ARGOMENTI DI MEDICINA CLINICA
vedi anche I FARMACI DELL'EMERGENZA
Ultimo aggiornamento: 23.12.2013
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La
patologia delle arterie è costituita dalla arteriosclerosi, dalla
tromboangioite obliterante (TAO) e dalla arteriopatia diabetica. Esamineremo
innanzitutto gli aspetti clinici, morfologici e patogenetici della forma
arteriosclerotica, che costituisce la causa di gran lunga più frequente dell'AOP
e considereremo poi brevemente i caratteri differenziali delle altre forme.
La
sintomatologia è diversa nel caso che la patologia vascolare determini
insufficienza arteriosa relativa, cioè con insufficienza arteriosa soltanto
durante la marcia od il lavoro muscolare, o assoluta, cioè con apporto
arterioso insufficiente al fabbisogno dei tessuti anche in condizioni di riposo.
Nel
primo caso il sintomo fondamentale è costituito dalla claudicatio intermittens;
nel secondo caso il dolore è continuo e si associa ad alterazioni pretrofiche e
trofiche dell'estremità dell'arto (cianosi, pallore, edema, gangrena,
ulcerazioni).
La
claudicazione intermittente arteriosa ha caratteri ben precisi, in particolar
modo per quanto riguarda le correlazioni con l'entità e la modalità di
esecuzione dell'esercizio muscolare.
Come
già è stato detto, il dolore insorge durante la marcia; esso compare tanto
più precocemente quanto più veloce è il cammino e quanto maggiore è la
pendenza della strada; scompare sistematicamente entro un breve periodo di tempo
dopo che il paziente si è arrestato pur mantenendo da fermo la stazione eretta,
periodo che non supera i dieci minuti neppure nei casi di maggiore intensità;
in prove successive con ritmi di marcia analoghi la sintomatologia insorge dopo
un uguale tragitto se il tempo di recupero è stato sufficientemente prolungato
e lo sforzo durante la prima prova non eccessivo, altrimenti la sua comparsa è
proporzionalmente anticipata; il dolore si manifesta con le stesse
caratteristiche, anche in posizione stipina, nell'esecuzione di un lavoro che
impegni la muscolatura dell'arto.
Nella
forma più comune e "tipica" il dolore viene avvertito come una
sensazione di costrizione e di crampo fastidioso di intensità crescente
localizzata ai muscoli della sura. La sua intensità può essere di vario grado,
ma non è mai tale da far gridare il paziente.
Prolungando
la marcia compare una difficoltà progressiva nell'uso della muscolatura
dell'arto con riduzione della capacità di flessione del ginocchio e del piede e
con sensazione ingravescente di pesantezza che costringe il paziente a
trascinare l'arto o ad arrestarsi. Nella casistica personale, comprendente 86
pazienti (per un totale di 142 arti) con obliterazione o stenosi arteriosa
serrata, questo tipo di dolore e questa sede risultano presenti nell'81,6% sia
come sintomo isolato (36,8%) sia in associazione con sintomatologia dolorosa di
altro ordine (44,8%).
La
claudicazione intermittente "atipica" si differenzia dalla precedente
per diversità nei caratteri del dolore che riguarda o il tipo della sensazione
o la sua sede od i suoi rapporti con l'esercizio muscolare. La claudicazione
può essere inoltre resa atipica per l'interferire della sintomatologia dolorosa
causata da associate condizioni patologiche, particolarmente osteoarticolari e
neurologiche.
In
alcuni pazienti il dolore è modesto, a volte del tutto assente, ed è
sostituito da una sensazione di stanchezza rapidamente ingravescente (12,8%
nella nostra casistica) oppure da intorpidimento e formicolio avvertiti
prevalentemente nella porzione inferiore della gamba ed al piede. Eccezionale è
il tipo trafittivo del dolore.
In
una piccola parte dei casi (3,6%) il dolore è avvertito esclusivamente in sede
diversa da quella abituale, mentre in oltre la metà (52,2%) è avvertito oltre
che nella sede abituale anche in un'altra sede. Nei pazienti che localizzano il
dolore in due parti distinte dell'arto la sensazione si manifesta di regola
inizialmente ai muscoli della sura ed in un secondo tempo anche nell'altra sede;
successivamente peraltro con il proseguire della marcia l'intensità del dolore
si accentua gradualmente nella sede atipica fino ad oscurare in vario grado
quello della sede abituale. Non è eccezionale tuttavia osservare un
comportamento inverso, nel senso che il dolore è inizialmente avvertito nella
sede atipica e successivamente al polpaccio; anche in tal caso la sensazione di
maggior intensità è quella della localizzazione non abituale.
I1
dolore avvertito esclusivamente nella sede atipica è in buona parte dei casi di
tipo costrittivo-gravativo e le regioni interessate risultano la natica, l'anca,
la coscia, la faccia antero-laterale della gamba, la caviglia ed il piede.
L'ectopia
del dolore costrittivo, caratteristico della sofferenza algogena del muscolo
ischemico, viene attribuita alla diversa sede della ostruzione arteriosa;
peraltro, secondo la personale esperienza, altri meccanismi possono intervenire,
come sarà detto successivamente.
Altre
volte il dolore è di tipo bruciante, urente o trafittivo. Tali sensazioni si
localizzano quasi esclusivamente alla parte anteriore del piede e sono di regola
associate a manifestazioni distrofiche (costituite da colorito cianotico della
cute, edema ed ulcerazioni), indice di un progressivo aggravamento
dell'insufficienza arteriosa. Questa sintomatologia dolorosa, associata alle
turbe trofiche, può essere indicata con il termine di "claudicazione
intermittente evoluta".
Altre
volte ancora il dolore all'avampiede è di tipo gravativo e mal localizzato;
raramente, in un secondo tempo, diviene bruciante e trafittivo nel qual caso è
comune rilevare a livello dell'estremità dolente un processo patologico delle
strutture osteo-articolari, muscolari o cutanee (artrosi dolorosa, pregresse
fratture, esiti di ferite).
In
una piccola parte di pazienti si osserva un comportamento anomalo del dolore
alla ripetizione del lavoro muscolare, nel senso che una tipica claudicazione
intermittente si manifesta al mattino, dopo un certo tratto di cammino e
successivamente non si ripresenta più durante la giornata, anche per periodi di
marcia più prolungata (dolore del primo sforzo). Il fenomeno è più frequente
nelle stagioni fredde.
L'associazione
all'insufficienza cronica arteriosa di altri stati morbosi algogeni può dar
luogo ad una sintomatologia dolorosa mista con spostamento della sede del
dolore.
Con
particolare frequenza, anche in relazione all'età dei pazienti, si nota in
questi soggetti la presenza di patologia osteo-articolare di vario uipo (più
spesso artrosi della colonna lombo-sacrale, con o senza erniazione del disco
intervertebrale, dell'anca e del ginocchio) e di lombosciatalgia.
In
tali casi la sintomatologia dolorosa propria della specifica patologia
osteoarticolare o nervosa viene a sovrammettersi a quella dell'insufficienza
arteriosa incrementando talvolta l'intensità del dolore ischemico e talaltra
oscurandolo, con un comportamento nell'un senso e nell'altro spesso variabile in
tempi successivi.
La
sensazione dolorosa che consegue al lavoro muscolare ed alla marcia viene
pertanto ad essere modificata, anche in maniera diversa nel tempo, per quanto
riguarda la localizzazione (ovviamente diversa a seconda della patologia
associata), l'irradiazione ed il tipo.
I1
dolore risvegliato dalla marcia può, ad esempio, essere avvertito a tutta la
faccia posteriore della coscia e della gamba con irradiazione alla natica ed
alla regione lombare nel caso dell'associazione con una sindrome irritativa del
nervo sciatico. In tale condizione peraltro questa sintomatologia dolorosa è
presente in vario grado anche a riposo.
Le
alterazioni sensitive. Nei soggetti che presentano claudicazione intermittente
si riscontrano con estrema frequenza alterazioni di varia entità (Schlesinger,
1933; Murfson, 1952; Berghaus e Ietten, 1954; Arcangeli e Coll., 1964) della
sensibilità cutanea e muscolare.
Parestesie
spontanee, costituite da sensazioni di intorpidimento, di formicolio, di punture
di spillo multiple avvertite alla porzione inferiore della gamba ed al piede
prevalentemente nelle ore notturne, vengono riferite dai pazienti non diabetici
affetti da arteriopana cronica obliterante in circa il 10% dei casi, ed in una
percentuale maggiore da quelli con turbe del metabolismo glucidico.
La
soglia cutanea di percezione degli stimoli tattili e dolorosi al piede risulta
inoltre spesso in varia misura superiore alla norma e nella stessa regione è
presente in circa il 10% dei soggetti una reazione iperpatica alle stimolazioni
dolorose.
L'esame
della sensibilità algogena muscolare mediante pressione graduata fa riconoscere
la presenza, in corrispondenza di uno o più muscoli dell'arto ischemico, di
aree mialgiche circoscritte in quasi il 50% dei casi (44,4% della nostra
casistica).Tali aree del diametro di uno-due centimetri risultano apprezzabili
alla palpazione come noduli ben delimitati di consistenza maggiore di quella
presentata dal circostante tessuto muscolare, e, se ripetutamente stimolate,
danno luogo in due terzi dei casi ad una sensazione dolorosa avvertita a
distanza in una precisa e costante area di riferimento, sensazione questa che è
regolarmente dominabile con l'anestesia dell'area mialgica; esse hanno pertanto
i caratteri del “punto trigger”. (Con il termine di “punto trigger” si
indicano quelle limitate porzioni di strutture somatiche o viscerali (di cute,
tendini, muscolo, osso od altro tessuto) la stimolazione delle quali provoca l’insorgenza,
immediata o graduale, di un dolore a distanza in un determinato settore corporeo
(“area target” o bersaglio) dolore che la successiva anestesia del punto di
stimolo è capace di fare regolarmente scomparire. Il termine “area trigger”
deriva dal fatto che la stimolazione di questa zona agisce come la pressione sul
grilletto di un fucile nel produrre un effetto a distanza, cioè nel bersaglio (Travel,
1952).
Le
più comuni sedi di riscontro di queste particolari zone di iperalgesia
muscolare sono: la porzione inferiore del soleo, la porzione superiore dei due
capi del gastrocnemio (particolarmente il gemello mediale), la porzione
superiore del tibiale anteriore, il quadricipite femorale (specie nel vasto
mediale), il gluteo medio ed il tensore della fascia lata. Nei casi nei quali
queste aree mialgiche hanno carattere di "punti trigger" le zone
bersaglio risultano localizzate nel tallone ed alla pianta del piede per il
soleo, alla caviglia, al dorso del piede ed all'alluce per il tibiale anteriore,
al poplite, alla porzione inferiore della faccia posteriore della coscia ed al
tallone per il gastrocnemio, alla regione anale ed alla piega gluteofemorale per
il gluteo medio, alla faccia antero-laterale della coscia per il tensore della
fascia lata (fig.01x).
Lo
studio della soglia algogena muscolare mediante stimolazioni chimicofisiche
graduate evidenzia una condizione costante di iperalgesia muscolare, di entità
variabile da caso a caso, con sensazioni dolorose conseguenti alle stimolazioni
irritative aventi i caratteri del dolore "ricorrente" e accompagnate
da accentuazioni dell'iperalgesia che si protrae anche per diverse ore.
Ulteriori
anomalie della sensibilità cutanea e muscolare sono evidenziate in questi
soggetti dall'esecuzione del test ischemico. Questa metodica, che consiste nello
studio della funzione sensitiva e motoria durante la compressione della radice
dell'arto mediante un bracciale pneumatico, è capace di rivelare anche lievi
anomalie funzionali che non sono evidenziabili mediante altre tecniche
d'indagine di ordine clinico (Gilliat e Wilson, 1953, 1954; Nathan, 1953, 1958,
1960; Arcangeli e Furian, 1956; Galletti e Procacci, 1958).
Il
test ischemico dimostra (Arcangeli e Coll., 1954) nei pazienti che presentano
claudicazione intermittente :
a)
segni di anticipata degradazione della sensibilità cutanea in oltre la metà
dei casi e della sensibilità algogena muscolare nella quasi totalità; il
rilievo depone per una riduzione numerica, anatomica o funzionale, delle fibre
sensitive dell'arto;
b)
anomalie importanti del quadro parestesico, con incremento o decremento delle
sue abituali componenti; dato che queste sensazioni dipendono dall'abbassamento
critico dei valori di soglia e dalla caduta della capacità di accomodazione
delle fibre sensitive nel punto di compressione del nervo (Kugelberg, 1946) la
loro anticipata o ritardata comparsa denota una condizione funzionale
patologica; l'esame combinato del quadro parestesico con quello della
degradazione sensitiva ischemica e con le alterazioni della soglia tattile o
dolorifica muscolare permette di ulteriormente definire l'entità della
compromissione del sistema afferente;
c)
la presenza di focolai algogeni latenti, che durante l'ischemia si manifestano
con una sintomatologia dolorosa di vario tipo ed intensità; si possono
rilevare: la comparsa di dolore contusivo, a volte anche crampiforme,
d'intensità variabile, localizzato alle masse muscolari del polpaccio e più
raramente al muscolo tibiale anteriore; dolore gravativo estensivo localizzato
alle aree mialgiche o trigger che in precedenza sono state descritte, con
spostamento della sensazione nella relativa "area bersaglio" in una
parte dei casi; dolore sordo, terebrante od urente in corrispondenza di
strutture ossee che presentano segni di patologia degenerativa od esiti di
frattura come pure a livello di vecchie cicatrici cutanee; dolore bruciante o
pungente localizzato nella sede delle alterazioni trofiche ed in particolar modo
delle lesioni ulcerative della gamba e del piede.
La
frequente compromissione funzionale delle fibre nervose è confermata in questi
pazienti dall'esame elettroneurografico.La velocità di conduzione delle fibre
motrici risulta infatti significanivamente ridotta nel 50% circa dei casi
nell'arto della claudicazione intermittente e reperti analoghi si hanno per la
velocità di conduzione delle fibre sensitive. Quanto più grave e più
protratta nel tempo è l'ischemia tanto più frequente è la lesione nervosa.
L'incidenza è più elevata nei casi nei quali il diabete mellito è associato
all'arteriopatia.
Di
rilevante interesse sono inoltre le variazioni della sensibilità dolorifica
cutanea e muscolare che si verificano dopo la marcia protratta fino alla
comparsa della claudicazione (Arcangeli e Coll., 1964).
La
soglia algogena aumenta di regola significativamente subito dopo la fine della
prova, ma torna ben presto alla norma; la soglia algogena muscolare ha invece un
comportamento variabile: nella maggior parte dei casi (quasi il 60% nella nostra
casistica) si abbassa progressivamente raggiungendo valori minimi, che sono
inferiori di circa il 30% a quelli di base qualche ora dopo l'esercizio
muscolare; in un terzo dei casi la soglia del dolore risulta invece aumentata,
fino a valori superiori del 100% rispetto a quelli di base, durante la prima ora
che segue alla prova, mentre è spiccatamente ridotta, con valori comparabili a
quelli del gruppo precedente qualche ora dopo; nel rimanente 10% non si
verificano modificazioni della soglia di percezione del dolore (fig.02
Quando
l'ischemia si fa critica, nella fase cioè di insufficienza assoluta o III/IV
stadio della classificazione di Leriche e Fontaine, compaiono il dolore a riposo
e le lesioni trofiche fino alla gangrena.
Entrambi
sono prevalentemente localizzati ad una o più dita e/o all'avampiede e
insorgono per lo più in maniera graduale progressiva dopo un periodo più o
meno lungo di claudicazione intermittente, ma possono manifestarsi bruscamente,
in maniera acuta in un arto fino ad allora asintomatico per la comparsa di
urombosi acuta su stenosi non emodinamica o su una piccola placca ulcerata.
Quando
il dolore a riposo insorge gradualmente compare all'inizio solo di notte o
presenta di notte una caratteristica esacerbazione, sì da costringere il
paziente ad abbandonare il letto ed a tenere le estremità in posizione declive:
la causa dell'accentuazione notturna del dolore ischemico è rappresentata,
oltreché dall'aumento della recettività algogena, dalla riduzione del flusso
ematico degli arti che si avvera di notte (Bartoli e Coll., 1970).
Le
alterazioni del trofismo cutaneo iniziano con le modificazioni del colorito con
comparsa di pallore e di cianosi e con la riduzione della temperatura cutanea.
Il trofismo della cute e degli annessi decade; i peli scompaiono e si hanno
disturbi della crescita delle unghie, che divengono grossolane, ad artiglio (onicogrifosi).
Alle
alterazioni del colorito della cute può far seguito la gangrena, che inizia
talora con la formazione di vescicole emorragiche per lo più periungueali o
interdigitali, che possono rompersi e dar luogo ad ulcerazione, talatra con la
corneificazione e la necrosi del tessuto dell'estremità digitale.
La
gangrena è più spesso secca; può presentarsi umida per il sovrammettersi
dell'infezione (specie nel diabete mellito) o per la stasi venosa e linfatica
(soprattutto per la prolungata stazione eretta a causa del dolore notturno).
Le
alterazioni del trofismo cutaneo del piede fino alle lesioni ulcerogangrenose,
che possono portare all'amputazione, sono particolarmente frequenti in caso di
diabete mellito perché altri fattori patogenetici concorrono nel loro
determinismo, oltre all'AOP: la microangiopatia, la neuropana, somatica e
vegetativa, e l'infezione.
La
lesione parietale è rappresentata nell'arteriosclerosi obliterante dalla placca
rilevata, spesso ulcerata, sulla quale insorge la trombosi, che successivamente
va incontro alla collagenizzazione e alla trasformazione fibrotica; il trombo
occludente assume allora un aspetto amorfo, spesso laminare, talora con qualche
canalicolo al suo interno, espressione di un tentativo di ricanalizzazione.
L'ostruzione e/o la stenosi sono di solito multiple e possono localizzarsi in
qualsiasi tratto dell'albero arterioso, dall'aorta terminale fino alle arterie
della gamba e del piede (fig.03x), anche se
prevalgono a livello prossimale (aorta terminale, arterie iliache e femorale).
Viceversa nell'arteriopania diabetica e nella TAO sono più frequenti le
localizzazioni distali (arterie tibiali, pedidia, digitali comuni e proprie). I1
circolo collaterale di compenso è di solito più sviluppato
nell'arteriosclerosi che nella TAO e nell'arteriopatia diabenica. In
quest'ultima sono presenti grossolane deposizioni di calcio sia a carico della
tunica media sia a livello degli ateromi e del trombo occludente.Nella TAO, come
in tutte le forme arterinche, l'ateroma è assente ed il quadro istologico è
caratterizzato da: a) intensa reazione flogistica con infiltrazione cellulare
dell'intima e delle altre tuniche arteriose e venose, nonché dei tessuti
perivasali, fra cui in primo luogo il nervo, con relativo risparmio della lamina
elastica interna e delle strutture muscolari della media; b) trombosi
segmentaria di arterie di medio e piccolo calibro degli arti inferiori e talora
superiori, nonché di vene superficiali;
c)
progressiva evoluzione fibrotica della lesione parietale e del trombo che vanno
incontro a marcata invasione di lacune capillari a partenza dall'avventizia
(cosiddetta ricanalizzazione del trombo).
I
principali reperti osservati al microscopio ottico a carico del muscolo
gastrocnemio in corso di arteriopatia cronica obliterante si riferiscono alle
fibre, al tessuto interstiziale ed ai microvasi (Candiani, 1953; Scalabrino e
Bianchi, 1954; Castro e Coll., 1%5; Boheme e Coll., 1%6; Arcangeli e Coll.,
1966).
Le
fibre muscolari mostrano omogeneizzazione totale o parziale, atrofia od
ipertrofia, aumento del numero dei nuclei particolarmente nella sede centrale.
Nel
tessuto interstiziale sono presenti soprattutto edema ed infiltrazione
linfocitaria, i vasi mostrano i segni dell'arteriosclerosi ed i capillari sono
forniti di una membrana basale notevolmente ispessita. Il numero globale dei
capillari non si modifica in rapporto al grado di ischemia (Clyne e Coll.,
1982), mentre il rapporto fra numero di capillari e numero di fibre muscolari
nella claudicatio intermittens sarebbe aumentato secondo Makine (1977) ed
invariato per Hierksson e Coll. (1980).Hammersten e Coll. (1980), riscontrano,
rispetto ai controlli normali, un rapporto aumentato per le fibre di tipo IIA e
non modificato per tutti gli altri tipi (I, IIB e IIC).
L'osservazione
al microscopio elettronico (Boheme e Coll., 1966; Arcangeli e Coh., 1968;
Bucciolini e Coll., 1976; Teravainen e Makine, 1977; Makitie, 1977) ha
confermato anzitutto che le alterazioni sono spesso presenti solo in alcuni
sarcomeri. I reperti più caratteristici (fig.04
1)
interruzione o assenza dei miofilamenti con frammentazione delle strie Z nei
casi più gravi;
2)
centralizzazione dei nuclei delle fibre muscolari;
3)
rigonfiamento assai frequente dei mitocondri e presenza nell'interno di essi di
corpi mielinici;
4)
aumento del glicogeno nei sarcomeri nei quali le miofibrille sono scomparse o
appaiono interrotte;
5)
presenza talora di strutture "a nido d'ape";
6)
presenza, nelle zone degenerate, di corpi lipidici vacuoli, corpi elettrondensi,
di probabile origine lisosomiale, e corpi mielinici;
7)
ispessimento della membrana basale dei capillari;
8)
restringimento del lume dei capillari ed aumento del loro numero in rapporto a
quello delle fibre.
Da
questi reperti è evidente che la miopatia ischemica che si riscontra in corso
di arteriopatia obliterante cronica non presenta, come molte altre miopatie, un
quadro strutturale ed ultrastrutturale specifico. Essa differisce dall'atrofia
muscolare da denervazione perché i mitocondri sono più numerosi ed hanno
caratteristiche morfologiche diverse.
Pertanto
è logico ritenere che le alterazioni osservate nel muscolo siano dovute all'ischemia
cronica e non siano secondarie alla neuropatia ischemica, spesso associata, che
avrebbe eventualmente soltanto il ruolo di fattore di aggravamento della
sofferenza. L'ischemia cronica determinerebbe un'alterazione della via
glicolitica e di quella ossidativa con diminuzione del pH (O'Donnel, 1975) e
conseguente attivazione di enzimi lisosomiali. L'attivazione di alcuni di
questi, ed in particolare delle catepsine, potrebbe essere responsabile di una
parte delle alterazioni della fibra muscolare e di quelle dei microvasi
sopradescritte.
Le
alterazioni del nervo periferico in corso di arteriopatia cronica obliterante
furono per la prima volta studiate da Joffroy e Achard (1889) che riscontrarono
degenerazione walleriana e fibrosi endoneurale.
Ulteriori
indagini in questo campo sono state condotte da Gairns e Coll. (1%0), Garven e
Cod. (1%2), Eames e Lange (1%7), Chopra e Hurwitz (1%7), Digiesi e Arcangeli
(1977).
In
sintesi le principali alterazioni osservabili al microscopio ottico sono le
lesioni segmentarie della guaina mielinica del nervo, l'intensa fibrosi sia a
carico del perinevrio sia dell'endonevrio e le alterazioni delle cellule di
Schwann. Nello stroma compaiono inoltre arteriole e capillari con parete
ispessita.
All'osservazione
al microscopio elettronico (fig.05x) si
riscontra, a carico delle cellule di Schwann, presenza di inclusi di materiale
presumibilmente lipidico, più raramente figure mieliniche ed ammassi di mielina
degenerata, corpi di probabile natura lisosomiale. La guaina mielinica può
risultare fissurata od interrotta e talvolta appare frammentata nel citoplasma
delle cellule di Schwann. Alcuni assoni di fibre mieliniche od amieliniche
mancano di neurofibrille o contengono nel loro interno grossi vacuoli. A carico
della maggior parte dei capillari dell'endonevrio si nota marcato ispessimento
della membrana basale che talvolta appare come pluristranficata. Anche il
tessuto collagene pericapillare e dell'endonevrio è aumentato. Risulta evidente
pertanto l'esistenza, nelle arteriopatie obliteranti croniche arteriosclerotiche
degli arti inferiori, di una sofferenza talora anche grave della fibra nervosa
nelle sue diverse strutture.
Le
modificazioni della mielina, che consistono soprattutto in fissurazione e
frammentazione della guaina, appaiono simili a quelle reperibili sia in età
senile (Lascelles e Thomas, 1%6; Ochoa e Mair, 1%9) che in corso di diabete
mellito (Woluman e Wilder, 1929; Faberberg, 1956; Dolman 1%3; Thomas e LasceDes,
1956,1%6; Chopra e Hurwitz, 1%9).
Peraltro
l'estensione della demielinizzazione riscontrata negli arti ischemici è
generalmente superiore a quella osservata in età senile (Asbury, 1970) ma
inferiore a quella rilevata in corso di diabete mellito (Chopra e Hurwiz, 1%9).
La
presenza nell'interno delle cellule di Schwann di materiale simil-lipidico, di
figure mieliniche o di ammassi di mielina degenerata, è stata osservata anche
in corso di diabete mellito (Bischoff, 1%8) e nella neuropatia sperimentale da
mercurio (Miyakawa e Coll., 1970).
Le
modificazioni a carico dei capillari del nervo, caratterizzate soprattutto da
ispessimento della membrana basale, sono già state segnalate da Banson e Lacy
(1%8) nel diabete mellito.
Per
quanto riguarda la genesi della neuropatia periferica ischemica cronica, diversi
fattori patogenetici sembrano particolarmente da considerare alla luce delle
attuali conoscenze:
a)
stenosi od occlusione dei grossi vasi afferenti agli arti;
b)
microangiopatia dei vasa nervorum; c) turbe del metabolismo della cellula di
Schwann, secondarie all’ischemia o consensuale al processo arteriosclerotico,
con conseguente alterazione della mielinizzazione; d) arteriosclerosi delle
arterie spinali con ischemia cronica midollare e conseguente degenerazione
assonale.
In
conclusione, analogamente a quanto rilevato a carico della miopatia ischemia
eroniea, la neuropatia periferica riscontrata in corso di arteriopatia
obliterante arteriosUerotica degli arti inferiori è verosimilmente secondaria
all'ischemia cronica e non sembra presentare, alla luce dei reperti strutturali
ed ultrastrutturali sinora riferiti, caratteri di specificità.
Anche
le ossa e le strutture fibro-tendinee vengono coinvolte nel processo ischemico
in corso di arteriopatia obliterante periferica.L'occlusione arteriosa causa un
importante rimaneggiamento del circolo ematico osseo, con notevole sviluppo di
un circolo collaterale a partenza periostale, che preserva a lungo l'integrità
anatomica dell'osso, anche nelle condizioni di più grave e protratta riduzione
di apporto ematico; peraltro l'ischemia ha come conseguenza un incremento del
riassorbimento osseo per modificazioni chimico-fisiche del liquido intersuziale,
che favoriscono il processo osteoclastico e/o ostacolano quello osteoblastico
causando a lungo andare la comparsa di osteoporosi.
Inoltre
in corso di arteriopana obliterante periferica compare talora una sintomatologia
dolorosa in corrispondenza delle entesi del piede (entesopatia). Tali strutture,
fisiologicamente ben vascolarizzate e con un metabolismo attivo, sono esposte
all'ischemia ed ai danni da essa indotti.
IL
MECCANISMO EMODINAMICO DELL'ISCHEMIA
La
stenosi serrata o emodinamica e l'occlusione delle arterie di conduzione
(dall'aorta alla pedidia e alla plantare) sono la causa dell'ischemia degli arti
inferiori (fig.06
espandere
il vaso.Dall'altro la tensione circonferenziale, che rappresenta la forza che
tende a costringere il vaso, a sua volta risultante dalla tensione elastica,
dipendente dal grado di stiramento della parete, e della tensione attiva legata
al grado di contrazione attiva della muscolatura liscia parietale.
Il
flusso ematico muscolare a riposo è di circa 4-6 ml/100 ml/min. Quando si
verifica, come durante la deambulazione, la necessità di aumentare il flusso
ematico muscolare, intervengono vari fattori in grado di regolare la
vasodilatazione e di utilizzare quella parte di letto capillare normalmente non
funzionante. Questi fattori sono di natura nervosa, metabolica e ormonale. La
regolazione neuroumorale è sostenuta da una componente adrenergica
tendenzialmente vasocostrittrice e una colinergica di tipo vasodilatatorio.
La
contrazione delle cellule muscolari lisce è regolata da sostanze derivate dal
metabolismo tessutale in senso prevalentemente dilatante tendendo di conseguenza
a far aumentare il calibro del vaso. La regolazione metabolica è legata alla
produzione di sostanze del metabolismo muscolare in condizioni di impegno
fisico. Tra queste possiamo ricordare l'accumulo di acido lattico (Barcroft e
Coll., 1967), di CO2 (Heistad e Heeler,1972), di potassio (Duling, 1975; Hirche
e Coll., 1980), di nucleotidi adenilici e dell'adenosina (Duff e Coll., 1954;
Chen e Coll., 1972). Infine la regolazione ormonale dipende dalla produzione di
ormoni quali adrenalina e noradrenalina in grado di mantenere una normale
pressione arteriosa sistemica e pertanto una normale pressione di perfusione.
Ultimamente è stata data notevole importanza all'intervento dell'endotelio che
sembra in grado di produrre durante lo sforzo sostanze ad azione francamente
vasodilatatrice quali le prostaglandine (Bevegard e Oro, 1%9; Kilbom e Wenmalm,
1976; Beaty e Donald, 1979) e 1'EDRF (Endothelium-Derived-Relaxing-Factor) (Furchgott,
1984; Moncada e Coll., 1988) che altro non sarebbe che il nitrossido.
Nei
muscoli striati sono rappresentati due tipi di fibre, differenti sotto il
profilo metabolico e funzionale: le fibre ST (Slow Twich) prevalenti nei muscoli
rossi, con alta capacità di utilizzazione ossidativa del glucosio e degli acidi
grassi e bassa capacità per il metabolismo anaerobico e la glicogenolisi; le
fibre FT (Fast Twich) prevalenti nei muscoli bianchi e con capacità metaboliche
opposte.Va ricordato che la normale funzione del muscolo è strettamente legata
all'apporto ematico di O2. Questo diffonde dai capillari alle cellale con una
velocità che dipende dalla PO2 capillare, dalla PO2 cellulare, in relazione
alla densità dei capillari. L'utilizzazione di O2 è indipendente dalla PO2
cellulare finché la tensione di O2 nel sangue capillare non scende ad 1 Tor dai
normali 5-10 Tor. Al di sotto di questo valore critico l'utilizzazione di O2 è
soltanto funzione della PO2 cellulare.
Durante
la deambulazione i vari meccanismi intervengono provocando il rilasciamento
della muscolatura liscia arteriolare e degli sfinteri precapillari. L'aumento di
velocità del flusso che ne consegue e che non consentirebbe un normale
sfruttamento dell'apporto di ossigeno viene automaticamente corretto dal
reclutamento del letto capillare inattivo per cui si ottiene ugualmente
un'ottima ridistribuzione di ossigeno ai tessuti.
Una
valutazione della risposta vascolare allo sforzo e della riserva ematica a
disposizione dell'arto in condizioni di emergenza può essere ottenuta con il
test dell'iperernia reattiva post-ischemica (Shepherd, 1963). Provocando un'ischemia
dell'arto per 5 minuti e registrando il flusso arterioso al polpaccio al momento
della rimozione del bracciale ischemizzante, i soggetti a circolo arterioso
integro mostrano un subitaneo aumento del flusso ematico che raggiunge in 5-6
secondi il picco massimo con valori di circa 40 m/l 100 ml/min e si esaurisce
rapidamente.
La
prima conseguenza emodinamica che si verifica a valle di una stenosi serrata o
di un'obliterazione arteriosa è rappresentata dalla caduta della pressione di
perfusione cui consegue un aumento delle resistenze nei vasi di conduzione e una
riduzione pressoria a livello di arteriole, metarteriole e sfinteri precapillari.
A questo punto intervengono alcuni dei meccanismi sopraricordati ed in
particolare i fattori umorali derivati dal metabolismo tessutale che diminuendo
il tono della componente muscolare della parete determinano fenomeni di
vasodilatazione. Questa più che a livello dei vasi di maggior calibro si
estrinseca soprattutto a livello delle metarteriole e degli sfinteri
precapillari che si rilasciano parzialmente.
In
condizioni di riposo esiste una marcata diversità di flusso tra i muscoli a
fibre rosse e quelli a fibre bianche e l'intervento di meccanismi di compenso,
in particolare della vasodilatazione, è sufficiente a mantenere, attraverso
l'apporto di 02, un metabolismo aerobio normale nei muscoli rossi e, con
l'apporto di glicogeno, il metabolismo dei muscoli bianchi.
Durante
l'esercizio muscolare la maggior richiesta di ossigeno da parte dei tessuti non
può venir soddisfatta in quanto la capacità di vasodilatazione è già stata
in buona parte sfruttata. A questo punto il mantenimento di un flusso adeguato e
di un metabolismo muscolare efficiente è legato allo sviluppo dei circoli
collaterali.I principali circoli anastomotici dell'arto inferiore sono situati
nelle seguenti sedi elettive: a livello del bacino e dell'anca, ove i grossi
rami arteriosi della pelvi (aorta addominale, iliaca interna ed iliaca esterna)
diffusamente si connettono con l'arteria femorale (soprattutto profonda): a
livello della coscia per le numerose anastomosi dei vari rami della femorale
profonda fra loro ed, in alto, con i vasi del circolo anastomotico del bacino,
in basso, con quelle della rete articolare del ginocchio; a livello del
ginocchio, la cui rete articolare è fornita da tre arterie (femorale, poplitea
e uibiale anteriore) con grossi rami arteriosi che provengono da cinque diverse
direzioni; a livello della caviglia e del piede ad opera dei principali rami
arteriosi (tibiale posteriore, tibiale anteriore ed interossea, alla caviglia;
fra le arcate e le arterie dorsali e plantari attraverso numerosi rami
perforanti, al piede).
Un
primo meccanismo di circolo collaterale è rappresentato dall'intervento della
circolazione cutanea la quale è in grado di cedere una parte del proprio flusso
perché quest'ultimo eccede le normali necessità metaboliche della cute
stessa.Ciò si verifica attraverso le anastomosi artero-venose (AVA), le quali
sono regolate dal tono simpatico. Più importante è tuttavia il circolo
collaterale propriamente detto che è legato all'apertura dei canali che
connettono il circolo a monte con il circolo a valle dell'ostruzione arteriosa.
I fattori che condizionano lo sviluppo del circolo collaterale sono
rappresentati:
1)
dalla localizzazione dell'ostruzione arteriosa, in quanto più questa è
prossimale più il circolo collaterale è efficiente;
2)
dalla rapidità d'instaurazione del processo ostruttivo: quanto più lentamente
la stenosi vasale diviene occlusione, tanto più marcato risulta lo sviluppo del
circolo collaterale;
3)
dalla necessità metabolica dei tessuti da esso dipendenti.
Il
circolo collaterale può essere preformato, costituito cioè da rami provenienti
dalla stessa arteria a monte dell'ostruzione che si anastomizzano a pieno c an
ale con i rami a valle invertendosi in questi ultimi la direzione del flusso,
oppure neoformato, costituito da arteriole muscolari che progressivamente vanno
incontro a dilatazione.
I
fattori che agiscono sui circoli anastomotici intervenendo sia sulla loro
morfologia sia sulla loro attività funzionale sono stati suddivisi in tre
gruppi: fattori meccanici, fattori chimici e fattori nervosi.I fattori meccanici
sono essenzialmente riferibili al gradiente pressorio transtenotico; la caduta
di pressione a valle della stenosi tende a diminuire la resistenza accentuando
il gradiente pressorio transtenotico. In questo caso il flusso tende a dirigersi
verso territori di minor resistenza percorrendo l'unica via possibile e cioè i
vasi collaterali. L'aumento della pressione determina perciò modificazioni
strutturali dei vasi del circolo collaterale con ispessimento della parete,
aumento delle fibre muscolari e delle cellule endoteliali, distensione delle
fibre elastiche. La conseguenza è un aumento di calibro dei vasi collaterali e
la loro tortuosità.
Per
quanto riguarda i fattori chimici o metabolici essi sarebbero essenzialmente
legati alla possibilità di una induzione di circoli collaterali o a
proliferazione di neovasi come risposta alla liberazione dai tessuti ipossici di
sostanze ad azione vasodilatante.Questi ultimi sarebbero gli stessi chiamati in
causa a proposito dei meccanismi di compenso durante l'attività fisica.
Anche
per quanto riguarda i fattori nervosi non è da tutti accettata l'ipotesi che
tra i fattori che favoriscono la caduta delle resistenze vascolari ci sia una
lisi del tono simpatico che può favorire un miglioramento della ridistribuzione
ematica a valle dell'ostruzione. Tuttavia se anche questo meccanismo è stato
documentato (Dornhorst e Sharpey-Schafer, 1951; Honig, 1979), esso è comunque
di breve durata.
Altri
fattori che possono influenzare lo sviluppo e il mantenimento del circolo
collaterale sono rappresentati dall'integrità anatomo-funzionale dei vasi
collaterali, dal trofismo del muscolo e da una buona efficienza della pompa
cardiaca.
Va
tenuto presente che, nonostante il suo sviluppo, il circolo collaterale non è
mai in grado di compensare completamente il deficit di flusso conseguente alla
lesione ostruttiva del vaso principale. Ciò viene evidenziato dall'andamento
dell'iperemia reattiva post-ischemica. Al termine del periodo di ischemia negli
arteriopatici la risposta flussimetrica raggiunge più lentamente il suo picco
massimo, è più bassa che nel soggetto normale e si esaurisce più lentamente.
Ciò è dovuto alla riduzione della pressione di perfusione, cui consegue il
prevalere della tensione circonferenziale sulla pressione transmurale; cioè il
prevalere della forza costrittiva su quella espansiva. La pressione transmurale
alla quale inizia la chiusura del vaso viene definita come "pressione
critica di chiusura" (Burton, 1951). Inoltre nei vasi collaterali la
resistenza al flusso, soprattutto nella fase di rientro del vaso, è nettamente
aumentata (Strandness, 1969). Ciò determina come aspetto clinico la comparsa
della claudicatio intermittens. Molto importante risulta infine la dimostrazione
che col tempo il circolo collaterale migliora, probabilmente in relazione
all'esercizio fisico programmato e dipendente dalla diminuzione di resistenza al
flusso a livello dei rami del circolo collaterale (Skinner e Strandness, 1967).
Nel
determinismo della claudicazione intermittente occorre considerare sia i
meccanismi di produzione dell'ischemia distrettuale, sia quelli specifici di
produzione del dolore, in quanto il meccanismo genetico del sintomo non si
esaurisce nella sola turba dell'emodinamica distrettuale.Non esiste infatti una
stretta correlazione fra autonomia di marcia e flusso ematico alla gamba, né
fra gravità del reperto arteriografico e sintomatologia clinica.
Per
quanto riguarda il significato dell'ischemia tessutale indotta dall'occlusione o
dalla stenosi serrata dell'arteria principale dell'arto non vi è dubbio che
essa sia, oltre che il più noto, anche il più importante fattore causale della
claudicazione intermittente. Eccezionalmente possono essere in causa le fistole
artero-venose e gli aneurismi delle arterie degli arti.In ciascuna delle
condizioni anatomo-cliniche sopra ricordate, particolarmente nella stenosi e
nell'occlusione arteriosa, modificazioni del contenuto ematico possono aggravare
l'ischemia distrettuale agendo con meccanismi diversi e talora opposti:
emoreologico e da inadeguata assunzione, inadeguato trasporto e liberazione di
ossigeno ai tessuti degli arti.
In
presenza di occlusione cronica di un segmento dell'arteria principale dell'arto
inferiore il sangue è deviato attraverso il sistema delle collaterali che sono
vasi ad alta resistenza in confronto all'arteria principale. Si sviluppa
pertanto un gradiente pressorio abnormemente elevato fra i vasi a monte e quelli
a valle.Ne consegue una diminuzione della pressione pulsatile sistolica e, nei
casi più gravi, anche della pressione media. La portata è ugualmente ridotta.
Nonostante la caduta dei valori di pressione e di portata conseguente
all'occlusione arteriosa, il flusso sanguigno dell'arto è ancora sufficiente
alle necessità metaboliche in condizioni di riposo. È invece al momento della marcia che si determina uno
squilibrio tra la richiesta e le possibilità di flusso distrettuale. Si
sviluppano così ischemia e ipossia tessutale, in conseguenza delle quali
metaboliti acidi si accumulano e portano a modificazioni del pH e dell'osmolarità.Questa
catena di eventi emodinamici e metabolici si potenzia in circolo vizioso con il
procedere dell'esercizio e può essere interrotta soltanto con la cessazione
dell'attività muscolare.
La
presenza di una stenosi dell'arteria principale dell'arto causa la comparsa
della claudicazione intermittente quando è emodinamicamente efficiente, cioè
quando rende manifesto il gradiente pressorio attraverso l'orifiao stenotico e
compare una riduzione del flusso ematico.Non è possibile definire per ogni
arteria il livello critico di stenosi, al di là del quale si rende bruscamente
evidente la riduzione di portata e di pressione nel distretto circolatorio a
valle, in quanto la diversa conformazione anatomica dei circoli collaterali e le
loro possibili modificazioni, per il processo arteriosclerotico o per altri
fattori di ordine funzionale, influenzano il comportamento emodinamico della
stenosi, variando lo stato delle resistenze periferiche.Sono stati
particolarmente presi in considerazione i seguenti fattori: diametro della
stenosi, lunghezza della stenosi, numero delle stenosi, viscosità del sangue e
resistenze periferiche.Ai fini emodinamici i fattori più importanti sono il
diametro della stenosi e lo stato delle resistenze periferiche.
Per
quanto riguarda il secondo punto (cioè i meccanismi di produzione del dolore)
è stato accertato che nei muscoli cronicamente ischemici sono presenti
iperalgesia e condizioni di facilitata produzione di sostanze algogene; è stato
inoltre rilevato che la sensibilità dell'arto claudicante è modificata per le
alterazioni anatomo-funzionali del nervo.
L'iperalgesia
muscolare è determinata dal processo istoreattivo che comporta attivazione e
liberazione di enzimi lisosomiali e dagli effetti delle prostaglandine prodotte
in quantità rilevante in corso di ischemia. Al processo istoreattivo è da
imputarsi anche la condizione di facilitata produzione di sostanze algogene.
Il
dolore che insorge durante l'esercizio fisico deriva dall'azione combinata su
algocettori ipereccitabili di mediatori chimici (prostaglandine, bradichinina,
5HT e altri), metaboliti muscolari (acido lattico, K +), ipossia ed
iperosmolarità. La sensazione dolorosa è anticipata ed accentuata dalla
presenza di "aree mialgiche" nei muscoli sottoposti a lavoro ischemico
(fig.07x, fig.08 ).
La claudicazione intermittente "atipica" differisce da quella tipica
per anomalie della sensazione provocata dall'esercizio fisico, per diversità di
localizzazione del dolore o per diversità di comportamento in occasione della
ripetizione del lavoro muscolare. La sostituzione della sensazione dolorosa con
quella di stanchezza ingravescente è dovuta alla presenza di una marcata
riduzione numerica delle fibre nervose con seguente alla concomitante neuropatia
sia ischemica sia mediata da altri fattori causali (diabete, alcolismo, tossici
vari, ernia discale) ed alla precoce degradazione delle residue fibre sensitive
e motorie.
Lo
spostamento di sede del dolore può essere dovuto:
1)
a localizzazione dell'ostruzione arteriosa a livello diverso da quello femorale
abituale;
2)
alla presenza nelle strutture muscolari sottoposte a lavoro di aree mialgiche
con caratteri di "punti trigger", l'attivazione ischemica delle quali
provoca l'insorgenza del dolore nelle "zone bersaglio";
3)
alla coesistenza di processi distrofici (ulcera, gangrena) determinati dall'arteriopatia
obliterante (claudicazione intermittente evoluta) o di condizioni algogene
latenti a livello cutaneo, periosteo ed osteoarticolare;
4)
all'associazione di malattie dolorose ossee, articolari, muscolari e
neurologiche (claudicazione intermittente intricata).
I1
"dolore del primo sforzo" è espressione di un circolo collaterale in
corso di adeguamento funzionale.
I1
termine "ischemia critica" (IC) degli arti inferiori (Bell e Coll.,
1982) si riferisce a quel particolare stadio delle arteriopatie obliteranti
periferiche in cui la grave compromissione del trofismo e della vitalità
dell'arto rende incombente il rischio di un'amputazione. La definizione
generalmente accettata dalla maggior parte degli Autori (Dormandy, 1990; Tyrrel
e Coll., 1993) è la seguente: presenza di dolore a riposo persistente e
ricorrente, che richieda regolare ed adeguata analgesia per più di due
settimane e/o ulcerazioni e gangrena del piede e delle dita del piede, oltre
alla pressione sistolica alla caviglia < 50 mmHg. Rientrano nel gruppo della
IC i soggetti con AOP che in passato erano inquadrati nel III-I\r stadio della
Classificazione di Fontaine.
Nella
patogenesi dell'IC intervengono sia il macrocircolo sia il microcircolo. Della
macroangiopatia è stato già detto.Qui occorre solo ricordare che in presenza
di stenosi critica del lume arterioso per l'aumento della velocità di flusso
che diviene turbolento, si creano vortici che favoriscono l'accrescimento della
placca aterosclerotica con ulteriore riduzione della portata ematica. Il danno
endoteliale, a sua volta, provoca riduzione di sintesi e del rilasciamento di
prostaciclina e dell'EDRF con alterazione della regolazione del tono vasale,
riduzione
Dell'attività
fibrinolitica e attivazione piastrine e leucociti con possibilità di una
completa trombosi del lume arterioso.L'insorgenza di IC in un arteriopatico al
II stadio può essere causata o favorita da una diminuzione della portata
cardiaca per scompenso cardiaco, grave cardiopatia ischemica o gravi aritmie,
attraverso irregolarità emodinamiche a valle dell'ostruzione.
Il
ruolo del microcircolo: in questi ultimi anni è stata posta particolare
attenzione all'importanza rivestita dalle lesioni del distretto
microvascolo-tessutale (arteriole, metarteriole, capillari, venule
post-capillari e interstizio) nella genesi della IC, soprattutto a seguito delle
osservazioni cliniche che spesso non esiste alcuna differenza nell'andamento di
parametri quali la pressione alla caviglia o all'alluce e l'Indice di Winsor nel
confronto tra soggetti con IC e soggetti con arteriopatia degli arti senza IC.
Ciò sta ad indicare una certa indipendenza di comportamento tra macroarcolo e
microcircolo.Vengono distinti nella IC tre aspetti a livello microvascolare:
biochimico, metabolico ed istomorfologico.
Tra
gli aspetti biochimici emergono gravi alterazioni della normale funzione
endoteliale dovute alla riduzione dell'apporto ematico e all'abolizione della
reattività del microcircolo. Con metodiche di indagine selettive tra cui il
Laser-Doppler è stata evidenziata una riduzione della "vasomotion"
cioè della normale distribuzione ritmica di flusso ai capillari. Inoltre
compaiono fenomeni di vasospasmo mediati dall'EDCF (Endothelium-Derived-Costriciing-Facior)
e favoriti dalla diminuzione dell'EDRF e prostaciclina. Nella genesi di tali
fenomeni possono intervenire sostanze di derivazione piastrinica e leucocitaria
come il trombossano A2, i leucotrieni e la serotonina. Inoltre si verifica uno
squilibrio dell'omeostasi coagolativo-fibrinolitica con aumento dei livelli
ematici di fibrinogeno e fattore VIII fino alla trombosi microvascolare, con
alterazioni della reologia ematica distrettuale.
Tutti
questi fenomeni possono potenzialmente interagire fra di loro e condurre ad una
rarefazione del numero e alla riduzione di calibro dei capillari perfusi con
disomogenea ridistribuzione del flusso ematico e fenomeni di furto
microvascolare (Bollinger e Fagrell, 1990). Appare possibile in definitiva che
il disordine emodinamico e la sofferenza organica e funzionale microvascolare
possano acquistare una propria funzione autonoma riducendo ulteriormente la
perfusione ematica al di sotto dei valori minimi basali, aggravando l'acidosi e
l'anaerobiosi tessutale e ponendo le premesse per la comparsa di lesioni
trofiche.
Gli
aspetti istomorfologici e metabolici documentano la grave disorganizzazione
strutturale intersuziale e microvascolare.
È presente costantemente una rarefazione di numero e riduzione di
calibro delle metarteriole e dei capillari arteriosi che mostrano ispessimento
della membrana basale, frequenti manifestazioni trombotiche e flogosi
granulocitaria a manicotto pericapillare, con dilatazione dell'ansa venosa
capillare e delle venule postcapillari, edema interstiziale e, negli stadi
avanzati, sclerosi intersuziale a larghi fasci molto estesa.Queste alterazioni
rappresentano la conseguenza dell'ischemia sull'integrità dell'endotelio e
della parete dei capillari (Fagrell, 1977; Lowe, 1990; Novo e Coll., 1993).
La
loro presenza diventa un ulteriore elemento di perturbazione del metabolismo
tessutale, già sofferente per la ridotta perfusione ematica, in quanto
ostacolano la cessione di O2 dai capillari ai tessuti.
L'aumento
della lattacidemia reflua dall'arto ischemico rappresenta il secondo elemento
espressione del disordine metabolico che si verifica nei tessuti in corso di IC:
l'acido lattico è infatti il prodotto terminale del metabolismo tessutale che
si svolge in carenza di ossigeno.Nei pazienti con arteriopatia al II stadio
l'incremento della lattacidemia reflua è evidente soltanto al termine di un
esercizio muscolare (Ondrus e Coll., 1989; Rexroth e Coll., 1989); al contrario
il rilievo che, già in condizioni di riposo il lattato refluo è aumentato
rappresenta un elemento prognostico di significato fortemente negativo, perché
indica che il metabolismo tessutale dell'IC ha virato decisamente verso uno
scompenso an aerobico , essendosi alterato il normale equilibrio rappresentato
dal rapporto tra flusso ematico capillare, cessione di O2 e sfruttamento di O2
da parte dei tessuti.
I
dati metabolici ed istomorfologici sopra riferiti documentano che nell'IC oltre
alla riduzione dell'apporto ematico di 02, conseguente alla macroangiopatia, la
sofferenza ischemica tessutale è aggravata da uno squilibrio dei meccanismi
microvascolari che regolano la cessione di O2 dai capillari ai tessuti, gli
scambi microvascolo-tessutali e, in conseguenza, il metabolismo tessutale.
La
fisiopatologia della IC assume peculiari caratteristiche nel diabete mellito e
nella TAO.Nei pazienti diabetici le lesioni del macrocircolo sono più distali,
diffuse e precoci, come precoci sono le anomalie micro circolatorie con grave
alterazione della parete dei capillari per ispessimento della membrana basale,
degenerazione dei periciti, flogosi granulocitaria a manicotto perivasale,
scompaginazione del segmento intermedio delle AVA, flogosi, edema e sclerosi
interstiziale con rarefazione dei capillari arteriosi, in buona parte
trombizzati, e dilatazione venulare.Lo scarso controllo metabolico nei diabetici
altera il sistema immunitario favorendo così l'insorgenza di infezioni che
insieme alla polineuropatia, sensitiva, motoria e autonomica aggravano
l'evoluzione della IC cui contribuisce notevolmente anche la glicosilazione
delle proteine di membrana che porta a gravi alterazioni emorcologiche
secondarie ad una perdita di plasticità delle emazie, con minore
deformabilità, minore fluidità di membrana, maggior aggregabilità, mentre la
disfunzione endoteliale determina alterazioni della filtrazione capillare (Pretolani
e Coll., 1993).
È probabile che nella genesi della IC i meccanismi microvascolari
possano agire in due fasi distinte: in un primo momento direttamente, attraverso
un progressivo deterioramento della perfusione ematica e dell’efficienza del
circolo collaterale; in un secondo momento ostacolando la cessione di O2 dai
capillari ai tessuti e, attraverso un ulteriore peggioramento del metabolismo
tessutale in senso anaerobio, facilitando la comparsa di primi segni di IC e la
loro rapida progressione.
Tralasciamo
la terapia medica dell'arteriosclerosi e degli altri tipi enologici di
arteriopatia; ci limitiamo ad esaminare brevemente la terapia dell'ischemia.Questa
è essenzialmente volta a sviluppare il circolo collaterale e a correggere il
danno microvascolo-tessutale, con l'impiego di presidi di ordine farmacologico,
dietetico e fisioterapico (esercizio-terapia).
Per
quanto riguarda i farmaci vasoattivi vi sono alcuni risultati positivi con il
nafudrofurile (Lehert e Coll., 1994; Moody e Coll., 1994), il buflomedil (Dorigo
e Coll., 1985) e la nifedipina.Dopo terapia con buflomedil, in particolare, la
quantità di lavoro aumenta ed il pH intracellulare diminuisce, in maniera
minore, durante l'esercizio aerobico (Whal e Coll., 1994). Tale risultato viene
attribuito ad un miglioramento del microareolo.
La
somministrazione per un lungo tempo di iloprost, analogo stabile di sintesi
della prostaeielina, sarebbe capace di migliorare significativamente l'autonomia
di marcia, sia assoluta che relativa, nella claudicatio intermittens e di
diminuire il dolore e l'estensione delle lesioni ulcerative in pazienti con
ischemia critica degli arti.La prostaglandina E, è capace, associata ad un
programma di esercizio fisico, di migliorare notevolmente e per lungo tempo la
distanza di claudicazione (Scheffer e Coll., 1994).
Per
quanto riguarda la pentossifillina, un derivato metilxantinico, essa è
risultata capace, in parte degli studi clinici controllati con placebo, di
aumentare la durata dell'esercizio senza claudicazione, di essere utile nella
vasculopatia diabetica (Campbell, 1993) e di essere più efficace del buflomedil
o della nifedipina (Chacon-Quevedo e Coll., 1994). L'effetto positivo sarebbe
legato soprattutto all'aumento della flessibilità degli eritrociti ed alla
riduzione della viscosità ematica, con conseguente miglioramento del flusso nel
microcircolo ed aumento della ossigenazione tissutale.
Recentemente
è stato dimostrato che una miscela nucleotide-nucleoside per via intraarteriosa
è capace di migliorare il metabolismo muscolare, in particolare del
gastrocnemio, nell'arteriopatia periferica allo stadio II (Rexroth e Coll.,
1994).
Gli
antiaggreganti piastrinici, in particolare l'aspirina, si sono dimostrati capaci
di ridurre i rischi di complicanze cardiovascolari, ma non modificano la
claudicatio. Anche la ticlopidina riduce la morbilità e la mortalità
cardiovascolari (Blanehard e Coll., 1994). Gli anticoagulanti eparina e warfarin
sono utili solo nell'occlusione arteriosa acuta secondaria a trombosi od
embolia.
Per
quanto riguarda i provvedimenti di supporto, anzitutto è stato osservato che il
rischio di insorgenza dell'arteriopatia periferica nell'età compresa fra 55 e
74 anni, particolarmente fra i maschi fumatori, è in rapporto inverso con
l'attività fisica svolta precedentemente nell'età compresa fra 35 e 45 anni (Housley
e Coll., 1993). In corso di arteriopana già instauratasi, è utile un programma
di marcia per almeno 20 minuti, 2 volte al giorno.
Questa
attività facilita la comparsa di circoli collaterali e migliora la forza
muscolare. È importante
cessare il fumo e correggere le anormalità metaboliche, soprattutto il diabete
mellito e l'iperlipidemia.
Bartoli
V., Dorigo B., Trapani M., Raspanti D., Cameli A.M.: Fisiopatologia clinica
dell’ischemia degli arti inferiori, Relazione V Congr. Naz.
Soc. Ital. Patol.
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Dormandy
J.A., Stock G. (Eds.): Critical Leg I-schaemia. Its Pathophysiogy and
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S., Abrignani M.G., Liquori M., Barbagallo Sangiorgi G., Strano A.:
Fisiopatologia dell’ischemia critica degli arti inferiori. Ann.
Ital. Med. Int. 8 (suppl.): 66S-70S, 1993.
P.
Arcangeli
Professore
f.r. di Medicina Interna,
Università
di Firenze
Le
malattie vascolari ed in particolare le arteriopatie trovano ancora nell'esame
clinico una valida conferma diagnostica, tuttavia, per una migliore definizione
e quantificazione delle lesioni, specie nelle arteriopatie asintomatiche o per
un inquadramento prognostico-terapeutico delle arteriopatie croniche, la
diagnosi morfofunzionale delle lesioni deve richiedere l'ausilio di indagini
strumentali complementari.
I
notevoli progressi tecnologici ottenuti in campo diagnostico-strumentale,
invasivo e non invasivo, sia per l'affidabilità delle tecniche sia per lo
scarso disagio del paziente, sempre più spingono l'utilizzazione di queste
metodiche.
Una
lesione arteriosa può dipendere da varie patologie intrinseche alla parete (aterosclerosi,
displasia ecc.) od estrinseche: compressioni ad opera di strutture ossee e
ligamentose (sindrome dello stretto toracico superiore, sindrome di Dumbar
ecc.).
Varie
classificazioni delle arteriopatie sono state proposte in funzione delle loro
caratteristiche anatomo-patologiche, della loro sede, delle malattie di base che
le hanno determinate; una di queste particolarmente utile appare quella proposta
da J.T. Lie e J.L. Juergens in funzione del loro aspetto degenerativo.
Il
processo patologico, provocando un sovvertimento strutturale della parete
arteriosa e dei suoi componenti (collagene, fibre elastiche ecc) caratteristico
per ogni tipo di patologia, produce generalmente o un restringimento del lume
arterioso (stenosi) o la sua dilatazione (aneurisma), con ripercussioni
emodinamiche nei territori a valle.
Mentre
sul piano clinico gli aneurismi si evidenziano in genere per le dimensioni che
raggiungono o per la comparsa delle complicazioni a cui vanno incontro (rottura,
trombosi ecc.), una lesione steno-ostruttiva si manifesta quando la diminuzione
del flusso arterioso da essa prodotta è tale da determinare un'alterazione
funzionale del territorio a valle (stenosi emodinamicamente significativa).
Anche
stenosi di calibro inferiore (non emodinamiche) possono diventare
improvvisamente sintomatiche per le complicazioni che sviluppano nel loro
contesto: ulcere endoteliali, emorragie intraparietali con embolizzazione
periferica e/o ostruzione acuta.
Benché
la diagnosi di certezza sulla natura di una lesione arteriosa proviene solamente
dalla sua analisi istologica (tab.01
L'approccio
diagnostico all'arteriopatico pertanto deve sempre prendere avvio da un'accurata
raccolta di dati anamnestici e soggettivi, che possono già indirizzare
l'esaminatore verso la sede ed il tipo di arteriopatia: insufficienza arteriosa
periferica, insufficienza cerebro-vascolare, malattia reno-vascolare ecc.
Considerando
la polidistrettualità delle lesioni, l'esame obiettivo, oltre ad esaminare il
territorio eventualmente sintomatico, deve prendere in considerazione tutti i
distretti esplorabili ed iniziando dalla semplice ispezione deve soffermarsi sul
trofismo della cute e dei tegumenti degli arti, sulla valutazione differenziale
di eventuali lesioni trofiche (ulcere arteriose, venose, neurotrofiche ecc.),
sul grado della irrorazione cutanea (pallore, cianosi) e sulla presenza di masse
pulsanti visibili.
La
palpazione, oltre ad evidenziare la presenza e la validità di un polso
arterioso nei comuni punti di repere (fig.01
Questi
dati guideranno successivamente nella scelta delle più opportune indagini
laboratoristiche e strumentali; in particolare l'analisi dei dati di laboratorio
sarà utile soprattutto nella caratterizzazione di alcune arteriopatie da cause
metaboliche (aterosclerosi, diabete ecc.), mentre le indagini strumentali
valuteranno l'aspetto morfo-anatomico di una lesione, le alterazioni
emodinamiche locali da essa prodotte e le eventuali alterazioni funzionali del
territorio dipendente (muscolare, cerebrale, renale ecc).
L'aorta,
dalla sua emergenza alla biforcazione iliaca può essere interessata da varie
patologie congenite (sindrome di Marfan, sindrome di Ehlers-Danlos) od acquisite
(aterosclerosi, lue, arteriti ecc.) che determinano lo sviluppo di coartazioni,
dissecazioni, aneurismi o steno ostruzioni.
Tuttavia,
mentre l'evoluzione aneurismatica colpisce se pur in maniera diversa tutti i
segmenti aortici, le coartazioni e le dissecazioni interessano prevalentemente
l'arco aortico e l'aorta toracica, al contrario delle lesioni steno-ostruttive
che si localizzano quasi esclusivamente nell'aorta addominale sottorenale.
La
particolare disposizione dell'aorta, intratoracica ed intraaddominale, rende le
due sedi variamente esplorabili ad una indagine sia clinica che strumentale.
Gli
aneurismi aortici generalmente nel loro sviluppo decorrono asintomatici e
solamente quando raggiungono cospicue dimensioni, comprimendo gli organi vicini
(ureteri) possono evidenziarsi sul piano clinico (idronefrosi). In genere,
altrimenti, sono riscontri occasionali in corso di accertamenti addominali per
altre patologie, o per le complicazioni a cui vanno incontro: rottura,
embolizzazione periferica. Altre volte possono essere sospettati dopo la
scoperta di aneurismi arteriosi in altri sedi (poplitea, femorale), in quanto
sappiamo che spesso possono essere in associazione (30-40%). Diverso è il caso
degli aneurismi rotti dell'aorta addominale, dove la gravità del quadro clinico
determina un particolare atteggiamento diagnostico-terapeutico.
L'esame
clinico può mettere in evidenza un aneurisma dell'aorta addominale o per la
sensazione di una abnorme pulsatilità addominale riferita dal paziente oppure
con la palpazione addominale. In genere la palpazione evidenzia una massa
periombelicale di varie dimensioni, non dolente, ed espansiva in tutte le
direzioni; permette inoltre di differenziare, tramite la manovra di De Bakey
(affondamento della mano dell'esaminatore tra aneurisma ed arcata costale), un
aneurisma sottorenale da uno infrarenale.
A
volte, tuttavia, le piccole dimensioni dell'aneurisma, la resistenza addominale
offerta da alcuni pazienti, l'obesità possono impedirne la diagnosi; al
contrario, la magrezza, l'iperlordosi, la presenza di dolicomegarterie possono
determinare falsi positivi.
Ultimamente
vengono riportati casi particolari di aneurismi, cosiddetti infiammatori per i
caratteristici quadri istologici, ma anche per l'insolito esordio clinico con
febbre, dolore addominale, leucocitosi ed aumento importante della VES.
La
rottura di un AAA non sempre viene evidenziata da una emorragia massiva. In
genere, infatti, questa evenienza viene preceduta da una fase di fissurazione,
variabile da alcune ore a giorni, in cui l'emorragia viene tamponata dalle
strutture parietali aortiche e periaortiche. Il quadro clinico di questa fase
appare pertanto caratterizzato dall'insorgenza di una sintomatologia dolorosa
addominale importante, che tende ad irradiarsi in sede lombare con l'assenza dei
sintomi da shock emorragico. Tale sintomatologia, associata alla presenza di una
massa pulsante addominale, pur inducendo il sospetto di un AAA in fase di
rottura, appare difficilmente differenziabile da quella presentata dagli AAA
infiammatori o dagli AAA in fase di "espansione", dove il dolore
addominale dipende da uno stiramento delle fibre somato-sensoriali del tessuto
periaortico, oppure da altre patologie acute addominali in pazienti portatori di
AAA.
Pur
tenendo conto che inevitabilmente la fissurazione evolverà verso la rottura in
un tempo imprecisato, l'assenza di un quadro di shock emorragico permette nei
casi dubbi di ricorrere ad ulteriori metodiche diagnostiche invasive e
non-invasive, anche ai fini di una migliore pianificazione dell'intervento
chirurgico. Diverso è il caso della rottura franca, dove il quadro clinico
varierà in rapporto all'entità dell'emorragia (85% dei casi in sede
retroperitoneale) con ipotensione, tachicardia, sudorazione, alterazione dello
stato di coscienza e della diuresi, permettendo una diagnosi sicura nel 97% dei
casi. In questa fase, l'estrema urgenza del trattamento chirurgico (emergenza)
non permette ulteriori accertamenti diagnostici strumentali.
Lo
studio morfologico di un aneurisma dell'aorta addominale può essere eseguito
mediante indagine radiologica standard dell'addome, ecografia, tomografia
computerizzata (TC), angiografia e risonanza magnetica nucleare (RMN).
Rx
addome standard. Tale indagine, oggi, non più proposta per la diagnosi di un
aneurisma aortico, può evidenziare a volte questa patologia, attraverso la
visualizzazione delle calcificazioni parietali nel corso di un esame per altre
alterazioni addominali. Al contrario un AAA rotto può essere evidenziato
indirettamente dalla mancata visualizzazione dei profili dei muscoli psoas.
Ecografia.
Lo studio ecografico in B-mode, generalmente condotto a livello addominale,
permette una valutazione della dimensione dell'aneurisma in senso trasversale e
longitudinale, del diametro del lume residuo e dello spessore della trombosi
parietale che sempre accompagna l'aneurisma (fig.02
E'
l'indagine strumentale di prima scelta in un paziente con sospetto di aneurisma
dell'aorta addominale e permette una diagnosi certa nel 99% dei casi, con un
errore nella valutazione delle dimensioni di + o - 3 mm. Il margine d'errore è
rappresentato da quella quota di piccoli aneurismi nella porzione compresa tra
il diaframma e le arterie renali e dalle piccole dilatazioni segmentarie
dell'aorta sottorenale, i cosiddetti "bister" degli Autori
statunitensi.
La
grande dipendenza dall'operatore, il basso costo e la ripetibilità
caratterizzano questa metodica.
Limiti
occasionali sono le calcificazioni parietali aortiche responsabili dei
"coni d'ombra", l'eccessivo gas intestinale, precedenti esami
addominali con mezzo radio-opaco e la grave obesità.
Raramente
è possibile con questa tecnica una diagnosi certa di fissurazione
dell'aneurisma; tale evenienza viene in genere erroneamente proposta, ma è
dovuta a fissurazioni nel contesto della trombosi endoluminale.
Tomografia
computerizzata (TC) total body. La TC total body è una indagine più invasiva
della ecografia, sia per l'esposizione alle radiazioni ionizzanti sia per la
somministrazione di mezzo di contrasto, fattori che limitano, assieme all'alto
costo, la ripetibilità dell'esame.
Tale
metodica tuttavia, oltre alle stesse valutazioni dell'ecografia (fig.03
Permette
inoltre di riconoscere una trombosi parietale vecchia da una più recente, ed
anche di differenziare un aneurisma aterosclerotico da uno infiammatorio (fig.04
E'
l'indagine di scelta nella diagnosi differenziale tra sospetta rottura di
aneurisma aortico ed altre patologie acute addominali, se le condizioni del
paziente e/o la gravità del quadro clinico permettono la sua effettuazione,
evidenziando, in questo caso, la sede della fissurazione e l'eventuale ematoma
periaortico.
Angiografia.
L'angiografia appare un esame di seconda scelta per la diagnosi di aneurisma
aortico e serve fondamentalmente porre l'indicazione chirurgica.
Lo
studio angiografico infatti, con qualsiasi tecnica venga condotto (aortografia
translombare, cateterismo con tecnica di Seldinger, angiografia digitalizzata
arteriosa o venosa) (fig.05
Rimane
tuttavia una indagine diagnostica fondamentale nella pianificazione di un
intervento chirurgico, sia nella valutazione dell'estensione della malattia
aneurismatica, sia per la visualizzazione delle eventuali lesioni associate
(renali, mesenteriche) (fig.05
Risonanza
magnetica nucleare (RMN). La RMN, pur essendo una metodica ancora nuova,
presenta delle caratteristiche abbastanza codificate nello studio degli
aneurismi aortici. E' una metodica non invasiva in quanto l'elaborazione
dell'immagine vascolare avviene senza la somministrazione di mezzo di contrasto
e/o di radiazioni ionizzanti, ma semplicemente sfruttando il naturale contrasto
del flusso sanguigno.
Permette
di visualizzare il lume residuo, le caratteristiche della parete aortica e del
trombo parietale e si dimostra superiore all'ecografia per una più corretta
valutazione dei rami iliaci e viscerali (fig.06
Le
attuali limitazioni tecniche sono rappresentate dall'alto costo per esame e
dall'impossibilità dello studio nei pazienti portatori di pacemaker o di
protesi metalliche.
L'aterosclerosi
è la principale causa di lesioni steno-ostruttive dell'aorta addominale
sottorenale e delle arterie iliache. Queste lesioni, iniziando come modeste
ateromasie parietali, si sviluppano attraverso una progressiva crescita dell'ateroma
o una sua improvvisa espansione per emorragia sottointimale.
L'alterazione
morfo-anatomica aortica che si realizza determina quindi, in misura variabile,
una insufficienza arteriosa periferica e degli organi genitali, meglio
conosciuta come sindrome di Lériche.
Il
notevole calibro aortico e delle arterie iliache permette ad una lesione
ateromasica di essere silente sul piano clinico per buona parte del suo sviluppo
endoluminale.
A
volte tuttavia, anche nelle prime fasi dello sviluppo di queste lesioni, la
frammentazione del materiale ateromasico da cui sono costituite o il distacco di
macroaggregati piastrinici, depositati sulle ulcerazioni dell'ateroma, possono
determinare una embolizzazione periferica.
Tali
complicazioni si evidenziano clinicamente con la comparsa in pieno benessere di
alcuni sintomi: dolore acuto, impotenza funzionale, ipotermia di un piede o di
una gamba, petecchie o aree di cianosi cutanea localizzate, contrastanti con la
presenza di tutti i polsi periferici (blue toe syndrome) e che tendono a
risolversi spontaneamente in alcuni giorni.
Nella
quasi totalità dei casi, tuttavia, una lesione aorto-iliaca si evidenzia sul
piano clinico quando l'entità della stenosi è tale (> 70%) da determinare
una alterazione funzionale nei territori a valle: arti inferiori ed organi
genitali.
Anamnesticamente
il paziente riferisce la comparsa di una claudicazione localizzata all'anca o
alla coscia che in genere, dopo una prima fase molto limitante la deambulazione
(100 metri), tende a migliorare spontaneamente in rapporto allo sviluppo di un
valido circolo collaterale compensatorio. Contemporaneamente nei maschi potranno
essere più o meno presenti alterazioni della potenza sessuale con impotenza
"erigendi" o "coeundi".
Obiettivamente
sarà possibile rilevare l'ipopulsatilità o l'assenza dei polsi femorali, le
analoghe ripercussioni sui polsi periferici e la presenza di soffi
paraombelicali o epigastrici.
Generalmente
non si evidenziano alterazioni trofiche degli annessi cutaneomuscolari degli
arti inferiori, a meno che non siano presenti concomitanti alterazioni
steno-ostruttive del circolo arterioso periferico.
L'alterazione
funzionale di una steno-ostruzione aorto-iliaca, sintomatica per claudicazione
intermittente degli arti inferiori o per impotenza sessuale, può essere
valutata mediante una indagine doppler: test delle pressioni segmentarie,
Treadmill test, indice pressorio penieno.
Test
delle pressioni segmentarie. Questo test (fig.07
Il
valore che scaturisce da tale rapporto (indice di Winsor: I.W.) è l'espressione
del grado di stenosi o di ostruzione relativa (I.W.: valore normale >= 1).
Nelle
lesioni aorto-iliache si avranno quindi valori del rapporto < 1 per una
compressione dei manicotti nel III prossimale della coscia e che rimarranno
immutati per compressioni più distali. Questo test che mette in evidenza
solamente lesioni emodinamicamente significative (>70%) può tuttavia essere
corredato, nei casi con stenosi inferiori (40-50%), con un test da sforzo (Treadmill
test).
Indice
pressorio penieno (I.P.P.). Analogamente all'I.W., l'indice pressorio penieno,
ottenuto dal rapporto tra pressione arteriosa nell'arteria dorsale del pene ed
arteria omerale diviene risolutivo per una diagnosi di impotenza sessuale di
origine vascolare se < 1.
Le
tecniche proposte a tale scopo sono fondamentalmente l'ecografia e
l'angiografia.
Ecografia.
E' un esame riservato ai casi con sospetto ateroma aorto-iliaco embolizzante (fig.08
Arteriografa.
L'arteriografia rimane l'esame morfologico di scelta sia per le piccole lesioni
embolizzanti (fig.09
Nel
secondo si devono evidenziare oltre le caratteristiche della lesione sintomatica
(localizzazione e morfologia della lesione), lo stato delle arterie prossimali e
distali, il circolo collaterale e le eventuali lesioni associate.
Le
arterie più frequentemente interessate da processi patologici nell'arto
superiore sono l'arteria succlavia nel suo passaggio costoclavicolare e le
arterie digitali.
Mentre
l'arteria succlavia viene generalmente interessata da lesioni compressive ad
opera di strutture muscolotendinee od ossee (ipertrofia muscoli scaleni, coste
cervicali ecc.)
responsabili
di un patologico restringimento dello spazio costoclavicolare (sindrome dello
stretto toracico superiore) e raramente da arteriti, le arteriopatie digitali
riconoscono vari moventi etiologici: funzionali (ipertono simpatico con fenomeno
di Raynaud), disreattivi (lupus, sclerodermia), infiammatori (arteriti),
traumatici (microtraumatismi da lavoro) e microembolici (frammentazione di
materiale da lesioni dell'arteria succlavia).
Una
compressione dell'arteria succlavia, nelle fasi iniziali, si evidenzia
generalmente con la comparsa di una ipostenia intermittente dell'arto superiore
per determinate posizioni posturali (iperabduzione dell'arto, rotazione del
collo ecc.). Tale sintomatologia può accompagnarsi, per una concomitante
compressione del plesso cervico-brachiale a dolori diffusi in sede cervicale,
scapolare e ascellare e/o a fenomeni vaso-motori periferici (fenomeno di Raynaud);
se è presente un interessamento della vena succlavia può aversi un edema
dell'arto.
In
rapporto a tali posizioni, possono inoltre scomparire i polsi periferici e
rendersi evidenti dei soffi sovraclaveari. Nel caso di coste cervicali
accessorie è possibile a volte riscontrare palpatoriamente la loro presenza in
sede sovraclaveare.
Nel
tempo, il reiterato traumatismo parietale può determinare lesioni organiche
permanenti nell'arteria succlavia con processi trombotici locali e/o fenomeni
embolici periferici (arterie digitali, arcate palmari) tali da determinare,
oltre all'assenza dei polsi arteriosi, la comparsa di una ischemia importante
con ipotermia, dolore continuo dell'arto e lesioni trofiche digitali.
A
volte, nelle compressioni costo-clavicolari e più in particolare nelle coste
cervicali, si possono sviluppare aneurismi post-stenotici dell'arteria
succlavia. Tali lesioni, che in genere decorrono asintomatiche, possono
complicarsi per lo sviluppo di una trombosi acuta, determinando una grave
ischemia acuta dell'arto superiore. Tale evenienza infatti non può essere
sufficientemente compensata dal circolo collaterale, in questa sede
particolarmente rigoglioso, a causa di un impoverimento del circolo arterioso
periferico per precedenti e reiterati fenomeni micro-embolici. Clinicamente sono
apprezzabili gli elementi dell'ischemia acuta con dolore, ipotermia, impotenza
funzionale e rigidità muscolare dell'arto superiore.
Tale
studio viene riservato alla fase iniziale della compressione per una valutazione
diagnostica della causa compressiva.
Oscillografia
dinamica. In questi casi il normale esame oscillografico, effettuato mediante il
posizionamento di manicotti pneumatici agli arti superiori per il rilevamento
dell'onda sfigmica, viene corredato di alcuni test posturali:
1)
test di Wright (abduzione a 90° e 180° arto superiore).
2)
test di Adson (rotazione del capo ed inspirazione).
3)
test di Mc Gowan (retropulsione ed abbassamento del cingolo scapolo-omerale).
La
positività di questi test (riduzione o scomparsa dell'onda pressoria) permette
di sospettare una alterazione dello stretto toracico superiore.
Il
sospetto clinico di una compressione dell'arteria succlavia può essere
ulteriormente confermato da una indagine morfologica diretta alle strutture
articolari del cingolo scapolo-omerale (Rx rachide cervicale) e all'arteria nel
suo passaggio costoclavicolare.
Rx
rachide cervicale. Questa
indagine permette di evidenziare con le normali proiezioni radiologiche per lo
studio di questo distretto (antero-posteriore, latero-laterale e 2 oblique),
eventualmente corredate con una inclinazione in senso caudo-craniale del tubo
radiogeno, la presenza di coste cervicali o megaapofisi trasverse a struttura
ossea o mista (ossea-cartilaginea). Limite di questa tecnica è l'incompleta
visualizzazione degli abbozzi cartilaginei o dei legamenti fibrosi che spesso
sappiamo determinanti nello sviluppo di tale sintomatologia.
Angiografia.
L'esame angiografico, nella fase funzionale della malattia dovrà essere
eseguito in modo dinamico (di base ed in iperabduzione) (fig.11
Il
fenomeno di Raynaud appare costituito da alterazioni episodiche del colorito
cutaneo (pallore marmoreo) degli arti o di alcune dita, a cui segue o è
associata una ipervascolarizzazione nelle aree cutanee limitrofe (rossore) per
minime variazioni termiche ed umorali (fig.13
Pletismografia
digitale. Il grado della perfusione tissutale può essere determinato in
rapporto alle variazioni d'intensità che presenta un raggio luminoso mentre
attraversa un territorio vascolarizzato (fotopletismografia), oppure mediante le
variazioni volumetriche di un territorio in rapporto al flusso ematico
istantaneo (pletismografia strain-gauge). Entrambe le metodiche collegate ad un
sistema scrivente permettono quindi di ottenere una onda dicrota come
espressione del flusso ematico istantaneo nel segmento considerato. Nella
valutazione delle arteriopatie associate ad un fenomeno di Raynaud è utile
associare a queste tecniche una stimolazione cutanea ipo- ed ipertermica,
oltreché farmacologica (vasodilatatori) per differenziare le patologie
funzionali da quelle organiche. Nel primo caso si osservano alterazioni
nell'onda solamente dopo stimolazione termica cutanea, mentre negli altri le
alterazioni saranno già evidenti nei tracciati di base.
Misurazione
transcutanea di ossigeno ed anidride carbonica (TcPO2 e TcPCO2). La TcPO2 e
TcPCO2 viene eseguita mediante l'applicazione di un unico sensore
sull'estremità in esame, fornendo i valori di ossigeno e di anidride carbonica
in maniera incruenta. Tale tecnica, utilizzata per lo studio del microcircolo,
trova applicazione clinica nella valutazione di arteriopatie sia organiche che
funzionali, in quanto possono essere associati alla misurazione di base anche
test reattivi (iperemia reattiva post-ischemica ecc.).
Laser-Doppler.
Recentemente è stata introdotta l'utilizzazione della luce laser per lo studio
del microcircolo cutaneo. Questa tecnica ci fornisce dati sull'entità del
flusso e distanza di 1 mm di una sonda, utilizzata per l'emissione della luce
laser e del segnale doppler. Anche in questo caso, data l'estrema variabilità
dei valori di base, non è possibile standardizzare dei parametri patologici, e
pertanto la diagnostica deve affidarsi soprattutto a prove funzionali ed a
rilevamenti multipli comparativi.
Angiografia.
Lo studio angiografico oltre ad evidenziare le lesioni periferiche deve
opportunamente differenziare le lesioni funzionali da quelle organiche
attraverso la somministrazione loco-regionale di sostanze vasoattive. Infatti,
un cosiddetto "buio angiografico" nelle forme funzionali può essere
completamente risolto, permettendo la visualizzazione di tutto il circolo della
mano, dopo la somministrazione di papaverina; mentre tale farmaco non induce
modificazioni nelle lesioni organiche (fig.15
Varie
patologie possono interessare le arterie degli arti inferiori con una diversa
localizzazione e morfologia.
Il
distretto femorale viene generalmente coinvolto dal processo aterosclerotico,
così come il segmento popliteo, che tuttavia può essere anche interessato da
altre patologie (diabete, medionecrosi cistica, arteriti, intrappolamenti
muscolotendinei); al contrario i vasi più periferici (tibiali, arcata plantare
ecc.) sono preferenzialmente colpiti dal diabete e dalle arteriti.
Le
lesioni che si rinvengono a questi livelli sono generalmente steno-ostruttive,
anche se a livello popliteo non è infrequente osservare la presenza di veri
aneurismi arteriosi (aterosclerotici o displastici).
Queste
lesioni nella loro evoluzione stenosante inducono generalmente una alterazione
funzionale dell'apparato muscoloscheletrico degli arti inferiori, caratterizzato
dalla comparsa patognomonica di una claudicazione intermittente al polpaccio o
alla caviglia.
Il
grado di tale alterazione sarà in rapporto alla sede della lesione (femorale,
poplitea), al tipo di lesione (stenosi, ostruzione) ed alla validità del
circolo collaterale; elementi responsabili anche della presenza dei polsi
arteriosi periferici e del trofismo muscolo-cutaneo. Il perdurare e l'aggravarsi
delle alterazioni emodinamiche può determinare successivamente la comparsa di
ipotermia oggettiva e soggettiva degli arti inferiori, di alterazioni trofiche
della cute e degli annessi e nei casi più gravi lo sviluppo di una gangrena.
Ancora
oggi la classificazione clinica più utilizzata appare quella proposta da
Fontaine con una suddivisione della malattia in 4 stadi, tra loro sfumati:
I
stadio: claudicazione sotto sforzo;
II
stadio: claudicazione intermittente;
III
stadio: claudicazione serrata, dolori a riposo, lesioni trofiche;
IV
stadio: gangrena.
La
sede delle lesioni appare facilmente rilevabile con una valutazione della
pulsatilità arteriosa in sede femorale, poplitea e tibiale.
Il
quadro clinico può essere ulteriormente compromesso per la concomitanza non
infrequente di lesioni aorto-iliache steno-ostruttive.
Un
aneurisma popliteo al contrario generalmente decorre asintomatico, ma molto
spesso può andare incontro a complicazioni quali trombosi od embolizzazione
periferica, oppure produrre un edema continuo della gamba e del piede per
compressione della vena poplitea. Obiettivamente può essere rilevato per una
abnorme pulsatilità in sede poplitea oppure per la mancanza dei polsi poplitei
e tibiali dopo la sua ostruzione cronica od embolizzazione.
La
comparsa di una ischemia acuta agli arti inferiori può dipendere da un fenomeno
embolico, trombotico o traumatico arterioso. A parte quest'ultimo caso, dove
l'anamnesi permette la risoluzione diagnostica, a volte possono sorgere problemi
di diagnosi differenziale tra una embolia arteriosa ed una trombosi acuta.
Essendo fortemente diminuita la quota di embolie arteriose in individui giovani
in rapporto al calo delle cardiopatie congenite, questa evenienza tende a
verificarsi oggi soprattutto in individui anziani, portatori di miocardiopatie
ischemiche ed alterazioni del ritmo cardiaco, ed a volte anche di arteriopatie
ostruttive croniche periferiche.
Nel
caso di embolia arteriosa pura, il riscontro anamnestico od obiettivo di una
causa emboligena (cardiopatie, mixoma atriale, ateromi od aneurismi aorto-iliaci),
il particolare esordio clinico (paziente in pieno benessere fisico) con dolore
improvviso e localizzato ad un arto, l'aspetto marmoreo della cute ipotermica,
la rapida insorgenza di una impotenza funzionale (espressione del concomitante
spasmo vascolare), oltre all'assenza dei polsi arteriosi sono sufficienti a
porre una diagnosi eziologica e di sede della lesione.
Al
contrario, l'assenza di foci emboligeni, la presenza di una claudicazione degli
arti inferiori, preesistente al fenomeno acuto, ed un quadro ischemico
importante ma non così grave come nei fenomeni embolici, autorizzano il
sospetto di trombosi arteriosa acuta.
Evenienza
che viene generalmente determinata dall'occlusione acuta di un vaso arterioso
per emorragie che si sviluppano e si espandono nel contesto delle placche
aterosclerotiche, fenomeni per trombotici su ulcerazioni od irregolarità
parietali o per una trombosi endosacculare negli aneurismi femoro-poplitei.
Tuttavia,
oggi sempre più spesso (a causa di concomitanti patologie: embolie arteriose
periferiche in pazienti già arteriopatici), si può assistere ad una
sovrapposizione dei due quadri clinici, che ne rende più difficile la diagnosi
clinica; sono questi i casi, anche nel sospetto d'embolia, dove appare indicata
una prosecuzione diagnostica strumentale, specie angiografica, per una più
corretta interpretazione etiopatogenetica e quindi terapeutica.
Test
delle pressioni segmentarie. Questo test (precedentemente descritto nella
sindrome di Lériche) evidenzia un IW >= 1 dopo compressione dei manicotti al
terzo superiore della coscia, mentre risulta < 1 dopo compressione di quelli
distali alle lesioni. La concomitanza di una patologia ostruttiva aorto-iliaca
sarà evidenziata dalla completa inversione in tutti i distretti. Anche in
questi casi modicamente sintomatici l'esame può essere corredato da un test da
sforzo (Treadmill test).
Ecografia.
Questa indagine, nel circolo periferico, viene generalmente riservata al bivio
femorale per le lesioni stenotiche od ostruttive, trova una valida collocazione
nel segmento popliteo, soprattutto per lo studio della malattia aneurismatica.
Angiografia.
Lo studio angiografico periferico generalmente viene riservato a quei pazienti
nei quali la gravità del quadro clinico induce ad ipotizzare un trattamento
chirurgico.
Per
tale motivo, a questo livello, l'indagine diagnostica deve produrre la massima
definizione delle lesioni (fig.16
Avremo
infatti una classica localizzazione steno-ostruttiva femoro-poplitea per le
lesioni aterosclerotiche, popliteotibiale per quelle diabetiche ed ancora più
periferica per quelle arteritiche, associata ai caratteristici quadri
angiografici con circoli collaterali "a viticcio". Le sindromi da
intrappolamento popliteo, al contrario, presentano una dislocazione
dell'arteria, così come gli aneurismi che saranno diagnosticati o da una
immagine di dilatazione o da una trombosi dell'arteria poplitea, con una arteria
femorale superficiale particolarmente megalica.
Nella
patologia acuta l'indagine angiografica permette di differenziare, nei casi
dubbi, una lesione embolica da una trombotica per il classico aspetto a menisco
dell'embolo e per l'assenza del circolo collaterale; inoltre nella trombosi
acuta è possibile, attraverso il catetere angiografico, oltre alla risoluzione
della diagnosi, anche un primo trattamento terapeutico loco-regionale con
l'infusione di sostanze fibrinolitiche.
Controverso
è l'impiego dell'angiografia nei traumi vascolari dove molto si discute
sull'utilità di abbreviare i tempi dell'ischemia con un intervento precoce di
rivascolarizzazione, e appaia indiscutibile l'utilità di tale metodica
nell'evidenziazione della lesione arteriosa, delle lesioni venose associate e di
quelle lesioni arteriose più distali al focolaio traumatico, molto spesso
presenti e misconosciute.
Quasi
tutte le lesioni carotidee sono di origine aterosclerotica, tranne rari casi di
lesioni displastiche.
Mentre
queste ultime possono localizzarsi a vario livello, le lesioni aterosclerotiche,
per la particolare conformazione della biforcazione carotidea tendono a formarsi
preferenzialmente nella porzione più distale della carotide comune (bulbo
carotideo) e nel primo tratto della carotide interna.
A
volte queste lesioni nella loro progressiva evoluzione stenosante possono
occludere completamente il lume carotideo senza provocare alcuna sintomatologia.
Nella maggior parte dei casi, tuttavia, le lesioni aterosclerotiche presentano
nel loro sviluppo alcune complicazioni: ulcerazioni endoteliali, emorragie
intraparietali responsabili di una insufficienza cerebro-vascolare,
rispettivamente con un meccanismo embolico (atero-trombo embolie) od emodinamico
(ostruzione acuta).
L'insufficienza
cerebro-vascolare di origine carotidea generalmente si sviluppa a
"focolaio", producendo sintomi emisferici con alterazioni sensitive e
motorie degli arti (mono-emiparesi, emiplegie), della parola (disartria,
afasia), della vista (emianopsie, amaurosi monolaterali), controlaterali alle
lesioni e sintomi aspecifici della coscienza (perdita della memoria, confusione,
sincope).
Le
alterazioni neurologiche possono essere transitorie (da pochi minuti a qualche
ora) o permanenti; presentarsi con un unico episodio oppure con una progressione
della sintomatologia.
Varie
classificazioni sono state proposte per l'inquadramento clinico di questi
pazienti, ma attualmente quella indicata con il nome di "classificazione di
Marsiglia" appare la più completa, considerando contemporaneamente la
sintomatologia, la sua durata nel tempo e la sua evoluzione (fig.18
-
asintomatici: stadio 0;
-
accessi ischemici transitori (recupero totale delle funzioni neurologiche):
brevi
(entro 24 h): stadio 1A,
prolungati
(entro 3 settimane): stadio 1B;
-
ictus in evoluzione con parziale recupero: stadio 2;
-
ictus stabilizzato:
con
modesti deficit: stadio 3A,
con
gravi deficit: stadio 3B.
L'esame
obiettivo di questi pazienti può evidenziare, oltre ai disturbi neurologici, un
soffio in sede latero-cervicale, che va opportunamente differenziato da quelli
di origine cardiaca (udibili anche in sede precordiale) e che in genere dipende
da una stenosi carotidea compresa tra il 50 e il 90% del lume arterioso.
Lo
studio funzionale del distretto carotideo permette di valutare sia le lesioni
stenosanti degli assi arteriosi (fonocardiografia, oculopletismografia,
ophthalmic doppler test, analisi spettrale) sia le alterazioni del parenchima
cerebrale (TAC, SPECT).
Fonoangiografia
carotidea. La fonoangiografia è un metodo che permette di registrare soffi
carotidei prodotti da stenosi > 40%, attraverso uno speciale microfono posto
sopra la carotide al collo, e differenziare rumori provenienti dall'arco o dal
cuore al di sopra della clavicola. Una suddivisione delle caratteristiche dei
soffi (3 tipi) permette quindi di ricavare l'entità della stenosi carotidea:
40-60%, 60-70%, > 70%.
Oculopletismografia
(OPG). Questa metodica misura le alterazioni emodinamiche carotidee
indirettamente mediante l'applicazione di cuffie corneali, che, previa anestesia
locale, registrano le cicliche pulsazioni oculari attraverso un trasduttore di
pressione.
Stenosi
nelle arterie prossimali riducono il flusso sanguigno nell'occhio e modificano
la fase ascendente della pulsazione oculare. La registrazione bilaterale
contemporanea evidenzia, nel caso di stenosi significative, un
"differenziale", dato da un disuguale riempimento volumetrico tra i
due occhi. Anche in questo caso il grado della stenosi sarà rapportato ai
diversi valori del "differenziale".
Ophthalmic
Doppler Test (ODT). La
particolare disposizione anatomica dell'arteria oftalmica, ramo di comunicazione
tra carotide esterna ed interna, permette attraverso un rilevamento doppler
della velocità e della direzione del flusso ematico in questa arteria,
nell'angolo superomediale dell'occhio, una valutazione indiretta del circolo
carotideo.
Un
flusso normale nella carotide interna viene generalmente rivelato da un flusso
diretto nell'arteria oftalmica, comparativamente uguale al segnale oftalmico
controlaterale; stenosi emodinamicamente significative > 40% producono una
diminuzione velocimetrica monolaterale nel rilevamento doppler comparativo,
mentre stenosi > 90% ed ostruzioni della carotide interna vengono evidenziate
da una inversione del flusso nell'arteria oftalmica. L'assenza del segnale
doppler può essere imputabile ad ostruzione della carotide comune o
dell'arteria oftalmica.
Doppler
C.W. La diretta valutazione doppler delle arterie carotidee sfrutta le
modificazioni istantanee dell'onda velocimetrica caratteristiche per la carotide
comune, esterna ed interna.
La
particolare dipendenza dall'operatore, la scarsa affidabilità e ripetibilità
della metodica fanno oggi preferire a questa tecnica il rilevamento doppler
guidato dalla immagine ecografica (duplex scanner).
Analisi
spettrale. Questa tecnica permette, mediante una rielaborazione del segnale
doppler con un analizzatore spettrale, la ricostruzione in tempo-reale delle
frequenze del flusso ematico. Le frequenze vengono visualizzate sfruttando le
modificazioni di intensità indotte in una scala di 16 gradi del grigio (fig.19
Rispetto
alle indagini indirette precedenti, l'analisi spettrale permette
l'identificazione delle stenosi anche non-emodinamicamente rilevanti, con una
sensibilità globale per le lesioni stenosanti dell'86%.
Tomoscintigrafia
cerebrale ad emissione di fotone singolo (SPECT). Metodica basata sulla
utilizzazione di traccianti liposolubili che si fissano nel parenchima cerebrale
in proporzione al flusso ematico distrettuale. Con tale tecnica è possibile,
mediante una indagine semiquantitativa (rapporto tra i due emisferi),
visualizzare aree ipoperfuse del parenchima cerebrale; in particolare quelle
aree attorno ai focolai infartuali cosiddette di penombra ischemica, invisibili
ad una tomografia computerizzata cerebrale (fig.20
Non
sempre un episodio di insufficienza cerebro-vascolare dipende da lesioni
emodinamiche; a volte modeste lesioni parietali possono complicarsi con fenomeni
embolici ed essere completamente misconosciute dai test non invasivi funzionali.
Le tecniche morfologiche che ci permettono la visualizzazione anche di piccole
lesioni carotidee sono l'ecotomografia e l'angiografia, con implicazioni
diagnostiche e terapeutiche diverse ma integrate tra loro; mentre le lesioni
morfologiche cerebrali da esse dipendenti debbono essere valutate mediante una
tomografia computerizzata.
Ecotomografia
carotidea ad alta risoluzione. E' un esame incruento che studia attraverso una
sorgente di ultrasuoni la parete carotidea con scansioni longitudinali e
laterali (fig.21
Trova
nell'attendibilità (specificità: 85%, sensibilità: 99%), nella ripetibilità
e nel basso costo d'esercizio i suoi migliori pregi. Unica limitazione rimane
l'incompleta valutazione dei tronchi sovraortici e del circolo endocranico. A
tutt’oggi è l'esame di scelta nel primo approccio al paziente con sintomi
evocatori di insufficienza cerebro-vascolare, nella valutazione del
poli-arteriopatico e nel follow-up di piccole lesioni.
Angiografia
digitale. L'esame angiografico digitale eseguito per cateterismo sia arterioso
sia venoso, trova a questo livello la sua migliore espressione morfologica (fig.23
Non
vi è dubbio comunque che l'indagine condotta per via arteriosa fornisce la
migliore definizione.
L'indagine
angiografia, oltre a fornire una chiara immagine della lesione carotidea, è la
sola metodica che permette attualmente una valutazione di tutto il circolo
arterioso extra- ed intra-cranico (fig.24
Tomografia
computerizzata (TC) cerebrale. Questo esame eseguito con somministrazione di
mezzo di contrasto permette di escludere ogni altra patologia organica
dell'encefalo (micro-infarti lacunari, emorragie cerebrali, neoformazioni
espansive) che possa sostenere una sintomatologia analoga.
Permette
inoltre di documentare, a volte anche nei pazienti asintomatici con soffi
carotidei, la presenza di esiti infartuali in zone encefaliche mute e, nei
pazienti con esiti permanenti, la sede e l'estensione dell'area encefalica
danneggiata (fig.25x).
Infine,
anche nei pazienti con accessi ischemici transitori, può evidenziare la
presenza di zone infartuali cerebrali, ancora in via di risoluzione.
Le
renali sono le arterie più frequentemente colpite dal processo displastico,
anche se il rapporto tra tali lesioni e quelle aterosclerotiche rimane sempre a
favore di queste ultime.
Le
lesioni aterosclerotiche colpiscono in genere l'ostio delle arterie renali,
fondamentalmente per una propagazione dell'ateroma aortico, mentre al contrario
le lesioni displastiche interessano vari segmenti dell'arteria renale in
rapporto al tipo di displasia.
L'iperplasia
intimale coinvolge preferenzialmente il III prossimale dell'arteria renale. La
displasia della media, cioè l'iperplasia fibromuscolare vera, la fibrodisplasia
mediale e la fibrodisplasia sottoavventiziale interessano i due terzi distali,
mentre la displasia avventiziale può coinvolgere tutta l'arteria renale e i
suoi rami di divisione.
Mentre
le lesioni aterosclerotiche si rilevano soprattutto negli adulti di sesso
maschile (65%), le lesioni displastiche possono ritrovarsi nei bambini o nei
giovani adulti, specie di sesso femminile (80%), in rapporto al tipo di
alterazione displastica (tab.03
Sia
l'aterosclerosi sia la displasia producono generalmente lesioni stenosanti
dell'arteria renale, tuttavia non è infrequente la comparsa di complicazioni,
specie nelle lesioni displastiche come dissecazioni, ostruzioni acute da
emorragia intra-intimale o intramediale, aneurismi sacciformi o fistole
artero-venose.
In
alcuni rari casi le arterie renali possono essere coinvolte da processi
arteritici focali oppure nell'ambito di patologie infiammatorie aortiche più
complesse (malattia di Takayasu).
Quando
una lesione dell'arteria renale riesce a produrre una ischemia del rene si
determinano effetti sia sistemici (ipertensione reno-vascolare: I.R.V.) sia
locali sul parenchima renale ipoperfuso (malattia ischemica renale).
Queste
lesioni vengono sospettate, spesso in giovani pazienti, per un brusco esordio
dell'ipertensione con valori sistodiastolici elevati sin dall'inizio, che non
recedono ad una terapia antipertensiva, tranne che agli inibitori del sistema di
conversione dell'angiotensina (ACE-inibitori), oppure per un progressivo e
rapido decadimento della funzionalità renale in pazienti nei quali sono assenti
gli elementi clinici ed ematochimici del danno parenchimale.
Raramente
può essere presente un soffio paraombelicale o lombare, che tuttavia non è
specifico di una stenosi dell'arteria renale potendo essere ritrovato in altre
patologie steno-ostruttive dell'aorta addominale e di altri vasi viscerali.
Una
lesione dell'arteria renale emodinamicamente significativa produce una
alterazione della perfusione renale e della sua funzione, valutabile con varie
metodiche cruente ed incruente.
Dati
di laboratorio. Un'alterazione dei comuni valori ematochimici, riferibili alla
funzionalità dell'emuntorio renale (iperazotemia, iper-creatininemia,
ipo-kaliemia) può verificarsi solamente per una concomitante patologia
steno-ostruttiva delle due arterie renali, nel caso di lesione stenosante in
monorene, oppure con rene controlaterale compromesso da altre patologie. In
condizioni fisiologiche si assiste infatti ad una ipertrofia compensatoria del
rene controlaterale, idonea al normale mantenimento della funzionalità renale
globale.
Al
contrario, una elevata attività plasmatica della renina periferica, sempre che
l'esame sia eseguito correttamente, può essere un dato indicativo di I.R.V.
Urografia
perfusionale potenziata. Questa metodica, scarsamente invasiva e già utilizzata
nella diagnosi di altre patologie renali, permette una valutazione della
perfusione parenchimale renale in senso assoluto, e soprattutto comparativo tra
i due reni.
Un'asimmetria
volumetrica tra i due reni >2 cm, un ritardo di perfusione del mezzo di
contrasto in un rene rispetto al controlaterale ed in particolare la persistenza
dello stesso dopo diuresi forzata (tecnica di wash-out) sono elementi
caratteristicamente suggestivi di lesione stenoostruttiva dell'arteria renale.
Molto
utile nella diagnosi differenziale con altre patologie di interesse nefrologico,
appare oggi soppiantata nello studio specifico della malattia reno-vascolare
dalla scintifigrafia renale computerizzata.
Scintigrafia
renale computerizzata (S.R.C.). Questa tecnica, eseguita prevalentemente con
radio-composti a rapida escrezione è stata da molti anni utilizzata nello
studio dell'I.R.V.
La
S.R.C. è una metodica semplice, non invasiva, poco costosa e facilmente
ripetibile, in grado di fornire informazioni attendibili e sufficientemente
precise sulla perfusione e funzionalità parenchimale renale, soprattutto quando
la patologia è monolaterale. Nella diagnosi di I.R.V. i valori di sensibilità
e di specificità di questa metodica oscillano tra 85-90%.
Gli
svantaggi sono dovuti alla presenza di falsi positivi, rappresentati
fondamentalmente da nefropatie monolaterali non vascolari.
L'esecuzione
di tale metodica di base (fig.26a
Appare
pertanto indicata nello screening di casi di I.R.V. e nella predittività dei
benefici della rivascolarizzazione chirurgica o con dilatazione transluminale
(PTA).
Cateterismo
selettivo delle vene renali. Tale tecnica che si prefigge il dosaggio
dell'attività plasmatica della renina direttamente nelle vene renali ha come
presupposto il ruolo fondamentale del sistema renina-angiotensina nella
patogenesi dell'I.R.V.
Il
concetto alla base dell'interpretazione dei risultati è che nell'I.R.V. da
stenosi renale unilaterale, la secrezione della renina nel rene sano deve essere
soppressa e che la produzione totale avviene da parte del rene ischemico. Tale
metodica presenta il più elevato valore predittivo dell'I.R.V. se correttamente
eseguita. Le importanti difficoltà tecniche, che non la rendono facilmente
standardizzabile come test di screening, ed il notevole disagio che l'esame
comporta nel paziente fanno preferire oggi altre metodiche meno invasive.
Lo
studio angiografico, oltre a confermare ed a localizzare le lesioni delle
arterie renali (fig.27a
Le
lesioni stenosanti aterosclerotiche sono generalmente localizzate all'ostio
dell'arteria renale in rapporto ad una propagazione dell'ateroma aortico e sono
quindi facilmente identificabili per la presenza di concomitanti ateromasie
parietali o lesioni aorto-iliache; diversamente le ostruzioni da lesioni
aterosclerotiche possono venire evidenziate da una riabitazione del moncone
distale dell'arteria renale ad opera dei circoli collaterali perirenali,
periilari e periureterali.
Stenosi
serrate e focali della prima porzione (1 cm) dell'arteria renale (specie nei
bambini) sono generalmente correlabili ad una fibrodisplasia intimale, mentre
analoghe lesioni (nei giovani adulti) localizzate nei due terzi distali sono
più facilmente imputabili ad una iperplasia fibro-muscolare vera; entrambe
queste varietà displastiche possono presentarsi come ostruzioni o dissecazioni
delle arterie renali.
Stenosi
serrate in giovani donne, generalmente più estese delle due forme precedenti,
con ectasia post-stenotica sono più facilmente riconducibili ad una
fibrodisplasia sottoavventiziale ed in alcuni casi simulano angiograficamente
delle ipoplasie dell'arteria renale.
L'elemento
più caratteristico della displasia rimane tuttavia l'aspetto angiografico
"a collana di perle" (fig.28
Questa
tecnica, molto conosciuta ed utilizzata nella diagnostica delle nefropatie
glomerulari, viene riservata nella malattia reno-vascolare a quei quadri
funzionali di importante danno ischemico parenchimale, particolarmente indicato
dalla riduzione dei diametri renali (rene grinzo). In questi casi (stenosi
serrate, ostruzioni) permette di evidenziare il grado delle alterazioni
morfologiche glomerulari in rapporto alle alterazioni perfusionali e quindi ha
un valore prognostico predittivo della rivascolarizzazione renale chirurgica.
La
particolare invasività della metodica ne esclude un impiego allargato,
riservandola a casi particolarmente selezionati.
Le
lesioni che colpiscono più frequentemente le arterie intestinali sono di
origine aterosclerotica, in genere per una propagazione della lesione aortica. A
volte il tripode celiaco può essere interessato da un processo displastico,
generalmente secondario ad una compressione estrinseca della sua parete ad opera
delle fibre arciformi del diaframma e/o dei plessi gangliari. Nei rari casi di
aorto-arterite (Takayasu) le arterie intestinali possono essere variamente
coinvolte dai processi stenoostruttivi.
La
maggior parte delle lesioni stenoostruttive delle arterie intestinali passa
misconosciuta ad una indagine clinica per la loro completa asintomaticità,
rimanendo un reperto autoptico occasionale od un reperto accessorio nel corso di
un esame angiografico per altre patologie aorto-iliache.
La
notevole quota di lesioni asintomatiche deriva dalla presenza di importanti
circoli collaterali preformati tra le arterie intestinali:
-
circolo pancreatico-duodenale, tra tripode celiaco ed arteria mesenterica
superiore (A.M.S.);
-
circolo del Riolano, tra A.M.S. ed arteria mesenterica inferiore (A.M.I.);
-
circolo emorroidale, tra A.M.I. ed arterie ipogastriche.
Tali
circoli collaterali permettono un valido e sufficiente compenso emodinamico
qualora le lesioni si accrescano lentamente. Si ritiene che per lo sviluppo di
una sintomatologia da insufficienza celiaco-mesenterica (I.C.M.) cronica sia
necessaria l'occlusione di almeno due vasi intestinali.
I
rari casi sintomatici per I.C.M. cronica presentano forti dolori addominali
crampiformi, in relazione all'assunzione degli alimenti con una obiettività
addominale (negativa) contrastante con la sintomatologica riferita; perdita di
peso importante, legata più all'astensione volontaria dell'alimentazione per la
paura del dolore che ad una sindrome organica da malassorbimento, peraltro
concomitante. In alcuni casi si apprezzano soffi vascolari addominali in sede
mesogastrica o periombelicale.
Diverso
è il caso dell'I.C.M. acuta (sia di origine embolica, trombotica o compressiva)
caratterizzata dai segni e sintomi clinici dell'infarto intestinale: dolore
addominale intenso e continuo, shock e diarrea nelle prime 6 ore, che si
attenuano nelle ore successive con scomparsa della peristalsi addominale.
Lo
studio funzionale viene generalmente riservato a quelle lesioni che determinano
un quadro di I.C.M. cronica e consiste fondamentalmente nei test di assorbimento
intestinale con D-xilosio e con vitamina B12.
Questi
test tuttavia raramente riescono ad evidenziare quadri di malassorbimento
intestinale.
Eco-doppler.
Una indagine ecotomografica può essere condotta con un certo grado di
attendibilità solo sull'arteria mesenterica superiore, ed eventualmente può
essere corredata con una indagine flussimetrica (doppler) che permette di
valutare l'importanza emodinamica delle lesioni.
Angiografia.
La particolare disposizione delle arterie intestinali richiede l'uso di varie
proiezioni angiografiche. Infatti la sola proiezione antero-posteriore non
permette per la sovrapposizione dell'immagine aortica la valutazione di
eventuali lesioni ostiali. Appare pertanto indispensabile anche una proiezione
obliqua (fig.29
L'evidenza
angiografica dei vari circoli collaterali intestinali e la direzione nel loro
lume del mezzo di contrasto nei radiogrammi seriati, permette indirettamente di
sospettare la presenza di lesioni nelle arterie intestinali.
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M. D’Addato
Professore
Ordinario
di Chirurgia
Vascolare
Università di
Bologna
M. Gessaroli
Ricercatore
Cattedra di
Chirurgia Vascolare
Università di Bologna
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