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ARGOMENTI DI MEDICINA CLINICA
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Ultimo aggiornamento: 23.12.2013
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Tra
le molte definizioni proposte, riteniamo che possa ancora essere considerata
valida una nostra non più recente definizione, secondo cui l'asma bronchiale si
deve considerare "una sindrome di iperreattività delle strutture
bronchiali nei confronti di sostanze eterogenee e di altri stimoli, insorgente
soprattutto in soggetti predisposti. La sindrome asmatica è caratterizzata, dal
punto di vista clinico, da ricorrenti crisi di dispnea a carattere espiratorio;
dal punto di vista fisiopatologico, da stenosi bronchiolare diffusa e
reversibile, broncospasmo, edema ed ipersecrezione; dal punto di vista
etiologico, dalla molteplicità dei fattori scatenanti, tra i quali in primo
piano quelli allergici" (Serafini, 1959-1967).
Per
quanto riguarda la classificazione e l'inquadramento etiopatogenetico, deve
essere ricordato che nei primi decenni del secolo attuale le ricerche e le
acquisizioni sull'anafilassi hanno fatto prevalere il concetto dell'etiopatogenesi
allergica di tutte le forme di asma bronchiale.
Si
è dimostrato in seguito che soltanto in una certa percentuale di casi (30%
circa, secondo alcune statistiche) l'etiopatogenesi dell'asma bronchiale deve
ritenersi esclusivamente allergica; in altri casi i fattori di ordine allergico
appaiono responsabili soltanto di una quota, più o meno rilevante, della
sindrome, alla cui genesi concorrono altri fattori, in particolare infettivi, ma
anche di altra natura; in altri casi, ancora, soltanto fattori non allergici
risultano responsabili della sindrome.
In
una seconda fase fu quindi proposto (Rackemann, 1931-1947) di distinguere l'asma
bronchiale in due forme principali: a)asma estrinseco, ad etiopatogenesi
allergica; b)asma intrinseco, di origine non allergica.
Nell'ultimo
decennio, peraltro, questa distinzione è stata ritenuta superata, soprattutto
sulla base delle osservazioni dell'esistenza, nella grandissima maggioranza
degli asmatici, indipendentemente dall'etiopatogenesi della sindrome, di una
broncoreattività aspecifica, in parte geneticamente determinata ed in parte
acquisita, caratterizzata da un'abnorme risposta broncostenotica a stimoli
diversi: farmacologici (inalazione di istamina, metacolina ecc.), fisici
(inalazione di nebbia ultrasonica o di polveri inerti ecc.; esercizio fisico;
brusche manovre respiratorie ecc.) o chimici (sostanze irritanti micromolecolari,
soluzioni iper- od ipo-osmotiche ecc.).
D'altro
canto, negli ultimi anni si sono intensificate le osservazioni, condotte su
casistiche assai numerose e con tecniche rigorose, secondo cui la gravità
dell'asma, qualunque sia l'etiopatogenesi, è correlata ad alcuni
"marker" (elevati livelli di IgE totali sieriche, elevate percentuali
di eosinofili nel sangue e nel liquido di lavaggio bronchiale ecc.), comunemente
ritenuti caratteristici delle sindromi allergiche respiratorie.
Inoltre,
a valorizzare queste teorie unificanti delle varie forme di asma bronchiale,
deve essere ricordato che recenti indagini cliniche e sperimentali, anche
istopatologiche, hanno dimostrato che in tutte le forme di asma bronchiale,
particolarmente nelle forme ad evoluzione protratta, si rinviene un processo
flogistico dell'epitelio bronchiale.
La
flogosi delle vie aeree, conseguente alla liberazione dei mediatori mastocitari
con conseguente contrazione della muscolatura liscia bronchiale, provoca edema
intenso della mucosa bronchiale, con successiva riduzione della pervietà delle
vie aeree e limitazione del flusso, aereo, oltre ad effetti secondari, quali la
riduzione della "clearance" mucociliare.
Secondo
le concezioni attuali, l'asma bronchiale è una sindrome che coinvolge tutte le
strutture della parete bronchiale, cioè la muscolatura liscia, l'epitelio ed i
vasi, oltre alle strutture neurovegetative terminali funzionalmente collegate ed
ai recettori cellulari dei mediatori degli stimoli del sistema autonomo.
Le
reazioni asmatiche sono prodotte dall'attivazione, primaria o secondaria, di
cellule residenti, site a livello delle strutture bronchiali, o di cellule
reclutate in sede di reazione per fenomeni chemiotattici.
I
risultati delle indagini più recenti hanno esteso, quindi, il fulcro dei
meccanismi patogenetici dell'asma bronchiale dai mediatori alle cellule.
La
risposta delle vie aeree a stimoli diversi, in particolare a stimoli specifici
(allergeni), può essere una reazione di tipo immediato o di tipo tardivo e,
nelle forme persistenti o recidivanti, è caratterizzata da uno stato di flogosi
cronica.
Alcune
recenti definizioni dell'asma bronchiale sono basate, infatti, su queste nuove
acquisizioni: per l'interessamento della mucosa epiteliale si è indicata la
sindrome asmatica come una "malattia dell'epitelio", mentre, per
sottolineare il ruolo fondamentale dell'infiltrazione cellulare eosinofila, è
stato coniato il termine di "bronchite cronica eosinofila" (Barnes,
1989).
I
meccanismi patogenetici dell'asma bronchiale possono essere di ordine
immunologico e di ordine non immunologico.
Per
quanto riguarda i fattori etiologici (fattori scatenanti), si possono
distinguere, secondo Cockroft (1987):
-fattori
principali (flogogeni), quali gli allergeni, le infezioni virali e le sostanze
chimiche a basso peso molecolare, in grado di produrre iperreattività
bronchiale e flogosi;
-fattori
secondari (sintomatici), di ordine fisico, chimico o psichico, che provocano
soltanto broncospasmo, ma non iperreattività bronchiale o flogosi.
Particolare
rilievo rivestono i meccanismi immunologici, che sono stati di recente
ampiamente studiati, con nuove acquisizioni di grandissimo rilievo.
I
meccanismi immunologici che intervengono nell'asma bronchiale sono
immunoreazioni di tipo I (IgE-mediate), dovute all'incontro dell'allergene con
anticorpi IgE specifici fissati ai mastociti.
Gli
allergeni più frequentemente responsabili di asma bronchiale sono i pollini ed
altri allergeni da inalazione, più raramente alimenti o farmaci.
Come
è noto, i pollini rappresentano gli agenti etiologici del 30 % circa dei casi
di asma bronchiale allergico, che in tale evenienza si manifesta con una tipica
sintomatologia periodica stagionale; la sindrome asmatica può costituire la
prima manifestazione clinica della pollinosi, ma più spesso interviene, a varia
distanza di tempo, come successione morbosa di un'oculo-rinite allergica
stagionale. I pollini più frequentemente in causa, nel nostro Paese, sono
quelli delle Graminacee e della Parietaria, meno spesso delle Composite, delle
Oleacee e di alcune piante arboree.
Tra
gli altri allergeni da inalazione, si ricorda che le sindromi asmatiche sono
prodotte molto spesso dai Dermatofagoidi, acari presenti nella polvere ed in
vari ambienti domestici, più raramente da spore fungine (in particolare, da
Aspergilli) o da forfore e derivati animali.
Gli
allergeni alimentari sono raramente in causa; comunque, soprattutto nell'età
pediatrica, alcuni casi di asma bronchiale sono dovuti ad ipersensibilità al
latte vaccino o ad altri alimenti.
L'asma
bronchiale può anche rientrare nel quadro clinico dell'ipersensibilità a
farmaci; va tenuto presente, però, che l'"asma da aspirina" ( o
" asma da analgesici" ) è da considerare una reazione
pseudo-allergica (PAR), dovuta a meccanismi extra-immunologici.
Una
sindrome asmatica, ancora, può manifestarsi, seppur raramente, come effetto
collaterale indesiderato in corso di immunoterapia specifica.
Anche
numerose sostanze presenti negli ambienti di lavoro possono dar luogo ad asma
bronchiale professionale, che in una parte dei casi è ad etiopatogenesi
allergica. Tra gli agenti responsabili figurano al primo posto gli isocianati;
seguono enzimi proteolitici, varie sostanze chimiche, polveri di legno, farine,
tinture, cosmetici, fibre tessili ecc.
L'interazione
tra l'allergene e le IgE specifiche fissate ai mastociti provoca attivazione
mastocitaria e, successivamente, degranulazione mastocitaria e liberazione di
istamina e di altri mediatori.
Il
momento iniziale dell'attivazione mastocitaria risulta costituito dal legame di
allergeni (almeno bivalenti) con due molocole contigue di IgE (Jegame a ponte o
fenomeno del "bridging"), fissate con il frammento Fc ai recettori
mastocitari ("cross-linking" recettoriale). L'interazione
allergene-IgE specifiche induce aggregazione dei recettori mastocitari per le
IgE (Fcc RI) e modificazioni allosteriche sulla molecola delle IgE, con
esposizione di una struttura effettrice" localizzabile nel "domain"
Ce4, che rappresenta uno stimolo idoneo a produrre la degranulazione
mastocitaria.
Le
principali tappe dell'attivazione mastocitaria IgE mediata sono schematicamente
riportate nella fig.01
L'attivazione
dei recettori di membrana per le IgE produce non soltanto la liberazione di
mediatori preformati, ma stimola anche l'attivazione di alcuni sistemi
enzimatici di membrana, con conseguente produzione di altri mediatori.
Si
possono così distinguere mediatori primari (granulo-associati, preformati, e
membrano-derivati, neoformati) e mediatori secondari, rilasciati successivamente
da diversi elementi cellulari o da vari sistemi biologici (tab.01
Tra
i mediatori granulo-associati, l'istamina costituisce quello noto da più tempo
e, pertanto, meglio studiato. Oltre ad essere responsabile dello spasmo della
muscolatura liscia bronchiale, l'istamina esplica un pronunciato effetto di
dilatazione dei piccoli vasi e determina un rapido aumento della permeabilità
capillare, con fuoruscita di liquidi e di proteine plasmatiche. Deve essere
ricordato che gli effetti dell'istamina sono di tipo immediato, in quanto
intervengono entro pochi minuti e si esauriscono dopo poche decine di minuti.
Il
fattore chemiotattico per gli eosinofili (ECF-A)
sembra invece costituito da diversi tetrapoptidi acidi, che attirano gli
eosinofili in sede di reazione.
Il
fattore chemiotattico per i neutrofili (NCF-A) possiede poi la caratteristica di
persistere piuttosto a lungo, prolungando così gli effetti flogogeni della
reazione immunitaria.
Tra
gli enzimi granulo-associati, particolare importanza riveste la callicreina,
strettamente correlata al sistema della coagulazione, che è in grado di
dissociare il fattore XII (fattore Hageman) e di liberare bradichinina dal
precursore, cioè dal chininogeno; la bradichinina svolge una spiccata azione
sulla muscolatura liscia, sulla vasodilatazione e sulla permeabilità capillare.
Inoltre, la callicreina converte il plasminogeno in plasmina, iniziando il
processo di fibrinolisi. Tra gli altri enzimi, sono da ricordare la triptasi, le
chimasi, l'arilsulfatasi A, la beta-glicuronidasi e l'esosaminidasi A.
I
proteoglicani sono rappresentati essenzialmente dall'eparina, che svolge
attività anticoagulante (inibendo la formazione della C3-convertasi), dal
condroitinsolfato e dal dermatansolfato.
I
mediatori membrano-derivati sono costituiti soprattutto da metaboliti dell'acido
arachidonico (fig.02
Per
quanto riguarda i composti della via ciclo-ossigenasica, si producono
soprattutto PGD2, ad attività broncocostruttrice, mentre, per i composti della
via lipossigenasica, il leucotriene B4 (LTB4) svolge una potente azione
chemiotattica ed i leucotrieni C4, D4 ed E4 possiedono un effetto contratturante
sulla muscolatura liscia bronchiale varie centinaia di volte superiore a quello
dell'istamina. Attualmente, quella che un tempo veniva denominata "sostanza
a reazione lenta" (SRS-A) viene identificata come una miscela di LTC4, LTD4
e LTE4. Nella patenogenesi dell'asma bronchiale questi sulfidopeptidoleucotrieni
svolgono un ruolo di estrema importanza, tanto più che all'azione
broncocostrittrice si associano altre azioni, quali l'aumento della
permeabilità capillare, l'azione chemiotattica, l'azione ostacolante sulla
"clearance" muco-ciliare e l'azione diretta sugli "irritant
receptors" vagali. A differenza dell'istamina, che provoca delle reazioni
di tipo immediato, i metaboliti dell'acido arachidonico producono reazioni
tardive, che iniziano più lentamente e che persistono per un lungo periodo di
tempo.
Un
altro mediatore membrano-derivato è il fattore attivante piastrinico (PAF), un
fosfolipide attualmente anche denominato AGEPC (alchil-gliceril-eterfosforilcolina),
che induce aggregazione piastrinica e successiva liberazione di amine
piastriniche (soprattutto serotonina). Negli ultimi anni sono state accertate
altre attività biologiche del PAF: di particolare rilievo sono, oltre al
potente effetto contratturante sulla muscolatura liscia bronchiale, il
reclutamento e l'attivazione di eosinofili e di neutrofili; il PAF, inoltre,
stimola la secrezione di LTC4 e di perossidasi dagli eosinofili.
Recentemente
si è pervenuti ad importanti acquisizioni sulle correlazioni tra singoli
mediatori ed alterazioni fisiopatologiche riscontrabili nell'asma bronchiale (tab.02
-il
ruolo predominante nello spasmo della muscolatura liscia bronchiale è sostenuto
dai leucotrieni, dal trombossano, dal PAF e dall'adenosina;
-che
l'edema della mucosa bronchiale è determinato prevalentemente dall'istamina,
dai leucotrieni, dalle prostaglandine e dalle chinine;
-che
l'infiltrazione di cellule infiammatorie delle mucose e sottomucose è
attribuibile in prevalenza ad alcuni fattori chemiotattici, come l'ECF, il NCF,
l'LTB4, il PAF, oltre che ad alcune citochine;
-che
l'ipersecrezione mucosa è indotta soprattutto dall'istamina, dai leucotrieni e
da un fattore di derivazione macrofagica (MMS = fattore macrofagico stimolante
la secrezione di muco);
-che
la desquamazione epiteliale e l'ispessimento della membrana basale conseguono
all'azione di enzimi proteolitici, di proteine ad azione tossica, di citochine e
di radicali dell'ossigeno.
Dati
clinici e sperimentali suggeriscono che le componenti cellulari ed i relativi
mediatori che intervengono nei singoli casi di asma bronchiale siano
estremamente variabili in rapporto con lo stadio e con la gravità della
sindrome asmatica.
I
mediatori liberati o prodotti nel corso di una reazione IgE-mediata possono
indurre alterazioni di tipo francamente flogistico, anche protratte nel tempo,
dovute all'infiltrazione di neutrofili, eosinofili e cellule mononucleate, per
l'azione dei mediatori ad azione chemiotattica.
Gli
eventi associati all'attivazione mastocitari posson essere, infatti, distinti
secondo Kay (1983-1990), in tre fasi (fig.03
-fase
immediata, determinata dall'istamina, dalla PGD2 e dai leucotrieni LTC4, LTD4 e
LTE4;
-fase
tardiva, che compare dopo ore e si risolve anche dopo giorni, dovuta
all'infiltrazione neutrofila, per azione di vari fattori chemiotattici (LTB4,
NCF);
-fase
flogistica, subacuta o cronica, che compare dopo ore ed è dovuta essenzialmente
ad un'infiltrazione da parte di eosinofili e monociti, richiamati dall'ECF e dal
LTB4.
Le
reazioni tardive (LPR = Late Phase Reactions) sono, quindi, responsabili della
flogosi allergica, che in alcuni casi di asma bronchiale è particolarmente
intensa.
Deve
essere considerata, inoltre, l'azione dei mediatori secondari, di origine
cellulare od extra-cellulare, per cui il processo conseguente ad uno stimolo
primario si mantiene con meccanismo autonomo.
Infine,
va tenuto presente il ruolo dei neuropepiidi, cioè di peptidi che fungono da
neurotrasmettitori, in grado di inviare segnali non soltanto tra cellule nervose
ma anche tra cellule nervose ed altri elementi cellulari, per cui si comportano
come neuromediatori. Ad esempio, la sostanza P facilita la degranulazione
mastocitaria, mentre il VIP (Vasoactive Intestinal Polypoptide) svolge un'azione
di segno opposto.
Nella
flogosi allergica dell'asma bronchiale un ruolo di notevole importanza è
sostenuto dai linfociti T e dalle linfochine.
Per
quanto riguarda i linfociti T, nell'asma acuto si ritrovano significativamente
aumentati i linfociti con recettori
per il IL-2 e HLA-DR e si riscontra un aumento dell'attività chemiotattica per
i neutrofili derivata dai linfociti (apparentemente distinta da IL-1, IL-2 ed
IFN-g).
Nella
fase della flogosi allergica, inoltre, i linfociti T allergene-specifici possono
andare incontro ad una riattivazione, con liberazione di interleuchine e di
altre sostanze biologicamente attive, in grado di protrarre la flogosi tessutale
e di scatenare una iperreattività tessutale aspecifica. Oltre all'azione
diretta delle interleuchine, in precedenza ricordata, gli effetti della
riattivazione dei linfociti T si esplicano con un'azione chemiotattica sugli
eosinofili (ad opera di IL-5) e sui neutrofili (ad opera di IL-8),
un'attivazione dei macrofagi alveolari (ad opera di IL-4, IFN-gamma e IFN-alfa),
un potenziamento della liberazione di istamina (per azione di IL-3 e IL-4) e,
infine, anche alterazioni epiteliali (basti ricordare che l'IFN-gamma provoca
alterazioni delle "giunzioni strette" dell'epitelio bronchiale).
Nel
complesso "network" delle reazioni immunitarie che intervengono
nell'asma bronchiale un ruolo di primo piano spetta alle interleuchine (citochine),
fattori solubili prodotti dalle cellule immunocompetenti, che agiscono come
immunotrasmettitori, in quanto trasmettono segnali di crescita e di
differenziazione ai diversi tipi cellulari. Basti pensare che l'interleuchina 4
(IL-4), secreta dai linfociti T attivati (ma anche da alcune linee di mastociti
e di linfociti B) facilita la produzione di IgE, oltre ad agire come fattore di
crescita e di differenziazione dei macrofagi e delle piastrine, insieme all'interluchina
6 (IL6). In merito alle altre citochine, l'intreluchina 3 (IL3) è soprattutto
un fattore di crescita per mastociti e monociti, mentre l'interluchina 5 (IL5)
facilita la proliferazione e l'attivazione degli eosinofili (fig.04
Il
reclutamento, la proliferazione e l'attivazione ad opera delle interluchine
T-derivate contribuiscono in maniera essenziale alla persistenza dell'immunoflogosi.
Tra
l'altro, l'IL-3 può produrre una riattivazione mastocitaria, indotta anche dai
mediatori liberati dalle cellule dell'infiltrato immunoflogistico.
Deve
essere ancora ricordato che fattori liberatori di istamina (HRFs = Histamine
Releasing Factors) vengono rilasciati, ad esempio, dai linfociti T e B, dai
macrofagi, dalle piastrine, dai neutrofili e dagli eosinofili.
Sono
poi da considerare i rapporti tra flogosi allergica e disregolazione
neurovegetativa, per l'esistenza di numerosi neurotrasmettitori, alcuni dei
quali possono indurre riattivazione mastocitaria e successiva nuova liberazione
di mediatori, per cui viene a stabilirsi un complesso circolo vizioso. Tra i
neuropeptidi che possono amplificare la flogosi allergica si ricordano, in
particolare, le neurochinine A e B (NKA e NKB), il peptide correlato con il gene
della calcitonina (CGRP) e la sostanza P (SP). Va altresì segnalato che nella
flogosi allergica sussiste una diminuita produzione di encefalinasi, capace di
scindere i neuropeptidi.
In
merito all'attivazione di vari elementi cellulari che interviene delle sindromi
asmatiche IgE-mediate, studi molto recenti hanno dimostrato la possibilità di
un'attivazione degli eosinofili, dei macrofagi e delle piastrine, che possiedono
recettori a bassa affinità per le IgE (Fce RII).
In
particolare, è stata studiata l'attivazione degli eosinofili ed è stata anche
dimostrata l'esistenza di una sottopopolazione di eosinofili ipodensi e
parzialmente degranulati, cioè in stato di attivazione [si ricorda che nei
granuli degli eosinofili sono contenute proteine dotate di notevole
citotossicità, come la proteina basica maggiore (MBP) e la proteina cationica (ECP),
oltre a diversi enzimi].
Nel
liquido di lavaggio bronchiale (BAL) di pazienti asmatici l'aumento percentuale
di eosinofili ipodensi e di mastociti degranulati costituisce il profilo
citologico di più frequente riscontro; tra l'altro, la cellularità riscontrata
nel BAL corrisponde quasi esattamente a quella osservabile nei prelievi bioptici.
Dopo
test di provocazione con l'allergene specifico si osserva nel BAL, dopo 48 ore,
un notevole incremento percentuale di eosinofili, neutrofili e linfociti T; dopo
4 giorni la percentuale di eosinofili e linfociti persiste elevata, mentre
l'infiltrazione neutrofila scompare. Queste osservazioni, insieme a numerose
altre, fanno ritenere che il ruolo degli eosinofili nella patogenesi dell'asma
bronchiale sia senz'altro di primo piano.
Analogamente,
è stata dimostrata la possibilità di un'attivazione delle piastrine,
dimostrabile "in vitro", in presenza dell'allergene specifico,
mediante un aumento della chemiluminescenza. Per quanto riguarda i mediatori
piastrinici, un ruolo di notevole importanza nell'asma bronchiale è svolto dai
radicali liberi dell'ossigeno, dotati di notevole citotossicità.
Un'attivazione
dei macroiagi è stata dimostrata, in particolare, sui macrofagi alveolari
ottenuti con la tecnica del BAL. Dai macrofagi attivati vengono liberati, tra
gli altri, enzimi, PAF, leucotrieni e prodotti intermedi della via
lipossigenasica e radicali liberi dell'ossigeno.
Le
lesioni epiteliali causate dall'immunoflogosi assumono un'importanza
fondamentale nel mantenimento delle reazioni asmatiche tardive e
nell'instaurarsi di una broncoreattività aspecifica.
Un'azione
citolesiva diretta sulle cellule epitelialiviene svolta anche dai mediatori
secondari prodotti dalle cellule dell'infiltrato immunoflogistico (neutrofili,
eosinofili ecc.); tra questi mediatori, particolare importanza rivestono l'elastasi
e la proteina basica maggiore eosinofiloderivata.
Le
lesioni dell'epitelio bronchiale, in corrispondenza delle "tight junctions",
provocano esposizione dei recettori neuro-sensoriali ed abbassamento della
soglia di irritazione dei recettori stessi; inoltre, si osservano un aumento
delle secrezioni ghiandolari, una diminuzione della "clearance"
muco-ciliare ed una diminuzione del fattore epiteliale ad azione rilassante
sulla muscolatura liscia bronchiale.
Infine,
deve essere ricordato che i vari mediatori che danno luogo alla flogosi
allergica sono in grado di stimolare anche la proliferazione fibroblastica e,
successivamente, la secrezione di collageno, con conseguenti lesioni a lungo
termine, che intervengono dopo ripetuti episodi di immunoflogosi.
In
conclusione, bisogna sottolineare che, per quanto le reazioni tardive siano
conosciute da tempo, soltanto negli ultimi anni si è giunti alla dimostrazione
che esse sono reazioni IgE-dipendenti.
Numerose
indagini hanno posto in evidenza che le reazioni tardive e la flogosi delle vie
aeree sono in grado di aumentare la reattività bronchiale; soprattutto, è
stato dimostrato che le reazioni di tipo tardivo, e non quelle di tipo
immediato, sono quelle che corrispondono più strettamente alla sintomatologia
che si osserva nell'asma bronchiale: ad esempio, le reazioni "late"
provocate nell'asmatico dopo inalazione di allergene sono associate ad un
incremento della risposta bronchiale all'istamina ed alla metacolina, mentre le
reazioni di tipo immediato non conducono ad un analogo aumento della reattività
aspecifica.
Infatti,
le reazioni bronchiali di tipo immediato sono caratterizzate clinicamente da
crisi acute di asma bronchiale, conseguenti all'esposizione all'allergene
specifico; si risolvono spontaneamente e la loro reversibilità è pronta e
completa. Le alterazioni fisiopatologiche comprendono l'edema della mucosa, lo
spasmo della muscolatura liscia e l'ipersecrezione mucosa.
Le
reazioni di tipo tardivo, correlate con la flogosi, insorgono, invece, dopo un
discreto intervallo di tempo (4-8 ore) dall'esposizione allergenica e possono
prolungarsi nel tempo, essendo caratterizzate da particolari alterazioni
fisiopatologiche di tipo flogistico (ostruzione delle vie bronchiali ad opera di
tappi di muco, presenza costante di infiltrati cellulari, desquamazione
epiteliale ecc.).
La
broncoreattività specifica può essere messa in evidenza, clinicamente, con i
test di provocazione bronchiale con l'allergene cui il paziente è sensibile.
Negli
ultimi anni, sulla base di numerose indagini cliniche e sperimentali, ha assunto
sempre maggior consistenza l'orientamento, secondo il quale i meccanismi
immunologici non possono essere considerati in ogni caso elementi patogenetici
fondamentali dell'asma bronchiale.
È stato, infatti, dimostrato che vari fattori, costituzionali od
acquisiti, soprattutto flogistici, sono in grado di determinare, senza il
concorso di anticorpi, una abnorme capacità di reazione dei tessuti bronchiali.
Tale particolare situazione, denominata broncoreattività aspecifica, già molti
anni or sono era stata considerata da Tiffeneau (1959) il substrato patologico
fondamentale dell'asma bronchiale.
Soltanto
da pochi anni, peraltro, si è reso possibile un approfondimento sulla natura
della broncoreattività aspecifica, che può essere sostenuta da fattori
diversi, che vengono schematicamente esposti nella tab.03
Per
quanto concerne lo squilibrio della regolazione nervosa della broncomotilità,
è nota da tempo l'esistenza negli asmatici di un'iperattività vagale. Negli
ultimi anni è stato dimostrato che, nella sezione afferente vagale, si
riscontra una riduzione della soglia dei recettori di irritazione; nelle vie
vagali efferenti, invece, si registra un'esaltata risposta dei recettori
muscarinici M1, dovuta ad un aumento del loro numero e/o della loro
sensibilità, mentre si ipotizza un difetto dei recettori muscarinici M2 che
inibiscono la liberazione di acetilcolina, quindi, la broncocostrizione vagale
riflessa.
In
merito al deficit dei recettori beta2adrenergici, trasmesso geneticamente o
prodotto da fattori esogeni, soprattutto di natura infettiva virale, deve essere
ricordato che in alcuni casi di asma bronchiale è stata dimostrata la presenza
di autoanticorpi anti-beta2 recettori.
Sulla
base di alcune indagini sperimentali è stata inoltre prospettata l'esistenza di
alterazioni del sistema non-adrenergico/non-colinergico (NANC), con
sbilanciamento dei rapporti tra neuropepudi ad azione broncodilatatrice (VIP,
peptide istidina-isoleucina) e neuropeptidi ad azione broncocostrittrice
(sostanza P e tachichinine). Deve essere considerato, in proposito, che
nell'apparato respiratorio giungono numerosi peptidi circolanti (chinine,
encefaline, angiotensina I, polipoptide atriale natriuretico ecc.), prodotti
anche in sedi lontane, che potrebbero dar luogo ad una disregolazione del
sistema.
Negli
asmatici può sussistere anche uno squilibrio della regolazione chimica del tono
broncomotore, soprattutto per uno sbilanciamento dei derivati dell'acido
arachidonico, ad attività broncocostrittrice (PGF2a, PGD2, trombossani, LTC4,
LTD4 e LTE4) e broncodilatatrice (PGE1, PGE2, PGI).
Uno
sbilanciamento del sistema degli eicosanoidi si verifica, ad esempio, nel
cosiddetto "asma da aspirina" (od asma da analgesici), che insorge nel
15-20% dei pazienti asmatici dopo ingestione di acido acetilsalicilico o di vari
antiflogistici non steroidei. Questi farmaci hanno in comune la capacità di
inibire la cicloossigenasi, provocando uno "shifting" del sistema
verso la via della lipossigenasi, con maggior produzione di composti intermedi e
di leucotrieni, a spiccata azione broncocostrittrice.
Risulta
poi indubbio che una instabilità mastocitana, con facilitata liberazione di
mediatori, costituisca uno dei principali fattori della broncoreattività
aspecifica. Deve essere segnalato che un'attivazione mastocitaria, oltre ad
essere IgE-mediata, può essere prodotta con vari altri meccanismi immunologici,
oltre che con meccanismi extra-immunologici (tab.04
Altri
fattori patogenetici della broncoreattività aspecifica sono rappresentati dalle
alterazioni delle strutture epiteliali, mucose e sottomucose bronchiali, sempre
presenti negli asmatici, indipendentemente dagli stimoli diversi (allergici,
infettivi ecc.) che le hanno prodotte.
Infatti,
in tutte le forme di asma bronchiale, in misura maggiore o minore a seconda dei
vari elementi etiopatogenetici, i reperti istologici (bioptici od autoptici)
permettono di dimostrare:
a)diminuzione
del numero delle ciglia vibratili (fino al cosiddetto "epitelio
calvo");
b)diminuzione
della "clearance" mucociliare e, quindi, della velocità di trasporto
del muco;
c)aumento
della produzione di muco, per incremento delle cellule caliciformi e per
iperplasia delle ghiandole sottomucose;
d)variazioni
delle proprietà visco-elastiche del muco, che diviene molto più vischioso per
diminuzione del contenuto in acqua e per un legame più stabile dell'acqua con
le glicoproteine;
e)edema
ed infiltrazione della mucosa, per azione di vari fattori chemiotattici.
È stato poi ipotizzato che negli asmatici esista un'alterazione
primitiva dei meccanismi di controllo della concentrazione del calcio, per cui
stimoli diversi, immunologici od extra-immunologici, sarebbero in grado di
indurre un'aumentata concentrazione di ioni calcio intracellulari, con
conseguente facilitata contrazione della muscolatura liscia bronchiale.
Per
quanto riguarda l'influenza sulla broncoreattività aspecifica di eventuali
anomalie della muscolatura liscia bronchiale, è stata avanzata l'ipotesi che
negli asmatici possa esservi uno "shifting" della muscolatura, dal
tipo "multiunità" al tipo "unità singola", con conseguente
aumentata attività contrattile spontanea ed una più elevata risposta ai
segnali di controllo neuro-muscolare.
È ormai, inoltre, dimostrato che la maggior parte dei fattori scatenanti
l'asma bronchiale agisce inizialmente attraverso squilibri iono-osmolari, come
nel caso dell'asma da esercizio fisico (aumento dell'osmolarità del liquido
periciliare in seguito alla perdita di acqua con l'iperventilazione) o dell'asma
da nebbia (diminuzione temporanea dell'osmolarità in corrispondenza del punto
di impatto delle particelle aerosoliche); a questo squilibrio iono-osmolare
farebbero poi seguito la stimolazione delle strutture sensoriali
tracheo-bronchiali (recettori di irritazione, fibre C) ed il rilascio di
mediatori dai mastociti intraluminali-intraepiteliali e dalle stesse cellule
epiteliali.
Negli
ultimi anni è risultata piuttosto sorprendente la dimostrazione che un farmaco
ad azione natriuretica, la furosemide, somministrata per via inalatoria (ma non
per via orale) è in grado di inibire o ridurre la broncocostrizione indotta da
stimoli diversi, specifici (allergeni) od aspecifici (esercizio fisico, nebbia
ultrasonica ecc.); viceversa, la furosemide per via inalatoria non esercita
alcun effetto preventivo sulla broncocostrizione a riposo o sulla
broncocostrizione indotta da metacolina (Bianco e Coll., 1988-1990).
Meno
accertati sono tuttora i meccanismi attraverso cui la furosemide svolge il suo
effetto protettivo. Il farmaco certamente inibisce il passaggio del cloro
dall'esterno all'interno, attraverso il meccanismo di cotrasporto Na-Cl sito
nella membrana baso-laterale delle cellule epiteliali, riducendo così la
secrezione di cloro e di sodio nel lume delle vie aeree.
L'alterazione
della composizione osmotica od ionica del liquido che bagna le cellule
epiteliali potrebbe inibire o ridurre la liberazione di mediatori mastocitari;
un'altra ipotesi è che la furosemide determini la liberazione di prostaglandine
ad azione broncodilatatrice dall'epitelio delle vie respiratorie, analogamente a
quanto è stato dimostrato per l'endotelio vascolare.
Uno
dei problemi più discussi è se la reattività bronchiale aspecifica (RBA) sia
geneticamente trasmessa ovvero acquisita.
A
favore dell'esistenza di fattori genetici della RBA stanno i seguenti dati:
a)una
RBA si riscontra nel 50% circa dei genitori sani ed in una discreta percentuale
dei familiari di primo grado di pazienti asmatici, mentre è dimostrabile
soltanto nel 10-15% della popolazione generale;
b)la
concordanza per RBA appare significativamente più alta nei gemelli monozigoti
rispetto ai dizigoti, anche se sono riportati in letteratura dati discordanti;
c)in
alcune specie animali esistono ceppi predisposti alla RBA.
Comunque,
i dati a disposizione sembrano indicare che si eredita soltanto la tendenza allo
sviluppo della RBA, per la cui estrinsecazione occorrono adeguati esogeni.
Invece,
a favore dell'esistenza di fattori acquisiti nella genesi della RBA sono le
osservazioni sull'insorgenza di una RBA in soggetti:
a)con
pregressa virosi acuta delle vie respiratorie;
b)sottoposti
a vaccinazioni con virus attenuati;
c)esposti,
soprattutto per motivi professionali, a gas, polveri o sostanze irritanti
micromolecolari.
Numerosi
dati, clinici e sperimentali, dimostrano l'esistenza di stretti rapporti tra
reattività bronchiale specifica ed aspecifica:
1)in
modelli sperimentali di asma allergico la RBA aumenta parallelamente alla
sensibilizzazione allergica;
2)soggetti
con asma bronchiale allergico presentano una RBA nettamente maggiore rispetto ai
normali ed agli allergopatici con sola rinopatia;
3)nell'asma
allergico da pollini la RBA aumenta durante il periodo stagionale;
4)i
test di provocazione bronchiale specifici possono indurre un aumento della RBA,
spesso protratto per più mesi;
5)l'allontanamento
del paziente dall'esposizione all'allergene determina, spesso, un netto
miglioramento della RBA;
6)un
trattamento protratto con sodio cromoglicato può prevenire, nei pollinosici,
l'aumento stagionale della RBA;
7)l'immunoterapia
specifica provoca spesso una diminuzione della RBA;
8)le
reazioni IgE-mediate possono potenziare la RBA attraverso la flogosi allergica.
Quanto
ai meccanismi di interferenza, essi appaiono essenzialmente unidirezionali, in
quanto è soprattutto la broncoreattività specifica che influenza quella
aspecifica, per l'azione dei mediatori ad azione flogogena.
Come
dimostrato anche nell'asma sperimentale (nell'uomo ed in varie specie animali),
nella sindrome asmatica, in particolare in condizioni di flogosi, si verificano
essenzialmente tre distinte alterazioni fisiopatologiche, lo spasmo
bronchiolare, l'edema e l'ipersecrezione, che corrispondono ad altrettante
alterazioni degli elementi tessutali normali dei bronchi (muscolatura liscia,
vasi ed epitelio), ivi comprese le formazioni neurovegetative funzionalmente
collegate ed i recettori cellulari dei mediatori degli stimoli del sistema
autonomo.
Queste
diverse alterazioni fisiopatologiche intervengono, a seconda dei soggetti, in
diversa combinazione tra loro; nello stesso soggetto, inoltre, possono essere
variamente operanti da una crisi all'altra.
Nelle
forme ad inizio brusco, senza secrezione bronchiale, l'edema sembra assumere
un'importanza preminente, in associazione al bronchiolospasmo. Nelle forme,
invece, ad evoluzione più lenta, accompagnate sin dall'esordio da manifesti
fenomeni catarrali, è da ritenere predominante l'ipersecrezione; l'ostruzione
permanente, prodotta da zaffi di muco viscido, che talvolta occludono
completamente la maggior parte dei bronchioli, rappresenta il più comune
meccanismo patogenetico delle forme croniche di asma.
L'ostruzione
bronchiolare produce un aumento delle resistenze delle vie aeree al flusso,
dando luogo ad una insufficienza ventilatoria di tipo ostruttivo. Per vincere
questo aumento delle resistenze non sono più sufficienti le forze elastiche del
polmone e del torace, per cui entrano in funzione anche i muscoli respiratori,
soprattutto quelli espiratori.
Nei
primi stadi dell'asma bronchiale vi è un'iperventilazione compensatoria, che si
associa generalmente ad una lieve ipossiemia, talora con lieve ipocapnia. Sembra
paradossale che l'iperventilazione si associ ad ipossiemia, ma bisogna ricordare
che nell'asma bronchiale vi è una ventilazione ineguale, in quanto la
distribuzione dell'ostruzione bronchiolare è tutt'altro che uniforme, per cui
l'aria introdotta nell'inspirazione prende a preferenza le vie bronchiali in cui
incontra minore resistenza; ad esempio, i distretti polmonari inferiori
sovradistesi sono molto frequentemente poco ventilati.
Le
modificazioni compensatorie del circolo polmonare sono insufficienti, per cui si
verifica una maldistribuzione del flusso sanguigno, con conseguenti alterazioni
del rapporto ventilazione/perfusione, per cui la maggior parte degli alveoli
risulta poco ventilata e normalmente perfusa, quindi con diminuzione del
rapporto V/Q.
Si
verifica anche un aumento dello "spazio morto" fisiologico, costituito
dallo "spazio morto" anatomico e da quello alveolare: il primo rimane
immodificato, mentre aumenta nettamente il secondo, in quanto molti alveoli non
prendono parte agli scambi gassosi.
Altri
distretti polmonari, invece, possono essere, nello stesso paziente asmatico,
poco ventilati e poco perfusi, per cui il rapporto V/Q rimane quasi inalterato;
all'estremo opposto, anche se più raramente, si possono trovare distretti
polmonari discretamente ventilati e poco perfusi, quindi con aumentato rapporto
V/Q.
In
una evoluzione successiva, non più caratterizzata dall'iperventilazione,
numerosi bronchioli divengono completamente ostruiti, per cui molti distretti
alveolari non prendono parte agli scambi gassosi; si accresce il lavoro elastico
della respirazione, diminuisce il volume corrente e diminuiscono anche, malgrado
l'aumentata frequenza degli atti respiratori, la ventilazione/minuto e la
ventilazione alveolare.
Infine,
nello stato di male asmatico, in cui l'ostruzione delle vie aeree diviene ancora
più serrata, subentra una relativa ipoventilazione, con grave ipossiemia e
comparsa di ipercapnia. Poiché l'ipercapnia interviene spesso bruscamente, i
meccanismi omeostatici non sono in grado di compensare l'alterazione
dell'equilibrio acido-base, per cui si instaura una acidosi respiratoria
scompensata.
Si
viene in tal modo a creare un circolo vizioso, in quanto l'acidosi ipercapnica
peggiora la funzionalità respiratoria, provocando un aumento del tono della
muscolatura liscia bronchiale, un aumento delle secrezioni, una broncoplegia,
una diminuzione della sensibilità allo stimolo broncodilatante dei farmaci
beta2-agonisti.
La
persistenza di uno stato ipercapnico riduce anche la sensibilità dei centri
respiratori, che divengono meno eccitabili allo stimolo chimico rappresentato da
un aumento della PaCO2; in caso di ipercapnia elevata, infatti, lo stimolo
ipossiemico può divenire più importante dello stimolo ipercapnico nel
mantenimento della ventilazione. Ciò riveste grande importanza pratica, in
quanto una somministrazione inadeguata ed incontrollata di ossigeno sopprime lo
stimolo ipossiemico, determinando un'ulteriore riduzione della ventilazione ed
un ulteriore aumento della PaCO2.
L'acidosi
ipercapnica, in associazione alla grave ipossia, provoca inoltre notevoli
alterazioni dell'equilibrio idro-salino (ipoidratazione endocellulare, riduzione
del potassio intracellalare ecc.) ed a carico di pressoché tutti gli organi ed
apparati. Ad esempio, molteplici sono gli effetti sull'apparato
cardio-circolatorio (ipertensione arteriosa, tachicardia, aumento delle
resistenze del piccolo circolo ecc.); particolarmente importanti risultano anche
gli effetti sul sistema nervoso, che possono giungere, in casi eccezionali, fino
all'encefalopatia respiratoria.
In
questa sede, non risultando possibile una trattazione sistematica della clinica
dell'asma bronchiale, che, peraltro, presenta molti aspetti ben noti, come
quelli sintomatologici, ci si limiterà all'esposizione di alcuni aspetti di
più attuale interesse, anche da un punto di vista pratico.
Saranno,
pertanto, dapprima esposte alcune proposte di classificazione dell'asma
bronchiale in stadi od in gradi, in rapporto alla gravità del quadro clinico ed
alle alterazioni di alcuni parametri funzionali, per passare poi ad esaminare il
problema della reversibilità dell'ostruzione delle vie aeree.
Verranno
poi trattati, indipendentemente dall'asma clinico, alcuni aspetti dell'asma
preclinico e dell'asma post-clinico, asintomatici.
Sulla
base di quanto riferito nel paragrafo precedente, l'asma bronchiale può essere
distinto, secondo una classificazione personale (Serafini, 1969; Serafini e
Bonini, 1971), in relazione all'intensità della sintomatologia, nonché ai
risultati delle prove funzionali respiratorie e ad altri caratteri clinici, in:
-asma
di I grado (asma lievissimo od apparentemente asintomatico), che si osserva
quando il paziente presenta lievi crisi una o due volte all'anno, mentre è in
grado di svolgere il suo lavoro quasi con regolarità, se non regolarmente. In
questi casi il PEFR si aggira, in genere, intorno ai valori normali;
-asma
di II grado (asma lieve), quando il paziente soffre di crisi episodiche o
ricorrenti, che possono essere facilmente prevenute o controllate con i comuni
trattamenti. Durante gli attacchi il paziente è costretto a rimanere in casa ed
è incapace di svolgere, se non con difficoltà, qualsiasi lavoro;
nell'intervallo tra due crisi la sintomatologia risulta scarsa. In tali casi il
PEFR non scende di regola sotto i 300 l/min negli individui adulti di sesso
maschile;
-asma
di III grado (asma medio), quando le crisi sono frequenti e costringono il
paziente in poltrona od a letto, per cui necessita una continua assistenza
medica e le abitudini di vita appaiono considerevolmente alterate, con notevole
diminuzione dell'attività lavorativa. Nell'intervallo tra due crisi è sempre
presente una sintomatologia, seppur lieve. Il PEFR abitualmente varia tra 150 e
300 l/min;
-asma
di IV grado (asma grave), quando le crisi sono più intense e frequenti e non
recedono mai completamente. Il paziente è costretto a letto per parecchi mesi
l'anno e necessita di una quasi continua assistenza terapeutica. In tali casi,
durante i periodi di esacerbazione della sintomatologia, occorre subito iniziare
una terapia intensa; spesso si rende necessaria anche l'ospedalizzazione. Il
PEFR scende al di sotto di 150 l/min;
-asma
di V grado (stato di male asmatico), quando gli attacchi sono straordinariamente
gravi e frequenti, durano da uno a più giorni e non sono controllabili mediante
somministrazione di glicocorticoidi, broncodilatatori od altri farmaci. Si
rivela allora indispensabile il ricovero immediato in Centri con possibilità di
trattamento intensivo. In tali casi il PEFR scende al di sotto di 100 l/min.
Un
altro schema di classificazione dell'asma bronchiale, che ricalca il precedente,
prende in considerazione lo stato della ventilazione, i valori del PEFR, della
PaO2, della PaCO2 e del pH (tab.05
-I
stadio (asma asintomatico), quale si può osservare nei periodi intercritici in
pazienti che presentino una completa reversibilità della fenomenologia
broncostruttiva. I reperti obiettivi sono del tutto normali, così come nei
limiti della norma risultano essere tutti i test di funzionalità respiratoria;
-II
stadio (asma lieve), con crisi episodiche o ricorrenti di scarsa entità,
caratterizzate da una modesta iperventilazione e da modici segni di
broncospasmo, con lieve riduzione dei test funzionali (PEFR sempre superiore a
300 l/min) e con minime variazioni dei dati emogasanalitici (lievissima
riduzione della PaO2 e della PaCO2, quest'ultima a causa dell'iperventilazione);
-III
stadio (asma di media gravità), caratterizzato da una notevole diminuzione dei
valori di funzionalità respiratoria (con PEFR compreso tra 150 e 300 l/min), da
un'ipossiemia discreta (PaO2 compresa tra 55 e 75 mm Hg) e da una frequente
ipocapnia di grado variabile, legata all'iperventilazione, talora con modica
alcalosi respiratoria;
-IV
stadio (asma grave), non più caratterizzato dall'iperventilazione. La dispnea
intensa si accompagna ad una grave diminuzione dei valori funzionali (ad
esempio, PEFR compreso tra 100 e 150 l/min) e ad una notevole ipossiemia (PaO2
spesso inferiore a 50 mm Hg), mentre i valori della PaCO2 tendono ad aumentare.
I reperti obiettivi, per contro, possono essere estremamente scarsi (fino al
cosiddetto "silent chest"). Di estrema importanza è la valutazione
dei fattori di rischio (tachicardia superiore a 130 battiti/min, comparsa di
polso paradosso ecc.) e di determinati indici predittivi, il cui punto critico
("cross-over point") è costituito dall'incrocio tra la curva in
discesa della PaO2 e la curva in ascesa della PaCO2. Soltanto in tal modo è
possibile riconoscere tempestivamente la fase di pericolo ("danger
phase") che, se non adeguatamente trattata, può condurre ad uno stato di
male asmatico, potenzialmente fatale;
-V
stadio (stato di male asmatico), caratterizzato da grave ipossiemia ed
ipercapnia; poiché quest'ultima insorge spesso bruscamente, non intervengono in
tempo i meccanismi di compenso, per cui può instaurarsi un'acidosi respiratoria
scompensata, cui può associarsi un'acidosi metabolica. In questo stadio,
caratterizzato da una parziale refrattarietà ai broncodilatatori, la terapia
deve essere guidata da un monitoraggio continuo della funzionalità respiratoria
e soprattutto dei dati gasanalitici, ematochimici ed elettrocardiografici.
Deve
essere tenuto presente che una delle caratteristiche dell'asma bronchiale è
rappresentata dalla reversibilità dell'ostruzione delle vie aeree, centrali e
periferiche. Ciò corrisponde ad alcune definizioni, quanto mai sintetiche, che
si sono volute attribuire all'asma bronchiale: "malattia caratterizzata da
ampie variazioni, per brevi periodi di tempo, nella resistenza al flusso delle
vie aeree" (Scadding, 1976); "malattia ostruttiva reversibile delle
vie aeree" (Patty, 1978).
Si
possono distinguere (Serafini,1980) diverse forme di reversibilità:
-spontanea;
-provocata
da alcuni processi morbosi intercorrenti (epatiti virali, linfoma di Hodgkin,
processi febbrili ecc.);
-indotta
da farmaci comunemente impiegati nella terapia dell'asma bronchiale.
La
reversibilità può essere totale o parziale (in quest'ultimo caso, può essere
di entità diversa). In alcuni casi la reversibilità viene ottenuta facilmente
con gli agonisti beta2-adrenergici, quando lo spasmo è il principale meccanismo
operante; in altri casi, più numerosi, nei quali intervengono i meccanismi
della flogosi, la reversibilità si ottiene con difficoltà ed è necessario
somministrare, al fine di documentarla, glicocorticoidi ed altri medicamenti, in
dosi adeguate e per parecchi giorni, come noi proponemmo molti anni or sono
(Serafini e Di Nardo, 1955). Infatti, la reversibilità sarà di maggiore o
minore rilievo in rapporto alle più o meno spiccate alterazioni anatomiche
irreversibili delle strutture bronchiali.
I
pazienti potrebbero pertanto essere distinti in tre gruppi, secondo lo schema di
De Koch (1979):
1)pazienti
nei quali sono presenti episodi di broncostruzione totalmente reversibile delle
vie aeree, spontaneamente o dopo terapia;
2)pazienti
con ostruzione delle vie aeree parzialmente reversibile. In detti pazienti
concorrono una certa percentuale di ostruzione irreversibile ed un'altra che si
concreta in episodi di ostruzione reversibile;
3)pazienti
con broncostruzione irreversibile, con lesioni parenchimali e bronchiali e
minime variazioni spontanee od in risposta al trattamento.
La
distribuzione clinica dei pazienti affetti da sindrome broncostruttiva, secondo
il quadro che abbiamo avanti delineato, offre, oltre ad un'immagine più
aderente alla realtà clinico-funzionale dei singoli pazienti, anche una visione
dinamica dell'evoluzione di ogni singolo caso, con possibilità di progressivo
passaggio nel tempo da una situazione di broncostruzione reversibile ad una
irreversibile. Ai fini diagnostici è evidente l'enorme importanza che rivestono
al riguardo le prove di funzionalità respiratoria, intese a precisare la
situazione fisiopatologica del soggetto affetto da una sindrome broncostruttiva,
nonché il grado di reversibilità della stessa dopo opportuno trattamento
(beta2-agonisti, glicorticoidi ecc.), al
fine di raggiungere il massimo valore ("the best") della
reversibilità che è possibile ottenere nei singoli pazienti (Woolcock, 1989).
Il
fenomeno della reversibilità deve tener conto, evidentemente, degli elementi
patogenetici che hanno concorso a determinare l'ostruzione, e cioè l'edema
della mucosa, la contrazione della muscolatura liscia bronchiale e le
alterazioni delle secrezioni, ma deve considerare in particolare il processo
flogistico dovuto ai complessi meccanismi patogenetici, immunologici e non
immunologici, cui si è precedentemente accennato.
Da
un punto di vista pratico, in conclusione, il medico dovrà in ogni caso di asma
bronchiale proporsi di individuare la forma clinico-funzionale cui si trova di
fronte, e cioè se si tratti di broncostruzione reversibile (totale o parziale)
ovvero irreversibile.
Peraltro,
ai fini della clinica, è essenziale distinguere due possibilità (Serafini,
1980-1983):
1)i
"fast responders", nei quali una completa reversibilità
dell'ostruzione è rapidamente ottenuta già dopo pochi giorni di trattamento
adeguato;
2)gli
"slow responders", nei quali la reversibilità dell'asma è meno
pronta e spesso incompleta e può essere conseguita soltanto con un adeguato
trattamento, intenso e prolungato, con glicocorticoidi. In questi casi è da
ritenere che siano operanti reazioni flogistiche molto intense, di tipo
"late".
Per
una più appropriata valutazione va anche tenuto presente che la reversibilità,
come risulta dalle ricerche del nostro gruppo (Toccaceli e Coll., 1982), è
correlata all'età del paziente ed alla durata della malattia.
Per
quanto riguarda l'età dei pazienti, la reversibilità clinica e funzionale è
stata di circa il 90% nei soggetti al di sotto dei 40 anni, mentre in quelli al
di sopra di età più avanzata si è dimostrata nettamente minore (dal 38 al
50%).
Con
riferimento, poi, alla durata dell'asma, la reversibilità, clinica e
funzionale, è stata-e questo ci sembra un dato di eccezionale importanza-del
100% e del 90% rispettivamente, qualora la durata della malattia sia stata
minore di 2 anni, mentre la reversibilità è risultata progressivamente
diminuita, fino al 42%, con l'aumento della durata della malattia stessa.
A
prescindere dall'asma clinico, in questi ultimi tempi si è venuta delineando
una diversa possibilità, quella dell'esistenza di una situazione particolare,
prodromica della sindrome broncostruttiva più tipica, e cioè dell'asma
bronchiale. A questo stato, che potrebbe essere definito asma pre-clinico,
abbiamo dedicato e dedichiamo da tempo le nostre ricerche (Serafini, 1979-1988).
Il
campo di indagine è notevolmente esteso ed è rappresentato dallo stato
premorboso, che si può configurare nel complesso terreno costituzionale e nei
diversi fattori predisponenti, che consentono ai fattori "trigger" di
divenire operanti.
Su
questo stato pre-morboso stanno affiorando in questi ultimi anni alcune
acquisizioni di notevole interesse. I dati attualmente disponibili dimostrano
chiaramente che alcuni individui presentano alterazioni umorali (elevati livelli
sierici di IgE totali, positività dei test cutanei e/o del RAST ecc.) o
funzionali respiratorie (positività dei test di broncoreattività aspecifica
ecc.) caratteristiche dell'asma bronchiale ancor prima che questo si riveli, e
possono essere considerati pertanto come asmatici potenziali, ovvero in uno
stadio pre-clinico dell'asma bronchiale.
Poiché
talune evidenze possono precedere o, comunque, preannunciare la comparsa
dell'asma bronchiale, le abbiamo definite come "fattori di rischio",
che possono essere distinti in maggiori o minori.
Fattori
maggiori di rischio sono quei quadri clinici pre-asmatici che precedono l'asma
clinicamente manifesto (asma probabile).
La
comune osservazione clinica dimostra che in numerose malattie il successivo
svilupparsi di asma bronchiale è più frequente di quanto potrebbe verificarsi
per pura casualità. Tali affezioni, che sono da considerare quadri clinici
pre-asmatici, comprendono la rinopatia vasomotoria (allergica e non allergica),
la poliposi nasale, la dermatite atopica, la tracheobronchite spastica e le
infezioni bronchiali ricorrenti.
Ci
sia consentito, con riferimento alla rinopatia vasomotoria, ricordare alcuni
dati risultanti dalle indagini condotte dal nostro gruppo (Toccaceli
eColl., 1981) in uno studio retrospettivo su 1100 pazienti allergopatici
consecutivi. Su 555 asmatici, in ben 239-e cioè in una percentuale pari al
43,1%-il primo sintomo era stato rappresentato da una rinite. Un'ulteriore
analisi dei singoli fattori in grado di favorire l'insorgenza dell'asma nei
pazienti rinitici consentiva inoltre di documentare l'esistenza di un rischio
più accentuato nei soggetti di sesso femminile, con rinite perdurante da più
di 5 anni e con test cutanei positivi (soprattutto se con sensibilizzazione al
Dermatophagoides pteronyssinus). Un dato di notevole interesse è inoltre
emerso, nell'ambito della stessa indagine, dallo studio funzionale di un gruppo
di pazienti con rinite allergica alle Graminacee, seguiti per un periodo di 4
anni. Nonostante l'assenza di sintomatologia clinica e la normalità dei comuni
test spirometrici, in alcuni casi era possibile rilevare alterazioni della
conduttanza specifica (sGaw) e/o del MMEF 25/75% e del "closing
volume".
Tali
alterazioni apparivano ancora più marcate ed interessavano un maggior numero di
soggetti durante il periodo stagionale. In alcuni casi, inoltre, era presente
una risposta positiva al test da sforzo ed un'abnorme labilità bronchiale.
Fattori
minori di rischio comprendono quelle condizioni biologiche o funzionali che
possono essere seguite dal successivo svilupparsi dell'asma (asma possibile).
A
tale gruppo appartengono alcune anormalità di ordine immunologico, quali ad
esempio una positività isolata dei test cutanei e/o del RAST (allergia
latente), un deficit di IgA, un deficit di alcune sottoclassi linfocitarie T o
del sistema complementare ed alcune anormalità di ordine non immunologico,
quali ad esempio l'esistenza di una positività dei test di provocazione
bronchiale con metacolina, istamina o esercizio fisico ovvero l'esistenza di una
abnorme labilità bronchiale circadiana (Serafini e Bonini, 1979).
In
uno studio condotto da Bonini e Coll. (1980) su 79 soggetti apparentemente sani,
con o senza storia familiare di atopia, il 15 % dei soggetti con anamnesi
familiare positiva per atopia mostrarono una positività del RAST per alcuni
allergeni, pur in assenza di sintomi allergici; i soggetti con RAST positivo
avevano, inoltre, un più alto titolo di IgE totali sieriche rispetto ai
soggetti con RAST negativo. Ciò suggerisce il possibile valore predittivo della
determinazione delle IgE totali e specifiche.
Lo
studio della possibilità di considerare la positività del RAST come fattore
rischio per lo sviluppo di un'allergia clinica è stato condotto su 20 soggetti
apparentemente sani con RAST positivo. Dopo 2 anni di osservazione,3 dei 20
soggetti con storia familiare di atopia e RAST positivo svilupparono allergia
clinica, mentre nessuno dei 20 soggetti di controllo presentava alcuna malattia.
Tra
i fattori funzionali che possono essere considerati come fattori-rischio per
asma si può ricordare l'esistenza di una anormale iperreattività bronchiale,
dimostrata da differenti test di provocazione bronchiale (istamina, metacolina,
esercizio fisico ecc.).
Nell'ambito
della diagnosi pre-clinica dell'asma bronchiale un notevole rilievo riveste la
possibile rilevazione di markers genetici. Allo stato attuale delle conoscenze
si può affermare che non risulta una chiara ereditarietà delle "malattie
allergiche" o delle singole malattie (asma, eczema, rinite ecc.) e neanche
del tipo di sensibilizzazione, mentre sulla base degli studi condotti da Bonini
e Coll. (1983) su 100 coppie di gemelli atopici si può considerare indubbio che
esistono nell'asma bronchiale due fattori geneticamente determinati di maggior
rilievo.
Il
primo è rappresentato dalla tendenza a formare elevati livelli di IgE (e di
IgG4). Il tipo di sensibilizzazione presentata da un soggetto con tendenza a
formare elevati livelli di IgE specifiche dipenderà, invece, prevalentemente
dalle occasioni ambientali di esposizione agli allergeni. Vari Autori hanno
posto in evidenza l'importanza del rilievo di alti livelli di IgE nel sangue del
cordone ombelicale o nel siero nella prima settimana di vita. Studi prospettici
dimostrano che soggetti con alte IgE totali alla nascita presentano un elevato
rischio a manifestare allergia clinica durante i primi due anni di vita,
rispetto al resto della popolazione.
Il
secondo è costituito dalla tendenza a liberare con maggior facilità mediatori
da basofili e mastociti ("releasability") (Marone e Coll., 1986-1990).
L'effetto genetico sulla "releasability" dei basofili circolanti è,
peraltro, indipendente da quello sui livelli sierici di IgE.
Pur
essendo noti alcuni dati favorevoli ad una trasmissione genetica
dell'iperreattività bronchiale, essa appare molto spesso correlata a fattori
ambientali.
Tutti
i soggetti asmatici che abbiano sofferto periodi di asma clinico od anche che
abbiano presentato solo una volta un episodio asmatico, e che poi diventano
asintomatici, rientrano in questo gruppo (Serafini e Bonini, 1986).
Peraltro,
in tale evenienza soltanto ricerche molto accurate possono dimostrare se essi
siano ancora da considerare come asmatici, anche se asintomatici per un lungo
periodo di tempo, o se presentino qualche segno che possa essere utile ai fini
della prevenzione delle ricorrenze della malattia.
Differenti
prove possono essere usate per studiare la funzione ventilatoria degli asmatici
durante la remissione. Queste includono prove statiche, come la spirometria e la
pletismografia, e prove dinamiche come i test di provocazione bronchiale e le
ripetute misurazioni dell'ostruzione bronchiale.
La
maggior parte degli asmatici che sono stati studiati durante la remissione
presentavano, nonostante il valore normale del FEV1, ostruzioni bronchiali
subcliniche interessanti le grandi e le piccole vie aeree, come dimostrato da
anormali valori della conduttanza specifica /sGaw e/o del MMEF 25-75% e del
"closing volume" (Bonini e Coll., 1977). Anche i test di provocazione,
specifici ed aspecifici, sono spesso positivi negli asmatici asintomatici. Si
sono trovati il 43,7% di test da esercizio fisico positivi in una serie di
asmatici asintomatici per lungo periodo di tempo.
Le
variazioni circadiane dell'ostruzione bronchiale, di regola alte durante la fase
acuta dell'asma, sono spesso elevate anche durante il periodo di remissione.
È interessante notare che alcuni pazienti rinitici mostrano una elevata
labilità bronchiale (Bonini e Coll. 1980).
D'altra
parte, i reperti ottenuti dalle biopsie bronchiali o dal liquido di lavaggio
bronco-alveolare dimostrano l'esistenza di lesioni molto evidenti anche nelle
forme lievissime di asma bronchiale (asma in remissione), tali da far pensare ad
una flogosi bronchiale permanente.
La
precisazione, quando possibile, dei fattori etiologici e dei meccanismi
patogenetici che determinano l'insorgenza ed il mantenimento delle sindromi
asmatiche rappresenta la premessa indispensabile per una corretta impostazione
terapeutica.
Nei
casi di asma bronchiale in cui siano stati individuati i fattori etiologici
responsabili delle manifestazioni cliniche, vanno attuati quei provvedimenti che
consentono di attuare la cosiddetta terapia specifica.
Nel
trattamento delle sindromi asmatiche, inoltre, assumono notevole importanza i
provvedimenti terapeutici compresi sotto la generica espressione di terapia
aspecifica, che deve tener conto dei numerosi fattori che concorrono in varia
associazione al determinismo dell'affezione. In questa sede ci si limiterà ad
alcune precisazioni di carattere generale, rinviando per i dettagli al capitolo
dedicato alla terapia delle sindromi allergiche.
La
terapia specifica delle sindromi asmatiche ad etiopatogenesi allergica si attua
precipuamente con l'impiego di due metodi: l'eliminazione dell'esposizione agli
allergeni responsabili e l'immunoterapia specifica.
L'eliminazione
dell'esposizione agli allergeni responsabili della sensibilizzazione rappresenta
pur sempre, qualora realizzabile, il metodo di elezione. Purtroppo, essa risulta
attuabile in maniera completa soltanto in un numero limitato di casi e per
alcune categorie di allergeni da inalazione o da ingestione.
Nelle
sindromi asmatiche da Dermatofagoidi o da altri allergeni ambientali deve
essere, comunque, sempre consigliato ai pazienti di migliorare le condizioni
igieniche dell'abitazione, eliminando soprattutto vari ricettacoli di polvere.
Particolare attenzione deve essere rivolta agli effetti letterecci: materassi e
cuscini di lana o piume vanno eliminati e sostituiti con altri, ad esempio in
gommapiuma, da rinnovare frequentemente, anche ogni 2-3 anni.
È stato proposto anche l'uso di acaricidi per il trattamento di
materiali di imbottitura, tappeti e moquettes. In alcuni casi è anche utile la
quantificazione del contenuto in acari di determinati ambienti, attualmente
facilitata dall'impiego di semplici test colorimetrici, che si basano
sull'escrezione di prodotti azotati, sotto forma di guanina, da parte di
artropodi cheliferi, come i Dermatofagoidi.
Deve
essere altresì consigliato l'allontanamento di animali domestici, non soltanto
nei casi di pazienti con accertata ipersensibilità a derivati animali, ma in
tutti i casi di asma bronchiale. Infatti, i derivati animali possiedono un
elevato potere allergenico, per cui può venirsi a creare una nuova
sensibilizzazione; ancora, la polvere ambientale può facilmente essere
veicolata dagli animali, con conseguente maggiore esposizione dei pazienti.
Questi
semplici provvedimenti, in apparenza banali, risultano invece di estrema
importanza e possono condurre di per sé ad un sostanziale miglioramento clinico
nelle forme di asma bronchiale da allergeni ambientali e ad una riduzione della
broncoreattività specifica ed aspecifica, indipendentemente da ogni altro
trattamento, immunoterapico specifico o farmacologico (Platts Mills, 1988).
I
problemi risultano, ovviamente, più complessi nei casi di asma bronchiale
professionale, dovuti a sostanze presenti esclusivamente nell'ambiente di
lavoro; in tali casi può essere soltanto suggerito al paziente di cambiare
attività lavorativa o almeno, nel caso di lavorazioni industriali, di chiedere
di essere trasferito ad altro reparto lavorativo, in modo da evitare
l'esposizione diretta all'allergene.
L'immunoterapia
specifica (ITS), che consiste nella somministrazione di estratti allergenici
specifici per via sottocutanea a dosi progressivamente crescenti, consente di
ottenere ottimi risultati nella grande maggioranza dei casi di asma bronchiale
ad etiopatogenesi allergica, come documentato in maniera ineccepibile da
numerosi studi rigorosamente controllati (Serafini e Coll., 1980; Bousquet e
Coll., 1987).
Deve
essere ricordato che negli ultimi anni sono state proposte, oltre alla classica
via sottocutanea, vie alternative di somministrazione dell'ITS (orale,
sublinguale, inalatoria); per un giudizio definitivo su questi nuovi schemi di
ITS è necessario attendere i risultati di studi controllati e su vaste
casistiche.
L'indicazione
elettiva dell'ITS è rappresentata, infatti dalle sindromi allergiche
respiratorie da allergeni da inalazione, sostenute da reazioni IgE-mediate, la
cui diagnosi etiologica appaia documentata dalla positività dei test cutanei
e/o dei test sierologici per la dimostrazione di IgE specifiche, nelle quali la
concordanza di questi dati con quelli anamnestici assegni un indiscutibile
significato etiologico alla sintomatologia clinica presentata dal paziente.
L'ITS,
che deve essere considerata essenzialmente un trattamento a carattere
preventivo, va attuata nelle fasi di remissione della sintomatologia e deve
essere protratta per più anni consecutivi.
Di
particolare importanza appaiono alcune recenti osservazioni secondo cui viene
praticata con dosaggi sufficientemente elevati di estratti allergenici e
protratta per più anni, provoca la scomparsa od una netta riduzione delle
risposte tardive dopo test di provocazione specifico, oltre ad una frequente
riduzione della broncoreattività aspecifica.
I
meccanismi attraverso cui l'ITS agisce sono complessi e molteplici (produzione
di anticorpi bloccanti della classe IgG, diminuita sintesi di IgE specifiche,
progressiva iposensibilizzazione delle cellule-bersaglio ecc.) ed intervengono
in varia misura nei singoli casi. È
di comune riscontro, comunque, una riduzione della reattività bronchiale
specifica, dimostrabile mediante valutazione comparativa della soglia
allergenica necessaria per produrre una positività dei test ovvero dei livelli
dei diversi mediatori, che possono essere dosati nel liquido di lavaggio
bronchiale. La minore reattività cellulare nei confronti dell'allergene
specifico può essere anche valutata in vitro: ad esempio, nella maggior parte
dei pazienti trattati con ITS con risultati favorevoli si osserva una riduzione
della "releasability di mediatori, della proliferazione linfocitaria e
della produzione di linfochine indotte dall'allergene specifico. Anche
l'intensità delle positività dei test cutanei all'allergene specifico può
risultare diminuita dopo ITS, sebbene questi reperti non appaiano sempre
strettamente correlati al risultato clinico.
La
terapia farmacologica, che può essere impiegata anche come coadiuvante della
terapia specifica, deve essere rivolta essenzialmente a prevenire ed a
combattere la flogosi che, come riportato in precedenza, è alla base di tutte
le forme di asma bronchiale.
Oltre
alla terapia sintomatica ad azione broncodilatatrice, debbono essere attuate una
terapia antiflogistica ed una eventuale terapia collaterale, che vanno praticate
con vari farmaci e con modalità diverse nelle varie fasi dell'asma bronchiale,
come sarà esposto nell'ultimo paragrafo, che comprenderà alcuni schemi di
condotta terapeutica.
In
merito alla terapia sintomatica ad azione broncodilatrice, debbono essere presi
brevemente in esame gruppi diversi di farmaci: simpaticomimetici (beta2-agonisti
adrenergici), anticolinergici (antimuscarinici) e teofillinici.
I
simpaticomimetici possiedono vari effetti utili nel trattamento della crisi
asmatica acuta: infatti, oltre alla ben nota azione rilasciante sulla
muscolatura liscia bronchiale, stimolano la "clearance" muco-ciliare
e, attraverso l'aumento del cAMP cellulare, riducono la liberazione di mediatori
indotta da stimoli immunologici od extra-immunologici.
Tra
i beta2-agonisti adrenergici si ricordano il salbutamolo, il fenoterolo e, di
più recente disponibilità, il carbuterolo, il clenbuterolo, il procaterolo, il
pirbuterolo e il reproterolo. Sono stati già registrati o sono in fase avanzata
di sperimentazione clinica alcuni profarmaci (bitolterolo, ibuterolo,
bambuterolo, broxaterolo ecc.); i cui principi attivi vengono liberati ad opera
di enzimi esterasici a livello bronchiale, così da evitare la maggior parte
degli effetti collaterali legati alla stimolazione dei recettori adrenergici a
livello cardiaco e muscolare (tachicardia, tremori ecc.).
Tra
i beta2-agonisti di più recente sintesi, saranno presto disponibili il
salmeterolo ed il formoterolo, a cui lunga durata d'azione, in grado di
attenuare anche le reazioni asmatiche di tipo ritardato.
Per
quanto concerne la via di somministrazione, la via inalatoria deve essere
considerata elettiva, anche perché consente di ottenere risultati terapeutica
mente efficaci con dosi relativamente modeste di un farmaco, pressoché scevre
da effetti collaterali.
Nella
crisi asmatica acuta le dosi dei beta2-agonisti
per via inalatoria debbono essere largamente superiori a quelle abituali, in
quanto, oltre all'esistenza di una parziale refrattarietà dei beta2-recettori,
l'entità della broncodilatazione aumenta in rapporto lineare non con la dose
del beta2agonista ma con il suo logaritmo. Ad esempio, in una crisi asmatica
grave possono essere somministrate per via inalatoria dosi di 1000-2000 mcg di
fenoterolo ovvero di 500-1000 mcg di salbutamolo, cioè l'equivalente di 5-10
puff. I migliori risultati si ottengono somministrando l'intera dose del
beta2-agonista in maniera frazionata, ad esempio con due erogazioni per volta,
da ripetersi ad intervalli di 10-15 minuti in caso di necessità.
Un
problema di non trascurabile importanza è quello del frequente uso scorretto
degli erogatori dosati: infatti, a parte l'abuso, a volte smodato, che non pochi
pazienti ne fanno, con numerose erogazioni in rapida sequenza, si nota sovente
una mancanza di sincronismo tra erogazione ed inspirazione, con conseguente
deposizione del farmaco nell'orofaringe e sua successiva ingestione, la qual
cosa riduce gli effetti terapeutici validi. In alcuni casi è utile l'impiego di
"adattatori" interposti tra l'erogatore e la bocca del paziente;
queste "camere di nebulizzazione" non soltanto permettono l'ingresso
nell'albero tracheo-bronchiale di quantità sufficienti del farmaco anche in
caso di mancato sincronismo tra erogazione ed inspirazione ma trattengono
altresì le particelle aerosolizzate più grandi, che verrebbero altrimenti
ingerite o depositate sulla mucosa oro-faringea.
Per
via parenterale, soprattutto endovenosa, si possono raggiungere in brevissimo
tempo livelli ematici molto elevati e si ottengono quasi sempre, anche negli
stadi più avanzati dell'asma bronchiale, buoni effetti terapeutici. Tuttavia,
in considerazione degli effetti collaterali, in particolare di quelli
cardiostimolanti, aggravati spesso dalle particolari condizioni fisiopatologiche
del paziente (ipossiemia, acidosi respiratoria ecc.) e del contemporaneo impiego
di teofillinici, la somministrazione endovenosa di beta2-agonisti andrebbe
riservata agli ambienti ospedalieri, in cui sia possibile un monitoraggio della
funzionalità respiratoria e cardiocircolatoria.
Per
via orale i beta2-agonisti vengono assorbiti più lentamente, per cui l'azione
broncodilatatrice è piuttosto tardiva, anche se prolungata; inoltre, sono
necessarie dosi molto più elevate di quelle somministrate per via inalatoria,
con possibilità di più frequente insorgenza di fenomeni collaterali. Per
questi motivi, a nostro avviso, la via orale può trovare indicazioni, in
alternativa alla via inalatoria, soltanto nelle forme lievi di asma bronchiale e
nelle fasi intercritiche, quale terapia di mantenimento, per assicurare una
persistente riduzione del tono bronchiale.
L'impiego
degli anticolinergici nella terapia dell'asma bronchiale era stato limitato in
passato dai notevoli effetti collaterali; nell'ultimo decennio, però, sono
stati sintetizzati farmaci antimuscarinici (soprattutto l'ipratropium bromuro ma
anche l'oxitropium bromuro e la telenzepina), dotati di buona azione
broncodilatatrice e pressochè privi di effetti collaterali, in quanto agiscono
quasi esclusivamente a livello dei recettori M1.
Anche
secondo la nostra esperienza l'attività broncodilatatrice degli antimuscarinici
risulta inferiore e meno rapida rispetto a quella dei beta2-agonisti, anche se
più duratura. Per queste caratteristiche gli antimuscarinici sembrano più
idonei per un impiego nelle fasi intercritiche che per il trattamento della
crisi asmatica acuta.
Di
maggiore utilità, in questo senso, appaiono le associazioni precostituite di
antimuscarinici e beta2-agonisti, che svolgono anche un certo effetto sulla
broncoreattività aspecifica.
Gli
effetti terapeutici dei teofillinici sono legati essenzialmente al rilasciamento
della muscolatura liscia bronchiale e, in parte, alla riduzione della
liberazione di mediatori; entrambe queste azioni appaiono correlate
all'inibizione delle fosfodiesterasi, con conseguente aumento del cAMP
cellulare.Recenti indagini, comunque, sembrano dimostrare altre attività dei
teofillinici: un effetto sulla distribuzione intracellulare del calcio;
un'azione antagonista nei confronti di alcune prostaglandine; un'azione di
stimolo sulla liberazione di catecolamine endogene; un potenziamento
dell'attività dei beta2-agonisti; un effetto inibente sul cGMP; un'azione
antagonista sui recettori per l'adenosina; un effetto migliorativo sulla
contrattilità del diaframma.
Per
quanto riguarda la farmacodinamica e la farmacocinetica, è dimostrato che
l'azione broncodilatatrice è correlata alla concentrazione plasmatica di
teofillina, iniziando da concentrazioni di
5 mcg/ml e divenendo ottimale con valori di teofillinemia superiori a 10
mcg/ml. Va rilevato, però, che effetti collaterali da sovradosaggio (cefalea,
nausea, vomito, ipotensione arteriosa, tachicardia, comparsa di aritmie,
convulsioni ecc.) si osservano con valori di teofillinemia superiori a 20
mcg/ml. È dunque evidente
che, al fine di ottenere effetti terapeutici utili, in assenza di effetti
indesiderati, è necessario che la teofillinemia rimanga entro un
"range" compreso tra 10 e 20 mcg/ml.
Attualmente
si conosce che numerosi fattori sono, però, in grado di influenzare il
metabolismo della teofillina: una ridotta "clearance" si osserva,
infatti, in varie condizioni (prematurità od età avanzata, obesità,
epatopatie ecc.), mentre, all'inverso, un'aumentata "clearance" si
rileva nell'infanzia e nell'adolescenza, nei forti fumatori, nei soggetti a
diete povere di carboidrati ecc. Inoltre, può osservarsi un'ampia variabilità
individuale nella risposta al trattamento teofillinico. Tutto ciò concorre a
rendere indispensabile un monitoraggio dei livelli teofillinemici, al fine di
adeguare i dosaggi al singolo caso, fino a giungere ad un dosaggio
personalizzato.
Nelle
fasi acute delle sindromi broncostruttive si impiegano derivati solubili della
teofillina; la preparazione più largamente impiegata è l'aminofillina
(teofillina-etilendiamina), che contiene l'86% di teofillina. In merito alla via
di somministrazione, la via endovenosa rimane quella elettiva nelle fasi acute
delle sindromi asmatiche. La modalità più adeguata di somministrazione
consiste, a nostro parere, in un carico iniziale (5 mg/kg), per fleboclisi
rapida, della durata di 20 minuti circa, seguita da una dose di mantenimento in
fleboclisi lenta (0,9 mg/kg/h). Il calcolo del dosaggio da utilizzare nel
singolo paziente può essere facilmente eseguito con l'ausilio di un semplice
monogramma.
Una
volta superata la fase acuta, si può passare alla via orale, per continuare il
trattamento a scopo preventivo. La via orale, giudicata in passato poco
efficace, è stata invece recentemente rivalutata, soprattutto in seguito
all'introduzione in commercio di preparati di teofillina anidra a cessione
controllata, per i quali è sufficiente la somministrazione due volte e, per
alcuni farmaci, anche una sola volta al giorno. Il problema fondamentale del
trattamento con teofillinici per via orale è quello della tolleranza: infatti,
i dosaggi considerati necessari per raggiungere in fase di "steady
state" una teofillinemia compresa nel "range" terapeuticamente
utile sono, in genere, mal tollerati, con la comparsa di frequenti, anche se non
gravi, fenomeni indesiderati (disturbi dispeptici, tachicardia, cefalea ecc.).
Una
terapia antiflogistica preventiva, volta ad inibire (o ridurre) la liberazione
di mediatori si è resa possibile, negli ultimi decenni, mediante l'impiego del
sodio cromoglicato (SCG), un derivato della semne del cromom, sommmistrato per
via inalatoria, sotto forma di polvere micronizzata (60-80 mg/die, in 3-4
somministrazioni) od in aerosol pressurizzato (10 mg 4/die).
Del
tutto recentemente è stato sintetizzato un nuovo composto, il sodio nedocromile
(sale sodico dell'acido piranochinolindicarbossilico), che si è dimostrato
molto efficace nel prevenire le crisi asmatiche indotte da allergeni, esercizio
fisico, nebbia ultrasonica ed anche da anidride solforosa e da adenosina, su cui
il SCG esercita una scarsa azione preventiva. Tra l'altro, il farmaco previene
non soltanto la reazione asmatica di tipo immediato ma anche, seppure in grado
minore, l'eventuale reazione tardiva, svolgendo pertanto una spiccata azione
antiflogistica. Questo farmaco, inoltre, inibisce o riduce l'attivazione di vari
elementi cellulari (piastrine, eosinofili ecc.) provvisti di recettore a bassa
affinità per le IgE e la chemiotassi neutrofila ed eosinofila. In studi clinici
controllati il sodio nedocromile, somministrato per via inalatoria mediante
erogatore dosato pressurizzato (2 puff da 2 mg ogni 6 ore), ha mostrato un buon
effetto preventivo in tutte le forme di asma bronchiale, in assenza di effetti
collaterali.
Nell'ambito
di un trattamento preventivo possono essere presi in considerazione gli
antistaminici di sintesi. Quelli di prima generazione non si sono dimostrati in
grado (almeno nella specie umana, a differenza di quanto si è osservato in
alcuni animali da esperimento) di antagonizzare-gli effetti dell'istamina sulla
muscolatura liscia bronchiale.
Tra
gli antistaminici di seconda generazione, di largo impiego clinico è il
chetotifene, dotato non soltanto di attività antistaminica, ma anche di
attività stabilizzante la membrana mastocitaria e, in parte, di attività
anti-PAF, come documentato da varie indagini sperimentali. Il farmaco viene
somministrato per via orale e si dimostra spesso in grado di prevenire l'asma
bronchiale indotto da stimoli diversi, specifici ed aspecifici. Il trattamento
deve essere protratto per più settimane (l'unico effetto collaterale di rilievo
è rappresentato da un discreto effetto sedativo) prima di giudicare
sull'efficacia del farmaco.
Gli
antistaminici più recenti (loratadina, cetirizina ecc.) sembrano poter svolgere
un ruolo utile, soprattutto a scopo preventivo. Questi farmaci, infatti, oltre
ad essere dotati di un'ottima selettività nei confronti dei recettori H1 e ad
essere privi di attività sedativa, presentano i vantaggi di un assai rapido
inizio d'azione e di una lunga emivita, per cui può risultare sufficiente
un'unica somministrazione giornaliera. Oltre all'attività antistaminica, la
loratadina e la cetirizina esplicano un'azione inibente sul rilascio di istamina
e di vari altri mediatori, nonché sul reclutamento e sull'attivazione di
diversi elementi cellulari (eosinofili, neutrofili ecc).
Per
quanto riguarda i glicocorticoidi, è ben noto che i risultati terapeutici
indotti nell'asma bronchiale da questi ormonifarmaci sono da attribuire
essenzialmente alla loro attività antireattiva ed antiflogistica.
Essi,
infatti, oltre ad un'intensa azione antipermeabilizzante ed antiedemigena,
svolgono un'azione inibente sulla proliferazione e sulla migrazione di vari
elementi cellulari implicati nella risposta flogistica, esercitando anche un
effetto di stabilizzazione delle membrane cellulari e subcellulari, soprattutto
lisosomiali, con conseguente inibizione della liberazione di idrolasi acide, che
possono incrementare e prolungare la risposta flogistica.
Di
particolare importanza, per l'attività antiflogistica dei glicocorticoidi, è
l'inibizione della fosfolipasi A2 (PLA2), enzima che rappresenta un elemento
cruciale della risposta flogistica. Infatti, i glicocorticoidi, inibendo la
PLA2, determinano una minore disponibilità di acido arachidonico libero
precursore, prevenendo così la formazione di eicosanoidi (prostaglandine,
leucotrieni, trombossani), importanti mediatori della flogosi.
L'inibizione
della PLA2 da parte dei glicocorticoidi non è dovuta ad un effetto diretto
sull'enzima, ma dipende dalla capacità degli steroidi di indurre la formazione
di lipocortine, cioè di proteine ad effetto inibente sulla PLA2, che agiscono
come "secondo messaggero" dell'effetto antiflogistico dei
glicocorticoidi.
La
via elettiva di somministrazione dei glicocorticoidi nell'asma bronchiale è
quella inalatoria (2 puff di beclometasone dipropionato, flunisolide,
budesonide, fluticasone ecc. 3-4 volte al giorno), in quanto consente di portare
il farmaco direttamente a livello dell'organo bersaglio, cioè dell'albero
bronchiale, evitando la comparsa degli effetti legati alla somministrazione
sistemica.
Questo
trattamento topico, praticato regolarmente ed a dosi sufficientemente elevate,
appare in grado di modificare sostanzialmente il decorso dell'asma bronchiale,
senza produrre, almeno alle dosi comunemente impiegate, effetti collaterali
(l'unico effetto indesiderato di un certo rilievo è rappresentato, nei
trattamenti protratti, da una frequente candidosi del cavo orale).
Nelle
forme di asma bronchiale più gravi (stato di male asmatico e stadi più gravi
dell'asma, resistenti a qualsiasi altro presidio terapeutico) i glicocorticoidi
debbono essere, invece, somministrati per via generale, anche perché gli
steroidi per uso topico risultano inefficaci nell'attacco asmatico acuto, in
quanto, a causa dell'intensa ostruzione bronchiolare, non riescono a raggiungere
le vie aeree inferiori.
Per
quanto riguarda le modalità del trattamento con glicocorticoidi per uso
sistemico nell'asma bronchiale, bisogna preliminarmente distinguere i
trattamenti intensivi a breve termine ed i trattamenti a lungo termine.
Nel
trattamento intensivo a breve termine dell'attacco asmatico acuto i
glicocorticoidi debbono essere somministrati, a nostro parere, a dosi elevate
(ad esempio, 40-80 mg/die di metilprednisolone ovvero 8-12 mg/die di
betametasone in soggetti adulti ovvero, in età pediatrica, dosi equivalenti a
1-2 mg/kg/die di prednisone), frazionate nel corso della giornata,
preferibilmente per via parenterale.
Come
già accennato in precedenza, la remissione della crisi asmatica, con
reversibilità totale o parziale dei vari parametri di funzionalità
respiratoria, può intervenire con varie modalità: bruscamente, sin dalle prime
ore o dai primissimi giorni di trattamento ("fast responders");
gradualmente, nell'arco di alcuni giorni di trattamento ("slow
responders"); molto lentamente, dopo un periodo divari giorni in cui non si
rileva alcuna variazione dei parametri funzionali respiratori ("apparente
irreversibilità").
A
nostro avviso, le dosi elevate di glicocorticoidi vanno mantenute finché gli
indici di reversibilità continuino a migliorare, cioè fino a quando non si sia
raggiunta una stabilizzazione di questi indici, quale massimo grado di
reversibilità ottenibile nel singolo paziente in una determinata fase della
sindrome asmatica. Soltanto allora si potrà procedere ad una graduale riduzione
dei dosaggi, con somministrazione dei glicocorticoidi per via orale e secondo
schemi terapeutici basati sulle moderne acquisizioni della cronofarmacologia
(dose unica al mattino od a giorni alterni ecc.). La sospensione dei
glicocorticoidi per via generale potrà poi avvenire quando dosi molto ridotte,
equivalenti a l mg di betametasone a giorni alterni, si dimostrino sufficienti
ad assicurare una persistente remissione della sintomatologia.
Deve
essere ribadito che nelle crisi asmatiche gravi e nello stato di male asmatico,
potenzialmente fatali, i glicocorticoidi costituiscono "life-saving
drugs", cioè medicamenti in grado di salvare spesso la vita del paziente,
per cui il rapporto costi/benefici risulta nettamente a favore di questi
ormoni-farmaci, dovendo essere accettati anche gli effetti collaterali, i quali
peraltro appaiono modesti nei trattamenti a breve termine.
Sulla
base di questo principio, è evidente che la mancata somministrazione dei
glicocorticoidi nelle crisi gravi di asma bronchiale, ed anche la loro
somministrazione a dosi inadeguate, costituiscono gravi errori di omissione.
Nel
trattamento a lungo termine, da noi ritenuto non consigliabile e comunque da
attuare soltanto in casi assolutamente eccezionali e ben selezionati di pazienti
cortisono-dipendenti, debbono essere impiegate, invece, dosi modeste di
glicocorticoidi, generalmente per via orale, cioè le dosi minime sufficienti
per evitare riacutizzazioni della sindrome asmatica, al riparo da eccessivi
effetti collaterali. Inoltre, periodicamente, almeno una volta l'anno, deve
essere effettuato un tentativo di sospensione del trattamento steroideo.
Nella
terapia dell'asma bronchiale deve essere ricordato che gli asmatici
rappresentano un gruppo estremamente eterogeneo di pazienti, in cui si possono
riscontrare: a)diversi fattori scatenanti la crisi asmatica; b)una diversa
localizzazione dell'ostruzione delle vie aeree; c)un diverso grado di
reversibilità; d)una disposta ai vari farmaci; e)una diversa suscettibilità
alla comparsa di effetti collaterali causati dai singoli farmaci.
Da
questa premessa deriva la necessità pratica di attuare la terapia dell'asma
bronchiale con più farmaci a diverso meccanismo d'azione, in modo da realizzare
una vera e propria strategia terapeutica, personalizzata anche per quanto
riguarda il dosaggio di ciascun farmaco. Infatti, la terapia deve essere sempre
individualizzata e periodicamente modificata, nei singoli pazienti, in rapporto
all'evoluzione clinico-funzionale della sindrome broncostruttiva.
La
condotta terapeutica, in effetti, dovrebbe essere impostata non soltanto sulla
base dei dati clinici, ma anche sulla base di alcuni parametri funzionali. Ciò,
ovviamente, è più facilmente realizzabile in ambiente ospedaliero; in ogni
caso, comunque, alcune attrezzature semplici ed economiche, ma in grado di
fornire dati sufficientemente significativi (come gli spirometri portatili o gli
apparecchi per la rilevazione del picco di flusso espiratorio), sono alla
portata di ogni medico e degli stessi pazienti.
Pur
tenendo conto dei limiti sopra accennati, possono essere suggeriti i seguenti
schemi di condotta terapeutica:
1)nell'asma
asintomatico, cioè nelle fasi intercritiche della sindrome asmatica, deve
essere attuata una terapia preventiva, basata sull'immunoterapia specifica,
nelle forme in cui vi siano indicazioni a tale trattamento, e sulla
somministrazione di farmaci ad azione inibente sulla liberazione di mediatori
(sodio cromoglicato, nedocromile sodico ecc.). Inoltre, può risultare utile un
trattamento "longterm" con broncodilatatori, in modo da assicurar una
persistente riduzione del tono basale bronchiale; a questo scopo possono essere
impiegati teofillinici ad azione ritardo, qualora ben tollerati, od anche
beta2-agonisti, per via inalatoria o per via orale;
2)nell'asma
lieve è in genere sufficiente la somministrazione di beta2-agonisti (o di
associazioni con antimuscarinici) per via inalatoria o di glicocortzcoidi per
uso topico;
3)nell'asma
di media gravità il trattamento può essere iniziato con aminofillina in
fleboclisi continua; un'alternativa è costituita dalla somministrazione di
beta2agonisti e di glicocorticoidi per uso topico. Qualora non si riesca ad
ottenere lo sblocco della broncostruzione, è necessario instaurare un
trattamento con glicocorticoidi per via generale;
4)nell'asma
grave il trattamento elettivo è con glicocorticoidi ad alte dosi per via
generale, in associazione con aminofillina in fleboclisi continua. Di estrema
importanza, inoltre, è l'attuazione di una ossigenoterapia controllata, oltre
ad una terapia favorente l'eliminazione delle secrezionibronchiali
(idratazione,farmaci fluidificantiilmuco ecc.) ed aterapie collaterali
(antibiotici, cardiocinetici ecc.);
5)nello
stato di male asmatico uno schema di trattamento, che può essere modificato nei
singoli casi, comprende:
-glicocorticoidi
ad alte dosi, anche per via venosa in infusione continua;
-aminofillina,
in infusione continua, monitorando i livelli teofillinemici;
-beta2-agonisti
per via parenterale, anche in fleboclisi lenta, quando non esistano precise
controindicazioni (tachicardia intensa, aritmie ecc.) e sempre sotto controllo
gasanalitico ed elettrocardiografico;
-ossigenoterapia
controllata;
-rimozione
delle secrezioni bronchiali (anche con la bronco-aspirazione);
-terapia
antibiotica, mirata od a largo spettro, per combattere le frequenti
sovrapposizioni infettive;
-correzione
degli eventuali squilibri idro-elettrolitici (idratazione ecc.);
-correzione
dell'acidosi respiratoria e metabolica;
-cardiocinetici,
per combattere la frequente insufficienza cardio-circolatoria.
Quando
l'evoluzione clinica (documentata, ad esempio, dalla comparsa di segni di
encefalopatia respiratoria) ed i dati gasanalitici (ad esempio, aumento della
PaCO2 al di sopra di 60 mmHg) indichino che il paziente non riesce a superare il
periodo critico dell'insufficienza respiratoria acuta, si impone il suo
immediato trasferimento in Unità di Terapia intensiva, dove possa essere
praticata una ventilazione assistita.
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U.
SERAFINI
Professore
Emerito di Clinica Medica,
Università
“La Sapienza”, Roma
E.
ERRIGO
Professore
Associato di Allergologia e
Immunologia
Clinica,
Università
“La Sapienza”, Roma
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