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12 Dicembre 1969 – 12 Dicembre 2009
40° Anniversario della Strage di Piazza Fontana
“Papà non c’è più, è diventato una Verità Nascosta”
di
Carlo Anibaldi
Le
celebrazioni delle ricorrenze storiche portano con sé il ricordo di
quanti, coinvolti nell’evento, hanno perso la vita perché l’evento si
dispiegasse. La Storia procede con un susseguirsi di immagini, non a
caso il più delle volte cruente, a causa dei forti radicamenti che si
vanno a sconvolgere; è dunque per l’aprirsi di nuovi scenari che gli
eventi divengono Storia. Non è questo il caso, poiché questa non è
Storia, ma una Verità Nascosta.
Sono molti coloro che datano l’inizio della cosiddetta ‘strategia della
tensione’ o degli ‘opposti estremismi’ al 12 dicembre 1969, il giorno
dell’esplosione della bomba alla BNA di Piazza Fontana a Milano, ma
altrettanti sono convinti che questa datazione sia arbitraria ed
emotiva, facendo infatti risalire l’inizio dei ‘Misteri d’Italia’ a
qualche anno prima, quando ‘cadde’ l’aereo di Enrico Mattei, se non
addirittura al 1° Maggio 1947, giorno della strage di Portella della
Ginestra. La difficoltà di datazione di questo periodo oscuro della
Storia d’Italia è probabilmente dovuta al fatto che la storia stessa
della Repubblica è, fin dai primi giorni di vita, connessa alla storia
dei nostri servizi di Intelligence che, come ogni Servizio di questo
genere, non hanno, per definizione, la trasparenza fra i valori
fondanti.
Molti sono gli autori, giornalisti,
osservatori e storici, che hanno scritto di questa orribile strage e del
lunghissimo iter giudiziario che ne seguì. Quello che vogliamo invece
fare qui oggi è rivolgere un pensiero alle vittime innocenti e ai loro
familiari e cercare di vedere l’evento dal loro punto di vista, per
quanto possibile.
Le
vittime di eventi bellici o rivoluzionari e perfino le vittime di
incidenti di ogni tipo ed i loro familiari, si fanno alla fine una
ragione, se così mi posso esprimere, di quanto accaduto, secondo una
scala di consapevolezza che va dal futile all’eroico, passando per una
moltitudine di situazioni intermedie che alla fine sono quelle
sintetizzate negli epitaffi.
Ma
cosa è umanamente misericordioso e sensato scrivere sulla lapide delle
vittime di quella odiosa strage? E in quella delle vittime di altre
stragi di quegli anni, che a centinaia non hanno potuto avere giustizia
né comprensione terrena? Se mai esistesse un’altra forma di giustizia, a
quella varrebbe la pena di affidarsi, ma temo non ci sia nulla oltre la
legge del contrappasso, talvolta. Questa è la vera pagina nera di questa
Repubblica: ci sono dei morti, tanti morti, che non sono né partigiani
né fascisti, né rivoluzionari né oppressori, né guardie né ladri e al
tempo stesso ci sono degli assassini che non sono finiti nella polvere,
né in galera né davvero liberi, se mai hanno avuto una coscienza.
Queste lapidi sono bianche e immacolate, di marmo vergine, o tali
dovrebbero essere, perché solo quando le vittime avranno giustizia ci
sarà un epitaffio da incidere.
Nel
corso di vari processi penali è alla fine affiorata la dinamica
scellerata dell’attentato e qualche manovale della morte e del dolore ha
vissuto i suoi ultimi anni in prigione, ma questi processi sono stati
utili, alla fine, per dare non giustizia, ma consapevolezza delle
dinamiche e, attraverso queste, visione del disegno, questo sì, eversivo
della volontà popolare.
Come tutti sappiamo, fu all’inizio seguita, o meglio, creata, una
‘pista anarchica’ che vedeva la cellula anarchica milanese del Ponte
della Ghisolfa, rappresentata dal ferroviere Giuseppe Pinelli, come
l’ideatrice ed esecutrice dell’attentato alla BNA, insieme a quello che
avrebbe dovuto dispiegarsi nelle stesse ore alla Banca Commerciale e che
non produsse un’esplosione ed altri attentati dinamitardi che in quel
giorno, fra Roma e Milano nell’arco di una cinquantina di ore, si
verificarono. Queste cellule anarchiche, come ogni movimento di questo
tipo in Italia e nel mondo, perseguono attentati dinamitardi
dimostrativi, contro ogni potere costituito che limiti le libertà
fondamentali dell’individuo. Ideali di violenza, senza meno assai
discutibili, ma che per statuto fondante, mai avevano avuto lo scopo di
spargere sangue ritenuto innocente. Dunque l’accusa fatta al Pinelli di
aver organizzato un attentato tanto sanguinoso, col concorso della
cellula romana, rappresentata da Pietro Valpreda, sconvolse a tal punto
Giuseppe Pinelli, che durante un drammatico interrogatorio nei giorni
successivi alla strage, alla Questura di Milano, cadde, non si sa quanto
volontariamente o in seguito a malore, dalla finestra e ne morì. Questa
la versione ufficiale della Questura.
La
contestazione alla versione ufficiale fu talmente accesa da parte degli
ambienti dell’estrema sinistra legati all’organizzazione Lotta Continua,
che ne scaturì la morte violenta del commissario Calabresi, ritenuto da
questi il responsabile della morte, non creduta accidentale o
suicidaria, del Pinelli.
Nel
corso di un ventennio di udienze in diversi processi, emersero
circostanze incredibili. L’attentato doveva essere dimostrativo come
altri in quel periodo, e fu organizzato dagli anarchici per un orario
successivo alla chiusura della banca, ma infiltrati neofascisti
dell’organizzazione Ordine Nuovo raddoppiarono la borsa e dunque le
bombe, all’insaputa degli anarchici e soprattutto ne anticiparono lo
scoppio in un orario di apertura al pubblico. Le carte processuali ci
dicono anche di depistaggi, pedinamenti e infiltrazioni organizzate da
fronde deviate dei servizi di intelligence. La data del 12 dicembre fu
scelta in coincidenza con un viaggio a Milano dell’anarchico Valpreda.
Un sosia del Valpreda fu fatto scendere da un taxi davanti alla BNA con
una borsa. Testimonianze incrociate portarono all’arresto di Valpreda e
alla sua incriminazione. Ma questo era solo il primo atto di una marcia
di avvicinamento alla verità che durò un ventennio, senza peraltro
produrre certezze processuali definitive sui mandanti occulti e sui loro
inconfessati scopi eversivi.
In
questo 40° anniversario della strage, nel ricordare le diciassette
vittime, il nostro pensiero va a questo modo di ‘diventare Storia’, un
modo che toglie anche la dignità alla morte, che dissolve persone
incolpevoli in una nuvola rovente e densa di verità nascoste. Questa
nuvola è tutta italiana e purtroppo arriva da lontano, da quel
dopoguerra che da noi è stato il più lungo del mondo intero. Un
dopoguerra che per vili ragioni di realpolitik non ha potuto
trovare pace, poiché non ha del tutto escluso dalla vita civile e dalle
Istituzioni, personaggi e burocrati del disciolto partito fascista e
della Repubblica di Salò, che per nulla avevano in animo amore per
questa nuova Nazione, facendone anzi, in varie e documentate
circostanze, i fondatori e gli alti funzionari dei neonati Servizi di
Intelligence. Queste furono le scellerate premesse da cui derivò un
sessantennio di Misteri d’Italia, che passano impuniti per la morte di
Enrico Mattei, Mauro De Mauro, Pierpaolo Pasolini, Mino Pecorelli ed
altri e che oggi ci costringono a commemorare queste ed altre vittime
senza ‘parte’, senza ‘causa’, senza barricate, senza ideale o bandiera,
di fronte alle quali altro non possiamo fare che chinare il capo per la
vergogna.
PERMALINK
http://eDEMOCRAZIA.ilcannocchiale.it/post/2396808.html
INCONTRO SU “DISAGIO E RESPONSABILITA’”
Roma, 15 Aprile 2009 ore 18,00
Aula Magna dell’Università Valdese, Via P.
Cossa, 42
L’OTTICA
JUNGHIANA SUL DISAGIO GIOVANILE
Intervento
del Dott. Carlo Anibaldi, medico, umanista,
divulgatore scientifico.
Alcuni
attribuiscono le problematiche profonde
della gioventù di questi anni ad una sorta
di Pensiero Debole, privo cioè di forti
richiami ideali ed etici, che si è
sviluppato in epoca postmoderna, nella
seconda metà del secolo appena finito. Con
questa breve relazione cercherò di
dimostrare che i nostri ragazzi sono tutt'altro
che figli di un Dio minore, ma autentica
aria del Terzo Millennio.
Ho scelto
un titolo che contiene un'apparente
contraddizione: l'ottica junghiana sul
disagio giovanile. Molti infatti
affermano che l’Opera di Jung è
principalmente rivolta alla comprensione e
al sollievo dei disagi della seconda parte
della vita.
Va infatti
per la maggiore che il lavoro di Jung
sarebbe un esplorare il mondo che si apre
agli individui quando gli affanni giovanili
sono sopiti, quando le questioni affettive
trovano quiete, quando le lotte per
l’affermazione dell’Io e la conquista di una
posizione sociale lasciano il campo a
migliori capacità introspettive.
In questo
scenario, che caratterizza l’aprirsi della
seconda parte della vita, comparirebbero
pulsioni nuove, diverse, che in una parola
potremmo definire genericamente
“spirituali”, se con questo termine possiamo
significare il complesso delle esperienze
profonde, e che sono rappresentate
dall’aspirazione alla ricomposizione dei
conflitti, alla ricongiunzione degli
opposti, all’individuazione dei simboli e
dei miti che sono stati l’inconsapevole
motore della nostra vita, quel “tendere a
…” che ci ha sospinto e ci sospinge fino
a poter dire a noi stessi che la nostra vita
è stata ben spesa e dunque “compiuta”.
Questo
processo, quando si compie, è lungo una vita
intera, ed in verità nessuno ha mai
specificato quando debba iniziare. La
suddivisione dei campi di ricerca in periodi
della vita, è infatti un mero espediente
didattico, non fosse altro che per il fatto
che la personalità non è un blocco compatto,
ma alcune parti crescono in fretta, altre
lentamente e altre spesso non vedono mai la
maturità.
- CENNI
SINTETICI SUL VALORE UNIVERSALE DELL’OPERA
DI CARL GUSTAV JUNG
Prima di
arrivare al nocciolo di questo intervento, e
cioè in che modo l’insegnamento di Jung può
alleviare il disagio dei nostri giovani,
consentitemi di aprire una breve parentesi
sul valore universale dell’opera di Jung.
Il lavoro
scientifico di Jung inizia all’alba del
ventesimo secolo nell’ospedale psichiatrico
di Zurigo, con studi assai originali su
pazienti schizofrenici. Fu il più brillante
allievo di Freud fino al 1913, quando
sorsero insanabili divergenze scientifiche.
Si deve a
Freud la fondamentale intuizione
dell’esistenza di una zona del nostro
immaginario che non è sottoposta alle regole
della coscienza e che quindi sfugge alle
categorie tipiche della mente cosciente
quali il bene e il male e la definizione di
un prima e un dopo; definì Inconscio questa
zona colma delle rimozioni infantili, per lo
più dolorose e che causarono sentimenti di
vergogna e di indegnità. In questo ambito,
tipico del mondo dei Sogni, degli Istinti e
delle Emozioni, non abbiamo un diretto
controllo da parte della parte “alta” della
psiche, la Coscienza, ci troviamo piuttosto
nella condizione di subirne gli influssi,
talvolta in maniera problematica con lo
sviluppo di nevrosi..
Jung
allargò questo concetto, definendo un ambito
che si aggiunge all’Inconscio freudiano e va
oltre, trascendendo l’esperienza personale;
chiamò questa zona inesplorata Inconscio
Collettivo. In questa zona del nostro
complesso mondo psichico sono “scritte” le
esperienze che l’essere umano, inteso come
specie, ha compiuto fin dalla notte dei
tempi. Tali Esperienze Fondamentali
dell’Umanità sono, in questa concezione
junghiana, strutturate nella psiche per
diritto di specie, vale a dire che sono
tipiche dell’essere umano e di nessun altro
nel creato. Al pari dei processi
filogenetici che hanno determinato
l’evolversi della specie umana fino a
giungere all’ Homo Sapiens,
nell’Inconscio Collettivo sarebbero
rappresentate le tappe del progresso
psichico fino all’odierna complessità.
Sappiamo
dallo studio dei sogni e dall’analisi degli
stati di trance che la mente umana
“funziona” per immagini e simboli, i
“ragionamenti” vengono dopo, nel cervello
evoluto, la corteccia, dunque per Jung lo
studio della psicologia del profondo doveva
prendere le mosse dall’osservazione dei
simboli e delle immagini che l’essere umano
ha creato lungo la sua storia. Per questa
ragione, lungo tutta la sua vita, Jung
studiò antichi trattati alchemici, la
Mitologia classica e la storia delle
Religioni, viaggiò nei Continenti, sempre
alla ricerca dei simboli di antichissime
civiltà.
Ad
esempio, alcune migliaia di anni or sono, ai
quattro angoli del mondo, popolazioni
lontanissime e certo non in contatto fra
loro, tracciavano sulle rocce, sui monumenti
funerari e sacri, sugli utensili, disegni di
forma quadrata e/o circolare (Mandala) di
aspetto e contenuto straordinariamente
simile tra loro.
Il Simbolo
della Croce è parecchio antecedente all’era
cristiana, e lo ritroviamo nella simbologia
sacra di civiltà lontanissime tra loro, che
nulla potevano avere in comune, se non
qualche elemento psichico inconscio,
appunto.
E che dire
delle figure mitiche come l’Eroe, il
Guerriero, la Grande Madre, il Vecchio
Saggio, il Fanciullo, il Demone, la Fata,
che ritroviamo nelle culture delle più
antiche e disparate civiltà del Pianeta.
Questi miti sono patrimonio dell’Umanità,
dei veri contenitori delle esperienze
profonde dell’essere Umano inteso come
specie e dunque dalla sua comparsa su questo
mondo. La Mitologia Classica racconta
infatti storie che ci sono “familiari”, come
la leggenda di Edipo, quella di Demetra, di
Venere o di Enea, che ritroviamo, pur con
nomi e contesti diversi, nelle vicende
tramandate di antiche civiltà pellerossa,
centroeuropee o asiatiche.
Straordinari sono gli studi di Jung sugli
eventi sincronici (premonizioni, veggenze e
in generale tutti i fenomeni paranormali),
che egli considera un’altra dimostrazione
dell’esistenza dell’Inconscio Collettivo. Le
categorie spazio-tempo sono artifici della
mente, la Fisica delle nano particelle ha
infatti dimostrato che il prima e il dopo
non sono valori assoluti, ma relativi
all’osservatore che, a sua volta, è soggetto
a più variabili. Senza meno l’Inconscio è
slegato da queste categorie “mentali” e
allora accade che in particolari stati di
abolizione della Coscienza (sogni, stati
crepuscolari, trance, ecc…) ci si possa
trovare in un “qui ed ora” che non ha inizio
e fine, prima e dopo, al pari di un’immagine
in un quadro e allora ci si può parare
davanti quello che chiamiamo “futuro”, ma
che invero appartiene alla dimensione senza
spazio e senza tempo che tutto comprende e
che rappresenta l’Esperienza dell’Umanità,
percepibile dall’Inconscio.
La
conclusione cui giunge Jung è dunque che la
psiche ha compiuto un lungo percorso
evolutivo comune a tutta la specie umana, al
pari del progresso della Specie dimostrato
dalle scoperte evoluzionistiche di Darwin.
Jung avrebbe allora scoperto l’esistenza di
una “filogenesi psichica”, comune a tutti
gli esseri umani. Esattamente come avviene
per il corpo, anche la psiche tiene traccia
del percorso compiuto e Jung chiamò questa
“traccia” Inconscio Collettivo.
- IL
CAMBIO DELLA WELTANSCHAUUNG COME
SOLUZIONE AL DISAGIO GIOVANILE
Il
termine tedesco Weltanschauung, del quale di
qui in avanti dobbiamo fare uso per le
ragioni che vedremo appresso, non è
letteralmente traducibile in lingua italiana
poiché non esiste nel nostro vocabolario una
parola che le corrisponda appieno. Essa
esprime un concetto di pura astrazione che
può essere restrittivamente tradotto con
"visione del mondo" e può essere riferito ad
una persona, ad una famiglia, un gruppo o ad
un popolo.
La
"Weltanschauung" tende a trovare una
collocazione in un ordine generale
dell'Universo comprensivo di elementi di
specie, geografici, linguistici e razziali;
si tratta dunque di un concetto che
trascende il singolo e attinge al collettivo
condiviso, e l'uso di questo termine nel
linguaggio italiano al posto di "visione del
mondo" ha il significato di estendere il
concetto ad una dimensione sovra personale
di un determinato punto di vista.
Nei suoi
numerosi scritti, Jung ha fatto molto uso di
questo termine per descrivere la profonda
trasformazione della Società e dei singoli
individui allorché cambia la Weltanschauung
e come, al contrario, senza un cambiamento
della Weltanschauung diventi spesso
impossibile ottenere una reale soluzione
alla personale sofferenza psicologica o al
disagio di un popolo, con ciò significando
che spesso è salvifico riunirsi a quella
parte che ha radici collettive di
appartenenza, di specie, di razza,
geografiche e di religione ed al contempo
prendere le distanze dall'ego ristretto di
un individuo (o dagli stereotipi di una
Società).
I giovani
di questa nostra epoca hanno visto
sgretolarsi, dopo i fascismi ed i comunismi,
anche i capitalismi, i partiti politici
portatori di ideali, la famiglia come nucleo
solido e protettivo, il lavoro come artefice
di benessere e dispensatore di dignità e
motivazioni.
Rendiamoci
conto che i giovani si ritrovano fra le mani
null’altro che i cocci del nostro piccolo
mondo antico. E cosa dovrebbero allora
fare i giovani? Costruire un progetto con
quei cocci che a malapena sostengono noi?
Certamente no. Loro stanno infatti cambiando
la Weltanschauung, sono costretti a questo
da un ineluttabile destino di crescita che
appartiene alla Specie e che certo non può
arrestarsi per crisi contingenti. E’ già
accaduto nel primo e nel secondo dopoguerra
e prima ancora al tempo della Rivoluzione
Industriale.
Jung ci
ha insegnato che la Weltanschauung,
indipendentemente dall’accezione
qualitativa, è il motore del benessere
psicologico e che in condizioni di
sofferenza la Weltanschauung deve giocoforza
cambiare, non si può insomma impunemente
stare in una condizione di “assenza di
progetto” o di progetto raccogliticcio,
poiché, in termini psicologici profondi,
questa condizione porta spesso alla
sofferenza individuale e sempre alla
fragilità, al plagio e apre la strada alle
malìe dei falsi profeti e dei ciarlatani.
Per certi
versi e per le ragioni fin qui esposte, la
condizione dei giovani della nostra epoca
appare assolutamente non invidiabile, ma ci
sono aspetti che, come vedremo più avanti e
in conclusione, possono ribaltare la scena.
-
CONCLUSIONI
In che
modo l’insegnamento del grande psicologo
svizzero può aiutarci ad aiutare i giovani?
Tra di noi
ci sono Insegnanti, intellettuali e
Professionisti d’Aiuto, religiosi e laici,
inutile dire che tutti siamo chiamati ad
impedire che interessi di parte cavalchino
il disagio giovanile. E forse questo è tutto
quanto sia possibile fare. Intendo dire che
secondo il punto di vista espresso qui oggi,
il progetto evolutivo delle coscienze
‘cammina’ da solo. Gli educatori laici
accompagneranno i giovani nei territori
del sovra personale, poiché, per dirla
con Jung, è là che incontriamo il Sé, vale a
dire la regione più grande ed inespressa di
noi. Il sovra personale è cosa ben diversa
dal soprannaturale, che lasceremo ai
confessionalisti.
Dal punto
di vista della Conoscenza appare più
opportuno ritenere che non ci possa essere
nulla di realmente piccolo che ci riguardi,
tenteremo infatti di far comprendere ai
giovani che siamo parte di un grande
progetto di Specie, quella Umana, che è
portatore di quel destino ineluttabile di
crescita cui abbiamo accennato poco fa.
Le
esperienze fondamentali dell’Umanità sono
tutte dentro di noi e con esse anche le
soluzioni ai problemi. A questo proposito
giova ricordare a noi stessi ed ai giovani
che ci sono problemi che per loro natura non
possono essere risolti, ma solamente
superati, grazie a passi evolutivi della
Coscienza, fino al passetto fondamentale che
consente la visione di un orizzonte più
ampio, oltre il muro.
L’
Inconscio Collettivo ha contenuti di
infinita saggezza perchè sono il
‘distillato’ delle esperienze fondamentali
dell’umanità. Ci sono scienziati che hanno
dimostrato che ognuno di noi è portatore di
una summa filogenetica, un lungo
cammino fatto, e dunque nessuno è tanto
piccolo da ‘meritare’ l’incoscienza, di
rimanere cioè tagliato fuori dal progetto.
La mia
opinione è che la Weltanschauung che
davvero farà fare un passo in avanti alle
nuove generazioni e all’Umanità in generale,
passa per l’abbraccio fra l’infinitamente
intimo e l’infinitamente condiviso, fra gli
opposti che tutto comprendono e che sono già
un intero nella nostra natura. Se i
giovani faranno un passo verso questa
‘visione del mondo’, e sono certo che lo
stanno facendo, spingeranno il piccolo
mondo antico della nostra generazione
fino al Medio Evo e sarà davvero l’inizio
del Terzo Millennio.
Se
ascoltiamo attentamente come ci raccontano
il mondo i più avanzati fra i giovani di
oggi, c’è da stupirsi. Solo pochi secoli fa
certe intuizioni erano appannaggio esclusivo
di Santi e Profeti. Oggi se ne parla
all’uscita di un cinema o davanti ad un
boccale di birra. E’ la nuova Weltanschauung
che si affaccia. Il cammino filogenetico
dell’essere umano non riguarda solo l’aver
assunto la stazione eretta ed essere
divenuto Homo Sapiens, ma l’aver
continuamente cambiato la Weltanschauung.
Da questo
punto di vista si intravede un altro modo di
aiutare i nostri giovani: riconoscendo loro
questo ruolo fondamentale e lasciando loro
la scelta di cosa “mettere in valigia” dei
nostri cocci e soprattutto smettendo di
giudicare con metri di misura che sono
oramai inservibili in quanto spesso
addirittura incomprensibili. Grazie per
l’attenzione.
Bibliografia: Carl Gustav Jung – Opere
(Boringheri 1983 vol. 1 – 19)
Carl
Gustav Jung – Ricordi, Sogni, Riflessioni
(BUR 1981) |
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UN ATTEGGIAMENTO
EROICO
(articolo di Carlo
Anibaldi – dic. 2008)
Coloro, fra i miei
quattro lettori, che nei loro studi un po' si sono occupati di come
funziona la mente intesa come "organo", hanno capito dal titolo
dell'articolo di cosa vado a parlare: l'urgenza di adottare uno stile di
vita "eroico" come sola maniera per uscire dalla crisi. Non mi riferisco
alla crisi economica, che è solo una delle conseguenze, ma alla crisi di
riferimenti, valori, senso, che insieme caratterizzano questo inizio del
terzo millennio.
Le cronache di questi
giorni di fine 2008 sono un tale concentrato infernale di disvalori che,
tutti insieme, vanno quasi a costituire un "vaccino" che tenderà ad
immunizzarci per le nefandezze future, finiremo per non accorgerci
nemmeno di quanto e in che direzione il mondo sta cambiando. L'inizio
del secolo scorso ha visto polverizzarsi il "piccolo mondo antico" e nei
primi anni di questo secolo stiamo assistendo alla distruzione di quel
che di buono era risorto dalle ceneri di un mondo sconvolto: la dignità
del lavoro, l'antifascismo, la democrazia, la libertà.
I furbi di tutto il
mondo si sono come uniti contro l'intelligenza ed hanno intravisto la
vittoria su valori ai loro occhi meno "remunerativi", hanno fatto
quadrato e fatto scempio di principi che sembravano acquisiti: la
solidarietà, una vita degna come frutto del lavoro, il progresso
generazionale, la libertà, il merito, la giustizia, la cultura,
l'onestà.
Il Presidente della
Nazione più influente del mondo viene preso a scarpate alla fine di otto
anni di mandato; un miliardario con al polso orologi che valgono
appartamenti viene acclamato, nel bel mezzo della vecchia Europa, come
Salvatore della Patria, dalle tasse e dai "comunisti"; fascisti ed ex
fascisti disquisiscono in TV circa le Leggi Razziali del '38; milioni di
persone costrette a lavorare per stipendi che non consentono la
sopravvivenza economica; chi non gestisce la sua professionalità per
arricchire, ma per condurre una vita onesta, degna e coerente viene
deriso, tiranneggiato, emarginato, punito, sia esso magistrato, medico,
giornalista o ricercatore; Santa Romana Chiesa non ha ancora fatto pace
col suo passato e anzi continua a discriminare, condannare, scomunicare,
senza aver mai messo fuori dai loro portoni un fascista, un tangentista,
un mafioso, un faccendiere, e nemmeno un piduista; la percentuale di
inquisiti e condannati è maggiore nel Parlamento che in qualsiasi
condominio d'Italia; salvo eccezioni, non ancora verificate, ma il tempo
è galantuomo, gli amministratori locali amministrano la cosa pubblica a
vantaggio, in primis, proprio e di parenti e amici. Il nostro
debito pubblico più grande del mondo è in gran parte dovuto alle ruberie
delle numerose mafie di vario livello e per l'altra parte ad un'evasione
fiscale da record, ciò nonostante nessun governante ha chiesto i voti
per far piazza pulita di tutto questo, dimenticando che ci sono tanti
mestieri più facili, cui nessuno chiede di contrastare i mafiosi e gli
evasori. Questo è il quadro della situazione nella nostra bella Italia,
ma il resto del mondo, stiamo vedendo in questi ultimi mesi, non ha
molto da insegnarci, salvo forse che una giustizia dalle mani legate è
roba da Repubblica delle Banane. La caduta di valori è universale ed è
bene chiarire subito ai politici che ogni sera vanno in TV a "buttarla
in caciara", che non c'è libertà senza libertà dal bisogno, non c'è
democrazia senza informazione plurale, non c'è giustizia senza certezza
della pena, uguale per tutti.
Dopo questo che
abbiamo sotto gli occhi, qualunque persona di media intelligenza, medio
senso etico, media onestà, comincia a chiedersi: come posso far
sopravvivere la mia anima? Come posso fare qualcosa di buono per me, per
gli altri, per la mia famiglia, in un mondo consegnato ai furbi e ai
disonesti anche intellettuali? A mio parere, ma so di essere in buona
compagnia, la sola salvezza ci proviene dall'assumere
quell'atteggiamento, quello stile di vita eroico che dicevo
all'inizio di questa chiacchierata. Ci sono lavori da apprendista e
lavori da Maestro, ebbene in questi tempi di mare grosso gli uomini
semplici, di buona volontà, il popolo sano, è obbligato a diventare
Maestro ed assumere atteggiamenti eroici. L'Eroe, per definizione, è un
uomo senza guida e senza altro riferimento che non sia se stesso, con
quello che ha dentro, con quello che ha imparato, solo col suo bagaglio
nell'affrontare compiti che sono diventati improvvisamente grandi.
Evviva i mille e mille Eroi che ogni giorno riescono a mettere un
mattone per la casa dei nostri figli.
Qui
puoi commentare l'articolo:
http://edemocrazia.ilcannocchiale.it/2008/12/17/un_atteggiamento_eroico.html
NON VESTIVAMO ALLA
MARINARA
(articolo di Carlo
Anibaldi – sett. 2008)
Erano gli anni cinquanta, sui muri dei magazzini di
periferia dove andavamo a giocare c’erano grandi scritte nere su fondo
bianco che non capivamo, in particolare una che ammoniva: “La stasi
debilita, l’azione rinfranca”, figuriamoci, non stavamo mai fermi un
momento! E quell’altra: “Vincere e Vinceremo”, tutte sempre
firmate con una M corsivo maiuscolo.
Eravamo figli di ferrovieri, piccoli commercianti,
impiegati e operai, tanti operai e decisamente non vestivamo alla
marinara. Molti di noi avevano indosso pantaloncini e magliette dei
fratelli maggiori e poi ogni venerdì veniva il mercato americano e la
mamma ci comperava strane camicie con i bottoncini sul colletto, sempre
troppo grandi, buone anche per gli anni a venire.
Il Caffè sotto casa aveva una saletta al piano superiore
con un grande televisore e ogni sabato sera eravamo tutti lì a vedere il
Musichiere, ma avremmo visto qualsiasi cosa, purché fosse venuta da
quella scatola magica. La domenica mattina era sempre un po’ speciale:
c’erano le attività parrocchiali, che per noi bambini avevano il
significato di rendere ufficiale la nostra attitudine a giocare, sudare
e sporcarci. E poi il passaggio con papà alla pasticceria per i bignè,
talvolta rovinato da una precedente fermata dal barbiere, che ci faceva
sfumature incredibilmente alte, così duravano di più.
Gli anni della scuola non erano facili per noi: grembiulini
neri, inverni lunghi, macchie d’inchiostro sulle dita, tanti compiti a
casa e tante lacrime. Per i nostri genitori la scuola era la sola
possibilità di offrirci un futuro migliore del loro presente, e allora
niente sconti, serietà e senso del dovere erano le parole d’ordine,
insomma una specie di “missione di famiglia” e allora per essere
asini ci voleva davvero un fegato grosso così. Infatti a quei tempi
gli asinelli si potevano contare sulla punta delle dita di una mano.
Forse non eravamo proprio felici, ma nessuno ci aveva mai
detto che la felicità era cosa di questo mondo, del nostro mondo e
dunque come si fa ad essere davvero infelici se non conosci la felicità?
Altri erano i percorsi e gli scopi, non certo perseguire la
felicità, e allora le parole per dire della nostra vita erano poche,
semplice e chiare e per lo più orientate al senso del dovere, del
sacrificio e della moderazione. Tutte cose difficili da far proprie per
dei ragazzi, ma la parola trasgressione non era stata ancora
inventata, ci sarebbero voluti una decina d’anni ancora.
La nostra generazione ha genitori che hanno visto con i
propri occhi la dittatura, la fame, la guerra, la distruzione, la morte
e dare a noi anche molto meno della felicità era già tantissimo, un vero
traguardo.
Molto diverso il nostro punto di vista e infatti la
cosiddetta Rivoluzione del ’68 nasce per il prepotente desiderio di
aggiungere allo schema di vita che i nostri genitori avevano preparato
per noi, quella che abbiamo giudicato un’assenza impossibile: la Ricerca
della Felicità. Abbiamo insomma preso a pensare che una vita senza la
possibilità di perseguire la Felicità non sia una vita degna, ma
rassegnata e minimalista. Una vera rivoluzione rispetto ai sobri
principi dei nostri padri.
Per noi che non vestivamo alla marinara, la Ricerca della Felicità non
era un dato di fatto come per quelli che vestivano alla marinara, ma una
conquista da fare sulle barricate, non solo metaforiche. Quella
Rivoluzione, dei costumi e degli ideali, ci ha delusi un po’ tutti ed in
parte è rientrata, come spesso accade per i progressi sociali: due passi
avanti e uno indietro.
Un effetto collaterale importante però c’è stato. I nostri
figli, in buona parte, molto hanno assorbito del nostro anelito di
Ricerca della Felicità, ma, vista la gran velocità di questi tempi, sono
già arrivati in molti all’affermazione del Principio di Felicità, sopra
ogni altro. C’è il legittimo timore che abbiano saltato qualche tappa,
ma la ”colpa” sarebbe comunque la nostra e allora non dovremmo
giudicare.
Qui
puoi commentare l'articolo:
http://carloanibaldi.blog.kataweb.it/2008/09/20/ciao-mondo/
Miniconferenza:
Raccontare la Storia
(di
Carlo Anibaldi –
Marzo 2008)
Se
dovessi fare una classifica di attendibilità del "racconto storico"
metterei all'ultimo posto giornali, TV, cinegiornali e anche testi
accademici e tanta parte
di Internet. Solo qualche gradino più sopra metterei le ricerche e i
documenti originali. Consideriamo infatti la Storia per quel che è:
l'incessante e precipitoso
scorrere del presente che ... è già passato. Alcuni documenti, suoni,
immagini, sono giunti fino a noi, tutto il resto è racconto,
talvolta onesto, talvolta fantasioso, talvolta manipolato; partendo da questo
semplice assunto,
tutto quanto appare interpretazione, formazione, e talvolta
appunto manipolazione di opinione. Il solo momento autentico credo riguardi
l'osservazione del fatto storico come in genere si fa con un'immagine alla
galleria d'arte o quella che ci colpisce in un sogno, ma quando si tenta
di descrivere, raccontare quell'immagine, troppo del narratore si
mescola al "vero".
C'è un
esercizio didattico oramai classico che viene fatto fare agli studenti ai primi approcci alla
Psicologia: ognuno viene invitato a descrivere su un foglietto ciò che
vede rappresentato alla lavagna (ad esempio un oggetto oblungo con
apice appuntito), ebbene non ci sono mai due descrizioni identiche: una
pallottola, una supposta, la mitra del vescovo, la pala del contadino,
un fallo, un razzo per la Luna. A questo punto l'insegnante introduce il concetto
di "proiezione" dei propri contenuti personali, non sempre consci, sulla
realtà, mistificandola.
Immaginiamo
ora di scrivere sulla lavagna di quella scolaresca parole da
interpretare come, ad esempio, Vietnam, Mussolini, Churchill, Craxi,
Kennedy, IRA,
Solgenitsin, ecc... Nei foglietti degli studenti troveremo tutto e il
contrario di tutto e se non lo troviamo, ebbene è già avvenuta la
manipolazione. E'
del resto esattamente questo il campionario che troviamo su giornali,TV e in certe
interviste e articoli di "esperti" quando cerchiamo di farci un'opinione
il più possibile oggettiva sui fatti, siano essi vicini o lontani nel
tempo. Talvolta in buona fede, più spesso no, il racconto storico degli
eventi risente pesantemente dell'indirizzo culturale, sociale e politico
del narratore o studioso che sia. Quando addirittura non risponde ad una
studiata logica mistificatoria degli Opinion Maker di
professione, vale a dire tanta parte dei sedicenti "giornalisti".
Ma
allora? Cosa dobbiamo fare per farci un'opinione che sia almeno
intellettualmente onesta? A questa domanda che storici, giornalisti e
divulgatori si pongono da sempre, sono state date molte risposte, tutte
convergenti sul concetto di "etica" professionale. Io mi concedo di
essere piuttosto scettico su questo punto poiché non s'é mai visto che
l'etica risponda a principi universali, come pure il concetto di "bene" e
"male" o quello di "giusto" o "ingiusto".
Del resto sappiamo anche che gli "Statuti" degli Ordini dei Giornalisti
sono quotidianamente disattesi, senza conseguenze per alcuno per la
ragione di cui sopra: l'etica professionale è fatta di gomma morbida.
A mio
parere dovremmo tornare all' "immagine" e alla potente carica di
oggettivazione dei fatti che contiene. Non dimentichiamo infatti che la
mente arcaica, il cervello filogeneticamente "antico", quello che
abbiamo in comune con gli altri animali, "funziona" per immagini e non
per "concetti" che sono solo le elaborazioni intelligenti, a posteriori,
delle immagini. La nostra coscienza è in grado di "comprendere" le
immagini in modo autentico, senza filtri "mentali" interpretativi. Il Racconto Storico di fatti ed eventi
più vicino al "vero" sembra dunque essere quello che procede soprattutto per
immagini e suoni che richiamino immagini. (su questi aspetti
vedi
anche "Il Simbolo" secondo Jung)
Questo
è quanto io credo e questa è dunque la ragione che vede in questo sito
una maggior profusione di immagini e suoni che elaborazioni concettuali
e opinionistiche su fatti che le immagini già ben descrivono ad una
mente onestamente ricettiva.
Qui puoi commentare l'articolo:
http://edemocrazia.ilcannocchiale.it/comments/1611713
Miniconferenza:
Il quotidiano fra Cronaca e Storia
(di
Carlo Anibaldi –
Giugno 2008)
Talvolta
ci sono notizie sui giornali che a leggerle oltre il significato di
cronaca del quotidiano, danno il segno dei tempi che cambiano, di valori
che tramontano, di altri che sorgono e di altri ancora che ritornano.
Non s'è mai visto che la società degli umani sia stata in perenne
crescita evolutiva. Noti filosofi, vecchi e nuovi, hanno ben studiato il
fenomeno e ai più appare chiara la discontinuità temporale e perfino
geografica dei processi evolutivi. Per intenderci, è un processo
evolutivo quello che, ad esempio, ha preso a considerare un'abnormità la
schiavitù, la liceità dell'omicidio d'onore e della legge del "taglione"
o anche fenomeni di minore impatto come il fumo nelle scuole e negli
ospedali. I sociologi ci hanno spiegato che c'è una sorta di processo
imitativo alla base dei fenomeni sia evolutivi che regressivi di un
corpo sociale, anche ristretto, non necessariamente planetario. In
Italia e in Francia, ad esempio, per tutto il Novecento si sono
alternate vicende connotate da fenomeni di lotta di classe, che a
seconda dei momenti storici, anche internazionali, hanno visto prevalere
talvolta valori societari tendenti al conservatorismo e talvolta quelli
tendenti al progressismo. Molta fortuna ebbe l'idea di poter dividere e
classificare la società in una Destra storica e una Sinistra storica,
con riferimento alle ali contrapposte dell'emiciclo del Parlamento, con
l'intento di rappresentare immutabili tendenze individuali. A livello
nazionale e internazionale entrambi gli schieramenti hanno toccato con
mano, nel corso di un secolo, tutte le possibili aberrazioni
dell'affermazione decisa di una parte sull'altra.
Con la
fine del Secolo Breve (1991) s'è fatta strada l'idea che una tale
rappresentazione della società è artificiosa come è artificioso pensare
che si possano suddividere gli individui in base alle loro tendenze in
tema di egualitarismo, tolleranza, progressismo, conservatorismo. Questo
errore è oggi (2008) evidente anche agli osservatori più disattenti.
Quando la regressione economica è globale, quando il petrolio vola verso
i 200 dollari al barile, che senso ha per la gente comune il concetto di
progressismo? Come si può essere progressisti quando non c'è progresso e
la crescita è zero e il futuro appare fosco? Per le stesse ragioni, che
senso ha il conservatorismo quando non ci sono i soldi per fare la
spesa? Nemmeno per il laureato 110 con lode? Conservare che cosa? Quali
valori? Ci eravamo fatti l'idea che i "barboni" erano individui
instabili psichici, alcolisti, ai margini della società per la
soggettiva impossibilità ad inserirsi. Lo pensiamo ancora guardando al
futuro dei nostri figli, molti dei quali senza casa, senza lavoro, senza pensione?
Gli
esseri umani sono creature assai complesse, le più complesse del Creato,
viste le loro possibilità di discriminare, di trascendere gli istinti
primordiali. In quanto creature complesse, appare ridicolo quel politico
che si rivolge alla "gente", appellandosi a valori universali lontani
dalla "pancia" e dunque dalle paure e dai bisogni. Come del resto appare
inadeguato anche quel politico che si rivolge esclusivamente alle
"pance" dimenticando la complessità degli individui. Ecco dunque
spiegati "fenomeni" politici di massa che hanno determinato, in questo
2008, la sparizione quantitativa della sinistra idealista e il successo
(3 milioni di voti alla Lega Nord) di partiti che promettono di sedare
le paure della "gente", privi di ideali, ma vicini al territorio e
dunque ai problemi del quotidiano.
Con la
scorta di queste osservazioni, tornando alle pagine di cronaca del
giornale di oggi, non è difficile cogliere il senso del diffuso quanto
inconsueto spregio di valori solidaristici, egualitaristici, etici.
Leggiamo ad esempio che oggi lo stipendio di un manager pubblico, di
quelli che lavorano con soldi pubblici, è quantificato mille e più
volte quello di un suo dipendente che deve scegliere se pagare le
bollette o mangiare. Leggiamo anche che alcuni medici in talune
strutture private sono pagati 6-8 euro/ora, come colf, a meno che
non accettino compromessi grandguignoleschi di pompaggio delle
fatture alle ASL, possono allora anche arricchirsi.
La
Storia dunque sembra in questo momento andare all'incontrario: son
tornati i "Padroni delle Ferriere" e i "negrieri", altro che progresso!
Non dovremmo comunque spaventarci troppo, la Storia fa così: un passo
avanti e mezzo indietro; è una questione di complessità, come abbiamo
visto, ma forse soprattutto di disequilibri economici che rendono
talvolta vincenti valori aberranti come il cinismo, l'ingiustizia
sociale e l' egoismo, come è sempre accaduto.
Qui puoi commentare l'articolo:
http://eDEMOCRAZIA.ilcannocchiale.it/post/1950441.html
LA FUCINA DELLE IDEE
Da un po' di
tempo si sente sempre più esprimere il concetto che destra e sinistra
pari sono, le distinzioni, si dice, sono altre, basate sul 'fare' e non
sui principi. Qualcuno vuol togliere di mezzo i partiti politici e
vedere costituirsi associazioni di cittadini 'per fare le cose'.
Ovviamente gli apparati di partito fanno muro bipartisan contro queste
idee 'qualunquiste' che minacciano le loro galline dalle uova d'oro.
Il fatto che in Italia i partiti politici siano diventati apparati
incolori, costosi e disonesti, non dovrebbe cancellare dalla memoria
storica di ciascuno il Partito Unico e il non-partito. Proviamo infatti
a mettere intorno ad un tavolo anche solo tre persone e un problema da
risolvere e constateremo che ci sono sempre almeno due soluzioni, ma
spesso di piu'.
Dunque la questione di fondo non è mai stata tra il 'fare' e il 'non
fare', ma sul 'come fare'. La politica è l'arte di 'trovare la strada'
ed i partiti hanno la funzione di 'fucina delle idee'. Le idee hanno
orientamenti di massima che sono stati definiti di destra o di sinistra
e definiscono l'habitus mentale di chi propone le soluzioni ai problemi
ed il consenso che si raccoglie tra persone dello stesso habitus, o
cumulo di esperienze personali e sociali che dir si voglia.
A nessuno sarà possibile uniformare, amalgamare il cumulo di esperienze
personali e sociali della gente, dunque rassegnamoci sin d'ora al fatto
che, come l'araba fenice, i partiti risorgono dalle loro stesse ceneri,
cambiano nome, cambiano leader, ma riprendono vita. Questo non è però da
considerare il 'male assoluto', ma l'anima della Democrazia, anche
quando i partiti ci deludono.
I partiti politici sono la sede naturale della Fucina delle Idee e, non
foss'altro che per questo, non andrebbero ma minacciati di estinzione,
poiché il Pensiero Unico non esiste a questo mondo, è solo la chimera
dei ciarlatani e degli imbonitori, cui talvolta la Storia ha purtroppo
affidato grandi responsabilità, seppur per breve tempo, tempo maledetto.
Come sappiamo, le idee non hanno di per sé una connotazione assoluta:
esistono infatti idee giuste al momento sbagliato, idee sbagliate al
momento giusto, idee giuste al momento giusto e, infine, idee sbagliate
al momento sbagliato. Chi fra di noi ha più di 65-70 anni ha avuto
l'avventura di saggiare sulla propria pelle tutta la gamma delle idee.
Il Fascismo ed il Nazismo furono, ad esempio, il trionfo di idee
sbagliate al momento giusto. Il tripudio delle idee giuste nel momento
sbagliato furono invece quelle che animarono le lotte studentesche negli
anni '60 e '70, ne approfittarono infatti gli estremisti senza scrupoli.
Altro sanguinoso esempio di idee giuste che videro la luce nel momento
sbagliato, probabilmente è la delibera dell'ONU del '48, che assegnava
la terra araba di Palestina agli ebrei transfughi da mezzo mondo. Anche
l'introduzione dell'Euro e l'allargamento della Comunità Europea vanno a
costituire il mazzo delle idee giuste prese nel momento sbagliato.
Invece le Leggi Razziali del '38 furono un tragico esempio di idea
sbagliata presa, per sovrappiù, nel momento peggiore, cioè con i nazisti
davanti alle porte di casa.
Il principio che in questi tempi difficili dovrebbe affermarsi, è
l'opinione di molti, è quello di difendere piuttosto i partiti
dall'irruzione di uomini sbagliati, uomini dalle vedute ristrette,
uomini avidi, che in definitiva non hanno fatto mai nulla di buono e
che, al contrario, hanno dato dimostrazione di servirsi dei partiti,
piuttosto che servirli nel pubblico interesse.
Comunque sia, sono certo che è questa la linea evolutiva, ci sono i
segnali di varia provenienza, bisogna solo attendere che i vecchi
elefanti di un mondo vecchio si avviino al loro cimitero dorato. Non
disperdiamo energie ad illuderci di vederli finire nella polvere, hanno
lavorato una vita intera per evitarlo e di certo ci riusciranno.
(Carlo
Anibaldi - Dicembre 2008)
Qui puoi commentare l'articolo: http://eDEMOCRAZIA.ilcannocchiale.it/post/2116460.html
Miniconferenza:
La polvere della Storia
(di
Carlo Anibaldi –
Luglio 2008)
Ai
nostri contemporanei dobbiamo tutto, il resto è solo la polvere della
Storia che, pur inconsistente, tutto ricopre. Ci sono valori e
circostanze che riteniamo centrali nella nostra storia personale;
generalmente sono gli incontri, l'Amore, la Libertà, la Fortuna, gli
affetti e poco altro. Con ciò tutto sembra detto. Per altri versi, anche
a volerli mettere in fila, in ordine di importanza personale o anche in
ordine alfabetico, par sempre che manchi qualcosa.
Dico
questo perché il nostro sentire più intenso è nell'unicità,
eppure ci muoviamo all'interno di valori, sentimenti, azioni ed emozioni
che sono universali e universalmente vissuti, senza distinzioni di luogo
e di tempo. Ma allora, cos'è che ci fa sentire così unici fra i nostri
simili? Ogni nostra esperienza, con ogni probabilità, è già stata
sperimentata o lo sarà in futuro. Queste stesse mie parole non è
impossibile che già siano state pronunciate. Io credo allora che il
sentimento che ci è più caro, quello che avvertiamo come unicità nel
Creato, sia un dono dei nostri contemporanei.
I
nostri contemporanei sono quattro o cinque generazioni di individui al
massimo. Non sarà necessario stringere la mano a tutti per convincerci
che stiamo compiendo insieme questa traversata. Dovremmo infatti, al
pari dei passeggeri di una nave da crociera, essere tutti pervasi da un
sentimento di magica empatia verso i nostri compagni di viaggio con cui
stiamo condividendo esperienze. Per molti è proprio così, e quelli sono
i migliori, perchè al di là di queste parole c'è davvero la possibilità
di stringerci in un abbraccio con i contemporanei, a patto di
considerarli compagni di viaggio quali sono.
In
queste considerazioni sull'unicità che ci viene dalla contemporaneità,
non posso fare a meno di soffermarmi sulla qualità dei nostri compagni
di viaggio, che è la stessa cosa che considerare la qualità della nostra
vita. Intendo dire che, ad esempio, essere ebrei ed aver avuto Hitler
come compagno di viaggio è stato determinante per milioni di persone che
aspiravano legittimamente ad una vita degna. Alla stessa maniera, per
tanti uomini di colore fu determinante per le loro vite aver avuto
Abramo Lincoln come Presidente, un contemporaneo di alta qualità.
Nel
privato le cose non vanno molto diversamente. Il meglio e il peggio
della nostra esistenza sta più nelle mani degli altri che nelle nostre.
A dispetto di pur affermate teorie psicologiche, io penso che nella
formazione della qualità della nostra vita, il ruolo centrale è affidato
ai nostri contemporanei. Non mi riferisco in modo esclusivo ai
contemporanei prossimi, che pur hanno un ruolo importante, ma in
definitiva un marito manesco lo si può abbandonare. Diverso è prendere
le distanze da un'autorità disonesta o dai mandarini di un regime, ma
questo è un'altro discorso.
Non
fosse per i nostri contemporanei, saremmo, come del resto alla fine
saremo, un puntino indistinto in una moltitudine di lapidi di
sconosciuti, come negli antichi cimiteri di campagna che ci è capitato
di visitare. Nel bene e nel male sono loro a conferirci unicità e
irripetibilità, i contemporanei. Per convincercene in maniera definitiva
dovremmo sfogliare quei vecchi album di foto al mercato delle pulci:
quelle persone di cent'anni fa sono morte due volte, anche nella loro
unicità che hanno perduto con la perdita di tutti i compagni di viaggio
e dunque con l'oblio sentimentale. Perfino gli artisti e i grandi
personaggi, quelli che sembravano i padroni degli eventi e delle genti,
non hanno un destino diverso, infatti ciò che sopravvive è solo la
polvere della Storia, quella sottile patina che contiene i rumors,
le tracce, nei Movimenti e nelle opere, ma l'unicità dovuta allo scambio
di sensazioni e sentimenti con i contemporanei è finita col finire
dell'ultimo compagno di viaggio. Fintanto che erano in vita i superstiti
del Titanic, ebbene quella era una forte esperienza che emozionò i
contemporanei per decenni, poi è divenuta Storia, polvere impalpabile,
irraggiungibile come sa esserlo un racconto d'altri tempi.
Queste
considerazioni non dovrebbero scoraggiarci o renderci un po' più cinici,
al contrario rappresentano, particolarmente per coloro che non godono di
una radicata Fede Cristiana, una possibile base su cui costruire un
diverso rapporto con i contemporanei, che non dovremmo mai considerare
nemici, non fosse altro perchè alla fine essi sono tutto quanto di reale
abbiamo in questa traversata, la nostra unica, irripetibile possibilità
di affermare: "Io c'ero".
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Riflessione:
La loro ora più bella
(Their Finest Hour)
(di
Carlo Anibaldi –
ottobre 2008)
Qualche
anno fa, sfogliando un vecchio album di fotografie ingiallite che si
trova da sempre nella casa che fu dei miei genitori, mi soffermai sulle
espressioni dei volti delle persone cui era stato colto quell’attimo
delle loro vite.
Alcuni erano
volti conosciuti, altri no,
e per la maggior parte, credo, erano raffigurate persone oramai
non più tra noi vivi.
Guardare quei filmati dell’inizio del secolo o delle
vecchie fotografie al mercato delle
pulci mi ha sempre affascinato e intristito allo stesso tempo, e
una delle ragioni di questo sottile disagio l’ho compresa quel giorno,
davanti a quell’album.
Nel guardare quei visi cercavo di carpirne il loro
grande segreto: sapevano che la
loro ora più bella era
oramai alle loro spalle o pensavano di doverla ancora vivere?
Ero insomma quasi ossessionato da questo impalpabile
sbarramento che divideva drammaticamente in due la vita di tutti: ed
eccomi, di volta in volta, cogliere negli occhi della gente quel sottile
velo di rassegnazione che l’accompagnerà per il resto della vita. Vite
oramai segnate dall’aver riconosciuto, in un fugace attimo di un brutto
giorno, l’ora più bella passare ed allontanarsi alle loro spalle.
Altre volte vedevo chiaramente espressa nei volti la
baldanza della gioventù o dell'incoscienza, e negli occhi la certezza di
andare incontro all’ora più bella: perché tanta fretta, mi dicevo con un
velo di preoccupazione.
Questo modo di vedere
non mi dava pace perché la migliore delle ipotesi, in questo teorema,
era costituita da una specie di stoltezza che impedisse di
riconoscere, nell’arco della propria vita, che ora fosse.
Col passare degli anni ho
'dimenticato' le ragioni della tristezza sottile che continuava ad
assalirmi davanti a vecchie foto o filmati, almeno fino al giorno in cui
mi imbattei in un libricino di aforismi Zen. Uno in particolare attrasse
la mia attenzione:
un discepolo
si presenta al Maestro con il seguente grande problema : “ Maestro,
da molti anni seguo i Tuoi insegnamenti, ho cercato in ogni modo di
mettere i miei passi sui Tuoi passi, della Tua saggezza ho fatto la mia
religione... ma ora sono confuso, indicami la Via che ho di fronte,
guida i miei passi nel mondo ...”.
Il Maestro guardò le mani del discepolo che stringevano
una ciotola e disse:
" Hai finito il tuo riso. Dunque lava la tua ciotola.”
Questo semplice aforisma contiene un potente richiamo a
ciò che possiamo, credo, definire la summa di tutte le filosofie
e dottrine: la vita di noi tutti e fatta del qui ed ora, lo sanno
bene i bambini e molte persone anziane, ma nel corso dell’esistenza
siamo proiettati in avanti dalle aspettative o ricacciati indietro dalle
difficoltà di affermazione dell’Io e, per lo più, ci capita di
assaporare fugacemente il gusto della vita intanto che siamo
indaffarati a fare qualcos’altro.
In
un attimo mi è apparso chiaro che 'la loro ora più bella ' e
quella di noi tutti è adesso, mai come adesso. Le vecchie
fotografie non mi angosciano più: la Loro Ora più Bella è stata
una vita intera e forse più.
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Miniconferenza:
Ancora qualche parola sull'Olocausto, il Revisionismo
e il cosiddetto buonismo italico
(di
Carlo Anibaldi –
Luglio 2005)
Il
sito
La Grande Crociata
(Anibaldi.it@Educational) è un sito di testimonianza della barbarie
nazifascista, che certo non è la sola barbarie della Storia, ma di
quella si vuole ora parlare, nel senso che il noto e abusato teorema "tutti
barbari, dunque nessun barbaro" è qui giudicato infantilismo storico
e/o qualunquismo. In altre sezioni in preparazione e in altri siti web
sono trattate le barbarie e i genocidi staliniani, cambogiani, bosniaci,
armeni, russi e americani, ma è da questa che ha segnato le vite dei
nostri padri e madri che vogliamo cominciare, perchè la coscienza cui
bisogna avvicinare i giovani è troppo importante per rischiare di
diluirla con le "lontane" vicende di Pol Pot.
Inoltre riteniamo
che L'Olocausto sia, per caratteristiche storiche (vedi Conferenza
di Wannsee), un evento unico
che ha in comune con altri genocidi solo il silenzio della ragione e
della pietà.
Gli opposti
estremismi sono stati gli indiscussi protagonisti delle peggiori
tragedie dell'Umanità, ma se nessuno appassiona i giovani allo studio
della Storia, molti saranno tentati a riconoscerli come
scorciatoie alla soluzione di problemi personali e sociali.
Il
cosiddetto Revisionismo Storico è in questo sito ritenuto un atto
"creativo" e spesso speculativo dell'ingegno e dunque assolutamente
estraneo al metodo scientifico di ricerca storica. Per questa ragione
nemmeno vi faremo cenno. Trattato dunque al pari di un comizio
elettorale, che notoriamente è l'ultimo luogo dove ricercare le
verità storiche.
Si vuole anche
ricordare che a oltre 60 anni dal dopoguerra è certamente suonata l'ora
di rompere il velo di bugie sul "buon italiano" con cui, dagli anni '50
a tutt'oggi, per ragioni legate alla politica della Ricostruzione e a
quelle dell'allora nascente "guerra fredda", furono coperti i crimini
della cosiddetta "Guerra sporca di Mussolini"" in
Albania, Grecia, Slovenia e Etiopia.
In quei Paesi,
fino all'8 Settembre del 1943, furono compiuti dagli italiani contro le
popolazioni civili, atti non meno efferati (infanticidi, stupri,
esecuzioni sommarie), di quelli perpetrati dalle orde naziste, però non
vi fu mai una Norimberga italiana. Ci provarono gli inglesi, la pretese
Roosevelt fino alla sua morte nell'Aprile del '45, ma non si volle
sporcare la faccia degli italiani che "dovevano" comunque apparire
diversi dai tedeschi*. Di questo ulteriore crimine e della sua impunità,
le centinaia di ufficiali e sottoufficiali e soldati fascisti italiani
responsabili, debbono ringraziare De Gasperi e molti altri fra i
bipartisan padri costituenti della neonata Repubblica stracciona e
suddita dei vincitori che, in nome di superiori interessi legati
alla guerra fredda, che vedeva gli ex nemici, Germania e Italia, in
prima linea nella lotta al comunismo sovietico (senza contare che
dall'altra parte della cortina la ex Jugoslavia chiedeva a gran voce di
rinviare a giudizio i criminali di guerra italiani), alla ricostruzione del
nostro Paese e Dio solo sa a cos'altro (vedi i riferimenti
all'"Armadio della vergogna", ritrovato nel 1994 con le ante rivolte al
muro da 40 anni), hanno concesso libertà
(Badoglio fu
Senatore della neonata Repubblica e Graziani ebbe condonati 17 dei 19
anni di condanna, ad esempio), onori,
pensioni e soprattutto rispettabilità a tanti criminali i cui eredi
ancora godono di ingiustificati privilegi. Ebbene non qui, dove v'è pari
indegnità fra i criminali di guerra tedeschi e quelli fra gli
italiani che non hanno nemmeno avuto necessità di riparare in Sud
America o altrove in quanto protetti dalla massoneria, dalla "ragion di
Stato" e dalla politica dei compromessi. Ovviamente non ci si riferisce ai cosiddetti Ragazzi
di Salò, animati almeno da
adolescenziali ideali patriottici, incolpevoli per ignoranza di Stato,
ma ai comuni criminali di guerra, prima e dopo il '43, sia fascisti che
quelli implicati nelle vendette sommarie post-belliche (vedi foibe - Volante
Rossa).
Credo che
senza improbabili distinguo, storicamente inconsistenti, l'Italia avrebbe
dovuto avere dagli Alleati lo stesso trattamento post-bellico che ebbe
la Germania e il Giappone, insomma un netto voltare pagina, non di
facciata e allora non avremmo avuto gli infiniti compromessi
catto-comunisti e post-fascisti e forse saremmo stati la grande potenza
economica e industriale, senza gli italici risibili "inciuci" e
malcelate nostalgie, che oggi
sono la Germania e il Giappone.
Qualcuno
invece, in nome della realpolitik e del timore di cadere nell'orbita
sovietica,
ha
ritenuto e forse addirittura creduto che 500 giorni di guerra partigiana
potessero riscattarci, davanti alla Storia, da 23 anni di autentico
Fascismo ad enorme consenso di popolo, dove furono soppresse le libertà
fondamentali, perseguitati e imprigionati o peggio gli oppositori
e renderci per questo
"migliori" dei nazisti, dei quali siamo stati ispiratori e poi imitatori
di ideali e azioni (vedi Leggi
Razziali e
Manifesto della Razza - vedi
anche tra i
Firmatari e aderenti nomi
di personaggi che hanno costituito l'intellighenzia post-bellica della
nostra Nazione).
Vedi anche:
Dopoguerra: la "defascistizzazione" fallisce in Italia
e
l'Armadio della vergogna
Approfondisci ai seguenti link:
1 -
2
*
"Non si ammazza abbastanza!", ammonisce nel 1942 il generale Mario
Robotti, comandante dell'XI Corpo d'Armata italiano in Slovenia e
Croazia. Nello scenario drammatico e complesso dei Balcani, infatti,
l'Italia fascista reagisce alla resistenza jugoslava, albanese e greca
con brutale durezza: rastrellamenti, villaggi incendiati, esecuzioni
sommarie, internamento di migliaia di civili. In questo saggio Gianni
Oliva prosegue la sua rivisitazione delle pagine dimenticate della
storia nazionale affrontando il tema, ancora oggi poco noto, dei 1857
ufficiali e soldati di cui fu chiesta l'estradizione per crimini di
guerra. Dall'analisi di queste vicende emergono le strategie di
controguerriglia, le atrocità inferte e quelle patite, ma, soprattutto,
affiorano le ragioni che hanno determinato sessant'anni di oblio creando
lo stereotipo degli "italiani brava gente".
(da "Si ammazza troppo poco" di Oliva Gianni, 2007 Mondadori Editore)
Qui puoi commentare l'articolo:
http://edemocrazia.ilcannocchiale.it/comments/2015476
Miniconferenza:
GIUSTIZIALISMO VERSUS GIUDIZIALISMO
(di
Carlo Anibaldi –
Agosto 2008)
Pur senza entrare qui nel significato
storico o anche solo etimologico del termine
Giustizialismo, ma limitandosi al senso
comune che ha assunto in questi tempi, si
può azzardare la seguente definizione:
giustizialisti sono coloro che, in barba
alle garanzie di libertà degli individui di
una società liberale e democratica,
perseguono, in via anche sommaria, la pena
per i sospetti di reato. Sono insomma coloro
che convintamente ignorano saggi assunti
come quello che afferma essere più opportuno
lasciare in libertà un colpevole che
toglierla ad un innocente.
Purtroppo molti
giornalisti e opinionisti, un po' per
ignoranza tout court, un po' per convinzione
o convenienza
politica, fanno una marchiana confusione di
termini. Si ostinano infatti a definire
giustizialisti molti di coloro che sono
semplicemente giudizialisti, vale a dire
quelli fra i cittadini, i magistrati, i
politici, i giornalisti, che credono
fermamente nel potere di giudizio della
magistratura secondo un principio di
assoluta non sudditanza ad ogni altro
potere. Un concetto in apparenza semplice,
ma bisognerebbe forse essere un po' più
'luterani' per comprenderlo appieno, senza
distinguo.
Il principio garantista cui si
attengono i giudizialisti è quello, assai
caro agli ordinamenti delle democrazie
avanzate, secondo cui i reati definiti dai
codici civile e penale non hanno colore, non
sono né progressisti né conservatori, né di
destra né di sinistra. Il colore insomma
attiene ai rei e mai ai reati e dunque, per
definizione, sottoporre a giudizio o
semplicemente ad indagine un cittadino, non
è mai un atto "di parte", ma un atto dovuto
da chi, per conto dei cittadini, amministra
la Giustizia. Alla stessa maniera del medico
che combatte la malattia, incurante della
fede politica o religiosa del malato.
I
giudizialisti sono certi che l'indipendenza
del magistrato dall'influenza di altri
poteri costituisca il baluardo oltre il
quale finisce la Democrazia e l'uguaglianza
di tutti davanti alla Legge. Per questi
stessi principi i giudizialisti non sono
favorevoli a forme di immunità per i
rappresentanti eletti. Questo principio,
largamente diffuso senza quasi eccezioni
nelle democrazie avanzate, vede gli eletti
dai cittadini come affidatari di un mandato
che ne rappresenti gli interessi nel
Parlamento e nelle Istituzioni.
Nulla a che
vedere dunque con un mandato "incondizionato" che
consentirebbe agli eletti di trasgredire le
leggi, perfino a corrompere ed arricchire
illecitamente, tradendo il mandato stesso.
Infatti, essere votato dai cittadini a
rappresentarli nell'esercizio del potere
esecutivo e legislativo, non è esattamente
come essere eletto Pontefice, giova
ricordarlo, e dunque mai dovrebbe
venir meno il controllo dei cittadini stessi
sull'operato degli eletti e sulla loro
trasparenza.
Coloro che si appellano
all'investitura elettorale del popolo per dirsi
sottoponibili solo al giudizio del popolo,
sembrano non tener in alcun conto che questi
sentimenti di "onnipotenza" sono chiaramente
previsti e cassati dalla Costituzione
attraverso l'istituzione di poteri
indipendenti e del fatto
notevole che la Giustizia è amministrata in
nome e per conto del popolo, che
generalmente è restio a fare eccezioni.
Nella Carta infatti non è scritto, non a
caso, che gli eletti sono sovrani, ma che il
Popolo è sovrano ed esercita il potere
attraverso gli eletti.
In
definitiva i giudizialisti ritengono che gli
eletti siano potenzialmente fallaci come
ogni altro essere umano e allora sono certi
di potersi affidare solo alle leggi che alla
fine vengono discusse e promulgate da molti
secoli allo scopo di arginare questa
fallacità intrinseca alla natura umana ed è
per questo che hanno in gran conto gli organi
costituzionali di controllo sull'esercizio
del potere.
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Miniconferenza:
Non è un Paese per buoni
(di
Carlo Anibaldi –
Ottobre 2008)
E' pur vero che
buoni e cattivi sono categorie della mente, piuttosto che un
reale distinguo fra opposti che si fronteggiano all'interno di una
società e fra società, ma ciò premesso, appare importante mettere
qualche pietra per contribuire a togliere di mezzo quel che resta di un pregiudizio:
l'Italia è un Paese 'buono', fatto per lo più di gente con buone
intenzioni e opere.
Come spesso capita,
è il punto di vista che fa la differenza. Si può infatti considerare
l'Impero Romano come un formidabile evento storico che ha creato le
premesse di una rapida civilizzazione del continente europeo,
introducendo i pilastri fondanti del mondo moderno: il diritto, le
comunicazioni, il commercio, la politica. Le popolazioni italiche di
quel tempo sono state il seme di forme straordinariamente intelligenti
di organizzazione della società. Questo è il punto di vista prevalente,
ma non il solo. Infatti questo popolo di condottieri ha assoggettato,
distrutto, amalgamato, ucciso tutto quanto nel mondo conosciuto di
allora stava germogliando, aprendo la strada ad un lungo, oscuro e
sanguinoso medio evo della storia di enormi popolazioni. Questo è un
altro punto di vista, non prevalente, ma radicato. Del resto nessuno può
dire nulla di certo su ciò che sarebbe stato il mondo senza l'Impero
Romano e dunque nulla impedisce a molti di farsi la convinzione che oggi
avremmo un mondo migliore se circa 2500 anni fa Enea avesse toccato
terra in Bretagna anziché nel Lazio.
Mi rendo conto che
non è procedendo in questa maniera che si pondera la Storia, ma questo
non è un ragionamento storico, che in questo contesto non ci tornerebbe
utile, ma una disanima fantasociale che per paradossi
ci consenta di smontare un fantasioso quanto radicato teorema, il
cosiddetto buonismo italico, che di storico infatti non ha nulla,
come ben sanno gli storici, appunto.
La Chiesa di
Cristo, nata in terre lontane nel bel mezzo dell'Impero Romano, quando
giunge a Roma perde per lunghi secoli il Messaggio, perde la misura, la
tolleranza, la fraternità, la carità. Non sono pochi coloro che pensano
seriamente che la grandezza del Cristianesimo sia più nel Messaggio
di Cristo che nei grandi numeri acquisiti dopo la conversione di
Costantino e la successiva enorme diffusione nel Sacro Romano Impero,
dopo le Crociate e più tardi ancora nelle terre d'oltremare. La Storia
del Cristianesimo appare fatta di molti grandi numeri e, in
proporzione, di pochi grandi uomini. Anche in
questo caso sono molti a chiedersi come sarebbe la Chiesa di Cristo se
Pietro l'avesse fondata a Norimberga anziché a Roma, ma sappiamo che nel
mondo di allora non avrebbe avuto alcun senso fondarla in un posto che
non fosse Roma.
La dissoluzione
dell'Impero Romano lascia sul terreno il meglio e il peggio di sé. Le
fondamenta del Diritto insieme a strade, porti e mercati. Lascia anche
corruzione e clientelismo in spaventosa diffusione. Martin Lutero
non fece solo una riforma religiosa, ma una vera ribellione
socio-culturale a quella che oggi verrebbe definita "Roma ladrona",
un cataclisma delle coscienze di cui, ancora oggi, si avverte la
distanza profonda presa nei confronti di un certo modo "romano" di
intendere la società civile, una ventata chiarificatrice circa i diritti
e i doveri inderogabili dei cittadini e la lotta alla corruzione e al
clientelismo senza ipocrisie. Se da una parte è verità storica che il
popolo ebreo ha ucciso Cristo, è anche vero che i Cattolici di Roma
cercano riscatto per averlo per secoli ucciso ogni giorno attraverso il
relativismo etico di cui si son fatti portatori.
La nascita e la
successiva esportazione della mentalità "mafiosa" prende origine
in quei secoli, quando il relativismo etico di una dottrina finisce per
permeare il tessuto sociale e contaminarne gli strati più indifesi,
ignoranti e poveri, paventando una possibile via di riscatto dalle
ingiustizie secolari patite. Se ti penti di fronte a Dio attraverso il
tuo confessore, sei comunque un buon cristiano e le porte del Paradiso
non saranno per te sbarrate, anche se hai rubato, tradito, malversato e
perfino ucciso. Questo è il Relativismo che oggi la Chiesa di Roma
sconfessa, ma che è stato per secoli il pane "etico" e companatico
"spirituale" di intere moltitudini.
Non a caso il
Fascismo, inteso come via sociale all'affermazione dell'Io, al
culto della personalità e alla negazione della molle Democrazia, è nato
in Italia e coltivava idealmente nostalgie, singolarmente divenute
"politica", nei confronti di Legioni, Imperi, Dux, populismo, disprezzo
del debole (ricordate la Rupe Tarpea?) e Fasci Littori. Gli italiani
hanno insomma mostrato di avere serie difficoltà a rinnegare la
propria Madre, quella Roma Imperiale che ha dominato il mondo. Non
fu Mussolini a scimmiottare il Nazismo o il Franchismo, semmai il
contrario, fatta salva la superiorità in mezzi, armamenti ed efficienza
che ha messo Hitler e non Mussolini sul piedistallo del peggior
leader del Millennio.
Dal dopoguerra ad
oggi questo nostro popolo non ha visto reale pacificazione. Ora come
allora siamo divisi in modo netto, incivile. Abbiamo avuto Anni di
Piombo di incredibile ferocia. Il fenomeno appare solo sopito per
questioni contingenti, non certo per progressi nell'evoluzione delle
coscienze.
Per concludere, il
cosiddetto buonismo italico (vedi
articolo di approfondimento) appare pura ipocrisia, di cui
non gli storici, ma i nostri politici del dopoguerra e anche successivi,
sono, per diverse ragioni, complici. Con altrettanta esagerazione, ma
con qualche fondamento, qualcuno potrebbe perfino arrivare ad affermare
che siamo un popolo fra i meno "buoni" di questo mondo.
(Carlo Anibaldi - Ottobre 2008)
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Miniconferenza:
La Democrazia Imperfetta
(di
Carlo Anibaldi –
Agosto 2008)
La
Democrazia è un'"invenzione" molto antica, probabilmente non solo
un'esigenza organizzativa di umani evoluti, ma filogeneticamente
determinata dalle caratteristiche complesse dell'"animale corticodotato"
Uomo. Le specie più evolute fra gli animali sono organizzate in sistemi
"gerarchici" dove i parametri vincenti sono la forza fisica, la
resistenza allo stress, il sesso degli individui, in una parola
l'insieme di capacità atte ad assicurare continuità alla specie. Fra gli
umani questi parametri sono stati validi fino a che l'ambiente era
ostile e la sopravvivenza un rebus quasi insolubile. Con lo stabilirsi
di condizioni climatiche più favorevoli e la messa in campo delle doti
di intelligenza, l'essere umano ha compreso e assoggettato l'ambiente e
gli altri animali, in maniera crescente fino allo svilupparsi di società
evolute, dove il sottomettersi ad un "capobranco" forte e resistente era
oramai deprivato delle originarie esigenze. Bisogna anche dire che
questo enorme passo avanti dell'Umanità non comportò l'automatico
nascere delle democrazie, ma solo la nascita di quel concetto, fino ad
allora inconoscibile per causa di forza maggiore: la sopravvivenza della
specie.
Questa
lunga premessa sulle origini del concetto di Democrazia ha lo scopo di
ricordarci di dove veniamo, il che non guasta quando ci si accinge a
studiarne i cambiamenti.
A mio
avviso quel momento della Storia dell'Umanità che ha visto la nascita
del concetto di Democrazia, ma non la sua automatica affermazione nei
secoli a seguire, segna uno spartiacque formidabile fra un prima e un
dopo. Un Prima in armonia con la Natura e un Dopo in
contrasto crescente con essa. Dico questo poiché appare evidente che la
svettante e incontrastata evoluzione degli esseri umani ha in sé i semi
della Grandezza e della Miseria di specie. Questa affermazione appare
come un'ovvietà solo se non si considerano attentamente le conseguenze.
E' vero che la Democrazia non esisteva in Natura, ma nemmeno il Potere
senza altro fine che quello di accrescere il Potere.
Il
leone, quando è sazio, non uccide la gazzella. Così era l'essere umano
prima di trovare dentro di sé i semi della sua Grandezza incontrastata
e, insieme, quelli della sua infinita Miseria. Comunque sia, nel corso
dei secoli il concetto di condivisione del potere si è fatto strada fra
le menti più illuminate e insieme a quello di maggiore "giustizia
sociale", ha "contagiato" milioni di individui, tanto che alcuni Paesi
si autodefiniscono Democrazie Avanzate, per differenziarsi da altri dove
si deve registrare un ritardo, anche di secoli, nell'affermazione dei
diritti civili e dell'equità sociale e dunque di una legiferazione
attenta ai diritti e doveri individuali.
Per
ragioni che i sociologi e i politologi ci hanno ben spiegato, la
Democrazia Rappresentativa dei Paesi cosiddetti avanzati, ha mostrato,
dove più dove meno, i suoi limiti. Limiti connessi allo strapotere del
sistema bancario mondiale; limiti connessi al persistente Primato della
Cultura in società costituite prevalentemente dalla Working Class;
limiti connessi a non casuali contiguità fra capitale e mezzi di
informazione; limiti connessi ad una sbilanciata distribuzione della
ricchezza e del Potere. Per tutte queste ed altre ragioni si sta dunque
assistendo alla cosiddetta virtualizzazione della Democrazia,
vale a dire un ritorno alla Carta a proposito dei diritti
fondamentali degli individui (salute, lavoro, libertà, istruzione,
ecc...), con grave scollamento di questa dalla realtà dei singoli.
A
queste dotte affermazioni di "specialisti" mi sento di aggiungere la mia
personale opinione secondo cui una Democrazia inizia a mostrare la corda
quando i suoi rappresentanti non somigliano più ai rappresentati, ma si
auto-rappresentano e si auto-referenziano come Classe Dirigente. In
questo modo aumenta il senso indistinto di appartenenza ad una classe "a
parte" e non "di parte" e dunque finiscono per scomparire le differenze
di rappresentatività, le sole in cui possiamo riconoscerci.
Siamo
in molti a riporre speranze di miglioramento della qualità della
Democrazia, e dunque della vita dei singoli, nelle potenzialità della
Grande Rete Internet, dove, nello spazio di un mattino, le
autoreferenzialità immeritate si sciolgono come neve al sole.
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Miniconferenza:
Il Primato della Cultura vacilla, al tempo della Grande Rete
(di
Carlo Anibaldi –
Luglio 2007)
Tornando indietro anche solo fino agli anni ’50 vediamo alti tassi
di analfabetismo e scolarizzazione mediamente bassa. Economia
prevalentemente agricola. La diffusione capillare di televisione,
telefono ed automobile erano ancora di là da venire. In una società così
configurata (e più ancora nei decenni precedenti) il bene impagabile, il
riferimento per chiunque, in Italia e altrove, era la Cultura.
Gli ambienti privilegiati e le persone di grande riferimento all'interno
della società avevano solide basi culturali. Dunque non il primato del
danaro o del potere politico o del lavoro, ma il primato della Cultura.
Il ricorrente tentativo dei poteri forti di amalgama con questo elemento
ed il fenomeno del mecenatismo stanno qui a sottolineare questo
concetto. Tutto ciò è stato vero per centinaia di anni, con diversi
accenti, sfumature e tentate rivoluzioni. Quello che qui si vuole
evidenziare è il lento, ma costante declino di questo primato, da
qualche decennio a questa parte.
Che cosa ha potuto scardinare una base societaria tanto
solida? La risposta, oramai evidente, è nella novità di
un’enorme massa di informazioni
oggi a disposizione e la capillarità
della loro penetrazione, fenomeno inimmaginabile fino all’avvento delle tecnologie e dei
metodi informatici. I tradizionali santuari della Cultura hanno visto i
loro tesori trasformarsi in dati asciutti, sintetici, circostanziati,
verificabili in tempo reale e soprattutto largamente disponibili. Presto ci si è dovuti render conto che l’informazione puntuale
costituisce potere, in ogni campo, in un mondo dinamico,
profondamente cambiato, come quello di oggi. Per dirla in altro modo:
è la larga disponibilità dei dati, più che la loro quantità, che ha
determinato la perdita di potere della cultura tradizionale che, per
definizione, è elitaria. Tanto è vero che la politica, il potere e
l'economia, da secoli a tutt'oggi, lusingano e "arruolano" esponenti del
mondo culturale e accademico.
Ma
il mondo sta cambiando ad una velocità inconsueta. Gli -ismi
del XX° secolo si frantumano sotto l'evidenza di enormi quantità di Dati
diffusi capillarmente.
In ogni campo i professionisti di oggi, qualche volta loro
malgrado, devono quotidianamente confrontarsi con questa nuova realtà
che vede il primato della Cultura cedere sotto il peso di un invadente
quanto salutare
primato dell’Informazione.
Quale Direttore di Scuola caldeggerebbe oggi metodiche che si discostino dai dati delle evidenze internazionali? Quale Casa
Farmaceutica o Industria Alimentare proporrebbe prodotti e procedure non
ampiamente validate a livello internazionale? Ogni consumatore oggi può
avere in pochi minuti sul proprio computer il meglio delle evidenze
mondiali su ogni anfratto del conoscibile.
E
che dire dell'informazione erogata dai Media nazionali e locali? Gli
interessi di Partito, di cordata, economici e di Fede, continuano a
cercare di "Fare Opinione",
lo hanno sempre fatto perchè è la strada maestra per esercitare e
amministrare il Potere, ma oggi è più difficile "Fare Opinione" perchè
la Grande Rete Internet è costituzionalmente restia a farsi imbrigliare
su "polpette" preconfezionate nelle sedi di Partito, la sua capillarità
non lo consente, nemmeno ai più astuti e ricchi Opinion Maker.
Ultimo,
ma non ultimo, il Terzo Mondo. Hanno potuto di più i semplici SMS da
cellulare che decenni di politiche di aiuti umanitari. Con un solo SMS è
possibile informare della disponibilità di pesce pescato il mercato con
maggiore domanda e vendere la partita in tempo utile. Con un solo SMS si
informa di tonnellate di mais disponibili a trovare un compratore fuori
dal proprio comprensorio. Il vero aiuto al Terzo Mondo è l'abbattimento
del
Digital Divide. Infatti le maggiori
organizzazioni mondiali (OMS, ONU, FAO, UNESCO, ecc...) si stanno
muovendo in questo senso.
Contro questo dato di fatto si infrangono pregiudizi, opinioni
e poteri consolidati. I primati crollano e se ne ergono di nuovi.
Inutile opporsi, inutile resistere, in quanto attiene a quel tipo di
cambiamenti non contrastabili, ma solo assecondabili oppure cavalcabili,
a seconda del temperamento e dell'interesse per le nuove cose e del
tempo che possiamo dedicarvi. Allo "zoccolo duro" dei tradizionalisti,
idiosincratici verso le tecnologie avanzate, potremmo sottoporre, per
trasposizione, questa riflessione: cosa
costituì vero progresso nei trasporti alla fine del XIX° secolo?
Aggiungere cavalli al tiro della carrozza oppure l’invenzione della macchina a
vapore?
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Discorso di Salvatore Borsellino in occasione della manifestazione
indetta dall'Associazione dei Familiari delle Vittime della Mafia -
Piazza Farnese - Roma
(di
Salvatore Borsellino
– 28 Gennaio 2009)
"Grazie a tutti.
Ringrazio soprattutto quei tanti ragazzi, quelle tante
persone che ho incontrato oggi qui e che vengono da tutte le
parti d'Italia. Sono quei ragazzi che incontro quando vado
in giro per l'Italia a gridare la mia rabbia e a cercare di
suscitare nella gente quella indignazione che ritengo che
tutti dovrebbero avere nel vedere il baratro nel quale
stanno facendo precipitare il nostro Paese.
Vedete, ieri Sonia Alfano mi ha telefonato e mi ha detto:
“dobbiamo proiettare un video nel quale si vedranno delle
immagini crude, delle immagini della strage di Paolo”.
Mi ha chiesto se poteva farlo, se sarei stato in qualche
maniera colpito, sconvolto. Quelle immagini non mi
sconvolgono affatto, vorrei che venissero proiettate ogni
giorno in televisione, perché la gente si rendesse conto di
quello che è stato fatto. Si rendesse conto di qual è il
sangue sul quale si fonda questa disgraziata Seconda
Repubblica, che capisse che è fondata sul sangue di quei
morti. Vedere quelle immagini non mi sconvolge. Una cosa mi
sconvolge: vedere le immagini di quelle stragi dopo aver
visto quelle due persone che prima parlavano di Dell'Utri,
delle bombe che metteva Mangano, e ridevano.
Ridevano, ghignavano rispetto a quelle cose: questo mi
sconvolge.
Vorrei che quelle due persone venissero messe in una cella
come mettevano quegli assassini di Arancia Meccanica,
aprirgli gli occhi e costringerli a vedere, vedere, vedere,
vedere in continuazione quelle stragi. Ecco quello che
vorrei.
Io ho visto oggi quelle stragi e mi sono ricordato di una
cosa che mi ha detto Gioacchino Genchi, che è arrivato sul
luogo della strage due ore dopo il fatto. Io ci misi cinque
ore a sapere che mio fratello era morto perché la
televisione dava notizie contraddittorie: forse è stato
ferito un giudice, forse sono stati feriti uomini della
scorta. Fu mia mamma che, cinque ore dopo, mi telefonò
dall'ospedale e mi disse: “tuo fratello è morto”.
C'era qualcuno, però, che si chiamava Contrada che lo seppe
ottanta secondi dopo che mio fratello era stato ucciso e io
vorrei, io chiedo, io grido: voglio che queste cose vadano a
finire nelle aule di giustizia!
Che ci siano processi per queste complicità che ci sono
state all'interno dello Stato!
L'avete sentito di cosa parlavano Berlusconi e Dell'Utri:
ecco perché vogliono impedire le intercettazioni, perché
quelle cose non possiamo, non dobbiamo sentirle.
Non dobbiamo sentirle se no ci rendiamo conto di quella che
è la classe politica che ci governa, ci rendiamo conto di
chi oggi ha occupato le istituzioni. Il più grande
vilipendio alle istituzioni è che queste persone indegne di
occupare quei posti occupino le istituzioni. Questo è il
vilipendio alle Istituzioni e allo Stato.
E' il fatto che una persona che è stata chiamata “Alfa”, in
un processo che non è potuto andare avanti perché è stato
bloccato, come tutti gli altri processi che riguardano i
mandanti occulti e esterni, possa occupare un posto così
alto all'interno delle nostre Istituzioni.
Genchi arrivò in quella piazza due ore dopo la strage, mi ha
raccontato che aveva conosciuto Emanuela Loi un mese prima
perché faceva da piantone alla Barbera.
Era una ragazza che non era stata addestrata per fare il
piantone, per fare la scorta a un giudice in alto pericolo
di vita come Paolo Borsellino. Eppure quel giorno era lì a
difendere con il suo corpo, e nient'altro che con quello,
Paolo Borsellino. Questi sono gli eroi, non quelli di cui
parlano Berlusconi e Dell'Utri, dicendo che Vittorio Mangano
è un eroe.
Eroi in fila per andare a morire
Gli
eroi sono questi ragazzi che il giorno dopo la morte di
Falcone, ce n'erano cento tra poliziotti e Carabinieri, si
misero in fila dietro la porta di Paolo per chiedergli di
far parte della sua scorta.
Se erano messi in fila per andare a morire, perché Paolo
sapeva che sarebbe morto. Quei ragazzi, mettendosi in fila
dietro la porta di Paolo, sapevano che sarebbero morti anche
loro.
Gioacchino Genchi mi raccontò che due ore dopo la strage,
arrivando in via D'Amelio vide i pezzi di Emanuela Loi che
ancora si staccavano dall'intonaco del numero 19 di via
D'Amelio.La riconobbe perché c'erano dei capelli biondi
insieme a quei pezzi.
I pezzi di quella ragazza vennero messi in una bara, vennero
riconosciuti perché era l'unica donna che faceva parte della
scorta, vennero mandati a Cagliari.Sapete cosa venne fatto?
Quello che chiamiamo Stato ha mandato ai genitori di
Emanuela Loi la fattura del trasporto di una bara quasi
vuota da Palermo a Cagliari. Questo è il nostro Stato.
Questo è lo Stato che ha contribuito ad ammazzare Paolo
Borsellino e io vi racconto queste cose non per farvi
commuovere, non per farvi piangere. Non è il tempo di
piangere.
E' il tempo di reagire, di lottare, è il tempo di
resistenza! Il tempo di opporsi a questo governo che sta
togliendo il futuro ai nostri ragazzi, che ci sta
consegnando un Paese senza futuro. E la colpa è nostra che
abbiamo permesso che tutto questo succedesse.
Quando Cossiga dice - dopo la manifestazione degli
universitari che hanno capito che in Italia si sta cercando
di distruggere l'istruzione perché l'istruzione può portare
alla resistenza, anche durante il fascismo le scuole erano
centri di resistenza e i ragazzi l'hanno capito - e Cossiga
cosa ha detto? Ha detto che bisogna mettere infiltrati in
mezzo a quei ragazzi perché rompano vetrine, perché vengano
distrutte macchine perché le ambulanze sovrastino le altre
sirene. Si augura addirittura che venga uccisa qualche
donna, qualche bambino perché si possano manganellare quei
ragazzi.
Dobbiamo essere noi a metterci davanti a loro, siamo noi che
ci meritiamo quelle manganellate per avere permesso che il
nostro Paese diventasse quello che è diventato. Un Paese che
non è degno di stare nel mondo civile, siamo peggio della
Colombia.
Genchi è arrivato in via D'Amelio due ore dopo la strage,
ripeto, si è guardato intorno e ha visto un castello. Ha
capito che non poteva essere che da quel posto fu azionato
il telecomando che ha provocato la strage.
Genchi allora è andato in quel castello, ha cercato di
identificare le persone che c'erano dentro, mediante le sue
tecniche. Ha capito che da quel castello partirono delle
telefonate che raggiungevano cellulari di mafiosi. Perché
Genchi ha quelle capacità, le sue conoscenze tecniche sono
enormi, egli è in grado, dagli incroci dei tabulati
telefonici e non dalle intercettazioni, di riuscire a
inchiodare i responsabili di quella strage.
Ecco perché si sta cercando di uccidere Genchi, ecco perché
così come hanno ucciso i magistrati si cerca di uccidere
anche Genchi. Questo è il vero motivo: per togliere un'altra
arma a quello che è la parte sana di Stato che è rimasta.
Cercano di uccidere Genchi, hanno ucciso dei magistrati. Io
ieri ho sentito un magistrato – uno di questi uccisi senza
bisogno di tritolo – che mi ha detto: “avrei preferito
essere ucciso col tritolo piuttosto che così, giorno per
giorno, come stanno facendo”. I magistrati oggi, chi ancora
cerca di combattere la criminalità organizzata, non viene
più ucciso con il tritolo, viene ucciso in maniera tale che
la gente non se ne accorga neanche, non reagisca.
Quel fresco profumo di libertà
Le
stragi del 1992 portarono a quella reazione dell'opinione
pubblica, a quello che mi ero illuso di riconoscere come
quel fresco profumo di libertà di cui parlava Paolo. Quel
profumo di libertà che si oppone al puzzo del compromesso
morale, dell'indifferenza, della contiguità e fin della
complicità. Quel puzzo che oggi ci sta sommergendo. Il puzzo
dal quale oggi non possiamo stare lontani perché sta
permeando tutto il nostro Stato, tutta la nostra vita
politica, tutte le nostre istituzioni.
Io, dopo la morte di Paolo, arrivai a dire che se Dio aveva
voluto che Paolo morisse perché il nostro Paese potesse
cambiare allora avrei ringraziato Dio di averlo fatto
morire. Questo era il sogno di Paolo, Paolo sarebbe stato
felice di sapere che era morto per questo. Oggi, guardate il
baratro nel quale siamo precipitati: io ringrazio Dio che
Paolo sia morto, che non venga ucciso come stanno uccidendo
De Magistris, Apicella, Clementina Forleo. Io ringrazio
Iddio che Paolo non venga ucciso in questa maniera. Che
messaggi ci arrivano dalla magistratura? Il presidente
dell'Anm dice: “abbiamo dimostrato che la magistratura
possiede gli anticorpi per reagire”. E' una vergogna che un
magistrato possa dire queste parole! La magistratura ha
dimostrato, semmai, di avere al suo interno quelle cellule
cancerogene che la stanno distruggendo, e così come hanno
vissuto e pervaso tutte le istituzioni, la classe politica.
La magistratura, nei suoi organi superiori, ha dimostrato di
essere corrotta al suo interno.
Ormai il cancro sta entrando in metastasi anche negli organi
di governo della magistratura.
Non è
difficile, se pensiamo che a vice presidente del Csm, quello
che dovrebbe essere l'organo di autogoverno della
magistratura, c'è una persona indegna, indegna!, come
Mancino! Una persona che mente! Mente spudoratamente dicendo
di non avere incontrato Paolo Borsellino il primo luglio del
1992, quando sicuramente a Paolo Borsellino venne
prospettata quella ignobile, scellerata trattativa tra lo
Stato e la criminalità organizzata per cui Paolo Borsellino
è stato ucciso. Perché Paolo non può aver fatto che mettersi
di traverso rispetto a questa trattativa, questo venire a
patti con la criminalità che combatteva, con chi poco più di
un mese prima aveva ucciso quello che era veramente suo
fratello, Giovanni Falcone. Paolo non può che essere rimasto
così sdegnato da opporsi a questa trattativa e a quel punto
andava eliminato, e in fretta.
Tant'è vero che il telecomando della strage di via D'Amelio
fu premuto. Queste cose non sono potute arrivare al
dibattimento perché tutti i processi sono stati bloccati.
Genchi ha dimostrato che quel telecomando era nel castello
Utveggio, dove c'era un centro del Sisde, i servizi segreti
italiani, è da lì che è arrivato il comando che ha provocato
la strage.
Ecco perché Genchi deve essere ucciso anche lui. Hanno
ucciso Paolo Borsellino, hanno ucciso Giovanni Falcone e
adesso uccidono anche Genchi, De Magistris, tutti i giudici
che cercano di arrivare alla verità.
Così qualunque giudice che arriva a toccare i fili scoperti
muore, non si può arrivare a quel punto perché oggi gli
equilibri che reggono questa seconda repubblica sono basati
sui ricatti incrociati che si fondando sull'agenda rossa.
Un'agenda rossa sottratta dalla macchina ancora in fiamme di
Paolo Borsellino, in cui queste trattative, queste
rivelazioni che in quei giorni gli stavano facendo pentiti
come Gaspare Mutolo, come Leonardo Messina erano sicuramente
annotate. Quell'agenda doveva sparire, è questo uno dei
motivi della strage. Quell'agenda doveva sparire, su
quell'agenda io credo che si basano buona parte dei ricatti
incrociati su cui si fonda questa seconda repubblica.
E allora Mancino non può venirmi a dire che non ricorda di
aver incontrato Paolo Borsellino! Non può soprattutto
adoperare quel linguaggio indegno che adopera. Dice: “Io non
posso ricordare se fra gli altri giudici c'era anche Paolo
Borsellino, che non conoscevo fisicamente”. Ma Mancino non
hai visto chi era quel giudice vestito con la sua toga che
trasportava la bara di Falcone? Non l'hai visto? Non ti
interessavano quelle immagini? Eri ministro dell'interno e
non ti interessava che cosa stava succedendo in Italia in
quei giorni?
Non ti interessava, a fronte di quell'agenda che ho mostrato
e nella quale c'è scritto: “ore 19.30 Mancino” scritto di
pugno autografo da Paolo? Lui ha mostrato un calendarietto
in cui non c'era scritto niente, l'ha mostrato semplicemente
e c'erano tre frasi con gli incontri della settimana.
E' questo quello che fanno i nostri ministri, oltre che
cercare di accordarsi con la criminalità organizzata. E' per
questo che è stato ucciso mio fratello: perché mio fratello
si è messo di traverso rispetto a questa trattativa, per
questo doveva essere ucciso. Io chiedo, e non smetterò di
chiederlo finché avrò vita, che sia fatta giustizia, che
vengano cacciati dalle istituzioni quelle persone che sono
complici di quello che è successo. Non che venga data
l'impunità a chi dovrebbe essere sottoposto a processi e
invece non può essere neanche indagato, intercettato, non si
può fare nulla.
Dobbiamo subire, stanno adottando la tecnica della frana,
per cui ci hanno infilato in un'acqua che a poco a poco si
riscalda e la gente non si accorge il punto a cui arriviamo.
Attenzione! Attenti! Stiamo precipitando nel baratro e da
questo baratro dobbiamo uscire perché lo dobbiamo ai nostri
morti. Lo dobbiamo a Giovanni Falcone, a Paolo Borsellino, a
Emanuela Loi, a questi che veramente sono eroi. Dobbiamo
riappropriarci del nostro Paese, questo Paese è nostro, lo
Stato siamo noi! Non queste persone che indegnamente
occupano le istituzioni.
Vi lascio con tre parole che un altro dei giudici che hanno
tentato di uccidere ha detto, ed è quello che dobbiamo fare,
l'unica cosa che ci resta da fare prima di cadere in un
regime dal quale non ci potremo più districare: resistenza!
Resistenza! Resistenza!"
Miniconferenza:
La riforma
della Scuola: i perché di una priorità
(di
Carlo Anibaldi –
Aprile 2008)
Per
molte ragioni, non tutte casuali e innocenti, la scuola italiana è
vicina al fallimento del suo obbiettivo primario: favorire la crescita
culturale di una Nazione attraverso l’abbattimento degli ostacoli che la
rallentano.
Sono in molti ad
osservare questo fenomeno, alcuni addirittura sostengono che oggi la
Scuola sia ad un passo dal divenire, al pari di quanto avviene per altri
soggetti implicitamente o esplicitamente "educatori",
una fucina di disvalori,
e comunque tutti sono concordemente preoccupati poiché la crescita
culturale è il motore della crescita civile, economica e sociale, in una
parola, la Coscienza di una Nazione.
La coscienza che ha di sé e degli altri popoli, la coscienza dei propri
errori e del proprio valore, la coscienza delle proprie potenzialità e
la coscienza della propria Storia. Ebbene tutti quelli elencati sono
elementi che dobbiamo immaginare in evoluzione, solo in questa ottica la
Scuola ha una funzione cardine nella Società in quanto
portatrice della Coscienza dinamica
di una Nazione e dunque del suo divenire. Troppi giovani hanno superato
la maturità nella certezza che Giacomo Matteotti sia il titolo di un
film noioso. Non è un problema di cultura che non c'è, ma di
imbarazzante assenza di una coscienza nazionale.
Quando la Scuola non
ce la fa a ricoprire questo ruolo, inevitabilmente viene vicariata, e la
Coscienza dinamica di un popolo diviene inconsapevole appannaggio di
entità che non sono nate con indirizzi
evolutivi, ma manipolativi, rispetto
alle genuine esigenze culturali e identitarie di un popolo. In queste condizioni i
giovani evolvono secondo schemi di
fidelizzazione commerciale, confessionale, politica,
e dunque per definizione tendenti alla “massificazione” in quanto, come
è ovvio ma forse poco noto, è più semplice manipolare una massa omogenea
che un solo individuo dotato di coscienza critica.
Sono gli aspetti
evolutivi della Coscienza storica quelli che effettivamente contano
nella Cultura di un Paese. Proviamo a fare un esempio: i libri di Storia
scritti in Inghilterra nel 1901 trattavano ovviamente della Rivoluzione
Industriale e ne evidenziavano alcuni aspetti. Anche i libri scritti nel
1980 trattano della Rivoluzione Industriale, ma sono evidenziati altri
aspetti. In quelli scritti nel 1901 veniva posto l’accento sull’enorme
incremento dell’industria carbonifera inglese che si ebbe fra il 1840 e
il 1890, ne venivano indicate le proporzioni e le ragioni industriali,
l’incremento delle esportazioni e del benessere che ne derivò. Nel libro
di Storia scritto nel 1980 a questi aspetti è sempre accompagnato il
dato oggettivo di un incremento abnorme del lavoro minorile nelle
miniere inglesi del XIX° secolo. In pratica è accaduto che quello che
era considerato un normale aspetto evolutivo nel 1901 (il lavoro
minorile) e dunque neanche menzionato, nel 1980 è divenuto un aspetto
abnorme, a causa dell’evolversi della Coscienza civile di una Nazione
che nel frattempo aveva legiferato contro lo sfruttamento dei minori.
Lo studio della
Storia deve dunque sempre tener conto degli aspetti dinamici poiché, per
continuare nell’esempio, quello che era considerato un buon padre di
famiglia nel 1880 probabilmente meno di cento anni dopo sarebbe solo un
farabutto e viceversa.
Tornando al
fallimento educativo dell’istituzione scolastica, vediamo bene i
pericoli insiti nel sottovalutare le enormi potenzialità evolutive che
ci fornisce quel formidabile strumento
di misura della Coscienza collettiva
quale è la Storia e l’istruzione in generale. Quando priviamo un giovane
di questi strumenti, la sua critica diviene superficiale, ondivaga,
soggetta alle mode. Lo stesso concetto di “bene” e “male” non è statico,
ma, come sappiamo, altamente dinamico; quello che era immorale negli
anni’50 oggi non lo è più, ma la misurazione di un fenomeno è
impossibile senza punti di riferimento certi e allora diventa possibile
lanciare un sasso sull’autostrada solo per vedere l’effetto che fa e
riempire in questo modo una serata fra amici o attraversare un incrocio
a 160 Km/h o minarsi la salute con sostanze deleterie. Senza riferimenti
dinamici certi (conoscenza della Storia) si aprono scenari dove in
maniera quasi incolpevole l’esperienza si sostituisce alla critica
intelligente e questo avvicina
pericolosamente lo
schema di comportamento tipico del mondo animale, e nel peggiore dei modi. Ma come si può esercitare una critica intelligente se non sei
stato allenato all'esercizio di questa funzione superiore? La Scuola non è
di certo il solo strumento che la società possiede per favorire il progresso
delle coscienze, ma di sicuro è quello oggi maggiormente delegato a
questo scopo dalle altre istituzioni.
Qui puoi commentare l'articolo: http://eDEMOCRAZIA.ilcannocchiale.it/post/1950446.html
Racconto breve
IL
COMPAGNO DI VIAGGIO
"Il Terzo Millennio ci
mette a portata di mano quella coscienza che solo pochi secoli
fa era esclusivo privilegio di santi e profeti"
(ovvero: Aria del Terzo
Millennio)
Questo
Racconto
breve di Carlo Anibaldi (1998) ha avuto un
buon piazzamento in un
concorso letterario ed è
stato pubblicato, in
edizione elettronica e
cartacea, nella raccolta:
I Destrieri:
Antologia di Racconti
Editore: Gullivertown.
Com
Curatore: De Luca L. -
Stamegna A.
ISBN: 8875160031
Data
pubblicazione: 2004
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La
nebbia a Venezia non è certo una rarità in questa stagione, ma nei miei quasi
cinquant’anni non avevo mai visto nulla di simile. Sono oramai cinque giorni
che si vive in un gomitolo di lana candida, sono spariti il giorno e la notte,
il sole ed i colori, anche la gente allegra sembra sparita in quel gomitolo, ma
soprattutto è sparita l’autostrada ed è per questo che mi trovo a
passeggiare in Piazzale Roma in attesa del treno che mi porterà a Verona.
Il mio
orologio, e null’altro per la verità, dice che è oramai giorno fatto, ma sul
piazzale e nell’atrio della stazione si contano solo pochi viaggiatori
infreddoliti.
L’atmosfera
di questo giorno che è cominciato non mi piace per niente, c’è però di
buono che non ho difficoltà a trovare una sistemazione in treno: lo
scompartimento è addirittura vuoto come pensavo capitasse oramai solo sui
trenini di provincia o in certi film quando serve alla scena.
Non è
un viaggio lungo fino a Verona, ma dato che sono solo e di cattivo umore, provo
a dormire un po’. E’ una questione di pochi minuti, credo, quando l’aprirsi
della porta dello scompartimento mi fa sobbalzare: un uomo alto, ben vestito,
suppergiù della mia età, posa una valigetta sul sedile e mi porge la mano nell’atto
di sedersi di fronte a me.
Esordisce
con un cenno del capo ed un sorriso cordiale.
- Salve, spero di non aver disturbato, ma io non amo
viaggiare in solitudine e questo treno è davvero deserto. Mi chiamo Adriano e, se non è un
problema, potremo conversare un po’ dandoci del tu.
- No.....Nessun problema... certo. Di cosa ti occupi?
Viaggi per lavoro?
- Diciamo pure per lavoro, certo. Vado a Milano per la
presentazione di un libro in una libreria del centro. Sei anche tu diretto a
Milano?
- Verona, vado a Verona per un problema di forniture
di materiali. La mia fabbrica è praticamente ferma, inutile telefonare, devo
rendermi conto di persona di quello che succede. Tu vendi libri, se ho capito
bene .....
- Sarà la libreria, spero, a vendere il libro, io l’ho
scritto e ora vado a presentarlo al pubblico.
- Presentalo intanto a me, questo libro, così ti
ripassi il discorso e poi mi ricorda la gioventù questa faccenda dei libri,
perché io, sai, sono di quei pochi che i libri non li scrive .... e da parecchi
anni nemmeno li legge. Chi mi da il tempo di leggere libri? Figurarsi scriverli,
i libri ! E poi cosa ci potrei
scrivere dentro un libro? Che il fisco mi strozza, gli operai mi mandano in
bestia, il Governo se ne infischia di noialtri e il fegato mi scoppia? E il tuo
libro, invece, di che tratta?
- Io faccio parte di un gruppo di lavoro che esplora
nuove possibilità per la soluzione di problemi antichi, abbiamo qualche idea
che ci sembra buona e questo libro è un modo per aprire un dibattito e
confrontare le opinioni.
- Scusa la franchezza, ma io sono un uomo pratico,
abituato a lavorare sodo, lontano dalle chiacchiere fumose che fanno in
televisione, in poche parole: io mi alzo presto la mattina e produco materiale
elettronico per l’aeronautica, tu ti alzi la mattina e che cosa produci?
- Una risposta potrei azzardarla, ma temo che sul
termine “produzione” dovremmo chiarire .....
- Ho capito, è già tutto chiaro, ora ti spiego con
parole mie: io lavoro da una vita a schiena curva ed ho prodotto un sacco di
cose; e sai perché l’ho fatto? Per far stare quelli come te, nulla di
personale, per carità, quelli come te, dicevo, a schiena diritta, col naso per
aria a pensare cosa scrivere in un libro per altri come te!
- C’è qualcosa di vero in quello che dici a
proposito delle nostre schiene. Anche di questo scrivo nel libro ....
- Sarebbe a dire?
- Mi riferisco alla possibilità di vivere e lavorare
tutti in modo diverso, senza curvarsi su se stessi, infatti ....
- Non c’è modo di lavorare sodo a schiena diritta!
Sarebbe il Paese dei Balocchi. Ti illudi.
- E se fosse tutto da rivedere? Sai meglio di me che
un motore per quanto sofisticato e potente , rende poco e consuma molto se il
carburante ed il lubrificante sono sbagliati e ti assicuro che sono oramai
suonati tutti i possibili campanelli d’allarme e, a meno di essere sordi ....
- Non v’è dubbio che nella tua testa ci sono
campanelli che suonano all’impazzata, ma se tu provassi a spegnere un momento il
carillon e ti guardassi intorno, ti accorgeresti che siamo immersi nel benessere
creato dal lavoro duro: tutti ci spostiamo con facilità, automobili, treni,
aerei; tutti abbiamo case ben riscaldate, con telefono, computer e carte di
credito; la vita è più facile per tutti, caro mio, altro che campanelli! Tu
non ti rendi conto di come si viveva solo trenta o quaranta anni addietro. Tutto questo lo
dobbiamo al lavoro, quello onesto e ... a schiena curva, naturalmente!
- Sono troppi anni che stai a schiena curva ed oramai
vedi con chiarezza solo la punta delle tue scarpe! Io ho il massimo rispetto per
il lavoro onesto, tuo e di tutti, quello che invece porto in discussione è la logica
viziosa che schiaccia anche le buone cose, ma certo dovrai alzare un po’ la
testa per rendertene conto.
- Spiegati meglio, Professore !
- L’elenco dei beni e servizi che hai fatto ci ha
reso indubbiamente la vita più comoda, potrei azzardare che insieme alla
comodità non è aumentata la serenità, il rispetto di sé e degli altri: il
tuo fegato sul punto di scoppiare sta lì a dirti che negli ultimi trent’anni,
in definitiva, non ci hai guadagnato poi molto; potrei anche tentare di farti
notare che oltre le nebbie della Padana c’è un tre quarti di mondo che del
telefonino e delle carte di credito non sa che farsene, a meno che non siano
cose buone da mangiare..... potrei dirti queste e molte altre cose, ma non è tanto
di questo che vorrei discutere con te, quanto piuttosto ......
- Un comunista, un Professore comunista, ecco con chi
mi tocca viaggiare oggi! Del resto che potevo aspettarmi da una giornata
cominciata così male, questa nebbia poi ....
- La nebbia, si, dici bene .... Se non fosse per
questa nebbia a quest’ora staresti sfrecciando sull’autostrada con la tua
Mercedes con telefono, gongolandoti con le tue quattro idee oramai inutili! T’è
toccato invece confrontarti con altre idee ed eccoti pronto ad erigere barriere
pseudo politiche; non cadrò in questa tua trappola della discussione “politica”
, la tua è la politica che divide, io sono per una politica che unisce e che
serva ....
- Ma di che trappola cianci, quali barriere! Ho
affrontato ben altro nella mia vita che una discussione con un comunista! Che sarebbe poi questa storia delle mie
quattro idee inutili ?
- Nulla di personale, non devi prendertela. Io so che
sei in buona fede, onesto e leale, è solo che il mondo non andrà meglio
esasperando, tirando oltre ogni ragionevole limite, le idee che erano buone
negli anni trenta o prima : occorrono idee nuove, di quelle che fanno fare un
giro di boa, oppure pensi, ad esempio, che
dopo la carrozza con tiro a sei
cavalli, il progresso sarebbe stato inventare il tiro a dodici ? No! Il
progresso vero fu l’invenzione della macchina a vapore ! Egoismo, cinismo, sopraffazione,
disprezzo per la vita, in tutto questo sono degenerate le buone idee dell’inizio
di questo secolo che ora sta finendo. Io credo che
tutto ciò possa cambiare: serve un allargamento della coscienza....
- Belle parole
! Ma tu lo sai che oggi, alla fine di ogni discorso realista c’è il danaro e
ti assicuro che senza danaro non si muove nulla . Il danaro non è servo , ma
padrone con molti servitori e , che ci piaccia o no , uno di questi è la logica
del profitto ; tanto più questa logica è serrata , tanto più danaro per far
girare il mondo c’è !
- Purtroppo
quello che hai detto è oggi in parte vero ed è grazie a riflessioni di questo
tipo che sono giunto alla conclusione che siamo all’interno di un circolo
vizioso che non porta più da nessuna parte,
in quanto lo sai bene anche tu che è ben altro che fa girare il mondo
......
- E’ un
discorso da Oratorio Salesiano questo . Abolire la logica del profitto significa
niente più danaro che circola , le fabbriche si fermano, le luci
si spengono e ci incontriamo tutti intorno al fuoco a leggere il tuo
libro !
- Quello che
dici sembra vero esattamente come sembrava vero il discorso del proprietario
terriero della Virginia di più di un secolo fa:"Dare ai negri un salario , abolire la servitù !
Tutte idiozie ! Sarebbe la rovina per tutti , negri compresi."
Anche il lavoro dei bambini nelle miniere inglesi della fine del secolo
scorso appariva un caposaldo dell'economia mineraria di quel tempo. I
sostenitori di queste tesi erano senz'altro brave persone come te , ma le loro
idee stavano oramai invecchiando con loro e invece i tempi nuovi si stavano
affacciando con la forza di una diversa e più ampia coscienza : inutile
opporsi, inutile sottrarsi , la scelta possibile era ed è solo una e sempre la
stessa : partecipare al processo
evolutivo o rimanerne tagliati fuori .
- Insomma , se
ho capito bene , i tuoi campanelli ti dicono che siamo a ridosso di una svolta
epocale ed io starei qui a far da zavorra dell'umanità .
- Se fosse
così , sarebbe in fondo semplice e non varrebbe la pena parlarne . Il problema è che senza
di te non ci sarà nessuna svolta , ma solo la deriva , verso chissà cosa .
- Non pensavo
di essere così importante. Dunque è per quelli come me che hai scritto il tuo
libro !
- Presto o
tardi arriverà fino a te , tuo malgrado e per strade che nemmeno immagini .
- Il
Professore è anche Profeta !
- Ma non
capisci che ora non si tratta di colonialismo , schiavitù o lavoro minorile :
ora si tratta di liberare noi stessi: liberi
da... , piuttosto che liberi di ...
, e in ciò ci aiuterà solo la nostra personale presa di coscienza.
- No , fermati
, fammi capire ... Come puoi sostenere che io non sia padrone di me stesso , e
quand'anche fosse , come può la mia liberazione
interessare le svolte dell'umanità ?
- Tu devi
essere di quelli che credono sia stato Cesare , Carlo Magno , Napoleone , Hitler
e pochi altri a determinare le svolte epocali , come le chiami tu , che dalla
preistoria ci hanno portato fino ad oggi . Questi personaggi hanno avuto la straordinaria opportunità
di determinare gli eventi di interi popoli ed hanno per questo scritto la Storia
degli eventi , ma la storia dell’evoluzione della Coscienza la scrive gente
come te e me .... e se ci sarà o meno ancora un Hitler a scrivere un altro pezzo di Storia dipende anche da
te . Capisci ora per chi l’ho scritto il mio libro ?
- E
va bene , smettiamo di aggiungere cavalli al tiro della carrozza e
inventiamo la macchina a vapore ! Hai
qualche idea ?
- Le idee
nuove non si fanno strada finché siamo attaccati a quelle vecchie , è una
questione affettiva, irrazionale, che prescinde dalla bontà delle une o delle
altre . Per prima cosa è quindi importante entrare in una fase di stanchezza rispetto
ai propri ritmi ; poi è necessario riconoscere come ingannevole la sicurezza che ci dà il percorrere strade conosciute,
solo a questo punto, che potremmo chiamare " ritorno al punto zero " ,
siamo pronti a dare uno sguardo di là dal
muro ed accorgerci che c'è tutto un mondo che aspetta i nostri primi passi,
un mondo dove gli alberi nascono, crescono, danno fiori e frutti e poi accettano
di rinsecchire e tornare alla terra, perché questo è l’ordine delle cose:
non c’è tristezza, depressione, angoscia e paura se comprendi di cosa sei
fatto e non pretendi di fiorire per l’eternità!
- Forse mi
sbaglio , ma cose di questo genere non le ha già dette meglio di te qualcun
altro ? San Francesco , tanto per fare un esempio fra i tanti ?
- Infatti la
novità non è in quello che dico , ma nel fatto che sono io che ne parlo con te
; io che certo non sono San Francesco ne
parlo a te che non sembri per niente beneficiare della vocazione francescana .
Capisci la straordinaria novità ? Gente comune come noi sente pulsioni
spirituali ! Il Terzo Millennio ci
mette a portata di mano quella coscienza di noi stessi, di tutto quanto siamo, che solo pochi secoli
fa era esclusivo privilegio di santi e profeti.
-
Intuisco che le cose che dici non
sono del tutto scemenze , ma resta pur sempre il fatto che la vita di noi tutti è fatta
per lo più dalla maledetta quotidianità , quella secondo cui ti devi alzare
presto per andare a lavorare o a cercare lavoro , quella che se non sei furbo ti
mangiano in un boccone, quella che se ti viene l’ulcera, e ti viene, devi
andare dal dottore , quella che se non stai attento non arrivi
al ventisette , quella
......
- quella
che ti uccide ! E’ evidente che questa quotidianità dopo averti
impoverito lo spirito ti annienterà letteralmente e il peggio è che avrai
pure tanti rimpianti per tutto quanto hai tralasciato : vivere la totalità del
tuo essere.
- Quello che
dici ha il sapore agrodolce dell'utopia e per questa ragione nasconde un
pericolo : il cinismo non è forse figlio del naufragio di facili illusioni?
- Le facili
illusioni le incontri se percorri strade
spianate da altri , ma se hai faticato e pagato di tua tasca per aprirti un
varco che ti ha condotto più avanti , se hai un po' sofferto per allargare la tua
coscienza , ebbene a quel punto il nuovo orizzonte che ti si para davanti sarà
tuo e parte di te più delle tue mani o dei tuoi occhi , altro che illusioni .....
Il
rumore secco della porta scorrevole mi fa trasalire.
- Biglietto ,
signore . Biglietto per favore .
- Dove siamo
..... Devo essermi addormentato intanto che conversavo . Dov’ è andato
Adriano ? Ha visto un signore alto , distinto , uscire dallo
scompartimento.....? Magari è
sceso a una stazione.......
- Tra dieci
minuti saremo a Verona e posso assicurarle che ha viaggiato da solo:
ero seduto qui fuori e non ho visto nessuno entrare o uscire . Ha dormito
e ..... forse ha sognato . Arrivederci .
(Copyright
© 1998 -2008
by Carlo Anibaldi)
Appendice a
"Compagno di Viaggio" dieci anni dopo
Quando,
dieci anni fa, scrissi il racconto breve "Compagno di
viaggio" misi in campo, nella forma letteraria di confronto
onirico con la propria Coscienza, alcuni fermenti
della fine del secolo scorso. Appariva allora evidente
la profonda insoddisfazione per la perdita di valori,
per l'onnicomprensiva monetizzazione del nostro stare al
mondo. In quelle poche pagine prospettavo la soluzione
del conflitto attraverso l'attingere salvifico al
proprio destino evolutivo, inteso come approdo
filogenetico a possibilità superiori dell'essere umano,
cioè la ritrovata spiritualità come costituente
intrinseco dell'Uomo e non come scelta soggettiva. In
questa luce il Terzo Millennio che si iniziava a
percorrere appariva foriero di enormi cambiamenti
nell'approccio a Valori che rendono finalmente il
percorso della Vita un dono molto più grande di quanto
comunemente si percepisce nel quotidiano. Cose grosse a
portata di mano insomma, non più ossessivamente
distratti da un "qui ed ora" di livello medio
basso.
A dieci
anni da quelle riflessioni mi sento di dover
sottolineare che il cammino filogenetico
avviene per gradini e le nostre intuizioni non ci
faranno purtroppo saltare le tappe. Non si è passati, per
quanto riguarda ad esempio l'apparato respiratorio,
dalle branchie ai polmoni senza un'infinità di passaggi
intermedi.
In particolare noi italiani, per ragioni storiche di non
semplice interpretazione, ci troviamo in contraddizioni
che sono macigni che sbarrano la strada. Mi riferisco
alla secolare convivenza tra valori opposti in perenne
conflitto: da una parte è vero che siamo la Patria di
molti Santi, Eroi, Pensatori, Inventori e via lodandoci,
dall'altra è anche vero che siamo la Grande Madre del
pensiero parassitario, clientelare, suddito. Siamo il
Paese dove tanta gente pensa serenamente che sia buona
cosa guadagnarsi da vivere taglieggiando il barbiere
sotto casa. Questo connubio secolare tra Miserie e
Nobiltà ha creato mostri dalle tante teste che hanno
infestato il mondo con il pensiero mafioso, dalle
americhe all'Australia. Quando
oltremare e oltralpe si affermava il senso di Nazione e
il primato del Diritto, in tanta parte dell'Italia si
radicava l'appartenenza al Clan e alla Famiglia intesa
come unica "patria" cui rispondere e dare rispetto e
legalità. In Italia ci sono persone, forse
milioni, che credono che rubare alla collettività o
parassitarla, non sia cosa malvagia, ma una battaglia
vinta per il Clan a dispetto del "nemico". Non
basteranno una o due generazioni per sradicare questa
forma mentis mafiosa, non necessariamente
malavitosa, anzi, radicata spesso perfino nelle
Istituzioni, trasversalmente, sia in senso geografico
che politico. Questa affermazione, che può sembrare
azzardata, è al contrario confermata dal fatto che
troppo spesso si fanno buone leggi senza che siano
previsti i pur costosi ma indispensabili sistemi di
controllo. Non credo nelle "sviste" del Legislatore. In
Italia c'è infatti il vezzo di importare i "contenitori"
dai Paesi anglosassoni avanzati (legge sulla Privacy,
privatizzazione della Sanità, finanziamento all'Editoria
e ai Partiti, ecc...) per poi riempirli dei soliti
contenuti clientelari, autoreferenziali, privi di
controlli da parte del cittadino-suddito. La nostra si
dice essere la Patria del Diritto, poi veniamo a sapere
da fonti di stampa che in tutta la Lombardia, che
gestisce miliardi di euro pubblici, gli Ispettori per la
Sanità sono 10 (dieci), stipendiati dalla Regione stessa
e dovrebbero controllare migliaia di Cartelle Cliniche
al giorno. I controllati e i controllori sono della
stessa parrocchia, dunque se il tuo capo invia 50
milioni ad una clinica convenzionata, diventa un atto
"eroico" fargli le pulci, non la norma. Ma è solo un
esempio tra i tanti di italica applicazione del Diritto
dei cittadini.
Permango ottimista sul destino evolutivo
dell'Italia e degli essere umani in generale, ma temo che dovremo vederne ancora
tante e che forse il fondo non è stato ancora toccato.
(Carlo Anibaldi - 2008)
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Miniconferenza:
IL SIMBOLISMO
JUNGHIANO
di Carlo Anibaldi (© 2000 - 2008)
Nel
corso della sua lunga vita (1875 – 1961) Carl Gustav Jung ha esplorato
molti ambiti riguardo l’animo umano ed i suoi segreti, ci ha lasciato
infatti contributi che sono tutt’oggi riferimento fondamentale per
chiunque voglia cimentarsi nello studio delle umane cose,
particolarmente riguardo la psicologia del profondo, la filosofia e la
storia dei Simboli dell’essere umano.
In
estrema sintesi, mi soffermo ora su alcuni aspetti riguardo la
definizione e la genesi del Simbolo, dal punto di vista junghiano.
Si
deve a Freud la fondamentale intuizione dell’esistenza di una zona del
nostro immaginario che non è sottoposta alle regole della coscienza e
che quindi sfugge alle categorie tipiche della mente cosciente quali il bene e il
male, un prima e un dopo: l’Inconscio. In questo ambito, tipico del
mondo dei Sogni, degli Istinti e delle Emozioni e dunque del cosiddetto
“cervello arcaico”, non abbiamo un diretto controllo da parte della
Coscienza, parte “alta” della psiche, ci troviamo piuttosto nella
condizione di subirne gli influssi. Gli studi di Freud conclusero che in
questa zona inconscia della psiche confluiscono le esperienze, per lo
più infantili, che in qualche modo la mente ha rifiutato e rifiuta in
quanto percepite come dolorose e/o fonte di vergogna e non accettazione
da parte di se stessi e degli altri. La percezione di queste esperienze
come dolorose e di vergogna è ovviamente riferita all'età in cui furono
fissate. Tali contenuti, qualora irrisolti, cioè non portati alla luce
della coscienza adulta, sono in grado di produrre quella sofferenza del
mondo psichico individuale chiamata “nevrosi”, variamente espressa e
comunque in grado di condizionare l’esistenza, se non altro per le
enormi quantità di energia psichica imprigionata nei nuclei “infantili”
dei conflitti nevrotici (fantasie di "indegnità" e incongruenti distonie
fra "desiderato" e "posseduto", o il pretendere "capra e cavoli", sono
tre esempi tipici di nuclei nevrotici).
Quella appena descritta è, in sintesi, la definizione freudiana di
Inconscio Personale e della possibilità che questo ha di interagire
con l’individuo tramite la “nevrosi”. Jung allargò questo concetto,
definendo un ambito che si aggiunge a quello e va oltre, trascendendo
l’esperienza personale; chiamò questa zona inesplorata Inconscio
Collettivo. L’Essere Umano, inteso come Specie, accumula, fin dalla
notte dei tempi, esperienze che sono caratteristiche della specie e di
nessun altro nel Creato. Tali Esperienze Fondamentali dell’Umanità
sono, in questa concezione junghiana, strutturate nella psiche per
diritto di specie, al pari dei processi filogenetici che la
caratterizzano, come l’aver assunto la stazione eretta, l’aver
modificato la dentatura, l’aver perso la pelliccia di pelo, ecc…
I
Simboli per Jung sono il linguaggio attraverso cui la mente si esprime,
un linguaggio dunque molto antico che va inteso come nutrimento ed
espressione della mente stessa e va a costituire l’essenza
dell’Inconscio Collettivo, come lui stesso lo ha definito. Proverò a
fare qualche esempio per rendere più chiaro il concetto espresso.
Alcune migliaia di anni or sono, ai quattro angoli del mondo,
popolazioni lontanissime e certo non in contatto fra loro, tracciavano
sulle rocce, sui monumenti funerari e sacri, sugli utensili, disegni di
forma quadrata e/o circolare di aspetto e contenuto straordinariamente
simile tra loro.
Il
Simbolo della Croce è parecchio antecedente all’era cristiana, e lo
ritroviamo nella simbologia sacra di civiltà lontanissime tra loro che
nulla potevano avere in comune, se non qualche elemento psichico
inconscio, appunto.
Figure mitiche come l’Eroe, il Guerriero, la Grande Madre, il Vecchio
Saggio, il Fanciullo, il Demone, la Fata, le ritroviamo nelle culture
delle più antiche e disparate civiltà del Pianeta. Questi miti sono
figure archetipiche patrimonio dell’Umanità, vale a dire
“contenitori” delle esperienze profonde dell’essere Umano inteso come
specie e dunque dalla sua comparsa su questo mondo. La Mitologia
Classica racconta infatti storie che ci sono “familiari”, come la
leggenda di Edipo, quella di Demetra, di Venere o di Enea, che
ritroviamo, pur con nomi e contesti diversi, nelle vicende tramandate
di antiche civiltà pellerossa, centroeuropee o asiatiche.
Gli
eventi sincronici (premonizioni, veggenze) sono per Jung un’altra
dimostrazione dell’Inconscio Collettivo. Le categorie spazio-tempo sono
artifici della mente, la Fisica delle nano particelle ha infatti
dimostrato che il prima e il dopo non sono valori assoluti, ma relativi
all’osservatore che, a sua volta, è soggetto a più variabili. Senza meno
l’Inconscio, che come abbiamo visto appartiene al cervello arcaico, è
slegato da queste categorie “mentali” e allora accade che in particolari
stati di abolizione della Coscienza (sogni, stati crepuscolari, trance,
ecc…) ci si possa trovare in un “qui ed ora” che non ha inizio e fine,
prima e dopo, al pari di un’immagine e allora ci si può parare davanti
quello che chiamiamo “futuro”, ma che invero appartiene alla dimensione
senza spazio e senza tempo che tutto comprende e che rappresenta
l’Esperienza dell’Umanità, percepibile dall’Inconscio.
La
conclusione cui giunge Jung è dunque che la psiche ha uno straordinario
contenuto energetico connesso ai Simboli e, semplificando un importante
postulato junghiano, si potrebbe dire che la vita di ognuno di noi è
inconsciamente sospinta da un destino realizzativo che, a ben vedere, è
già tracciato in un simbolo affondato nel nostro inconscio e che
tendiamo a rappresentare nel corso della nostra vita. Guardando con
questi occhi gli esseri umani che ci circondano, possiamo ben
riconoscere tanti Edipo, tante Demetra e gli Eroi come El Cid o Giovanna
D’Arco, i Demoni come Hitler e quelli votati al Male. Le tante Grandi
Madri per antonomasia e i Vili, gli Avari, gli Eroi e i Puer di
ogni epoca stanno lì a dirci che forse Jung ha intuito qualcosa di
davvero grande che è la nostra stessa Essenza.
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Agosto 2000:
Presentazione al sito LA GRANDE CROCIATA
(dal 2008 compreso nel sito
IL NOVECENTO)
Un altro sito su
questo argomento non era forse nelle necessità della Grande Rete, infatti sono numerosi i siti web che
ricordano e documentano
l'Olocausto e che cercano di contrastare i mestieranti del
revisionismo storico, quelli che sempre si affacciano
quando si abbassa il livello di attenzione, quando i problemi
contingenti accecano la visione d'insieme. Comunque sia, le ragioni che mi impegnano in questo lavoro di ricerca sono,
almeno in parte, più personali. Il mio viaggio-pellegrinaggio ad Oswiecim (Auschwitz - Birkenau),
Polonia, insieme a mia figlia allora
tredicenne, ha lasciato un segno indelebile nella mia memoria e nel modo di
sentire; il sangue ti ribolle pure se non sei di cultura ebraica,
vivaddio! Inoltre, insieme a molti altri sono
convinto che la storia tende a ripetersi solo se la dimentichiamo, nel senso
di pensarla come cosa che riguardi gli storici, gli studenti ed i professori.
Ciò che conta infatti sembra essere il presente, possibilmente il presente
molto prossimo a noi e alla nostra quotidianità. Ma questo modo di vedere
porta in sé la delega in bianco a prendere per noi decisioni
in grado di sconvolgere le nostre vite. Cosa del resto accaduta assai spesso in
passato..... a volerlo ricordare, appunto.
Pensiamo per un momento ai milioni di uomini e donne che
negli anni trenta erano affaccendati nella loro quotidianità, in ogni
angolo d'Europa e oltreoceano: chi mai avrebbe potuto dire che c'era
nell'aria qualcosa che li avrebbe
presto convinti, loro malgrado, che la preparazione del matrimonio di una
figlia, il nuovo lavoro da incominciare, la
tesi di laurea da preparare, il raccolto buono di quest'anno, il nuovo parroco che arriva, la gita fuori porta, che tutto questo
insomma sarebbe stato travolto dagli eventi e cancellato, perché le loro
stesse vite e quelle dei loro cari sarebbero state in pericolo. E poi la
miseria e la fame per molti dei sopravvissuti. Chi poteva immaginare tutto
questo in un caldo pomeriggio di fine estate dell'ultimo degli anni trenta?
Tutto questo invece è accaduto, molto vicino a noi, una o due
generazioni al massimo. Molti di noi sono cresciuti tra i racconti di tante
vicende vissute. Storie troppo spesso strazianti, misere e luttuose. Eppure
le nuove generazioni, i nostri figli, per intenderci, non sembrano mostrare particolare interesse per tutto ciò, non più di quanto
in genere ne nutrano per le campagne di Napoleone......... storie d'altri tempi.
Io sono certo che anche negli anni trenta non ci si occupasse troppo delle storie
d'altri tempi e che la quotidianità fosse, per la maggioranza della
gente, tutto quanto di cui fosse sensato occuparsi, proprio come accade
oggi.
Ovviamente, come vedremo in questo stesso sito, il
contesto socio-politico, economico e culturale degli anni venti e trenta ha
poco in comune con l'aria che respiriamo oggi, ma il solo cambiamento che ci
potrebbe davvero mettere al sicuro dalla barbarie, purtroppo, non è ancora
avvenuto, e attiene a qualche angolo della natura stessa dell'uomo,
indipendentemente dal vestito che indossa e se comunica col telefono
cellulare o col vecchio telegrafo. E' in quell'angolo che si annida
la barbarie, intesa come intolleranza, disprezzo per il bene supremo
della vita, razzismo, egoismo, cinismo e sopraffazione; insomma tutto
quello che ci differenzia profondamente dalle altre bestie di questo mondo.
Per conforto a questa affermazione,
proviamo ora
a fare una specie di gioco: immaginiamo, fra le persone che,
direttamente o indirettamente, conosciamo (e magari diamo un'occhiata anche
dentro noi stessi!) alcune da poter calare per un momento in una realtà
assai diversa da quella che ora sembra circondarci, in una realtà priva di
garanzie, di diritti assoluti, di protezione, in una realtà dove i valori
sono sovvertiti, dove ci fanno credere che Cristo è morto in croce per garantire i privilegi dei
potenti della terra, ebbene in questa realtà avreste parecchie sorprese:
schiere di mediocri, violenti, frustrati, ignoranti, sarebbero i nuovi
mandarini di questa società dove da un giorno all'altro sui muri si
potrebbe leggere, in manifesti autoritari, che i calabresi e i marchigiani
sono gente ignobile e per questo saranno privati dei loro diritti, poi della
loro libertà personale ed infine deportati. In questa
nuova società trovereste senza meno il vostro attuale capoufficio, sì,
quello arrogante, raccomandato e inetto, con una divisa fiammante da farlo
sembrare un dio, con funzioni superiori di coordinamento della deportazione
dei calabresi........ e dei marchigiani. Se vi sembra che sto esagerando con
l'immaginazione, guardate poco o tanto indietro nella Storia e vedrete che
è già successo, troppe volte. L'ultima di queste, in Italia, accadde
il 17 Novembre 1938 (vedi
Leggi Razziali e Manifesto della Razza),
allora si trattò di ebrei.
Il sito The Great Crusade è dunque uno
STRUMENTO
DELLA MEMORIA E DELLA COSCIENZA, uno
dei tanti, le cui pagine sono trovate dai motori di ricerca del web e
visitate migliaia di volte ogni mese, a disposizione di coloro che vogliano
per qualche momento ricordare la Grande Crociata
che fu combattuta, e che oggi ci permette di vivere serenamente della nostra
quotidianità.
Carlo Anibaldi 2000
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