il bestia-
me, serbatoi di riserva). Ogni gruppo colonico era inoltre
provvisto di forno comune.
Il
costo di ciascuna casa colonica era risultato di
£. 31.000, con una spesa, cioè, di circa £. 10.000 a vano.
Iniziati,
inoltre, per il centro di Olettà, i lavori di
costruzione della chiesa, Casa del Fascio, scuole, ecc.(ul-
timazione lavori prevista per il 1939).
Interessante
è il seguente schema, che ci indica, per
il comprensorio di Olettà, già nel 1939, le destinazione
del-
le superfici seminate:
( Schema
sulle superfici seminate nel 1939 ad Olettà)
con un totale di superficie seminata pari a Ha 2.158 circa.
Contemporaneamente
vennero piantate viti e avviate pro-
duzioni ortofrutticole.
Il
comprensorio di Biscioftù, costituiva il secondo ter-
ritorio-esperimento prescelto dall’O.N.C.
Situato
anch’esso, come Olettà, a circa 50 Km. da Addis
Abeba e fiancheggiato dalla strada di Moggio, in località
ugualmente prossima alla capitale, con già esistenti buone
vie di comunicazione.
L’altitudine
del comprensorio variava dai 1800 ai 1900
metri. La zona era costituita da pianure interrotte da basse
colline, nonché dall’alto cono dello IERRER, ed era
percorsa
ai lati da due piccoli fiumi, il Ballalla e il Moggio, mentre
nella parte occidentale e intorno ai tre laghetti di Bisciof-
tù era soggetta ad impaludamenti.
Il
terreno, profondo e fertile, era cosparso di acacie
ombrellifere e arbusti vari.
Biscioftù
si differenziava notevolmente dal comprensorio
di Olettà, soprattutto per il problema del risanamento
idrico
di una parte del terreno.
Le
terre intorno ai laghetti di Biscioftù, infatti, era-
no a quote più basse: veri catini senza possibilità di
scolo.
Erano
stati calcolati in oltre 2000 gli ettari palustri
nel comprensorio di Biscioftù, sottoposti ad allagamenti
sta-
gionali nelle zone del fiume Uodeccià e del suo già citato
affluente Ballalla (provenienti entrambi dal monte Ierrer), e
ad un numero pressocché doppio gli ettari di terreno
comunque
sofferenti di eccesso di umidità, e quindi da risanare.
Venne
autorizzata dal Governo centrale un’opera generale
di bonifica del territorio, i cui benefici avrebbero interes-
sato una estensione complessiva di circa 15.000 Ha, opera in-
dispensabile per permettere l’insediamento delle famiglie
co-
loniche bianche, sia per l’attività lavorativa, sia sotto
il
profilo dell’igiene (lotta contro la malaria).
Il
piano di appoderamento di Biscioftù era sostanzial-
mente analogo a quello studiato e messo a punto per il com-
prensorio di Olettà, e pressocché equivalente era la sua e-
stensione superficiale: circa 12.000 Ha.
La
prima fase della colonizzazione prevedeva la conse-
gna, alla O.N.C., di 1.800 Ha, di cui 900 destinati alla im-
mediata coltivazione, e gli altri 900 tenuti a pascolo o la-
sciati incolti, perché sottoposti alle inondazioni dello Uo-
deccià.
Le
operazioni iniziali dell’appoderamento comprendevano
101 poderi, con relative case coloniche del tipo e costo so-
pra descritti.
Realizzazioni logistiche già avvenute in questa prima fase:
- Km 40 di strade interpoderali;
- n.4 forni comuni;
- n.4 pozzi;
- n.20 piccoli ponti.
I materiali da costruzione si trovavano sul posto o nelle vi-
cinanze, così come la sabbia ed i laterizi fabbricati nella
fornace costruita sul posto. Calce, cemento e materiali fer-
rosi venivano invece da Addis Abeba e dintorni.
L’ordinamento
colturale, oltre le coltivazioni già indi-
cate per il comprensorio di Olettà, comprendeva il ricino,
il
mais e la colza.
Prevista,come
ad Olettà, la realizzazione di piccole in-
dustrie agrarie.
La
pesca, nei laghi vicini, veniva effettuata con posi-
tivi risultati, date l’abbondanza e la buona qualità del
pe-
sce, del quale il mercato della vicina capitale veniva ri-
fornito almeno due volte la settimana.
Il
rimboschimento della zona venne iniziato dalla Mili-
zia Forestale con l’impianto di un vivaio di mq. 2500, con
la messa a dimora di un adeguato numero di piante.
Tutto
quanto è stato descritto circa i termini e le ca-
ratteristiche della colonizzazione nei riguardi di Olettà,
vale anche per Biscioftù.
Da
un esame analitico dei conti correnti colonici, è
risultato che, tutti i coloni, già nel primo anno di attivi-
tà, riuscirono a rimborsare le anticipazioni avute per le
spese inerenti alle coltivazioni dell’annata e alle
sommini-
strazioni per il vitto; alcuni, inoltre, iniziarono il paga-
mento delle rate di ammortamento delle anticipazioni in con-
to capitale.
Altre
iniziative di colonizzazione demografica. Paralle-
lamente alle attività della O.N.C., si andarono sviluppando
nello Scioa diverse altre iniziative nel campo della coloniz-
zazione demografica, sulle direttive di una intensa valoriz-
zazione italiana del territorio periferico,in senso lato, al-
la capitale dell’Impero.
L’Ente
Romagna d’Etiopia, estendendo la sua azione dalla
Amara allo Scioa, ebbe in assegnazione l’Azienda Babiceff.
Si
trattava di un’azienda agricola a indirizzo prevalen-
temente ortofrutticolo, situata non lontano da Biscioftù,
al-
le pendici del monte Ierrer, ad una altezza di circa 1900 mt.
Fornita
di vaste possibilità irrigue e di vie di comuni-
cazioni relativamente facili con Addis Abeba, l’azienda
aveva
tutte “le carte in regola” per un avvenire di fornitrice
pri-
vilegiata del mercato ortofrutticolo della città.
Contemporaneamente,
l’Ente Romagna diede inizio allo
studio e alla valorizzazione demografica dell’Alta Valle
del-
l’Auasc, e precisamente nei terreni attorno alla strada di
Gimma, in due lotti: dal 33° al 38° Km e dal 69° all’81°
Km.
Zona
ricca di terreni demaniali, ben adatta per altitu-
dine, fertilità e ubicazione al popolamento rurale
metropoli-
tano.
Ma
l’attività dell’Ente non rappresentava l’unica alter-
nativa all’azione dell’O.N.C.
Molto
attive, nella prima fase post-bellica della nostra
presenza in Etiopia, erano le cosiddette Centurie agricole di
pre-colonizzazione.
Uno
dei problemi della nostra azione di colonizzamento
che hanno maggiormente impegnato l’attenzione degli organi
di
Governo, era rappresentato dalla necessità di utilizzare in
modo soddisfacente le energie dei numerosi militari smobili-
tandi e degli operai che, all’atto del congedo o al termine
del contratto di lavoro, anziché rimpatriare, esprimevano il
desiderio di essere ammessi a concorrere alla valorizzazione
agricola dell’Impero.
Mentre
da un lato questi elementi non potevano, per evi-
denti esigenze di organico, trovar posto nelle già avviate
aziende di Olettà e Biscioftù, nonché negli Enti di
coloniz-
zazione a carattere regionale, dall’altro, la mancanza di
un
minimo di disponibilità finanziaria da parte dei
richiedenti,
non consentiva la formazione di aziende agricole, che, prive
di una solida base, sarebbero state destinate
all’insuccesso
economico.
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