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ARGOMENTI DI MEDICINA CLINICA
vedi anche I FARMACI DELL'EMERGENZA
Ultimo aggiornamento: 23.02.2009
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Come
è noto, la frequenza e la gravità della forma morbosa hanno attirato
l'attenzione di studiosi di varie branche della medicina, in campo
microbiologico, immunologico, endocrinologico, biochimico-metabolico ed altri
ancora. Certamente alcuni progressi sono stati acquisiti ma, sia detto subito,
non tali da permettere la disponibilità di presidi terapeutici efficienti.
Gli
aspetti anatomo-clinici permettono di porre una diagnosi corretta della forma
morbosa. L'accertamento della malattia nella fase iniziale offre sensibili
vantaggi ai fini del suo trattamento.
La
causa dell'A.R. è sconosciuta. E' certo peraltro che fattori genetici e fattori
ambientali partecipano alla comparsa di un processo flogistico che assume
aspetti auto-immunitari ed ha preminenti conseguenze distruttive sul complesso
articolare.
Dal
punto di vista clinico l'A.R. configura un complesso di quadri sintomatologici i
cui confini superano quelli della disciplina reumatologica. Grandi apparati
quali quello respiratorio, cardio-vascolare, emopoietico, nonché organi e
sistemi (e.g.: occhio, cute e sistema nervoso) possono essere interessati dalla
malattia. Tutte queste manifestazioni indicate nella trattatistica clinica anche
recente come "manifestazioni extra-articolari" sono, ad un attento
esame, una "parte" della malattia che trova nella sinovite
iperplastica una manifestazione emblematica del processo morboso. Nell'ambito
della malattia reumatoide vanno compresi diversi quadri sintomatologici spesso
caratterizzati dall'impegno di organi e localizzazioni diverse in forme e
modalità che sfuggono ad una caratterizzazione semeiologica omogenea nei
diversi casi ed al limite nello stesso caso.
Questi
ed altri aspetti, mentre stanno ad indicare che l'origine del processo morboso
va ricercata al di là ed al di fuori del complesso articolare, segnalano nella
pluralità degli apparati, organi e sistemi che possono essere interessati la
partecipazione di processi biologici di ordine generale.
Una
prima conferma della esistenza di componenti biologiche di questo tipo può
essere individuata nel rilievo, da tempo segnalato dalla osservazione clinica,
di una maggiore incidenza della malattia nei familiari dei pazienti affetti da
A.R. In tempi recenti, la segnalazione ha trovato conferma nel riscontro in
questi soggetti di una elevata frequenza dell'antigene di istocompatibilità
HLA-DR4 o HLA-DR1. Il rischio di ammalarsi di A.R. è due, tre volte maggiore
nei parenti di primo grado dei soggetti affetti da A.R. rispetto alla restante
popolazione Nei gemelli monozigoti
la concordanza è del 30%, in quelli dizigoti è del 9%. Nella nostra
popolazione i soggetti che sono affetti da A.R. nella percentuale del 70% sono
HLA-DR4 positivi, rispetto al 25% dei normali. La maggior parte dei soggetti
reumatoidi HLA-DR4 negativi sono HLA-DR1 positivi. Il gruppo HLA-DR4 positivo è
formato da cinque sottogruppi, dei quali DRB1*0401, DRB1*0404, e DRB1*0405
conferiscono la suscettibilità alla A.R. Questi alleli e DRB1*01 presentano
sequenze comuni nella terza regione ipervariabile del gene DRB1. Questa regione
della catena beta, localizzata tra i residui aminoacidi 67 e 74, differisce per
una sola modificazione(da angina a lisina nella posizione 71) tra DRB1*0404,
DRB1*0405, e DRB1*01 da una parte e DRB1*0401 dall'altra. Sulla base di questi
dati si è ipotizzato che la terza
regione ipervariabile di questi geni sia almeno in parte responsabile della
suscettibilità alla A.R. Un modello teorico della zona che fissa l'antigene
nelle molecole di classe II indica che gli aminoacidi da 67 a 74 della catena
beta sono localizzati in detta zona. Così, l'espressione di una sequenza comune
associata all'A.R. permetterebbe che un auto-antigene contatti le cellule T
helper dando inizio ad una risposta immune che causa la malattia. La
sostituzione di singoli aminoacidi può alterare la struttura proteica delle
molecole HLA e conseguentemente alterare l'affinità per peptidi antigenici.
La
comparsa di un autogene o di più autogeni potrebbe dipendere da differenti
meccanismi. Secondo una prima eventualità infezioni batteriche o virali,
provocando un danno tissutale, permetterebbero ad antigeni sequestrati di venire
a contatto con cellule del sistema immune. Una seconda modalità chiama in causa
una espressione ectopica di molecole di classe II HLA positive da parte di
cellule normalmente non immuno-competenti permettendo a loro volta l'accesso del
sistema immune ad antigeni normalmente nascosti. Secondo una terza ipotesi
proteine di origine batterica o virale presenterebbero sequenze di aminoacidi
comuni a proteine dell'organismo. In questi casi la somiglianza molecolare fa si
che un determinato antigene comune all'organismo e ad un agente patogeno
comporti un attacco ai tessuti dell'organismo da parte di un processo immune
inizialmente diretto contro l'agente patogeno. Anche altre ipotesi sono state
avanzate: una di queste prevede che la mancanza di tolleranza dipenda dalla
inefficienza del sistema immunitario di eliminare le cellule T e B autoreattive.
Il processo di delezione clonale, che in condizioni normali provoca la citolisi
di queste cellule per un fenomeno di apoptosi sarebbe inibito a causa di un
deficit dei segnali o per un difetto del processo di trasduzione.
Dal
punto di vista anatomo-clinico la prima manifestazione dell'impegno articolare
è rappresentata dalla proliferazione delle cellule della membrana sinoviale che
è sede altresì di vasculite ed infiltrazione mononucleare. Questi processi
comportano la liberazione di citochine, linfochine e monochine, sostanze che
sono all'origine di flogosi e danno tissutale. Inizialmente si ha un aumento
delle molecole di adesione che favoriscono l'aggregazione e la migrazione delle
cellule leucocitarie che provocano proliferazione cellulare e dei vasi
sinoviali. La liberazione di amine vasoattive (istamina serotonina e
bradichinina) determina alterazioni della permeabilità vascolare, quindi si ha
la partecipazione dei prodotti del metabolismo dell'acido arachidonico (prostaglandine
e leucotrieni). Parallelamente l'interleuchina 1 e l'interleuchina 2 stimolano
ed attivano rispettivamente la proliferazione di linfociti T che provocano la
liberazione di proteasi (collagenasi, elastasi, catepsine) neuropeptidi e la
formazione di superossidi con conseguente danno tissutale. Proliferazione
sinoviale e formazione del panno reumatoide determinano danneggiamenti del
tessuto cartilagineo e delle strutture ossee.
Si
tratta di un complesso di processi, umorali e cellulari, variamente intrecciati
che non lasciano fino ad oggi intravedere se e quale sia il loro ruolo d'ordine
critico o non piuttosto epifenomenologico, vale a dire se un determinato evento
sia causa o conseguenza. Va avvertito, comunque, che si tratta di sostanze e
fattori che fanno parte della normale omeostasi delle matrici connettivali la
cui regolazione è certamente alterata in questi casi.
Secondo
una dottrina oggigiorno accettata da molti Autori, il processo
infiammatorio-proliferativo delle strutture connettivali che sottendono la
comparsa delle manifestazioni acute e croniche dell'A.R. sarebbe da porre in
conto a un processo autoimmunitario. La presenza del Fattore Reumatoide, un
auto-anticorpo dal frammento C delle gamma-globulina, e quella di altri
auto-anticorpi in molti soggetti affetti da A.R.: anticorpi antinucleari,
anticollageno II e IX, anticheratina, anticorpi ad antigeni epidermici,
rappresentano altrettanti motivi per comprendere l'A.R. nel gruppo delle
malattie auto-immunitarie. Peraltro, la presenza di fattore reumatoide anche in
altre malattie e la negatività del fattore reumatoide in casi sicuramente
accertati di A.R. pongono in dubbio questa affermazione.
Come
spesso succede in tema di eziopatogenesi di malattie che presentano ancora punti
oscuri, alcuni aspetti più di altri vengono volta a volta sottolineati nel
tentativo di intravedere aspetti connessi alle modalità di comparsa di questa
malattia.
Sul
piano clinico il fattore reumatoide presenta alcune caratteristiche di marker
della malattia. Infatti è noto che il fattore reumatoide è segnalato nella
fase asintomatica della malattia essendo spesso presente nei familiari dei
soggetti affetti da A.R., mentre d'altra parte presenta valori elevati nelle
forme gravi della malattia. Quanto alle modalità di comparsa del fattore
reumatoide, secondo alcuni Autori deriverebbe da un errore dei processi deputati
alla anticorpopoiesi, sì che la malattia rappresenterebbe la conseguenza di una
aggressione autoimmunitaria, secondo altri dalla risposta alla formazione di un
"nuovo" antigene. In questo contesto gli stimoli che accelerano
l'attività della cellula matrice possono comportare una accentuazione del
processo in parola. Quindi le infezioni croniche, indipendentemente dalla loro
natura, agirebbero come altrettanti fattori di evidenziazione della turba
genetica. Fino a quando il deficit genetico non è influenzato da fattori
ambientali, esogeni e/o endogeni, continua la fase asintomatica della malattia
denunciata dalla positività del fattore reumatoide. Nella popolazione adulta la
presenza del fattore reumatoide e sensibilmente elevata e risulta ancora
maggiore nella popolazione anziana, tuttavia una piccola parte dei soggetti a
rischio presenta la fase clinica che nella maggior parte dei casi è l'A.R. ed
in una minore parte la malattia reumatoide. Senza dubbio la positività del
fattore reumatoide ha rappresentato per il passato e rappresenta tuttora un
motivo per porre in primo nella patogenesi dalla A.R. un evento
auto-immunitario.
Oltre
alla genesi anche l'attività patogena del fattore reumatoide è dibattuta.
Secondo alcuni Autori il fattore reumatoide è responsabile di danni tissutali,
secondo altri si tratterebbe di una espressione del processo morboso non
direttamente responsabile di danno, almeno nella maggior parte dei casi. In
altri termini, la presenza del fattore reumatoide sarebbe una spia del processo
di base e solo in alcune forme, principalmente la crioglobulinemia e la porpora
iperglobulinemica, riconoscerebbe un ruolo nella comparsa di manifestazioni
cliniche.
La
diagnosi di A.R. è una diagnosi clinica. L'inizio della malattia molto spesso
è insidioso, in altri casi è acuto con segni di impegno d'ordine generale. In
questa fase è molto importante valutare correttamente alcuni segni
caratteristici della malattia principalmente la rigidità del mattino, l'artrofia
degli interossei, l'osteoporosi a banda iuxta-articolare accompagnati dalla
positività dai segni umorali di flogosi.
Il
giudizio diagnostico non può e non deve essere posto su un unico rilievo, sia
questo di ordine subbiettivo o obbiettivo, ma risulta da un insieme di dati che
diventa probante al riguardo. I rilievi di ordine subbiettivo ed obbiettivo, i
risultati di esami immunologici, metabolici, biochimici e radiologici offrono al
medico varie opportunità di apprezzamento, che devono essere vagliate ai fini
del diagnostico e non soltanto a questo scopo, se è vero come è vero che -
secondo quanto andiamo osservando da anni - è importante ai fini del controllo
effettivo della malattia etichettare aspetti e caratteristiche particolari.
In
mancanza di una esatta definizione della natura dell'A.R. sono stati proposti da
varie parti criteri diagnostici che fanno riferimento a segni e sintomi
caratteristici della malattia. Tra questi quelli più diffusi ed accettati dagli
addetti ai lavori sono stati proposti dall'American Rheumatism Association in
una recente rielaborazione (1985). Per la diagnosi di A.R. devono essere
soddisfatti almeno quattro dei seguenti criteri, e la positività dei primi
quattro criteri deve risultare da almeno sei mesi:
1)
rigidità articolare del mattino di durata almeno di un'ora;
2)
artrite di tre gruppi articolari osservata dal medico. I gruppi interessati sono
le interfalangee prossimali, le metacarpofalangee, i polsi, i gomiti, le
ginocchia, le caviglie e la metatarsofalangee;
3)
artrite delle articolazioni delle mani;
4)
artrite simmetrica: interessamento bilaterale e contemporaneo dei gruppi
articolari riferiti al punto 2;
5)
noduli reumatoidi osservati dal medico;
6)
fattore reumatoide determinato con un metodo che dia risultati positivi in meno
del 5% di soggetti normali;
7)
alterazioni radiologiche: osteoporosi o erosioni a carico delle articolazioni
interessata dal processo morboso.
L'A.R.
è più frequente nella donna che nell'uomo. In corso di gravidanza la malattia
presenta un sensibile miglioramento che viene meno nel puerperio. Sulla base di
dati clinici il movimento e in particolare il relativo trauma rappresenta un
fattore di localizzazione del processo morboso che subisce un sensibile
miglioramento nelle zone immobilizzate come può avvenire per intercorsi danni
neurali.
Nella
maggior parte dei casi la diagnosi di A.R. è basata sulla presenza di sinovite
iperplastica con edema, dolorabilità ed impegno simmetrico. Colpisce i polsi,
le piccole articolazioni delle mani e dei piedi, mentre la colonna vertebrale,
eccettuate le prime cervicali, non è di solito compromessa. Rigidità
mattutina, versamenti articolari, alterazioni di tipo erosivo all'esame
radiografico, presenza del fattore reumatoide nell'80% dei casi sono
manifestazioni caratteristiche.
La
malattia reumatoide è malattia spesso grave perché, anche se raramente, pone
in pericolo la vita del paziente, ne mina la funzione locomotoria in modo spesso
tra i più gravi e ne punteggia il decorso di aggravamenti e sofferenze che
sembrano spesso non aver fine. Ne consegue direttamente che il medico deve
impegnarsi a fondo in una ricerca senza soste per individuare le forme iniziali
che devono essere controllate da presso se si vuole evitare la loro evoluzione
in invalidità.
Il
medico generico cosi come il reumatologo si trovano di fronte ad un lavoro
difficile che tuttavia non deve scoraggiare a portare avanti il compito delicato
di profonda responsabilità nei riguardi dell'ammalato. Solo se si riuscirà a
mantenere un controllo adeguato della situazione si potranno evitare danni gravi
al paziente che invariabilmente in questi casi è poco collaborativo e trova
anche nella incostanza delle cure e nei ripetuti cambiamenti dei curanti motivi
di aggravamento.
L'antico
adagio "primum non nocere" proprio in questi casi trova una sua ragion
d'essere. Si vuole sottolineare in altre parole come forme iniziali male
indirizzate dal punto di vista terapeutico possano aggravarsi in modo
pericoloso. I casi dubbi, ovvero non facilmente controllabili dalla terapia,
dovrebbero essere quindi inviati all'esame di un centro specializzato o di
persona competente al riguardo, al fine cioè di eliminare nella pratica di
tutti i giorni storture, perdite di tempo e veri e propri errori che tutto
sommato l'ammalato e con esso la società dovranno scontare. Da quanto sopra a
sostenere l'opportunità di un trattamento omogeneo di questi pazienti per
lunghi periodi di tempo in reparti a loro riservati il passo è breve e
conterebbe di farlo, come ripetutamente e da più parti è stato sollecitato,
con risparmio di spese di esami di vario genere che, anche se privi di concreto
valore, in molti casi vengono ripetuti più volte.
Si
è detto quindi che il problema diagnostico in assoluto come nel caso pratico
comporta possibilità di errori. Questo stato di cose deriva dalla scarsa
conoscenza sulla natura della malattia e dalle oscurità in campo
fisiopatologico. Si è dell'avviso che sia indispensabile un impegno mirato a
evitare il misconoscimento delle forme reumatoidi iniziali ed ancora di
etichettare "reumatoidi" forme che non sono tali e che da questo
giudizio diagnostico traggono motivo di danno e di non piccole complicanze.
Certo
è che chi conosce a fondo le caratteristiche della malattia reumatoide e, si
aggiunga, chi conosce le caratteristiche delle malattie articolari, dato che i
problemi di diagnosi differenziale non sono pochi né di scarso rilievo, è
nella posizione più adatta per limitare gli errori. Quando sussistono dubbi e
perplessità è dovere del curante assumerne la responsabilità non abbandonando
l'ammalato alle tanto frequenti peregrinazioni dall'internista all'ortopedico,
ancora al generico ecc. Occorre mantenere il controllo della situazione con
mezzi che non siano suscettibili a loro volta di danni. Ma di questo si dirà
precisamente nella parte riguardante la terapia.
Sul
piano pratico si deve segnalare che l'A.R. spesso viene confusa con forme
diverse; a questo riguardo il caso dell'artrite psoriasica è frequente. Anche
se il quadro clinico di queste forme talora sia simile, ma non sovrapponibile,
è molto importante tenere distinte le due forme soprattutto nei confronti della
terapia. Va anche detto che la diagnosi di A.R. talora viene posta con eccessiva
facilità, soltanto sulla base della positività del fattore reumatoide. Bisogna
a questo riguardo ricordare che la positività di detto fattore rappresenta un
marker e non costituisce prova dello stato di malattia. La valutazione dello
stato di malattia è fondamentale ed a questo riguardo non ci mancano i mezzi:
essendo a questo riguardo quasi sempre sufficienti la determinazione dei
reattanti della fase acuta, i valori della sedimetria e del profilo
elettroforetico e principalmente i dati clinico-radiologici.
Se
è opportuno considerare attentamente la diagnostica dei quadri reumatoidi nei
confronti di forme meno impegnative è d'altra parte necessario porre mente alle
forme più gravi soprattutto nei riguardi delle forme con interessamento dei
grandi apparati e sistemi e delle non rare forme paraneoplastiche.
Dopo
questi brevi cenni che hanno posto in rilievo dubbi, carenze e oscurità proprie
del problema reumatoide che è augurabile non siano tali ancora per molto, tanto
e da tante parti è serrato l'attacco che viene portato alla misteriosa
roccaforte della malattia, va sottolineato che la soluzione anche parziale di
alcuni problemi servirebbe a modificare una situazione pesante. In assenza di
concrete notizie sull'agente eziologico, un passo avanti riguarderebbe la
conoscenza del meccanismo che sostiene lo stato di malattia, cioè il meccanismo
che è alla base della condizione di "automantenimento". Infatti, come
diremo fra poco, abbiamo mezzi che, se bene impiegati, impediscono la comparsa
di invalidità della malattia reumatoide, che era quasi la regola cinquant'anni
fa. Abbiamo terapie sospensive, ma non abbiamo ancora il modo di prevenire le
recidive, le ricadute, il susseguirsi di episodi acuti che danno a questa
malattia la certamente non invidiata caratteristica dei processi
automantenentisi. In questa situazione possiamo solo aggiungere che qualsiasi
farmaco nuovamente proposto avrà una ragione di essere soltanto se è in grado
di impedire, mentre è somministrato, la comparsa di recidive.
È noto infatti che la malattia reumatoide è malattia imprevedibile con
fasi di pause spontanee con riacerbazioni improvvise e ciò, per quanto oggi
sappiamo, senza una ragione evidente.
Occorre
in ogni caso valutare compiutamente segni e sintomi e stabilirne concretamente
il significato, dato che tutti gli apparati e sistemi devono essere studiati,
non soltanto quelli di competenza internistica, ma anche quelli di competenza
specialistica - oculistica , ortopedica , dermatologica, neurologica, e altri -
in quanto la malattia può trovare motivo di localizzazioni, le più varie, che
devono essere tempestivamente riconosciute.
Nella
tabella 1, peraltro, sono riferite alcune forme morbose che decorrono con una
componente flogistica articolare dando luogo a quadri che ai fini diagnostici
vanno attentamente considerati.
Negli
anni passati sono stati impiegati spesso i criteri diagnostici stabiliti dalla
Associazione Americana per il Reumatismo (1958) che distinguevano tre tipi della
malattia: A.R. classica, definita, probabile. La loro stretta osservanza
peraltro poteva ritardare un intervento tempestivo, dato che le forme certamente
etichettate erano al tempo stesso quelle già con lesioni gravi. Resta inteso
che i segni importanti ai fini diagnostici sono quelli di sempre: rigidità del
mattino, impegno bilaterale e simmetrico a livello del carpo e delle
articolazioni metacarpofalangee, lesioni radiologicamente accertabili, noduli
reumatoidi, modificazioni del tracciato elettroforetico, positività dei
reattanti della fase acuta e del fattore reumatoide.
Da
un punto di vista pratico, per procedere correttamente nella diagnostica della
A.R., si può consigliare di esaminare distintamente le manifestazioni
articolari e quelle extraarticolari della malattia.
La
comparsa delle manifestazioni articolari avviene nella maggior parte dei casi in
modo lento ed insidioso. Segni di ordine generale, astenia e febbricola, possono
accompagnare l'impegno articolare a carico delle mani che comporta altresì una
sensibile diminuzione della forza muscolare.
La
simmetricità dei segni articolari, la precoce componente sinovitica, la
comparsa di manifestazioni vascolari, sono componenti quasi d'obbligo. Bisogna
aggiungere, comunque, che la malattia ha alcune modalità d'impegno che vanno
sottolineate sia per l'importanza diagnostica sia ancora per una corretta
impostazione terapeutica.
Le
alterazioni reumatoidi della mano sono caratteristiche ed in molti casi assumono
valore patognomonico. L'impegno delle articolazioni interfaringee prossimali,
delle metacarpofalangee e del polso sono quasi sempre presenti all'inizio della
malattia, accompagnate da atrofia degli interossei e limitazione dei movimenti
di flesso-estensione del carpo che vengono limitati e quindi aboliti per un
processo di anchilosi.
La
mano reumatoide è la lesione più grave dell'A.R. I quadri alternativi tipici
sono: al polso la sinovite della regione dorsale con o senza rottura dei tendini
estensori, la sinovite della volare del polso con o senza sindrome del tunnel
carpale, la lussazione della estremità distale dell'ulna, la compromissione
dell'estensore lungo del pollice e la compromissione della articolazione
radio-carpica con limitazione funzionale. Alla mano vanno distinte le
alterazione del pollice, la più comune delle quali è la iperestensione
dell'articolazione interfalangea associata a flessione della metacarpofalangea,
da quelle delle altre dita: deformità a collo di cigno, provocata dalla
flessione delle articolazioni interfalangee prossimali e delle metacarpofalangee
con iperestensione delle articolazioni interfalangee prossimali, a bottoniera a
sua volta provocata dalla iperflessione delle articolazioni interfalangee
prossimali, deviazione ulnare "main en lorgnette".
L'articolazione
della spalla è raramente compromessa in casi di A.R., non così quella de
gomito che spesso esita in anchilosi e/o in una sindrome del nervo ulnare che
complica il quadro già grave della malattia reumatoide.
La
localizzazione all'anca rappresenta una delle non poche evenienze gravi della
malattia anche perché non è frequente che il trattamento sia bene eseguito. In
effetti la terapia steroidea non di rado determina quadri gravi (necrosi della
testa femorale) per cui non sarà mai sufficientemente raccomandata la
scrupolosa sorveglianza e la collaborazione di competenti in questi casi.
L'articolazione del ginocchio è frequentemente interessata dalla sintomatologia
dolorosa, ipotrofia del quadricipite, versamento articolare, spesso accompagnati
da impegno delle borse sierose e cisti di Baker diagnosticabile con precisione
mediante l'ecografia. Il ginocchio è spesso colpito non diversamente dall'anca
ma le possibilità di controllarne il quadro morboso sono numerose. Il piede è
spesso colpito con compromissione del tendine di Achille, la sublussazione della
testa dei metatarsali, le dita a martello e l'alluce valgo. Si tratta di lesioni
che devono essere attentamente diagnosticate e sollecitamente trattate
riconoscendo alla chirurgia tanti buoni risultati in questo campo soprattutto in
anni recenti.
Va
sottolineato in modo particolare l'impegno cervicale, soprattutto la
sublussazione atlanto-epistrofeica che va individuata per tempo, sorvegliata e
corretta opportunamente. Anche se l'evoluzione grave non è certo la regola in
questi casi, è necessario tenere in gran conto questa situazione morbosa anche
per l'evoluzione in qualche caso rapida del danno cervicale.
La
natura dell'A.R. comporta la comparsa di quadri clinici di diversa gravità. Le
possibilità sono praticamente molte e sfuggono ad una precisa elencazione. Al
fine di caratterizzare i singoli casi serve l'uso dei cosiddetti indici di
attività, tra i quali uno dei più usati è l'indice di Ritchie che riporta la
presenza di dolore e dolorabilità delle singole sedi. Molto utile ai fini
pratici è precisare le limitazioni nei confronti delle attività della vita
quotidiana. Per una corretta valutazione delle manifestazioni articolari si può
impiegare con successo il criterio funzionale, come da taluni è stato proposto,
prospettando secondo quattro tipi l'impegno e rispettivamente la gravità del
danno funzionale nel seguente modo: funzione lavorativa integra, funzione
lavorativa limitata, funzione lavorativa impedita, invalidità completa con
necessità di assistenza continua. In ogni caso la gravità dell'impegno ed
altre caratteristiche particolari vanno attentamente appuntate. In pratica può
essere utile formulare un giudizio sulla base della valutazione funzionale delle
attività della vita quotidiana: vestirsi, camminare, lavarsi, scrivere,
telefonare ed altre.
L'insorgenza
di manifestazioni extra-articolari può creare difficoltà nella valutazione
precisa dei quadri reumatoidi. A questo riguardo non sarà mai sufficientemente
raccomandato un attento esame dei grandi apparati e sistemi. Con riferimento
all'ampio dottrinale connesso ai quadri delle connettiviti miste, va
attentamente controllato se esistono segni di sofferenza a carico dei vari
organi ed apparati. Questo modo di procedere è tanto più giustificato quanto
più persistente è lo stato di malattia. Si dà il caso, cioè, che la sindrome
reumatoide, intendendo con tale termine la compromissione del complesso
articolare in ordine all'impegno flogistico-proliferativo della sinoviale, si
accompagni in tempi diversi ad altra che va ricercata a livello delle strutture
cutanee, vascolari, nervose ecc.
A
dire il vero, la gamma delle espressioni cliniche della malattia reumatoide è
vastissima. Esistono casi in cui la malattia resta allo stato di anomalia
biologica documentata dalla positività del fattore reumatoide, clinicamente
silente o con espressioni minori (fenomeno di Raynaud, osteoporosi circoscritte
ecc.).
D'altra
parte la presenza di una, o più di una, localizzazione extra-articolare è di
prognosi riservata essendo spesso espressione della cosiddetta A.R. maligna. Ne
consegue dal punto di vista diagnostico la necessità di una individuazione
precoce e di un trattamento oculato e preciso.
Quadri
di malattia di diverso impegno ed espressività clinica sono, in certo senso, la
regola della forma giovanile dell'A.R. che, come è noto, comprende forme
sistemiche, poliarticolari e monoarticolari. La forma sistemica è
caratterizzata da febbre alta, splenomegalia, rash cutaneo e grave
compromissione dello stato generale, mentre l'impegno articolare non va più in
là di qualche fuggevole reumatalgia. Certamente si tratta in questo caso della
forma più grave e come tale talora a prognosi severa, che tuttavia è ancora
suscettibile di un decorso favorevole con o senza danno articolare.
A
questo punto si vorrebbe correggere un'opinione ritenuta valida da molti
Colleghi - anche in rapporto alla trattatistica classica sull'argomento -
secondo la quale il giudizio prognostico nelle forme di connettivite sistemica
(lupus, sclerodermia ed altre) è di regola molto severo e spesso infausto.
Nella nostra esperienza non sono né pochi, né isolati i casi che avendo
presentato quadri non dubbi della malattia lupica, così come di altre forme del
gruppo, hanno un decorso favorevole mantenuto anche da un attento monitoraggio,
tanto più necessario quando si tenga conto che la positività dei markers
biologici resta in atto. A questo proposito deve essere qui sottolineato che a
tutt'oggi non è dato conoscere quali in realtà siano gli indici alterativi
della omeostasi connettivale responsabili dello stato di malattia, dato che la
positività del fattore reumatoide, dei fattori antinucleari e del pari la
presenza di crioglobuline e/o dei cosiddetti immunocomplessi può essere
osservata in assenza di segni clinici, subbiettivi od obbiettivi, di danno
connettivale.
Tra
le più frequenti manifestazioni extraarticolari sono i noduli reumatoidi. Vanno
attentamente ricercati: se è vero che il loro riscontro è spesso a carico
della regione olecranica possono tuttavia incontrarsi dappertutto si verifichi
un trauma ripetuto. Alcune manifestazioni sono direttamente espressione di
questa evenienza: il dito a scatto, la episclerite, la sindrome da
intrappolamento di tronchi nervosi a vari livelli.
A
carico dell'apparato gastro-enterico va ricordata la xerostomia tipica della
sindrome di Sjogren insieme con la tumefazione parotidea ed in particolare con
la compromissione esofagea di ordine disfagico. Per il resto le turbe
dell'apparato gastroenterico sono più frequentemente di ordine iatrogeno che
patogeno. I disturbi legati alla presenza di gastrite, ulcera e complicanze
emorragiche sono troppo noti per essere qui ricordati. Maggiore importanza ha la
comparsa di una sindrome di malassorbimento spesso non riconosciuta in questi
soggetti e/o la contemporanea presenza di steatorrea che deve essere corretta
precisamente nelle componenti di ordine pancreatico ed altre. Va ricordata,
inoltre, la sintomatologia reumatoide dei quadri di epatomegalia plasmacellulare
delle giovani donne che ha un preciso substrato d'ordine anatomico.
La
coesistenza di epato-splenomegalia, pigmentazione cutanea, ulcere crurali,
neutropenia, trombocitopenia ed adenopatia esita nella sindrome di Felty.
Risulta dall'associazione di una sindrome di ipersplenismo alla malattia
reumatoide che per altro verso, come quasi tutte le forme di sofferenza
extra-articolare, denuncia un alto tenore del fattore reumatoide e talora dei
fattori antinucleari. La forma è rara, più frequente la componente adenopatica
soprattutto nelle forme giovanili e la condizione anemica che peraltro non
assume particolare rilevanza.
La
compromissione polmonare, anche se non frequente, può assumere vari aspetti. A
parte la sindrome di Caplan che realizza una forma reumatoide associata a
pneumoconiosi, oggi quasi del tutto scomparsa, il quadro più rilevante è
rappresentato dalla fibrosi interstiziale cronica e dalla forma nodulare.
Soprattutto la prima delle due deve essere diagnosticata tempestivamente poiché
l'evoluzione può comportare una condizione di insufficienza respiratoria del
tutto analoga alla sindrome di Hamman-Rich. Versamenti pleurici, compromissione
dell'arteria polmonare con esito in un quadro di cuore polmonare cronico sono
altre possibilità osservate nel corso di questa malattia. Tutto quanto abbiamo
detto giustifica la consuetudine ormai seguita da noi, da molti anni, di
eseguire una radiografia del torace in questi ammalati. Questa pratica trova
ragione d'essere ai fini diagnostici delle forme reumatoidi secondarie a
processi tumorali, pleurici e polmonari.
Soprattutto
merita ricordare le alterazioni provocate dalla vasculite reumatoide a livello
dei grandi organi ed apparati. A dire il vero la vasculite è la principale
espressione de processo morboso. Le sue manifestazioni cliniche sono ben note:
la sindrome purpurica, il fenomeno di Raynaud, l'arterite periferica, le turbe
venose, tutta una vasta gamma di sofferenze che possono determinare quadri di
notevole gravità non dissimili dal quadro della panarterite nodosa. Queste
forme si associano ad un alto titolo di fattore reumatoide, al fenomeno della
crioglobulinemia e alla deposizione di amiloide.
Le
alterazioni oculari sono di varia gravità ma tutte devono essere accuratamente
sorvegliate dallo specialista. Episclerite, iridociclite e scleromalacia sono i
quadri di questa localizzazione che devono essere posti sotto controllo. La cura
adeguata e soprattutto tempestivamente messa in atto può mettere al riparo
dalle complicanze gravi che compaiono in rari casi. E' raccomandato un
atteggiamento responsabile e prudente al riguardo.
La
compromissione muscolare fa parte dei segni tipici della malattia. Quando questa
componente diventa rilevante va posta la diagnosi differenziale nei confronti
della dermatomiosite con particolare riguardo alle forme sintomatiche (tumorali)
della sindrome. Va sottolineata altresì, la miopatia cortisonica, la cui genesi
è da riferire alle perdite di potassio frequenti e rilevanti soprattutto quando
si impieghi il triamcinolone. Va segnalato pure l'impegno del tessuto osseo:
osteoporosi, osteopenie, queste ultime più frequenti nel sesso femminile in
età climaterica; l'osteolisi, manifestazione osservabile soprattutto alla mano
dove assume il tipico aspetto della artritis mutilans.
Va
altresì ricordato il quadro della neuropatia reumatoide tra i più gravi della
A.R. La sindrome dolorosa causalgica è gravissima, le sensibilità sono
alterate, il trofismo gravemente modificato accompagna la presenza di lesioni
periferiche di notevole gravità.
Nella
diagnostica della A.R. accanto ai problemi di vario tipo prima trattati acquista
importanza altresì la identificazione dei fattori precipitanti. Nel lungo iter
che ancora in molti casi ci separa dal traguardo della conoscenza della causa
determinante lo stato di malattia si è andato affermando il concetto di
"complesso concausale", volendo intendere con questa locuzione
l'insieme di situazioni di ordine sia esogeno sia endogeno che in qualche modo
concorrono alla estrinsecazione dello stato di malattia.
Forse
poche malattie più della A.R. trovano riscontro in questa acquisizione, se è
vero come è vero che in clinica e
nella pratica professionale quotidiana numerose sono le occasioni nelle quali
fattori concausali si innestano variamente nel determinismo delle manifestazioni
della malattia.
Tra
i fattori precipitanti della A.R. vanno sicuramente annoverati i traumi, sia
fisici sia psichici, le infezioni così come altre malattie che nel lungo corso
della malattia di base possono occorrere. L'esposizione dei fattori precipitanti
in corso di A.R. è chiaramente evocatrice di una situazione biologica
particolare della A.R. secondo la quale la natura ed essenza intima della
malattia verrebbe identificata in una situazione di equilibrio instabile,
dipendente dalla particolare condizione genetica propria di questi pazienti,
equilibrio che si rompe tutte le volte che concause, identificabili in parte nei
fattori precipitanti noti, trovano motivo di inserimento.
Di
facile riscontro e come tale di pronto e corretto apprendimento è l'azione
destabilizzante dei traumi fisici ancorché nella pratica clinica corrente si
abbia ragione di ritenere che l'evento in parola non sempre è sufficientemente
valutato. Al di là ed al di fuori di un aumento in via assoluta della patologia
traumatica proprio dei giorni nostri resta il fatto che il trauma meccanico
rappresenta una delle più frequenti modalità di insorgenza del fenomeno di
Koebner. Caratteristica di una patologia connettivale a estrinsecazione
prevalente a livello cutaneo, ma non esclusiva di questo, il fenomeno,
altrimenti indicato con il termine di "reazione isomorfa", è
emblematico della situazione prima ricordata, osservabile principalmente in
corso di psoriasi, che si articola nella fase preclinica identificabile in un
locus minoris resistentiae ed in quella della vera e propria malattia che viene
rivelata dal meccanismo trigger, a grilletto, dei cosiddetti fattori
precipitanti, nel caso in parola appunto di ordine meccanico.
Una
situazione di notevole impegno molto spesso difficilmente modificabile è quella
ingenerata da traumi psichici. Al limite la stessa diagnosi di A.R. rappresenta
un elemento a valore precipitante, quando il paziente venga a conoscenza delle
descrizioni della malattia e sue sequele trattate in enciclopedie e libri di
cosiddetta promozione culturale, oggi molto in voga ad opera di disinvolti
editori, o nella rubrica medica ospitata in non pochi quotidiani e settimanali.
Se
questa situazione è motivo frequente di osservazione da parte del generalista
come dello specialista, ond'è che un attento controllo appare quanto mai
opportuno, quanto riguarda la corrispondente ragion d'essere e meccanismo
d'azione resta in ombra.
Oltre
ai traumi, dei quali ora è stato detto, fattori precipitanti a notevole impatto
sul corso della A.R. sono le infezioni. Non si può negare l'impatto dei fattori
batterici e/o virali nel determinismo dell'inizio o di esacerbazioni della A.R.
Sul piano pratico è buona norma in occasione di recidive e/o recrudescenze,
porsi il problema e quindi esperire gli opportuni accertamenti nei confronti di
condizioni infettive sempre possibili. Ciò è tanto più vero quando si tenga
conto che in questi casi il quadro clinico è quello della A. R. in fase acuta e
non dell'evento infettivo intercorso.
Nel
lungo e talora lunghissimo corso della A.R. non è raro che altre malattie
facciano la loro comparsa: una condizione alterativa che va tenuta presente ed
esattamente valutata soprattutto in vista del profilo clinico fuorviante che è
stato ricordato al riguardo delle malattie infettive.
La
gotta è una condizione certamente peggiorativa ed in proposito la descrizione
di numerosi casi consegnati alla letteratura appartiene alla trattatistica
classica. Lo si comprende facilmente quando si tenga conto che si sovrappone
reumatismo flogistico a reumatismo flogistico e che la genesi della flogosi
dismetabolica va ricondotta alla attivazione dei fattori contattivi
proflogistici da parte del cristallo di monourato di sodio. Inoltre, problemi di
non minore momento pongono il diabete, la osteoporosi e altre patologie del
soggetto anziano.
Lo
stato di attività della malattia oltre che dalle risultanze dell'esame fisico
può essere valutato con precisione sulla base di esami di laboratorio. A questo
riguardo serve la determinazione dei cosiddetti reattanti della fase acuta e
della emosedimentazione. Aumenti dei primi, cioè dell'aptoglobina, fibrinogeno,
alfa1-antitripsina sono di regola presenti in queste fasi, con incrementi di 2-3
volte la norma. Un aumento più rilevante è quello della proteina C reattiva
che raggiunge livelli compresi tra le 100 e le 1.000 volte la norma. La
valutazione di questi esami deve essere eseguita nel contesto dei dati clinici e
quindi il giudizio deve essere correttamente precisato caso per caso. Di grande
importanza è l'indagine elettroforetica per individuare modificazioni
significative del profilo delle proteine plasmatiche. E' frequente uno stato
anemico che non risponde ai comuni trattamenti sostitutivi: vitamina B12 e
ferro. Del fattore reumatoide, autoanticorpo che reagisce con il frammento C
delle IgG, è stato già detto, cosi come dei fattori antinucleari (tab.02
In
ogni caso, quando sia possibile è opportuno eseguire l'esame del liquido
sinoviale comprendente l'esame colturale, in tutti i casi nei quali si ha
ragione di sospettare la coesistenza di infezioni, la ricerca di cristalli, il
dosaggio delle proteine, del fattore reumatoide, nonché la morfologia degli
elementi nucleati: tutti dati utili ai fini diagnostici. In casi particolari è
altresì utile la biopsia della sinoviale, un esame che con l'impiego degli aghi
di Parkes-Pearson è diventato di comune impiego. Soprattutto ai fini di un
accertamento diagnostico definitivo serve la biopsia dei nodali sottocutanei che
presentano in forma emblematica il quadro del granuloma reumatoide. La lesione
è formata da una zona centrale occupata da materiale amorfo in parte necrotico,
circondata da cellule monocitarie disposte "a palizzata" e più
esternamente da linfociti ed istiociti. Si tratta di una morfologia tipica
riscontrabile a livello delle localizzazioni extra-articolari (ad es.: occhio,
sistema nervoso ecc.)
Gli
esami radiologici sono un complemento indispensabile dell'armamentario
diagnostico e del programma di monitoraggio della malattia (fig.01
Il
decorso dell'A.R. non ubbidisce a regole fisse. Esistono forme a decorso lento
ed altre gravi per la rapidità e l'entità dei danni articolari. A distanza di
due anni dall'inizio molto spesso i danneggiamenti delle funzioni articolari
(per esempio: deambulazione) sono rilevanti ed irreversibili. In alcuni casi la
malattia può presentare remissioni sì da conferire un decorso intermittente,
in altri e più spesso la malattia è progressiva.
L'A.R.
che, come è stato già detto, è più frequente nella donna, durante la
gravidanza presenta sensibili miglioramenti tosto seguiti da esacerbazioni nel
puerperio.
La
localizzazione del processo reumatoide in sede cervicale è una evenienza
particolarmente pericolosa.I segnali più comuni sono dati da dolore locale con
irradiazione all'occipite che a distanza più o meno lunga si associano a segni
di interessamento midollare. L'esame di risonanza magnetica è quanto mai
opportuno permettendo una valutazione precisa della situazione e la terapia ad
hoc.
Nel
corso di una malattia qual è l'A.R. di lunga durata e di fasi alterne non
stupisce che si possa andare incontro a complicanze. Nella maggior parte dei
casi si tratta di eventi che si osservano a distanza dell'inizio dell'A.R. Uno
di questi molto temibile è l'amiloidosi: anche se è discutibile che si tratti
in questo caso di complicanza. Dal punto di vista clinico va ritenuta tale, dato
che la comparsa di proteinuria spesso rilevante determina uno scadimento della
situazione e segni di pauperismo ai quali è difficile porre rimedio.
Senza
dubbio molte complicanze si riscontrano in corso di terapia. Si tratta di
infezioni, locali e/o generali, la cui via può essere aperta da terapie
steroidee protratte. Anche la terapia con citostatici è pericolosa a questo
riguardo. Una situazione di emergenza può essere rappresentata dalla infezione
delle sedi di impianto di protesi per le conseguenze che comportano
sull'organismo. Soprattutto va sottolineata l'opportunità di una diagnosi
tempestiva. Spesso l'evento aggiunto si caratterizza per un peggioramento della
sintomatologia della malattia reumatoide determinando ritardi che possono
mettere a rischio la vita del paziente. Si ha ragione di ritenere che la
frequenza delle infezioni in corso di A.R. trovi motivo d'essere in condizioni
di deficit immunitario indotto dal processo biologico di base, che assume
rilievo nei rari casi dell'A.R. della agammaglobulinemia.
Altre
complicanze ancora una volta iatrogene possono essere osservate nel decorso
della malattia. Fratture ossee e rotture tendinee talora osservabili, sono
favorite dai danneggiamenti provocati dalla malattia ed aggravati dall'impiego
dai farmaci steroidei. A questo proposito va segnalato che con l'impiego del
deflazacort si ottiene una sensibile riduzione degli effetti indesiderati a
carico del tessuto osseo. Ma tutti i farmaci impiegati nella cura dell'A.R.
possono ingenerare reazioni indesiderate. I farmaci antiflogistici non steroidei
nei confronti delle prime vie digestive, i sali d'oro in rapporto a
trombocitopenie, eritrodermie e proteinuria, gli steroidi per un numero di
condizioni delle quali si dirà in dettaglio dopo, la penicillamina per la
comparsa di proteinuria e leucopenia, gli antimalarici per danni retinici, ed
ancora i citostatici che possono rappresentare la causa di processi
irreversibili (per esempio: pancitopenie, neoplasie). Se è vero quindi che il
decorso della malattia va mantenuto sotto costante controllo, in ogni caso
particolare attenzione va riservata al monitoraggio delle terapie in corso.
Tutto sommato, l'A.R. è malattia quasi sempre grave ed invalidante che comporta
altresì una diminuzione della aspettativa di vita.
Fra
i tanti problemi che quotidianamente si pongono all'attenzione del generalista
così come del reumatologo, quello del trattamento della A.R. costituisce
certamente uno dei più impegnativi. La natura della malattia, caratterizzata,
come è noto, da uno "stato di attività", spesso accompagnato a
rilevanti limitazioni funzionali, condiziona l'insorgenza di quadri clinici
impegnativi.
La
caratteristica prevalentemente distruttiva della malattia piuttosto che quella
anchilopoietica, cui faceva riferimento la dizione largamente in uso negli anni
trenta di "poliartrite cronica anchilopoietica", costituisce una delle
motivazioni principali delle difficoltà incontrate nel trattamento del malato
reumatoide.
L'A.R.
non è forma morbosa che possa essere trattata secondo schemi prefissati e
pertanto le singole caratteristiche vanno attentamente esaminate. Direttamente
in rapporto alla lunga durata della malattia, che costituisce certamente un dato
di rilevante impegno, è necessario in ogni fase della malattia attuare un
bilancio della situazione quale risulta principalmente dallo stato di attività,
dai danni in atto e dalle possibilità del programma terapeutico.
Difficoltà
nel caso singolo possono dipendere dall'impegno di uno di questi settori:
un'attività del processo morboso persistente e/o parzialmente rilevante, un
danno articolare con disassamenti vistosi ed altri eventi alterativi del
complesso articolare, accanto o peggio insieme all'esistenza di intolleranza a
farmaci di comune impiego nella cura di questa malattia, costituiscono le
ragioni frequenti delle difficoltà incontrate nella pratica medica.
Da
un punto di vista generale, va riconosciuto che, se è vero che di recente non
si sono avuti progressi rilevanti nel campo della A.R., è altrettanto vero che
i gravissimi quadri di invalidità che soltanto trenta o quaranta anni fa erano
frequenti, oggi sono di riscontro assai più raro, quando mai eccezionali. Ciò
è dovuto ad una migliore conoscenza della malattia sul piano clinico e
certamente anche ad una maggiore disponibilità di presidi terapeutici rispetto
ad un recente passato. Ciò non toglie comunque che il problema terapeutico
dell'A.R. sia uno dei più difficili, molto spesso tra i più pesanti, quando
mai del tutto insolubile. E per questo che nella pratica medica quotidiana è
del tutto giustificato raccomandare prudenza e cautela, e ribadire il concetto
che in ogni caso si tratta di porre in atto ed osservare un programma di cura a
lunga scadenza. Infatti se è relativamente facile dominare il quadro di acuzie
che frequetemente punteggia il decorso della malattia, è molto arduo acquisire
un risultato stabile e sufficientemente favorevole. Tenuto conto che lo scopo
primo del reumatologo è proprio puntato su questo obiettivo, appare logico
sottolineare come nulla debba essere lasciato intentato al fine di realizzare un
risultato favorevole. Per questo, prima ancora della terapia medica e di altri
tipi di cura, va sostenuta l'importanza di una stretta osservanza delle corrette
abitudini di vita. È nostro
convincimento che i soggetti affetti da A.R. debbano seguire un tipo di vita nel
quale il riposo fisico e soprattutto psichico trovi larga parte.
È molto importante che il soggetto reumatoide non incontri occasioni di
contrarietà o comunque di apprensione nell'ambiente familiare e di lavoro:
pertanto deve essere riservata molta attenzione a questo proposito.
Se
la distensione e la quiete nell'ambiente favoriscono la serenità del soggetto,
il riposo fisico, come ormai da più parti è documentato, è elemento che può
contribuire a risolvere poussées di flogosi acuta. Naturalmente va fatta
attenzione alla posizione assunta dalla parte interessata ed alla durata della
immobilità, data la tendenza ad instaurarsi di posizioni viziate difficilmente
poi correggibili.
Premesse,
quindi, queste poche righe sulla necessità di una stretta osservanza di
corrette norme igieniche, iniziando l'esposizione sui farmaci consigliati in
questa malattia dobbiamo essere tutti concordi nell'affermare che il primo posto
deve essere ancora riservato ai farmaci antiflogistici non steroidei (FANS)
anche se alcuni Autori preferiscono ancora l'acido acetilsalicilico, prescritto
in dosi tra i 2 ed i 4 grammi pro die, in dosi refratte, come è oggi possibile,
in forma ritardata. In molti casi questa somministrazione è in grado di
dominare la sintomatologia dolorosa della malattia, anche se il suo corso non ne
è apprezzabilmente modificato. Il problema principale connesso alla terapia
salicilica riguarda la tolleranza, soprattutto quella gastrica. Non è raro
infatti che in corso di terapia salicilica compaiano disturbi dispeptici o
peggio perdite ematiche e quando mai vere e proprie ematemesi e melena. La
complicanza ora detta è rara, ma grave. Secondo studi recenti l'aspirina
inibisce la sintesi delle prostaglandine ed è agente estremamente attivo
nell'impedire l'aggregazione piastrinica indotta dal contatto con il collageno.
Pertanto le erosioni mucosali cosi frequenti a livello gastrico possono assumere
una evoluzione allarmante e grave: ne deriva la necessità di eliminare o quanto
meno ridurre le dosi di farmaco in presenza di un impegno gastrico e ne deriva
l'impegno da parte del medico di individualizzare al massimo le dosi del
medicamento.Si vorrebbe riconoscere, cioè, che l'emorragia digestiva è un
segno di iperdosaggio, tenuto conto che il metabolismo del farmaco presenta
notevoli variazioni a seconda dei casi.
Un'azione
antiflogistica rapida ed efficiente è pure conseguita dalla somministrazione
dei pirazolici e loro derivati. Il piramidone, la noramidopirina, sono preparati
attivi in dosi adeguate (2 g) e possono essere utilmente impiegati nella cura
dell'A.R. Quando il dosaggio sia opportunamente stabilito e controllato non sono
molti sul piano pratico i pericoli della medicazione pirazolica, che anche per
questo è impiegata con successo nella pratica medica quotidiana. La stessa cosa
vale con il fenilbutazone che oggi è riservato alla terapia della
pelvispondilite ossificante in reparto clinico.
L'indometacina
ha rappresentato un passo avanti nella terapia dei reumatismi flogistici ed in
particolare della A.R. anche se si tratta di un farmaco che presenta numerose
occasioni di intolleranza. In una malattia lunga come l'A.R. l'attenzione del
medico deve essere costante nell'individuare intolleranze o inconvenienti che in
ogni caso segnerebbero una pausa o più spesso un passo indietro nell'opera di
controllo effettivo della malattia. È
per questo che i migliori risultati possono essere raggiunti con un dosaggio
minore di quello comunemente consigliato, con pause intervallari, per lunghi
periodi di tempo. L'individuazione di dosaggi attivi e bene tollerati è una
prerogativa del buon medico. In mancanza di criteri affidabili di valutazione,
non va trascurato che il dosaggio deve essere in ogni caso in rapporto allo
stato di attività di malattia.
La
terapia medica dell'A.R. si è negli anni recenti di molto arricchita per la
disponibilità di molti farmaci antiflogistici non steroidei appartenenti a
diversi gruppi chimici, ma dotati di alcune caratteristiche comuni,
rappresentate dall'attività antipiretica, antiflogistica e analgesica. Il loro
impiego nella terapia dell'A.R. è utile nei confronti della sintomatologia
dolorosa e flogistica limitatamente al periodo di somministrazione e solo se la
flogosi non è troppo spiccata. Meno efficaci del cortisone per quanto riguarda
l'azione antiflogistica, i FANS sono in compenso molto più maneggevoli per la
terapia di lunga durata perché sprovvisti della molteplicità di azioni
biologiche proprie dello steroide. Come il cortisone i FANS non modificano
tuttavia la storia naturale della malattia.
Gli
inconvenienti dei FANS peraltro sono legati alla loro gastrolesività ed alla
possibilità di manifestazioni alterative a carico degli organi emopoietici, del
sangue, della cute, del rene e del sistema nervoso, queste ultime senz'altro
rare quando si osservino le norme di un corretto impiego. Comunque, la
gastrolesività si osserva in un grande numero di pazienti ed offre un cospicuo
contributo alla patologia gastroduodenale acuta. L'uso vastissimo dei FANS ed il
loro notevole apporto alla terapia dell'A.R., così come di altre malattie
reumatiche, non sono stati che modestamente limitati dalla nozione di tutte
queste reazioni sfavorevoli, che attualmente possono essere notevolmente
limitate da una corretta somministrazione di ranitidina e misoprostol. Oltre che
nella terapia dell'impegno gastro-duodenale determinato dai FANS, l'indicazione
all'impiego della ranitidina può essere utilmente estesa alle fasi iniziali
della terapia antiflogistica, ai fini preventivi con buone possibilità di
successo secondo la nostra esperienza.
L'impiego
dei FANS è tanto più logico quanto più evidente è la componente flogistica,
ma anche l'azione analgesica risulta favorevole sia direttamente perché il
dolore è fattore di distrofia, sia indirettamente perché favoriscono il
mantenimento di una corretta postura e la chinesiterapia. Per tutti i detti
motivi l'uso esteso della terapia antiflogistica non steroidea sembra aver
portato un miglioramento di base della condizione del malato reumatoide pur
senza essersi dimostrata terapia risolutiva in nessun caso.
Il
meccanismo d'azione dei FANS ha suscitato una gran mole di ricerche, ma i
dispositivi sperimentali usati per le relative indagini assomigliano assai poco
alle malattie reumatiche spontanee e quindi i dati acquisiti hanno un
significato non definitivo. Di particolare importanza sembrano essere
l'inibizione della aggregazione piastrinica, l'inibizione della sintesi di
prostaglandine, la stabilizzazione lisosomiale, l'azione di blocco delle
collagenasi e delle proteasi in genere, l'inibizione delle attività migratoria
e fagocitaria dei leucociti, l'inibizione della proliferazione cellulare e della
sintesi delle macromolecole. L'inibizione della sintesi delle prostaglandine
rappresenta secondo una vasta corrente di opinione un fattore comune alla azione
dei FANS.
La disponibilità di un numero notevole di molecole permette di ovviare alla non
rara occorrenza di intolleranze individuali.
Un
trattamento flogistico di lunga durata nell'A.R. può avvalersi di quasi tutti
gli antiflogistici citati che possono essere alternati e a cui può essere
associata una terapia di fondo.
Il
chetoprofene ed il naprossene, impiegati con successo anche per via venosa
mediante fleboclisi lenta da eseguire anche in terapia ambulatoriale seguendo le
modalità del Day Hospital, danno spesso buoni risultati. Quando si
somministrano assieme ai FANS altri farmaci andrà sempre tenuto presente
l'elenco delle interazioni note che include principalmente gli anticoagulanti,
gli ipoglicemizzanti, i farmaci ad azione depressiva sul midollo osseo. Al fine
di diminuire i rischi della gastrolesività è utile impiegare il misoprostol,
un analogo sintetico della prostaglandina E1 che diminuisce la secrezione acida
della mucosa gastrica, stimola la produzione di muco e la secrezione duodenale
di bicarbonati.
Di
recente introduzione i preparati della classe degli oxicam, in particolare
piroxicam e cinnoxicam, hanno offerto nuove possibilità di impiego dei FANS nel
trattamento della A.R.
Certamente
i FANS non sono in grado di guarire la malattia reumatoide, ma in una quota
parte dei casi sono in grado di controllare lo stato di attività. E' questo un
importante traguardo che il medico esperto deve saper conseguire nei modi meglio
visti. Dicendo così si vuol richiamare l'attenzione su alcuni dati, in primo
luogo sul fatto che i valori della emivita plasmatica (cfr.tabella 5) possono
variare da poche ore a molte di più (da 1 a più di 70) e sul fatto che
l'eliminazione renale è in rapporto alla funzione escretoria con relative
variazioni in rapporto all'età e a sempre possibili precedenti di malattia.
Sulla
base del computo dell'emivita di questi preparati, espressione della durata
della loro attività, si possono distinguere tre grandi gruppi, rispettivamente
di breve durata (comprendente indometacina, ibuprofen, acido mefenamico e
meclofenamati), di durata intermedia (comprendente prossene, diflunisal,
sulindac ed in genere i salicilici), e di lunga durata (comprendente
fenilbutazone, piroxicam e cinnoxicam).
Un
atteggiamento prudenziale è motivato dalla frequente insorgenza di
manifestazioni di intolleranza a livello gastrico. Al riguardo va detto che
all'inizio del trattamento soprattutto quando l'attività di malattia è
rilevante conviene iniziare con dosi basse dei farmaci antiflogistici e non
altrimenti con quelli di recente introduzione, secondo una opinione diffusa,
questi ultimi meglio tollerati anche se da impiegare sempre con grande prudenza.
È frequente infatti il verificarsi di situazioni di intolleranza al
farmaco che disturbano e complicano un quadro di malattia di per se stessa già
grave per le sofferenze che determina e la conseguente invalidità che provoca.
Non esistono quindi criteri di scelta obbligati. Il paziente che non ha ottenuto
buoni risultati con un determinato FANS può presentare una risposta favorevole
impiegando un diverso tipo di FANS. L'esperienza e la competenza del medico
contribuiscono al successo del programma terapeutico.
Anche
se oramai tutti o quasi tutti gli addetti ai lavori sono d'accordo sulle
modalità da seguire nell'impiego dello steroide - da limitare il più possibile e
nel caso da somministrare in unica dose nelle prime ore del mattino - il numero di
soggetti che presentano segni di iperdosaggio cortisonico e pertanto richiedono
una terapia di sganciamento è sempre elevato. In non pochi casi si tratta di
soggetti che assumono lo steroide del tutto indipendentemente dalle prescrizioni
mediche, trovandosi prima o dopo in situazioni allarmanti e di vera e propria
emergenza. In effetti lo sganciamento cortisonico è pratica difficile che
richiede un periodo di ricovero in reparto clinico e l'opera differenziata di
una équipe specializzata.
I
trattamenti steroidei protratti a lungo possono ingenerare eventi indesiderati.
Osteoporosi, fratture, rotture tendinee sono una parte delle complicanze che si
possono osservare in questi casi. Quanto alla modalità di somministrazione più
opportuna è ormai bene documentata l'utilità della unica dose al mattino in
modo da limitare al meglio l'inibizione delle surrenali. Le forme di
somministrazione impiegate in altre malattie (ad esempio: altissime dosi,
infusione venosa ecc.) non trovano indicazione nel trattamento della A.R. La
situazione è molto diversa nel caso della malattia reumatoide, cioè in
presenza di manifestazioni extra-articolari acute ed allarmanti, laddove
l'impiego dello steroide, come avviene per il lupus eritematoso, è indicato.
Buoni
risultati della terapia steroidea possono essere ottenuti con un trattamento
intra-articolare con dosaggi sempre limitati e ripetuti eventualmente a lunghi
intervalli (due-tre volte l'anno). Quindi si deve in ogni caso usare cautela e
prudenza. Rischi e pericoli sono numerosi e la loro valutazione a breve e lungo
termine deve limitare l'impiego di un farmaco che può essere responsabile di
aggravamenti di una situazione di per se stessa grave ed invalidante.
La clorochina è un farmaco certamente attivo che tuttavia deve essere
attentamente sorvegliato, soprattutto nel caso di lunghi periodi di cura per le
spiacevoli alterazioni oculari che possono essere osservate in questi casi. La
posologia è di 200 mg una o due volte al dì.
Buoni
risultati, in alcuni casi del tutto incoraggianti, sono stati ottenuti anche per
personale esperienza con la somministrazione di tiolici ed in particolare di
penicillamina somministrata alla dose di 250 mg o più sempre con molta
prudenza. La tolleranza in questi casi è buona. Va fatta attenzione, comunque,
alla comparsa di proteinuria e ad altri effetti collaterali (miastenia) che
obbligano ad interrompere la somministrazione.
Non
resta da dire che degli antimetaboliti e citostatici da molti usati in tempi
recenti. Si tratta di una pratica che deve essere del tutto eccezionale, in ogni
caso da evitare nelle donne in età fertile così come nel soggetto giovane -
per i grossi guai che può comportare a breve e lunga distanza -. L'impiego del
metotressato, come di altri preparati citostatici, richiede oltre che , bene
inteso, il consenso informato, una continua sorveglianza e molta attenzione. In
singoli casi un trattamento oculato e bene condotto può dare risultati
favorevoli.
Terapie biologiche, con l'impiego di anticorpi monoclonali
anti-TNF-alfa, antagonisti del recettore della interleuchina 1 e anticorpi
monoclonali antiCD4.
La
terapia chirurgica dell'A.R. si è sviluppata in maniera considerevole negli
anni recenti grazie sia agli interventi di asportazione del panno sinoviale (sinoviectomia)
sia ai fini della risoluzione di sindromi di intrappolamento (nervo mediano,
nervo ulnare ecc.) e di una ottimale congruenza articolare (osteotomia di
correzione). Ormai classici gli interventi di protesi d'anca e quelli più
recenti di protesi a livello della mano, del piede e del ginocchio, sicchè il
trattamento del malato reumatoide va inteso in ambito interdisciplinare per la
opportuna valutazione di tutte le possibilità terapeutiche disponibili.
Certamente il contributo della chirurgia in una casistica selezionata - forme
mono o oligoarticolari, preferibilmente - offre quindi sicuri vantaggi. Alla
sinoviectomia chirurgica è preferibile la cosiddetta sinoviectomia chimica
impiegando varie sostanze (metotressato, thiotepa ecc.). Altre forme di terapia
locale che impiegano radioisotopi (Yttrio 90) richiedono attrezzature
particolari oltre al ricovero in reparto clinico, senza rilevanti vantaggi su
quanto si può ottenere con lo steroide.
Negli
anni passati il programma terapeutico dell'A.R. prevedeva di impiegare
all'inizio i farmaci meglio tollerati e solo successivamente l'aggiunta di altri
farmaci dotati di maggiore efficacia anche se più tossici. Più recentemente ha
prevalso l'opinione secondo la quale sia preferibile trattare l'A.R. in modo
aggressivo fin dall'inizio somministrando i cosiddetti farmaci di fondo, vale a
dire i farmaci che modificherebbero il decorso della malattia: sali d'oro,
clorochina, penicillamina e metotressato. Sottolineato che, come prima detto, le
alterazioni responsabili dell'insufficienza articolare sono già in atto dopo i
primi due anni di malattia, nel trattamento dell'A.R. una terapia aggressiva
potrebbe essere utilmente impiegata nelle forme più gravi e distruenti. Solo
una attenta valutazione delle condizioni cliniche nel singolo caso, vale a dire
degli aspetti clinici, radiologici, immunopatologici e delle loro modificazioni
osservabili nel decorso della malattia può offrire gli elementi di giudizio
opportuno per scegliere le modalità meglio viste della terapia.
Da
un punto di vista generale, in tema di provvedimenti terapeutici, va sempre
attentamente controllata quale sia la posizione del paziente nei confronti della
tolleranza ai farmaci. Al di là della natura cronico-flogistica della malattia
e dei danni che ne possono derivare, uno dei primi accertamenti in ordine di
tempo e di importanza riguarda la presenza di eventuali precedenti
manifestazioni di intolleranza a farmaci. Nella pratica di tutti i giorni è
dato spesso constatare che tanto più urgente è l'indicazione all'intervento,
tanto più frequente è l'insorgenza di incidenti al riguardo. Ricordato che la
farmacoallergia in molti casi non è limitata a questo o a quel farmaco, ma si
allarga a farmaci di diversa composizione ne consegue che talora ci si trova
dinanzi a situazioni di notevole difficoltà. Si può dedurre a questo punto che
l'intolleranza ai farmaci sia una sfavorevole caratteristica di questo tipo di
ammalati; al riguardo va fatto riferimento alle segnalazioni che indicano una
incidenza rilevante di fenomeni di questo tipo che nella sindrome di Sjögren è
stata calcolata dell'ordine del 70%.
L'intolleranza
ai farmaci rende d'obbligo l'immediata sospensione di ogni medicamento che non
riconosca una radice biologica. Va sempre controllato accuratamente il fatto che
la condizione in atto non dipenda dalla coesistenza di condizioni alterative,
rimaste in ombra, responsabili dell'aggravamento della malattia fondamentale.
Che questa condizione spesso sia in atto è dimostrato dal fatto che
l'intolleranza ai farmaci non costituisce sempre una condizione permanente. Come
è stato detto nelle righe precedenti, l'intolleranza ai farmaci, insieme o meno
all'iperdosaggio steroideo, può determinare uno scadimento delle condizioni
generali del paziente tali da metterne in pericolo la vita stessa. In questi
casi, fortunatamente non frequenti, è ancora possibile realizzare un risultato
favorevole mettendo in atto una pratica terapeutica certamente complessa, ma
spesso determinante. Si intende parlare della plasmaferesi, che viene praticata
correntemente in centri specializzati.
Nella
esposizione di provvedimenti utili in situazioni di emergenza o che comunque
comportano difficoltà, il discorso riguarda spesso la presenza di
sintomatologie dipendenti dalla gastrolesività dei farmaci antireumatici,
steroidei e non. La gastrolesività ritenuta alta volta una sorta di
"destino avverso" dei preparati antireumatici, steroidei e non,
riconosce nella sua genesi momenti diversi. E' certo che una terapia condotta
con dosaggi non appropriati e continuati per lungo periodo di tempo senza un
attento controllo, comporta il rischio anzidetto. E' bene ricordare che il
rischio di tale evento non è dello stesso ordine per i vari farmaci, dato che
il turnover è molto diverso a seconda dei casi, breve per alcuni lungo per
altri. Quindi, specie in questo ultimo caso, va effettuata una pausa settimanale
nella somministrazione del farmaco. E' anche bene sottolineare che nei confronti
dello stesso farmaco la velocità di metabolizzazione è diversa in malati
affetti dalla stessa malattia. Soprattutto non va sottaciuto che la
gastrolesività fa parte dell'azione di base del farmaco, non potendo essere
contrabbandata come effetto collaterale. Si vuol sottolineare che l'insorgenza
delle cosiddette complicanze ulcero-emorragiche è il risultato dell'azione
biologica di questi farmici: l'inibizione della sintesi delle prostaglandine e
l'inibizione dell'aggregazione piastrinica rappresentando fenomeni direttamente
connessi alla azione biologica dei farmaci in parola.
In
effetti, il blocco dei fenomeni connessi ai fattori di contatto rappresenta un
evento profondamente alterativo della dinamica della omeostasi connettivale.
Bisogna anche aggiungere che l'azione di questi farmaci a livello della mucosa
gastrica in rapporto alla somministrazione per os rappresenta una ulteriore
componente della gastrolesività, ben documentata da recenti contributi. Quindi
non sarà mai sufficientemente raccomandata prudenza nell'impiego di questi
farmaci che, come ognuno può riconoscere, hanno avuto di recente una diffusione
maggiore di quella già notevolissima avuta in passato, ultimamente favorita
dall'impiego della ranitidina e del misoprostol, farmaci utili a questo
riguardo.
La
gastrolesività, nel caso degli steroidi, come dei FANS, rappresenta un segnale
di allarme, ad indicazione di un limite invalicabile oltre il quale esistono
altri e, se è ancora possibile, più gravi pericoli che non tarderebbero a dare
segni di sé. Quindi la cosiddetta gastrolesività dei preparati antireumatici
è problema centrale da tenere continuamente presente, esaminare nelle sue
componenti fisiopatologiche e risolvere caso per caso. Un'implicita risposta a
quanto è stato finora esposto è data dal fatto che la somministrazione dei
farmaci antireumatici in altre condizioni morbose, diverse da quelle in esame,
non dà luogo alle dette sintomatologie con altrettanta frequenza e rilevanza.
Da
quanto si è detto risulta chiaro che l'intolleranza ai farmaci e la comparsa di
quadri clinici dipendenti da iperdosaggio steroideo sono tra le condizioni
maggiormente sfavorevoli che si possono osservare nel trattamento della A.R.,
anche perché precedono talora la cosiddetta evoluzione maligna della malattia.
Si veda quindi come spesso sia dato prevenire condizioni di emergenza
realizzando tempestivamente un corretto programma di cura e/o correggendo
comportamenti abnormi che possono dar luogo a situazioni di aggravamento.
D'altra parte è da sottolineare che le situazioni anzidette possono essere
evitate grazie ad una non mai sufficientemente raccomandata condotta prudente in
tema di farmaci in questo particolare tipo di pazienti. Tutto questo, se ha un
valore evidente nel caso degli steroidi, non ne ha uno minore nei confronti dei
FANS. In questi casi la condizione di intolleranza viene spesso osservata a
causa della condizione di ipoalbuminemia che accompagna la fase attiva della
malattia.
In
effetti l'A.R. è malattia che per i motivi in parte esposti presenta
difficoltà non piccole alla realizzazione di un trattamento soddisfacente. Si
aggiunga che non raramente ulteriori motivi riguardano problematiche inerenti
alla coesistenza di processi morbosi diversi: una situazione che non deve
stupire se appena si tiene conto della lunga durata della forma morbosa. In
pratica, quindi, può essere arduo individuare correttamente le diverse origini
di sintomatologie di impegno generale che contribuiscono a determinare le
condizioni del paziente. Una elencazione al riguardo sarebbe certamente lunga e
sempre incompleta. Basti qualche esempio: l'osteoporosi, l'osteomalacia, la
malattia di Paget devono sempre essere tenute presenti nel soggetto anziano.
Altre malattie possono essere presenti e sfuggire all'attenzione e ad una loro
precisa individuazione, in quanto determinano un peggioramento del quadro della
malattia fondamentale. La diagnosi in questi casi è importante, perché la
soluzione di problemi parziali può allontanare il rischio di destabilizzazione
della malattia. In particolare, è opportuno un attento esame nei confronti
della sempre possibile insorgenza di processi neoplastici in corso di forme
reumatodidi. Dal punto di vista terapeutico in questi casi l'impiego di farmaci
citostatici ha valore di vera e propria terapia antiblastica, al di là
dell'azione antiflogistica utilizzabile in questi casi.
Accanto
ai problemi prima detti che, ripetiamo, non sono di breve momento, non vanno
sottaciuti altri problemi che negli ultimi anni sono stati avviati ad una
soluzione che, anche se non ottimale, assicura secondo un criterio di
ragionevole certezza l'esclusione di sequele e complicanze fino a poco tempo fa
allarmanti e pericolose. Ad esempio, oggi disponiamo di mezzi più affidabili
per limitare i danni dell'osteoporosi che spesso accompagnano e peggiorano il
già grave quadro della malattia reumatoide. Calcitonina, vitamina D, fluoruri
ed anabolizzanti offrono concrete possibilità.
Non
vi è dubbio che la situazione odierna del malato reumatoide rispetto a quella
di solo poche decine di anni or sono è sensibilmente migliorata. Ciò è dipeso
da molti fattori: tra questi, non ultimo, una corretta presa di coscienza che
prevede l'osservanza di adeguati comportamenti a fronte dell'evento morboso. La
malattia quando sia continuativamente controllata non va incontro all'evoluzione
ingravescente ed invalidante che si osservava fino a qualche anno fa. Il
monitoraggio dell'ammalato reumatoide messo in atto con l'attivazione di
strutture periferiche, ambulatoriali e di Day Hospital, è una realizzazione che
contribuisce in modo concreto alla prevenzione delle sequele e delle sempre
possibili esacerbazioni, sicché la funzione articolare nella maggior parte dei
casi può essere salvaguardata. Tutto questo migliora sia l'equilibrio emotivo,
spesso fragile in questi ammalati, sia la componente neurodistrofica
responsabile di stati algici ed alterativi a carico delle strutture
connettivali.
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V.
Bianchi
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