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ARGOMENTI DI MEDICINA CLINICA
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Ultimo aggiornamento: 23.12.2013
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vedi anche I FARMACI DELL'EMERGENZA
In
realtà questa moderna terminologia è venuta a risolvere molti problemi che in
un passato, anche recente, sono stati causa di imprecisioni e di equivoci, che
non hanno poi mancato di riflettersi negativamente sul piano della pratica
clinica e delle precisazioni epidemiologiche, in rapporto alla tendenza di
estendere il riconoscimento della bronchite cronica e di attribuirne la
definizione a condizioni morbose di già acquisita fisionomia enfisematosa
(secondo gli orientamenti di alcuni Autori inglesi), o, viceversa, di
considerare enfisema una condizione di tipo bronchitico (secondo gli
orientamenti degli Autori americani). Non potevano, di certo, portare
chiarimento ai relativi problemi clinico-nosologici le definizioni che, in
qualificati consessi internazionali (OMS, Amer. Thoracic Society, Simposi Ciba),
erano state date alle due condizioni morbose-bronchite cronica ed enfisema-che,
ciascuna con peculiari connotazioni, meritano di far parte del capitolo delle
broncopneumopatie croniche ostruttive, ponendosi quasi ai due poli estremi di
esso.
Tali
definizioni, tuttora ritenute valide, recitano infatti:
-bronchite
cronica.Affezione respiratoria caratterizzata da persistente aumento delle
secrezioni bronchiali, con tosse ed espettorazione per almeno tre mesi l'anno e
da almeno due anni consecutivi, in assenza di lesioni tubercolari o
bronchiectasiche;
-enfisema
polmonare. Condizione patologica caratterizzata da abnorme permanente aumento
degli spazi aerei posti distalmente al bronchiolo terminale, con distruzione di
setti alveolari, in assenza di fibrosi.
È stato più volte notato, al riguardo, come ad una definizione ad
intonazione clinica e di agevole apprezzamento anamnestico - quale è quella
della bronchite cronica sia stata affiancata una definizione ad esclusiva
impronta anatomica - quale è quella attribuita all'enfisema- che, sul piano
clinico, o meglio clinicofunzionale, ha in comune con la bronchite cronica
(nella maggior parte delle sue forme) la compromissione delle correnti
espiratorie.
Questa
comune expiratory airpow obstruction, temporanea e ancora reversibile nella
bronchite cronica, permanente ed irreversibile nell'enfisema, giustifica la
appartenenza delle due condizioni morbose ad un medesimo aggruppamento
nosologico, nel quale esse, con alcune varianti di meno importante
significatività, si iscrivono quasi come due termini di una complessa vicenda
morbosa che dai settori prossimali delle vie aeree superiori (bronchite cronica)
può giungere ed investire quelli più distali, bronchioloalveolari (broncopneumopatia
cronica), determinandone il permanente ampliamento e la parziale distruzione
settale (enfisema), sul filo di una storia naturale, variamente protratta nel
tempo, che riconosce, all'origine, fattori etiologici comuni e comuni rischi di
malattia, concatenandosi poi con una serie di successivi fenomeni patogenici
attraverso i quali si perfeziona il dinamismo evolutivo delle broncopneumopatie
croniche ostruttive.
Non
è certo agevole ottenere esatte valutazioni quantitative sulla estensione, fra
le popolazioni, delle BPCO. È
generale convincimento che il loro numero, nei Paesi ad alto sviluppo
socio-economico, non solo è molto elevato, ma è anche in continuativo
incremento, traducendosi con cospicue cifre di morbosità, di invalidità, di
mortalità.
Negli
Stati Uniti d'America la prevalenza è indicata con cifre comprese tra 5,7% e
21% (1989) con netta concentrazione dei valori più elevati di morbosità nei
soggetti al di sopra dei 40 anni. Globalmente è calcolato che in questo Paese
siano annualmente presenti circa 10 milioni di individui con BPCO, di cui 7,5
milioni con bronchite cronica e 2,5 milioni con enfisema. Il 15% di questa massa
ha una limitazione nella attività lavorativa, con assenze dal lavoro per
7.580.000 giornate l'anno. 284.000 sono costretti a ricorrere al ricovero
ospedaliero con un totale di 2.184.000 giornate di degenza (National Center
Health Statistics). La mortalità incide con una cifra del 2,5% sulla
complessiva quota dei soggetti venuti a morte per qualunque causa.
In
Inghilterra la morbosità prevalente è del 7,1-17%, con un indice di mortalità
di 81,5 su 100.000 abitanti di sesso maschile e di 28 su 100.000 abitanti di
sesso femminile.
In
Italia le cifre di prevalenza sono comprese tra il 7 e il 10% (Viegi,1988; La
Vecchia, 1988). Negli anni '60 le prestazioni INAM per BPCO hanno fornito un
indice di 755 soggetti per 100.000 assistiti; tale quota ha raggiunto un valore
superiore a 1.100 per 100.000 negli anni '70. Non vi sono motivi per ritenere
che tali cifre siano diminuite, anzi è molto più probabile che siano
aumentate. Per quanto riguarda la mortalità l'Italia si trova in una posizione
intermedia e pressoché equidistante tra Paesi a mortalità molto elevata, quali
la Germania, l'Inghilterra, l'Irlanda, la Romania, e Paesi a mortalità più
bassa, quali la Danimarca, l'Olanda, la Francia, la Spagna: le cifre italiane
danno difatti un indice di mortalità per BPCO di 48 su 100.000 deceduti di
sesso maschile e di 20,9 su 100.000 deceduti di sesso femminile.
Le
entità morbose che fanno parte del gruppo delle BPCO (bronchite cronica e
varianti, enfisema polmonare cronico) sono etiologicamente accomunate da
identici fattori di rischio, essenzialmente di provenienza esogena che in
realtà configurano un rischio potenziale estrinseco, suscettibile di realizzare
un effettivo stato morboso in rapporto afattoriendogeni, di ordine generale e
locale, intrinsecamente legati al singolo individuo.
Il
fumo di sigaretta, con il suo carico di prodotti nocivi liberati dalla
combustione incompleta del tabacco, rappresenta, come ormai sancito in questi
ultimi decenni, l'elemento di più elevata responsabilità nella etiologia delle
BPCO. Ed indubbiamente, in tale responsabilità, il fumo di sigaretta incide in
misura molto più significativa rispetto al fumo di sigaro e/o di pipa.
Fondatamente
si ritiene che nel 75% dei casi di BPCO l'unico fattore esogeno di sicura
evidenza etiopatogenetica è rappresentato dal fumo di sigaretta, secondo un
diretto rapporto tra la quantità di sigarette fumate giornalmente (e
annualmente), il numero degli anni di consuetudine (e abuso) al fumo, la
precocità di inizio, con l'epoca di insorgenza, la persistenza, e la più o
meno rapida evolutività delle affezioni respiratorie di tipo ostruttivo.
Gli
effetti nocivi derivanti dai numerosissimi prodotti presenti nella fase gassosa
e nella fase corpuscolata del fumo vengono a corrispondere ad alcuni
paradigmatici aggruppamenti (Rosemberg):
-monossido
di carbonio, a diretta interferenza nel trasporto di ossigeno dalle correnti
ematiche ai tessuti;
-nicotina
e derivati, a prevalente bersaglio cardio-circolatorio e neurologico;
soprattutto responsabili della tabacco-dipendenza;
-ossidi
di azoto, formaldeide, acetaldeide, acroleina e derivati, chetoni, fenoli: in
parte responsabili di azione flogogena e di stimoli ipersecretivi sull'apparato
muco-secernente tracheobronchiale, in parte responsabili-quali radicali
ossidanti-di perturbamenti nella protezione antiproteasica e antiossidante del
polmone profondo;
-idrocarburi
aromatici policiclici (benzopirene, dibenzountracene ecc.) a comprovata azione
cancerogena;
-prodotti
additivi, impiegati nella manifatturazione delle sigarette (carta, aromi, ecc.)
ad azione irritante e tossica a vari livelli respiratori ed extra respiratori.
Di
recente, sia nei consessi scientifici, sia anche nei provvedimenti legislativi,
è stata portata l'attenzione anche sul fumatore passivo, innocente vittima del
fumo altrui, involontariamente esposto, negli ambienti domiciliari e lavorativi,
alle medesime nocività del fumatore attivo.
L'inquinamento
atmosferico rappresenta anche esso un sicuro elemento di rischio nei confronti
delle BPCO, sia come fattore isolato - ma, come tale, su posizioni di minor
rilievo rispetto al fumo di sigaretta-sia come fattore di associazione,
sinergicamente capace di inerementare il rischio potenziale del fumo e di
agevolarne il passaggio a rischio reale.
Gli
effetti nocivi dell'inquinamento ambientale si rendono evidenti, in particolare,
nei grandi agglomerati urbani, gravati da intenso traffico veicolare, e nelle
aree intensamente industrializzate. In tali sedi domina la incombente presenza -
a variabile concentrazione -dei "cinque grandi inquinanti": biossido
di zolfo, ossidi di azoto, monossido di carbonio, idrocarburi policiclici,
contaminanti corpuscolati (cui possono aggiungersi, a seconda delle varie fonti
di emissione: formaldeide e altri derivati aldeidici, tetraetile e tetrametile
di piombo, prodotti ammoniacali ecc.).
Tanto
il cosiddetto smog di Londra (di tipo riducente, carico di SO2 e di particelle
corpuscolate), quanto il cosiddetto smog di Los Angeles (di tipo ossidante,
ricco di ossidi di azoto, di aldeidi, di ozono, di idrocarburi) includono, negli
effetti a lungo termine, incrementi di affezioni respiratorie croniche, a
prevalente carattere ostruttivo (smog di Londra) o asmatico (smog di Los
Angeles) da cui, oltre gli adulti, non vanno esenti i soggetti nei primi decenni
di vita, specie se in ruolo di "fumatori passivi".
Le
nocività, al pari di quelle che possono emergere nello stesso ambiente
domestico, concretizzano indubbio significato di potenziale rischio, in ragione
degli elementi di ordine quantitativo e qualitativo del carico inquinante.
Fattori
secondari, anche se non trascurabili di rischio, sono quelli legati a condizioni
meteorologiche e climatiche e alle loro variabilità stagionali, essendo noto
che le basse temperature, la eccessiva ventosità, la persistente umidità
possono favorire, più che la diretta insorgenza, gli episodi di recrudescenza e
di riacutizzazione delle BPCO.
Su
diverso piano-tra i fattori esogeni-si pongono la infezione e la infezioni
ricorrenti, indotte da agenti microbici infettanti. Sono prevalentemente in
gioco agenti batterici più che virali, ed è infatti ormai assodato che, mentre
le bronchiti acute sono etiologicamente alle dipendenze di agenti infettanti di
prevalente tipo virale, da cui può poi essere incentivato il concorso
batterico, le broncopatie croniche, in generale, e le forme bronco e
broncopneumopatiche a carattere ostruttivo, sono originariamente legate alle
nocività esogene poc'anzi richiamate, variamente modulate da fattori endogeni
individuali, mentre in esse l'intervento di agenti microbici infettanti è
secondario, rivestendo il ruolo di fattore di aggravamento e di progressione
dello stato morboso.
Se
ne farà pertanto richiamo in un successivo paragrafo.
Ai
fattori esogeni ora elencati fanno da sfondo le condizioni socio-economiche,
individuali o collettive, di cui le espressioni più palesi sono date dalla
densità demografica, dagli agglomeramenti urbani, dalle condizioni domiciliari
di abitabilità, dai mezzi di riscaldamento nei luoghi di vita e di lavoro,
dalle distanze e dalle modalità di accesso ai posti di lavoro, dalle risorse
economiche.
Anche
questi elementi fanno parte, con differenziato e non sempre accertabile ruolo,
della costellazione dei fattori esogeni responsabili di BPCO.
Più
che causa diretta di malattia, i fattori endogeni rappresentano - nella
etiologia del BPCO-particolari condizioni e atteggiamenti generali e
loco-respiratori del singolo individuo, capaci di dare concreta realizzazione al
rischio esogeno potenziale e di favorire l'avvento dello stato morboso,
modulandone, nel tempo, le caratteristiche cliniche ed il dinamismo evolutivo.
Fra
i fattori endogeni di ordine generale vanno richiamati: gli stati di particolare
debilitazione organica, la coesistenza di altre condizioni morbose (diabete), la
familiarità, le possibili predisposizioni genetiche.
Per
quanto riguarda l'età, anche se i primi segni clinici abitualmente affiorano
nel quarto-quinto decennio di vita, essa, con l'avanzare degli anni, può spesso
accelerare il ritmo e la intensità degli episodi di riacutizzazione e lo
spostamento verso posizioni sempre più avanzate ed invalidanti, specie se i
trattamenti terapeutici non sono correttamente applicati. Anche le eventuali
pregresse infezioni respiratorie (della infanzia, della giovinezza) possono
costituire un non trascurabile fattore, capace di intaccare i meccanismi di
difesa respiratoria ed il patrimonio immunitario locale, di ordine umorale (IgA
secretorie) e cellulare (linfomonocitario).
Di
più importante significatività sono i fattori endogeni di ordine locale.
Possono, a questo riguardo, essere in causa:
-perturbamenti
nel patrimonio enzimatico delle vie respiratorie e del polmone profondo,pertanto
per carenze primitive o secondarie dei principi deputati alla difesa
antimicrobica, allo smaltimento e degradazione di prodotti nocivi, alla
protezione antiproteasica (lisozima, transferrina, esterasi, idrolasi,
perossidasi, alfa 1 antipsina ecc.), quanto, anche, per eccesso o accumulo di
elementi idonei ad esaltare la reattività bronchiale e di agevolare l'avvento
del broncospasmo;
-compromissioni
immunitarie locali: il polmone - come è noto - custodisce una immunità locale,
umorale (produzione di IgA secretorie) e cellulare (linfociti, macrofagi
alveolari) altamente qualificata, la cui integrità e la cui efficienza possono
venire menomate da motivi genetici (che, peraltro, condizionano sin dai primi
anni di vita rischi bronco e pneumopatici), o da eventi acquisiti (nocività
respiratorie, infezioni ricorrenti), facilitando, in particolare, l'avvento di
infezioni batteriche o virali, di successiva immissione;
-iperreattività
bronchiale, intesa come individuale atteggiamento delle vie aeree (specie di
quelle più distali) a rispondere con una più o meno marcata costrizione nei
confronti di stimoli aerogeni e non aerogeni specifici per i soggetti a impronta
atopica) o - più correntemente - aspecifici, di per sé quantitativamente
incapaci, nei soggetti normoreattivi, a risvegliare effetti broncocostrittivi.
Le
più probabili cause di esaltazione (primitiva o secondaria) della reattività
della muscolatura liscia bronchiale sono ascrivibili ad alterazioni del sistema
nervoso autonomo di innervazione, sotto la mediazione di differenziati
neuropeptidi capaci di indurre:
o
aumento della attività parasimpatica alfa adrenergica, con possibile incremento
anche di quella eccitatrice non colinergica (del sistema NANC); o decremento
della attività simpatica beta adrenergica, con possibile incremento anche di
quella inibitrice non adrenergica (del sistema NANC).
A
parte alcune situazioni soggettive, genetiche o costituzionali, di
iperreattività bronchiale, effettive esaltazioni possono provenire da stimoli
flogistici indotti da parte di sostanze irritanti (ozono e altri ossidanti), o
da agenti batterici e virali, episodicamente suscettibili di provocare
infiammazione delle vie aeree.
Indubbiamente
la iperreattività della muscolatura liscia bronchiale costituisce un importante
e determinante fattore locale per la origine e la evoluzione delle BPCO, e
numerose metodiche (di cui si farà più oltre cenno) sono state introdotte per
obbiettivarne e quantificarne la esistenza. Essa, peraltro, può essere già
preesistente allo stato broncopatico e agevolarne, quindi, sotto l'azione dei
fattori nocivi esogeni, la insorgenza; oppure può maturare secondariamente, per
effetto degli accennati stimoli flogistici, contribuendo al viraggio di una
broncopatia semplicemente secretiva in broncopatia francamente ostruttiva.
Notevolmente
complessi e tuttora oggetto di animata discussione sono i meccanismi
patogenetici che sono alla base della origine e del dinamismo evolutivo delle
BPCO. Fra di essi, legati fondamentalmente a fattori nervosi, cellulari,
umorali, occorre in particolare fare riferimento a quelli che più
significativamente improntano le vicende morbose, restando tra loro strettamente
concatenati: la flogosi, la ipersecrezione, la bronco-ostruzione, il
perturbamento nell'equilibrio enzimatico del polmone profondo.
La
flogosi riveste indubbiamente un ruolo patogenetico essenziale nello svolgimento
dei vari fenomeni morfo-funzionali delle BPCO, ponendosi come effettivo
capostipite dei successivi ingranaggi, pur assumendo, di volta in volta,
caratteristiche differenziate, in rapporto agli agenti determinanti e alle
capacità reattive bronchiali individuali.
Le
nocività respiratorie esogene, espresse - come già richiamato - da prodotti
chimici inorganici o organici, da cariche microbiche batteriche o virali, da
condizioni fisiche ambientali, agiscono da stimolo flogogeno sulle componenti
cellulari e tessutali delle vie respiratorie, con effetti primariamente
immediati (early phase) e con effetti di successivo inserimento (late phase).
Queste
fasi hanno come protagonisti gli elementi cellulari stabilmente fissi lungo le
vie aeree (cellule epiteliali ed endoteliali, mastociti, macrofagi alveolari,
fibroblasti) e quelli mobili, appositamente richiamati o reclutati dalle
correnti ematiche (neutrofili, eosinofili, basofili, linfociti, piastrine). La
loro accorsa, nei vari momenti del processo flogistico, determina, attraverso la
regolazione del sistema nervoso autonomo (colinergico; adrenergico; non
colinergico, non adrenergico: NANC), il rilascio di una numerosa serie di
prodotti, in ruolo di mediatori (tab.01
Alcuni
di essi sono già precostituiti, naturalmente sintetizzati e immagazzinati
all'interno delle cellule produttrici e pronti al rilascio, sotto la richiesta
degli stimoli flogogeni (amine vasoattive, enzimi lisosomiali, enzimi
proteolitici, neuropeptidi); altri generati al momento, in conseguenza della
attivazione delle cellule presenti e/o richiamate nei siti della infiammazione (prostaglandine,
leuco-trieni, fattori attivanti le piastrine, radicali liberi).I sistemi del
complemento, delle chinine, della fibrinolisi, della coagulazione contribuiscono
in vario modo a rinsaldare e regolamentare lo svolgimento della flogosi e delle
sue immediate o più tardive conseguenzialità.
La
fase immediata (early phase) della reazione flogistica viene introdotta da
cellule effettrici primarie (primary effector cells): cellule epiteliali,
endoteliali, mastocitarie; macrofagi alveolari, basofili (e talora) eosinofili,
con il rilascio dei rispettivi mediatori.
La
fase più tardiva (late phase) si svolge attraverso l'intervento e la
attivazione di un ulteriore gruppo di cellule effettrici (secondary effector
cells) che, con il rilascio dei rispettivi mediatori, amplificano il processo
infiammatorio in atto: neutrofili, piastrine, eosinofili, basofili, linfociti,
monociti.
Anche
se l'aspetto più esteriore della infiammazione trova espressione nei noti
fenomeni di vasodilatazione, iperemia, aumento della permeabilità vascolare (angioflogosi),
si ritiene più probabile una flogosi neurogena, sostenuta da riflessi assionici
e ganglionari (Bianco), nel senso che il processo flogistico interessa
soprattutto i meccanismi che regolano il controllo neuro-autonomo delle vie
aeree, con esaltata reattività dei recettori sensoriali, in conseguenza del
danneggiamento primitivo inferto all'epitelio respiratorio dagli agenti
flogogeni.
La
ipersecrezione è in realtà un diretto e precoce effetto dello stimolo indotto
dagli agenti flogogeni sull'apparato mucosecernente, restando, pertanto,
originariamente alle dipendenze dei meccanismi patogenetici della infiammazione,
con modulazioni quantitative, qualitative e temporali che si rendono chiaramente
apprezzabili sul piano clinico e che appaiono strettamente correlate con i
fattori esogeni di rischio (fumo di tabacco, nocività ambientali e
professionali).
La
ipersecrezione, tuttavia, è capace di innescare - sia pure in via secondaria -
meccanismi patogenetici autonomi che non mancano di riflettersi sulle
complessive vicende morbose e sul divenire del quadro broncopatico.
È noto che l'attività muco-secretiva da parte delle cellule caliciformi
e delle cellule sierose e mucose delle formazioni ghiandolari tubulo-acinose ha
una regolazione nervosa cui concorrono plessi post ganglionari del sistema
parasimpatico e del sistema simpatico. Sperimentalmente è stato accertato che
la stimolazione vagale è in grado di provocare aumento delle secrezioni; in
campo sperimentale la stimolazione alfa adrenergica incrementa il volume del
materiale secretivo, diminuendone la viscosità; mentre la stimolazione beta
adrenergica riduce il volume di materiale secretivo, incrementando la viscosità
(Basbaum e Finbeiner).
Gran
parte dei mediatori della infiammazione sono in grado di stimolare la secrezione
bronchiale, sia attraverso la attivazione di archi riflessi iniziati dai nervi
sensitivi terminanti nell'epitelio, sia per diretta stimolazione delle cellule
muco secernenti. Accertata capacità di incremento secretivo viene abitualmente
riconosciuta alla istamina, ad alcune prostaglandine (A2, D2, F2) e ad alcuni
leucotrieni (C4, D4).
Sul
piano fisiopatogenetico la ipersecrezione persistente o gli stati ipersecretivi
ricorrenti comportano aumento quantitativo del secreto bronchiale e
modificazioni qualitative nei caratteri reologici del muco, soprattutto con
aumento più o meno marcato della viscosità. Con ciò viene rallentato lo
scorrimento del muco e menomato quindi il complessivo trasporto muco-ciliare,
con conseguenti fenomeni di mucostasi.
I
riflessi più evidenti della mucostasi sono rappresentati dall'agevolazione
all'avvento di infezioni batteriche o virali che, nel broncopatico cronico,
assumono abitualmente carattere ricorrente. Viene, in tal modo, a realizzarsi un
binomio "ipersecrezione-infezione" che assume il più delle volte il
significato di un circolo vizioso, in quanto la ipersecrezione agevola la
instaurazione della infezione (e delle sue ricorrenti ripetizioni) e questa, a
sua volta, incrementa lo stimolo ipersecretivo.
Sul
piano clinico il fenomeno resta caratterizzato, da un lato, dal viraggio dello
stato broncopatico verso gli aspetti propri delle broncopatie mucopurulente;
dall'altro, dalla possibile progressione in direzione distale delle componenti
patologiche che caratterizzano il quadro broncopatico.
Correlato
alla ipersecrezione è anche l'incremento di prodotti (callicreina in specie) di
per sé suscettibili di determinare broncospasmo.
Inoltre
la ipersecrezione, mentre a livello delle vie aeree prossimali comporta marcata
iperplasia dell'apparato ghiandolare muco-secernente e, quindi, aumento di
spessore degli strati più interni (mucosa e sottomucosa) della parte
bronchiale, con conseguente riduzione del lume; a livello distale determina
facili zaffamenti bronchiolari e fenomeni ostruttivi temporanei o persistenti.
La
bronco-ostruzione deve anche essa ritenersi patogeneticamente concatenata alla
infiammazione, sulla base di meccanismi che traggono derivazione dai movimenti
cellulo-umorali del processo flogistico, con effetti morfo-funzionali alquanto
differenziati ai vari livelli; prossimali e distali, delle vie aeree.
Sotto
il profilo morfo-patogenetico, nelle grandi vie aeree dei settori prossimali, e
per tutta la estensione dei bronchi cartilaginei, l'essudazione plasmatica e la
più o meno fitta accorsa cellulare producono ispessimento della parete e
riduzione del lume, in rapporto anche alla iperplasia dell'apparato muco
secernente: ne derivano effetti bronco-ostruttivi tanto più marcati quanto più
restano coinvolte dalla reazione infiammatoria le ramificazioni bronchiali più
distali (ultrasegmentarie).
Nelle
vie aeree più periferiche, bronchiolari, i fenomeni flogistici: edema e
infiltrazione cellulare peribronchiolare, rendono più marcati gli atteggiamenti
costrittivi, giungendo - a tratti - anche alla temporanea occlusione del lume da
parte di materiale essudatizio e secretivo e di lembi epiteliali danneggiati
dalla flogosi e sfaldati nel lume.
Sotto
il profilo funzionale, la accorsa e la attivazione degli elementi cellulari
determinano la progressiva cascata dei mediatori atti a provocare effetti
broncocostrittivi e bronco-pastici a carattere accessionale o persistente.
Dei
numerosi mediatori rilasciati dagli elementi cellulari fissi, comunque attivati,
e dagli elementi cellulari appositamente reclutati (tab.01
-istamina:
rilasciata da mastociti tessutali e da basofili di provenienza ematica; esercita
azione contratturale sulla muscolatura liscia bronchiale e bronchiolare,
stimolando anche la scarica colinergica attraverso gli "irritant receptors";
-fattore
attivante le piastrine (PAF): ampiamente prodotto dall'attivazione di
mastcellule, basofili, eosinofili, neutrofili, piastrine, macrofagi, linfociti,
è capace di sostenere molteplici ruoli nel complesso dei fenomeni flogistici,
tra cui broncocostrizione acuta e protratta ed esaltazione della responsività
delle vie aeree verso stimoli non specifici (come sperimentalmente si è
verificato per la metacolina);
-prostaglandine:
metaboliti ciclossigenasici dell'acido arachidonico, provenienti da cellule
epiteliali ed endoteliali, da eosinofili e macrofagi (PG E2, PG F2) e anche da
mastociti e piastrine (PG D2), con effetti miorilassanti (PG E2) o marcatamente
miocostrittivi (PG F2, PG D2 );
-tromboxano:
anche esso della linea ciclossigenasica dell'acido arachidonico, vi partecipa
con Tx A2, rilasciato da endoteli, neutrofili, eosinofili, piastrine, macrofagi,
con azionebronco-costrittrice marcata ma instabile; mentre il Tx B2,
rilasciato
da neutrofili, eosinofili, macrofagi, risulta meno attivo del precedente, nel
senso della miocostrizione, ma più stabile;
-leucotrieni,
metaboliti lipossigenasici dell'acido arachidonico: fra essi, un effetto
miocostrittivo fugace e prolungato viene esplicato da LT C4, LT D4, LT E4,
rilasciati da mastociti, neutrofili, eosinofili, basofili, macrofagi.
La
bronco-ostruzione, nella complessità dei suoi riflessi fisiopatologici,
rappresenta in realtà il momento patogenetico più impegnativo e
caratterizzante delle BPCO, proiettando immancabilmente le sue conseguenzialità
e i suoi effetti anche nel futuro divenire del quadro morboso.
A
questo riguardo il cardine del problema è rappresentato dalla reversibilità o
irreversibilità della ostruzione stessa.
Indubbiamente
i fenomeni di ordine funzionale introdotti dal broncospasmo e dalla costrizione
della muscolatura liscia bronchiale - pur se capaci di indurre un ostacolo
espiratorio, ossia un intrappolamento di aria e quindi una temporanea
iperdistensione bronchiolo-alveolare (senza effetti distruttivi settali) e
aumento delle resistenze al flusso delle correnti aeree-sono per gran parte
reversibili, sia mediante gli opportuni trattamenti terapeutici, sia anche con
la consapevole eliminazione dei fattori esogeni di rischio (fumo di sigaretta).
Del pari molte componenti morfopatologiche sono suscettibili di completa
regressione: l'edema parietale, la infiltrazione cellulare, e, in grado totale o
parziale, la stessa iperplasia dell'apparato ghiandolare muco secernente.
Ma,
allorché nel quadro morboso si viene a protrarre la persistenza delle
componenti originarie suscettibili di smaltimento, (edema, infiltrazione
cellulare), si determinano inevitabilmente orientamenti di tipo produttivo più
o meno vivaci che possono giungere a delineare fibrosi peri ed endoalveolare,
iperplasia della muscolatura liscia, non suscettibili di regressione e di
reversibilità. Ancor più una situazione di irreversibilità entra in campo
quando il processo broncopatico viene a spostarsi nell'area dell'enfisema,
realizzando, tra l'altro, la perdita del supporto alveolare alle piccole vie
aeree e il ritorno elastico (long elastic recoil).
I
perturbamenti nell'equilibrio enzimatico del polmone profondo rappresentano,
secondo le più moderne vedute, il meccanismo patogenetico più diretto per la
instaurazione dell'enfisema polmonare, le cui origini restano, pertanto, del
tutto disancorate dai fondamenti meccanicoostruttivi ipotizzati nei tempi
passati.
La
flogosi delle vie aeree - prossimali e distali - resta sempre il filo
patogenetico conduttore: una gran parte dei prodotti promananti dal processo
flogistico viene a turbare l'equilibrio enzimatico che protegge, dal possibile
intaccamento, le strutture bronchiolo-alveolari del polmone profondo, nel
territorio posto distalmente al bronchiolo terminale.
Nella
tab.02
Accanto
a quelle inserite in tabella (con la rispettiva derivazione e punto di attacco),
altre fonti di proteasi sono gli endoteli vasali, le mastcellule, i basofili,
gli eosinofili.
Il
sistema antagonizzante - antiproteasico, e quello più specificamente
antielastasico - è principalmente rappresentato dalla alfa 1 antitripsina,
sintetizzata dalle cellule epatiche e riversata in circolo, con destinazione
polmonare ed extrapolmonare (denominata anche alfa 1 proteinase inhibitor), cui
si affiancano la alfa 1 antichimotripsina, la alfa 2 macroglobulina, il "bronchial
mucus inhibitor" (o anti leucoproteasi) (tab.03
Perturbamenti
nell'equilibrio enzimatico del polmone profondo possono determinarsi a seguito
di varie condizioni (fig.01
È quanto si verifica più abitualmente nella maggior parte delle forme
di enfisema iscritto nel quadro delle broncopneumopatie ostruttive.
Una
carenza genetica nella produzione di alfa 1 antitripsina (che - come risulta
dalla tab.03
Una
terza condizione è rappresentata da deficit antiproteasico funzionale,
determinato dal fatto che lo schermo antiproteasico, pur quantitativamente
sufficiente, resta inoperante in quanto inattivato da radicali liberiossidanti
affluiti nel polmone profondo.
Nelle
più recenti revisioni dei problemi patogenetici delle BPCO un particolare ruolo
è stato riconosciuto al sistema ossidanti-antiossidanti (tab.04
L'intervento
di principi antiossidanti, sufficientemente dislocati nei siti dell'offesa
ossidante, è in grado di neutralizzarne gli effetti nocivi.
Le
alterazioni anatomiche in corso di BPCO si iscrivono con variabile profilo lungo
le vie aeree prossimali e distali e nel polmone profondo, in rapporto anche alle
vicende che, nel tempo, vengono ad improntare il quadro morboso.
La
fibrobroncoscopia, attraverso la visione endoscopica del lume bronchiale, sino
alle diramazioni di ordine segmentario, è in grado di apprezzarne alcuni
aspetti macroscopici, espressi, in genere, da una mucosa turgida, edematosa,
più o meno marcatamente arrossata, ricoperta, a tratti, da veli di materiale
secretivo, di non sempre agevole rimozione. Particolare turgore è dato talora
rilevare a livello degli orifizi di diramazione bronchiale intralobari che
possono risultare ristretti. Nelle forme più marcatamente secretive ed
infettate il secreto, oltre che abbondante, si presenta di colorito
gialloverdognolo, espressione di carattere muco-purulento.
Le
alterazioni istologiche più semplici sono quelle della bronchite cronica a
carattere secretivo.In essa sono interessate le grandi vie aeree (trachea,
bronchi extra ed intrapolmonari) con i consueti fenomeni della flogosi:
iperemia, vasodilatazione, edema della mucosa, cui peculiarmente si aggiunge
ipertrofia e iperplasia dell'apparato mucosecernente.
La
partecipazione cellulare può assumere varie modulazioni quantitative e
qualitative in ragione dello stimolo flogistico esogeno e della sua persistenza:
fitta accorsa di macrofagi e mastcellule in rapporto al fumo di sigaretta;
reclutamento di abbondanti quote di neutrofili negli episodi di riacutizzazione;
di eosinofili, specie in rapporto a stimoli allergizzanti; di basofili e
linfociti.
La
ipertrofia e iperplasia dell'apparato muco-secernente interessa tanto le cellule
caliciformi di superficie, quanto gli epiteli delle ghiandole tubulo-acinose
della sottomucosa. Le cellule caliciformi tendono ad aumentare di numero sino ad
indurre estesi fenomeni di metaplasia mucigena, rimpiazzando anche le cellule
ciliate, danneggiate dalla flogosi e sfaldate nel lume bronchiale.
La
ipertrofia e iperplasia delle formazioni tubulo-acinose (fig.02
La
infezione batterica accentua drasticamente tutti gli anzidetti fenomeni, tanto
per quanto riguarda i movimenti cellulari (fig.03
A
livello distale, bronchiolare, prendono maggiore evidenza i segni
morfopatologici della broncopatia ostruttiva: i movimenti cellulari
(leucocitari, linfocitari, macrofagici) dimostrano (fig.04
È
stato già in precedenza fatto cenno al significato che, nella storia naturale
delle BPCO, assume il binomio "ipersecrezione-infezione" e le
interferenze con i veri e propri meccanismi bronco-ostruttivi e con il
determinismo del broncospasmo, trasferendo più distalmente i fenomeni
flogistici e imprimendo alle complessive vicende dello stato morboso più rapidi
perfezionamenti.
La
broncopatia cronica ostruttiva presume l'impegno delle vie bronchiali più
distali e delle diramazioni bronchiolari, presentandosi, a volte, come prima
espressione di malattia, non preceduta da interessamenti bronchopatici a
carattere ipersecretivo; a volte come il successivo viraggio di una forma
inizialmente secretiva.
Il
contrassegno clinico più significativo delle broncopatie ostruttive è dato da
"tosse e dispnea", così come "tosse ed espettorato"
contrassegnano le forme di tipo secretivo.
La
tosse, peraltro, manifesta modalità alquanto differenti da quella delle forme
secretive, assumendo quasi sempre il carattere della tosse secca, insistente,
spesso anche notturna, suscitata o incrementata dalle profonde inspirazioni,
scarsamente seguita da espettorazione. Il suo determinismo è difatti diverso da
quello delle broncopatie secretive, nelle quali la tosse è suscitata dalle
stesse secrezioni e finalizzata alla loro mobilizzazione ed emissione
all'esterno: nelle forme ostruttive, invece, la tosse è indotta dalla flogosi
irritativa, esprimendo, quasi, un vano tentativo di superare l'ostacolo
ostruttivo, talora rappresentato da secrezioni tenacemente adese alla parete
bronchiolare.
La
dispnea, di netto tipo espiratorio, suole assumere all'inizio, scarsa evidenza,
rilevabile solo dopo uno sforzo o una prestazione fisica, per assumere poi
marcata evidenza nelle fasi più avanzate della malattia. Essa è la diretta
espressione dell'ostacolo espiratorio, obbiettivato, all'ascoltazione del
torace, dall'apprezzamento di sibili più o meno fini o finissimi, a seconda dei
livelli medio-prossimali o distali dell'impegno ostruttivo.
Nelle
fasi iniziali o in quelle di relativa quiescenza, le prove spirometriche sono
sempre in grado - anche in mancanza di apprezzabili segni clinici - di dare
evidenza al fenomeno ostruttivo attraverso un aumento più o meno pronunciato
della capacità funzionale residua (CER) e/o una diminuzione del volume
espiratorio (VEMS).
La
broncopatia cronica ostruttiva, con accessionalità asmatiche (bronchite
asmatica di alcune nomenclature) è una frequente variante delle forme puramente
ostruttive. Clinicamente essa si esprime mediante crisi accessionali o
variamente persistenti di broncospasmo, restando del tutto svincolata da
fondamenti allergologici (estrinseci o intrinseci) che sono alla base delle
forme genuine di asma bronchiale.
In
questa ultima eventualità - come è noto - la situazione clinico-funzionale si
normalizza appena terminata la crisi, mentre nelle accessionalità
broncospastiche della bronchite ostruttiva, la cessazione dell'attacco lascia in
atto e pienamente obbiettivabili, in senso clinico e funzionale, i fenomeni
ostruttivi di base.
In
rapporto al rilascio dei già menzionati mediatori nei siti della flogosi, la
crisi broncospastica può esplodere inopinatamente o sotto l'azione di diverse
occasionalità, espresse da eventi fisici, chimici, meteorologici, o da
particolari atteggiamenti individuali (sforzi ed esercizi fisici, difficoltà
digestive, stress ecc.).
La
presenza o la tendenza al broncospasmo può essere semeiologicamente apprezzata
mediante la semplice ascoltazione, o anche attraverso la ascoltazione dei campi
polmonari anteriori mentre si provoca una forzata espirazione esercitando una
pressione manuale sui versanti superiori dell'addome, in modo da indurre un
rapido innalzamento espiratorio del diaframma (Blasi).
L'enfisema
polmonare non possiede, in realtà, elementi di valutazione clinica di sicura
significatività, ben scevrabili dai fenomeni che caratterizzano la broncopatia
ostruttiva e che ne potrebbero indicare il viraggio. E, certamente, questa
difficoltà di precisazione è uno dei principali motivi che ha indotto ad
adottare la comune denominazione di BPCO nei soggetti con referenze anamnestiche
di tipo broncopatico nei quali si profila il sospetto di una possibile
condizione di enfisema. Questa riserva non vale per quelle forme di enfisema
cronico primitivo che si origina e sviluppa anche in soggetti non fumatori -
spesso prima dei 40 anni e senza alcun precedente broncopatico - quale
espressione più o meno palese di un deficit genetico dei fattori enzimatici di
protezione antiproteasica (alfa 1 antitripsina): in tali occorrenze- molto più
rare delle forme post bronchitiche - i fenomeni clinici sono dominati dalla
dispnea, sia nell'esordio che per tempi anche prolungati di malattia, prima di
sfociare, come l'enfisema secondario, nella insufficienza respiratoria cronica.
Nell'enfisema
cronico secondario, post bronchitico, le evocazioni anamnestiche sono più
significative: fumo di sigaretta in quantità eccessiva (oltre 10-15 sigarette
al giorno) e da molti anni; fenomeni broncopatici (tosse, espettorazione)
datanti da più o meno lungo tempo; frequenti ricorrenze infettive, con ritmi
spesso molto riavvicinati; dispnea espiratoria, propria di ogni forma ostruttiva.
Si dice che l'annuncio di una sopraggiunta condizione enfisematosa è dato, nel
broncopatico cronico, dalla insorgenza di dispnea sbuffante, con espirazione a
labbra socchiuse; ma si tratta di un fenomeno non costante e di non sempre
agevole constatazione.
Quando
l'enfisema è ormai conclamato, la dispnea, insorgente al minimo sforzo o talora
anche a riposo, rappresenta il dato più significativo, accompagnandosi ad una
obbiettività semoiologica segnata da atteggiamento inspiratorio del torace
(torace a botte); da marcata iperfonesi, con scomparsa dell'aia di ottusità
cardiaca; da margini polmonari abnormemente abbassati (a livello diaframmatico)
e scarsamente mobili; da murmure vescicolare attenuato, con espirazione
prolungata.
Le
compromissioni della funzionalità respiratoria, nelle fasi più avanzate, in
cui alle alterazioni della ventilazione si associano anche quelle a carico degli
scambi gassosi, sono rivelate dalla presenza di cianosi, particolarmente marcata
nei soggetti portatori di enfisema post bronchitico, definiti, tradizionalmente
come blue blouters, a differenza dei soggetti con enfisema primitivo, designati
come pink puffers.
Nella
tab.07 cronico, rappresentano,
per l'enfisema polmonare e per le varie forme di BPCO, non tempestivamente
trattate, la tappa più avanzata di malattia.
Come
emerge dal precedente paragrafo, le manifestazioni cliniche che più
significativamente si ripetono nella storia naturale delle BPCO fanno
riferimento a tre comuni espressioni: tosse, ipersecrezione bronchiale, dispnea,
che possono presentarsi con andamenti differenti, anche se non sempre
esplicitamente discriminabili, in rapporto ai diversi profili del quadro
morboso. Dal loro preliminare rilievo, secondo i comportamenti sinotticamente
riportati nella tab.08
Vanno
sempre e in ogni caso sistematicamente eseguite e periodicamente ripetute
(specie nei fumatori, esposti al rischio del cancro broncogeno), non tanto per
trarre elementi di convalida alla diagnosi clinica di broncopatia, quanto
soprattutto per eliminare altre affezioni, più idoneamente configurate sul
piano radiologico, aventi in comune con le BPCO alcuni segni indicativi, come
tosse ed espettorato. In questo senso è molto importante poter detrarre,
attraverso il riconoscimento radiologico, da una fenomenologia di apparente tipo
bronchitico, una forma neoplastica o un quadro di fibrogranulomatosi polmonare,
anche esso persistentemente sostenuto da tosse e dispnea.
Come
è noto, le broncopatie croniche non possono avere una chiara corrispondenza
radiologica, in quanto le componenti patologiche che ne sono alla base (ipersecrezione,
iperplasia mucipara ghiandolare, flogosi della parete bronchiale) non sono di
norma suscettibili di tradursi in immagini radiologiche, e tanto meno di
suscitare un reperto (caro a molti radiologi) di rinforzo della trama
broncovasale.
Solo
in rapporto ad infezioni ricorrenti, con reazioni flogistiche endo e
peribronchiali di una certa entità, o con evoluzione in senso organizzativo
(fibrosi peribronchitica) possono derivare nell'esame radiografico del torace,
specie nel campo medio-basale, più o meno spiccate accentuazioni del disegno
bronchiale, con strie singole o parallele, con disomogenee reticolazioni
periferiche, con aree di disventilazione, indotte dalle componenti
bronco-ostruttive periferiche (fig.07x).
Diverse
sono le considerazioni che devono essere prospettate per la diagnosi radiologica
di enfisema e per la discriminazione di una situazione di iperdistensione
bronchiolo-alveolare (possibile conseguenzialità di meccanismi ostruttivi) da
una condizione reale di enfisema. Occorre tener presente che la iperdistensione
implica aumento degli spazi aerei, ma non distruzione dei setti e della rete
capillare decorrente in essi, evento, quest'ultimo, di esclusiva pertinenza
dell'enfisema. Le corrispondenze radiologiche, in tal caso mettono in evidenza:
marcata iperluminosità, rarefazione del fine disegno vascolare, ampliamento
degli spazi intercostali, aumento del diametro antero-posteriore del torace e
dello spazio chiaro retrosternale, abbassamento ed appiattimento delle cupole
diaframmatiche (figg. 8-9).
In
realtà questi aspetti sono quelli che prevalgono nell'enfisema panlobulare,
più caratteristicamente legato alle forme di enfisema primitivo, ove i segni
radiologici della marcata iperdistensione - più evidenti nei distretti
superiori - si accompagnano con accentuata rarefazione del disegnovascolare (arterial
deficiency), con immagine cardiaca di modeste proporzioni e peduncolo vascolare
allungato.
Nell'enfisema
centrolobulare, post bronchitico, i segni della iperdistensione - almeno nelle
prime fasi - sono piuttosto modesti e prevalentemente localizzati ai campi
polmonari inferiori, con disegno vascolare relativamente accentuato (increased
markings) irregolarmente definito nei suoi contorni; mentre l'immagine cardiaca
è aumentata di volume, associandosi ad evidente slargamento del tronco comune e
dei rami principali dell'arteria polmonare, a causa dell'ipertensione
instauratasi nel piccolo circolo.
La
tomografia assiale computerizzata (TAC) da un lato, la risonanza magnetica, e la
scintigrafia perfusiva, sono in grado di dare, al riguardo, più perfezionati e
decisivi reperti.
Sia
l'esame broncoscopico mediante fibrobroncoscopia, sia quello broncografico non
trovano abituale impiego in corso di BPCO; tranne che detti esami (specie quello
endoscopico) non siano sollecitati nel sospetto di affezioni di altra natura.
Lemoine, attraverso una lunga approfondita esperienza, aveva messo in luce
(1985), nelle bronchiti croniche secretive e in quelle ostruttive, alcune
suggestive immagini endoscopiche espresse da segni di flogosi parieto-bronchiale,
da presenza di materiale secretivo adeso alla parete, da ipervascolarizzazione,
da parziali restringimenti del lume bronchiale.
Anche
esse hanno carattere di esclusione, specie nelle forme di broncopatia ostruttiva
con accessionalità asmatiche, per le quali occorre ricorrere alle metodiche
allergologiche (test cutanei, dosaggio delle IgE) per escludere la eventuale
dipendenza da fattori allergici e la appartenenza a forme più o meno genuine di
asma bronchiale da fattori estrinseci, che non fanno parte delle BPCO.
Peraltro
l'accertamento di uno stato di atopia potrebbe giustificare la facile tendenza a
stati permanenti o a crisi accessionali di tipo broncospastico.
La
frequente sovrapposizione di infezione, da parte di agenti batterici, e la
frequente ripetizione di ricorrenti infezioni lungo il pluriennale decorso delle
BPCO, sino a concretarne i ricordati aspetti di broncopatia muco-purulenta,
comportano il doveroso ricorso ad indagini microbiologiche, non solo per
esigenze diagnostiche ma anche e soprattutto, per necessità terapeutiche.
Il
problema è volto, in particolare, all'impiego di metodiche batteriologiche, in
quanto quelle virologiche, a parte la non agevole attuazione (tranne che in
ambienti altamente qualificati) appaiono, in certo modo, non necessarie dato che
la infezione da parte di agenti virali (molto comune nelle broncopatie acute) è
effettivamente molto rara nelle broncopatie croniche.
D'altronde
la identificazione di un eventuale stipite virale, mentre riveste indubbia
importanza da un punto di vista epidemiologico, trova limitati riflessi pratici
per la mancanza di farmaci attivi in senso antivirale.
Pertanto
in rapporto alle BPCO, i problemi interessano essenzialmente la diagnosi
microbiologica delle infezioni di natura non virale dell'apparato respiratorio
(Turano; Grassi e Coll).
Le
indagini, a tal riguardo, vanno espletate sulle secrezioni bronchiali,
idoneamente raccolte: o attraverso la spontanea emissione dell'espettorato (dopo
ripetuto lavaggio del cavo orale mediante soluzione fisiologica sterile); o
attraverso il prelievo endobronchiale per via bronscopica; o per puntura ed
aspirazione transtracheale.
Con
l'ausilio delle indagini microbiologiche, nelle infezioni delle vie respiratorie
in corso di BPCO è possibile:
-identificare
la flora batterica responsabile;
-procedere
alla valutazione quantitativa della carica batterica, verificandone anche nel
tempo le variazioni; acquisizione, questa, di non trascurabile importanza, sulla
quale molto opportunamente insistono-con originali proposte metodologiche-alcune
Scuole microbiologiche italiane (Turano);
-stabilire
la sensibilità delle specie batteriche, isolate ed identificate, verso i
farmaci (antibiogramma), onde mettere in pratica una mirata terapia
medicamentosa.
Nelle
infezioni ricorrenti in corso di BPCO dell'adulto dominano ai tempi attuali:
-nelle
vie aeree prossimali: Staphilococcus aureus; Streptococcus pneumoniae (fra i
gram pos.); Haemophilus influenzae, Kleissiella pneamoniae (fra i gram neg.);
-nel
polmone profondo, oltre le anzidette specie, possono anche essere responsabili
di infezione: Pseudomonas spp., Escherichia coli, Serratia e altri gram neg.
(Turano).
Su
di esse è accentrato il più importante ruolo nel complessivo iter diagnostico
delle BPCO e nel periodico monitoraggio evolutivo, attraverso il controllo dei
diversi settori della funzione respiratoria, dei meccanismi fisiopatogenetici
che alimentano il quadro morboso, dei trattamenti terapeutici.
Lo
studio della reattività bronchiale trova richiesta nelle forme precocemente e
direttamente ostruttive, e/o facilmente tendenti al broncospasmo e alle
accessionalità di tipo asmatico.In tali occorrenze è opportuno dare evidenza
ad un eventuale aumento della reattività bronchiale nei confronti di stimoli
aspecifici o specifici; condizione, questa, che può far parte di una primitiva
suscettibilità individuale o essere secondariamente conseguenziale a eventi
morbosi intercorrenti (bronco e pneumopatie acute batteriche o virali, episodi
di riacutizzazione).
I
test di provocazione bronchiale sono essenzialmente fondati sull'impiego di
alcuni agenti bronco-costrittori, e sulla misurazione -precedentemente e
successivamente alla bronco stimolazione - dei più comuni e indicativi valori
funzionali respiratori (FVC; FEV1 e varianti), che, in caso di risposta
positiva, denoteranno più o meno significative alterazioni, rispetto ai valori
precedentemente accertati o conclamati effetti bronco-ostruttivi e/o
broncospastici.
Attualmente
sono in uso test di provocazione di varia natura, farmacologica e non
farmacologica:
-inalazione
di soluzioni nebulizzate di metacolina, carbacolo, acetilcolina, istamina,
bradichinina (test farmacologici).
-iperventilazione
con aria fredda, nebbia ultrasonica; prove di esercizio fisico (test non
farmacologici).
In
effetti queste metodiche costituiscono un affidabile mezzo non solo per valutare
le condizioni individuali della reattività bronchiale e la eventuale
responsabilità patogenetica di tale fattore, ma anche per accertare le
possibili variazioni nel tempo e gli effetti conseguiti dalla terapia
(broncodilatatori, corticosteroidi per via locale), capaci di indurre, per brevi
o lunghi termini, sensibili decrementi della reattività bronchiale.
L'esame
della funzione ventilatoria mediante spirometria rappresenta l'indagine di
routine nelle BPCO, e va costantemente praticato non solo per dare evidenza ai
parametri qualificativi dello stato morboso, ma anche per monitorarne nel tempo
la evoluzione sul piano funzionale e per verificare i risultati conseguiti dai
trattamenti terapeutici.
Paradigmaticamente
la sindrome ostruttiva è espressa da un quadro disventilatorio che, accanto
alla riduzione della capacità vitale (CV) e della capacità vitale forzata
(CVF), comprende anche aumento del volume residuo (VR) e della capacità
funzionale residua (CFR) ed una evidente compromissione della capacità
espiratoria. Pertanto il valore VEMS (o FEV1: volume espiratorio massimo al
primo secondo della espirazione) risulta ridotto; come anche ridotto risulta il
suo rapporto con la capacità vitale (VEMS/ CV: indice di Tiffeneau, normalmente
attestato su valori del 70-80%). Aumentato, invece, è il rapporto tra volume
residuo (VR) e capacità polmonare totale (CPT) normalmente espresso da valori
del 25-30%, a denotare l'abnorme ristagno di aria nei polmoni.
Le
modificazioni nel profilo delle curve flusso/volume mettono in evidenza
l'aumento delle resistenze al flusso aereo. La esecuzione di prove
farmaco-dinamiche mediante la determinazione del FEV1 (e delle varianti al 25% e
al 75% della CV) e del massimo flusso espiratorio istantaneo (MEF) al 50% della
CV, prima e dopo somministrazione, per via inalatoria, di un farmaco bronco
dilatatore, è idonea ad evidenziare la reversibilità della componente
ostruttiva, rivelata dal completo o parziale ritorno dei valori del FEV1 (e
delle varianti eventualmente utilizzate) verso i livelli normalmente
prevedibili.
È noto che le componenti broncoostruttive vengono ad interessare in
maniera non omogenea i vari distretti polmonari, pertanto il complessivo profilo
disfunzionale resta caratterizzato da ineguale distribuzione intrapolmonare
dell'aria inspirata. Tale perturbamento comporta una alterazione nel rapporto
ventilazione/perfusione: nelle situazioni disfunzionali a prevalente impronta
broncopatica e ostruttiva si realizza un effetto tipo "shunt", nel
senso che una parte più o meno estesa di settori parenchimali normalmente
perfusi restano ipoventilati ed incapaci a fornire il dovuto apporto di O2 alle
correnti ematiche. Al contrario, nelle situazioni ad impronta enfisematosa,
l'alterazione nel rapporto ventilazione/perfusione è condizionata dal più
marcato deterioramento della componente perfusiva, con la realizzazione di un
effetto tipo "spazio morto" dovuto al fatto che molti territori
parenchimali, pur abnormemente dilatati, restano aperti alla ventilazione, ma
non sono adeguatamente perfusi.
Anche
lo studio della capacità di diffusione al monossido di carbonio (DLCO), a
riposo e sotto sforzo, e della determinazione in respiro singolo (DLCO sb) può
validamente integrare i dati delle indagini spirometriche: una bassa capacità
di diffusione, associata a valori elevati di capacità funzionale residua (CFR)
rende molto più probabile la diagnosi di enfisema, mentre, al contrario, la
positività dei segni spirometrici di ostruzione (decremento dei valori FEV1)
con indici normali di diffusione del monossido di carbonio (DLCO) escludono il
sospetto di enfisema.
Ulteriori
elementi discriminativi fra broncopatia ostruttiva ed enfisema possono provenire
dalla pletismografia corporea e dallo studio della elasticità polmonare, avendo
i soggetti in area broncopatica ancora conservate le proprietà elastiche
polmonari che, nell'enfisematoso, risultano sempre più o meno deteriorate.
L'emogasanalisi
arteriosa oltre che valutare, nelle forme già conclamate, il comportamento
degli scambi gassosi intrapolmonari, è soprattutto utile per mettere in
evidenza forme latenti di insufficienza respiratoria cronica. Al riguardo i
principali parametri emogasanalitici sono espressi dalla pressione parziale di
ossigeno sciolto nel sangue (PaO2), dalla pressione parziale di anidride
carbonica (PaCO2), dai valori della saturazione, dal pH, dai bicarbonati
plasmatici.
I
dati che emergono dallo studio danno luogo a pattern rivelatori di insufficienza
respiratoria latente; di insufficienza respiratoria cronica parziale
(semplicemente ipossiemica); di insufficienza respiratoria cronica globale
(ipossiemica -ipercapnica); di insufficienza respiratoria cronica globale, con
acidosi respiratoria compensata o non compensata.
Non
privi di importanza sono, infine, i dati emocromocitometrici, non tanto per
valutare il significato della flogosi e l'avvento di infezione batterica
(leucocitosi neutrofila), quanto per dare più precisa configurazione alla
compromissione degli scambi gassosi: una cospicua policitemia-indotta dalla
ipossiemia cronica -ed un elevato valore ematocrito (come classicamente si ha
nei "blue blouters") non solo è utile alla completezza diagnostica,
ma può dare anche necessari orientamenti per la terapia.
In
tempi recenti, e in ambienti pneumologici altamente qualificati, sono state
introdotte e perfezionate appropriate indagini per studiare i perturbamenti
respiratori durante il sonno. Come è stato in precedenza accennato, nel
broncopneumopatico cronico si possono verificare, specie nella fase REM del
sonno, episodi di ipossiemia e di desaturazione emoglobinica che, attualmente,
si possono registrare in apposite camere del sonno, con rilevazioni
polisonnografiche dotate di apparecchiature per la trascrizione dei movimenti
toraco-addominali e per le determinazioni emogasanalitiche.
Le
BPCO traducono, nel loro complesso, uno stato di persistente cronicità, tra i
più prolungati che la pratica medica possa registrare, estrinsecandosi, per
molti anni e decenni, con manifestazioni cliniche e clinico-funzionali
variamente eclatanti, e con alterne fasi di quiescenza, di esacerbazione, di
ingravescenza, sullo sfondo di una condizione di invalidità, relativa o
assoluta, che può incidere anche profondamente sulla psicologia del malato e
sulle sue qualità di vita.
Molto
opportunamente, nei tempi attuali, è stata rivolta una consapevole attenzione
alle qualità di vita dei soggetti colpiti da stati morbosi altamente
invalidanti (broncopatici, cardiopatici, portatori di tare neurologiche o di
forme neoplastiche), aprendo al riguardo un suggestivo capitolo dal quale sono
stati eliminati i significati empirici del passato, per dare ad esso più
moderni contenuti. Gli attuali intendimenti, pertanto, sono volti a dare
configurazione, in termini analizzabili e confrontabili scientificamente,
all'assetto fisico, psicologico, sociale del singolo individuo (o di determinate
categorie di individui) in rapporto ad un prefissato stato morboso ed ai
trattamenti terapeutici e prevenzionali adottati per esso.
Ed
è proprio per il carattere estremamente cronico ed invalidante, insito nelle
BPCO, e per le sollecitazioni che in senso medico e umano provengono dai
soggetti che ne sono affetti, che i compiti-invero complessi-della terapia,
della riabilitazione, della prevenzione, tra loro strettamente concatenati, si
proiettano nell'immediato e nel più lontano futuro, con la implicita istanza di
migliorare le qualità di vita dell'individuo portatore di BPCO.
La
terapia medicamentosa è fondata sulle varie categorie di farmaci destinati a
dominare, più o meno elettivamente, i vari fenomeni clinici. Esse pertanto
vengono a comprendere: mucolitici e mucoregolatori; chemioterapici;
broncodilatatori, antireattivi e antiinfiammatori, con impiego che può essere
effettuato tanto per via generale, quanto per via locale (inalatoria).
Comunque
effettuati, questi interventi terapeutici presumono - quasi pregiudizialmente -
la completa abolizione del più importante fattore di rischio e di nocività
quale è il fumo di sigaretta.
I
farmaci ad azione macolitica e mucoregolatrice trovano precisa indicazione nelle
forme a netta impronta secretiva e nelle fasi ricorrenti, spesso stagionali, di
ripresa ipersecretiva.
Sono
ritenuti farmaci ad azione mucolitica diretta quelli capaci di svolgere una
diretta azione di frammentazione, di lisi, di fluidificazione delle mucoproteine
bronchiali già formate ed emesse nel lume bronchiale, con riduzione della loro
viscosità. Il più noto ed impiegato, nell'ambito di questa categoria, è la
acetil cisteina, somministrabile per via orale, parenterale, aerosolica,
svolgendo, a livello respiratorio, anche altre importanti azioni sussidiarie,
cui si farà successivamente cenno.
Più
estesa è la serie dei farmaci ad azione mucolitica indiretta, comprendente
medicamenti che esplicano la loro azione a livello dell'apparato
muco-secernente, modificandone la produzione sia in senso quantitativo che
qualitativo. Tali sono: composti jodati organici (jodo-propiliden-glicerolo,
domiodolo); carbossimetilcisteina; sobrerolo; bromexina; ambroxol; letosteina;
stepronina; tiopronina, e altri.
I
chemio-antibiotici sono indispensabili per dominare le riacutizzazioni
infettive, febbrili o afebbrili, talora rilevate solo dal viraggio
dell'espettorato verso aspetti muco-purulenti. In genere, all'inizio
dell'episodio di riacutizzazione, tutte le categorie di chemioterapici
attualmente disponibili (penicilline; cefalosporine; aminoglucosidi: macrolidi;
chinolonici ecc.) possono essere adoperati senza alcun pregiudizio e per il
tempo strettamente necessario alla copertura terapeutica. In caso di infezioni
frequentemente ricorrenti è necessario effettuare le dovute indagini
microbiologiche sulle secrezioni bronchiali, correttamente prelevate, per la
individuazione della flora batterica responsabile e per l'accertamento della
sensibilità ai medicamenti, onde dare carattere più mirato alla chemioterapia.
Molti chemioterapici dell'epoca attuale sono anche validamente utilizzabili per
via aerosolica, in combinazione con mucolitici, broncodilatatori, cortisonici.
I
broncodilatatori rappresentano la più importante risorsa terapeutica delle
sindromi ostruttive: i teofillinici (per via venosa o orale) trovano prevalente
impiego nelle accessionalità ostruttive di una certa gravità e persistenza e
quando esiste dispnea più o meno marcata; gli anticolinergici sono usabili in
pratica solo per spray predosato (ipratropium bromuro), oppure per
aerosolizzazione, con apparecchi tradizionali, o con nebulizzazioni a pressione
positiva, in eventuale combinazione con beta 2 stimolanti, mucolitici,
corticosteroidi.
I
beta 2 stimolanti annoverano una lunga serie di farmaci, continuamente rinnovata
dalla introduzione di nuove entità, che, in fondo, rappresentano aggiustamenti
chimici di principi già in uso, con l'intento di migliorarne il rendimento e di
ridurre i fenomeni indesiderabili. Nella tab.09
I
corticosteroidi accanto ad una notevole attività antiinfiammatoria possiedono
anche una rilevante azione broncospasmolitica, e, pertanto, nelle
accessionalità di tipo asmatico delle broncopatie ostruttive, trovano piena
utilizzazione,con somministrazioni - a seconda della immediatezza della
richiesta - per via venosa, intramuscolare, orale, per trattamenti non molto
prolungati nel tempo (2-3 settimane). La via aerosolica locale realizza effetti
immediati e consente anche impieghi più prolungati, specie per alcune categorie
di corticosteroidi particolarmente idonei a svolgere azione di superficie
(beclometasone dipropionato, flunisolide, budesonide).
In
tempi recenti si sta anche affermando l'impiego di medicamenti antiinfiammatori
non steroidei (nimesulide, acido tiaprofenico, flurbiprofen, morniflumato) che
possono, in effetti, indurre un certo contenimento della flogosi e affiancare
l'azione dei chemioterapici nelle ricorrenze infettive.
L'ossigenoterapia
domiciliare a lungo termine fa ormai parte integrante del trattamento delle
forme avanzate di broncopatia ostruttiva e di enfisema. Dopo le esperienze
effettuate in centri specializzati, si è realizzata anche in Italia una rete
distributiva pienamente efficiente per la fornitura delle apparecchiature
occorrenti e per il periodico rinnovo. Di più agevole impiego sono i
contenitori ad ossigeno liquido, dotati di piccoli serbatoi sussidiari
portatili.
Le
osservazioni da tempo promosse da Petty, ed i numerosi Centri sorti in Italia
hanno convalidato il dato che una erogazione giornaliera superiore alle 15 ore,
e a basso flusso (1,5-2 l/min) consente di dominare forme gravi di dispnea e di
cianosi, conferendo all'utente una certa autonomia di movimento e migliorando la
qualità di vita. Risultano anche notevolmente favorite le prospettive di
sopravvivenza, con indici, accertati, superiori di 5-10 anni rispetto ai
soggetti non trattati.
Prospettive
del tutto nuove, anche se non ancora convalidate da un adeguato tempo di impiego
pratico, si stanno delineando per il trattamento medicamentoso dell'enfisema
attraverso iarmaciadazione antidiselastasica. Negli Stati Uniti da circa 3 anni
(1987) è stato introdotto un'"alfa 1 proteinase inhibitor"
(prolastin) di estrazione dal plasma umano, usato per infusione venosa una volta
per settimana in soggetti con deficit genetici di alfa 1 antitripsina: già dopo
un mese di trattamento sono stati ottenuti livelli ematici (sino a 160 mg/dl)
validi ad incrementare le capacità di protezione verso la elastasi neutrofila.
Altre
possibilità sono offerte da medicamenti idonei a stimolare la sintesi di alfa 1
antitripsina a livello epatico (danazolo). Una azione antiossidante diretta, con
contemporanea agevolazione nella sintesi del glutatione è offerta dal
prolungato uso (alle comuni dosi terapeutiche) di acetil cisteina, come pure
dalla somministrazione - sempre in funzione anti ossidante - di vitamina A e di
vitamina E.
Vi
è infine da accennare al trapianto del polmone, come proposta di trattamento di
quadri avanzati di broncopatie ostruttive e di enfisema. Nell'ultimo quinquennio
il problema ha palesato suggestivi sviluppi, soprattutto in alcuni centri
canadesi e statunitensi (Cooper e Coll.) da cui sono provenute interessanti
casistiche relative a soggetti in "end stage" di enfisema polmonare
(ossigenodipendenti e con speranze di vita di 12-18 mesi) nei quali è stato
effettuato:
-o
trapianto in blocco dei due polmoni con innesto sopra carenale (orientamento
ormai abbandonato);
-o
trapiantobilaterale (sui rispettivi peduncoli bronchiali) dei due polmoni;
-o
trapianto di un solo polmone. Questo ultimo metodo è quello che sembra
attualmente preferito.
Negli
ultimi dati di trapianto polmonare resi noti da Cooper e Low per il periodo
1°luglio 1989-30 giugno 1990 (36 trapianti complessivamente effettuati)
compaiono 20 casi di enfisema (11 su base bronco-ostruttiva e 9 con deficit
primitivo di alfa 1 antitripsina) nei quali è stato attuato 8 volte trapianto
bilaterale e 12 volte trapianto di un solo polmone. Gli Autori ritengono che le
compromissioni funzionali del polmone rimasto in situ, nel ricevente, vengano in
certo modo ad essere smorzate o compensate dal polmone sano trapiantato. Un
marcato miglioramento dei valori FEV1 è stato costantemente comprovato nei
soggetti trapiantati.
Non
vi è dubbio che su questi nuovissimi orientamenti si aprano promettenti
speranze, soprattutto nella prospettiva di poter associare al trapianto in
soggetti enfisematosi, con deficit relativo o primitivo di alfa 1 antitripsina,
un trattamento medicamentoso antidiselastasico.
La
terapia medicamentosa trova, nei soggetti con BPCO, valida integrazione nei
trattamenti fisiokinesiterapici, con i quali è possibile agevolare il drenaggio
all'esterno delle secrezioni bronchiali (allorché è in atto una sindrome
ipersecretiva) e attivare idoneamente la cinetica respiratoria
costo-diaframmatica, correggendo gli atteggiamenti inspiratori che il torace
viene ad assumere in rapporto alla persistente iperdistensione
bronchiolo-alveolare e allo stato enfisematoso. Considerata nel suo complesso e
nei suoi possibili rendimenti, la fisiokinesiterapia respiratoria può integrare
l'impiego dei medicamenti e ridurne il carico; può prevenire o ridurre il grado
di incombente invalidità connessa allo stato morboso; può, infine, realizzare
una vera e propria riabilitazione, contribuendo a migliorare le qualità di vita
del broncopneumopatico cronico.
Analoghi
compiti integrativi e riabilitativi, con il beneficio di poter sfruttare, per
via inalatoria, alcune azioni terpeutiche, vanno riconosciuti alla sulfoterapia
inalatoria termale, effettuata periodicamente, con cicli annuali o biennali,
presso qualificati istituti termali (Sirmione, Tabiano, Telese, Acquasanta
ecc.).
Per
una più completa trattazione della riabilitazione nelle BPCO si rimanda al
Capitolo incluso in quest'Opera, dal titolo "La riabilitazione funzionale
del bronco-pneumopatico cronico", vol.7-cap.1.
Il
capitolo delle BPCO non può essere chiuso senza fare cenno alla prevenzione.
Le
dimensioni epidemiologiche e la complessità delle vicende che improntano la
storia naturale delle BPCO, conferiscono alla prevenzione decisivi compiti.A
monte della malattia e prima della sua possibile insorgenza si pone la
prevenzione primaria che è rivolta ad eliminare i vari fattori di rischio prima
che da essi possano provenire azioni nocive. Ad essa è legato - sul piano
epidemiologico - il contenimento e la riduzione degli indici di incidenza delle
BPCO. E, in questo senso, gli incitamenti sul singolo individuo e sulla
collettività a sradicare l'abitudine al fumo di tabacco rappresenta il mezzo
più valido di prevenzione primaria delle BPCO, cui vanno affiancati i
provvedimenti, anche legislativi, rivolti alla protezione dai diversi rischi di
inquinamento: ambientale, professionale, domestico e alla salvaguardia del
fumatore passivo.
La
prevenzione secondaria, che si suole distinguere in precoce e tardiva, si
propone di arrestare il dinamismo evolutivo dello stato morboso prima che esso
giunga a ineluttabili conseguenze. Questa finalità svolge un ruolo essenziale
nel contenimento degli indici di prevalenza e delle cifre di invalidità e di
mortalità, coinvolgendo direttamente l'opera del medico e la attiva
collaborazione del malato. Per conseguire, in tal senso, un sicuro successo, la
prevenzione secondaria trova valido fondamento nella diagnosi precoce, con
interventi (ovviamente di tipo terapeutico) ai primissimi segni di malattia:
stati ipersecretivi anche modesti, tosse insistente, insorgenza di dispnea anche
dopo moderate prestazioni fisiche. O, ancor meglio, allorché, da qualche
periodico controllo clinico-funzionale, cui specialmente il fumatore dovrebbe
assoggettarsi, emergono segni ancora latenti di uno stato morboso non ancora
affiorato alla evidenza clinica. Forme non ancora palesi di ostruzione
bronchiale sono agevolmente riconoscibili attraverso un incipiente
deterioramento del flusso espiratorio (FEV1), rilevato spirometricamente.
La
precoce correzione medicamentosa della ipersecrezione, della broncoostruzione,
delle infezioni ricorrenti rappresenta non solo una necessaria misura
terapeutica, ma anche un implicito obbiettivo di prevenzione secondaria, valida
a interrompere il dinamismo potenziale dello stato morboso e la sua naturale
tendenza a spostarsi verso posizioni di irreversibilità.
Va,
in proposito, sottolineato che la soglia critica fra reversibilità e
irreversibilità nelle BPCO è rappresentata dalla bronco-ostruzione, alimentata
e incentivata, nelle sue conseguenzialità, dalla ipersecrezione e dalle
infezioni ricorrenti, fenomeni tutti di piena reversibilità. Superata la soglia
critica della reversibilità si entra nell'area irreversibile dell'enfisema.
Misure efficaci di prevenzione secondaria, come premessa alla stessa prevenzione
della bronco-ostruzione, sono quelle volte a dominare e cancellare il binomio
"ipersecrezione-infezione".
Sulla
scorta delle numerose indagini condotte in Italia e all'estero, meritano credito
e applicazione:
-i
trattamenti periodici con cicli settimanali o decadali di chemioantibiotici
(ampicillina, amoxicillina, tiamfenicolo in combinazione chimica con acetil ,
cisteina);
-i
trattamenti prolungati, stagionali, con farmaci ad azione mucolitica ed
antisecretiva (acetilcisteina, carbossimetilcisteina/sobrerolo, ambroxol);
-i
trattamenti con immunomodulanti di estrazione batterica (parete di Klebsiella) o
polibatterica, derivati timici.
Anche
i cicli di sulfoterapia inalatoria termale risultano pienamente efficaci per la
prevenzione delle riacutizzazioni, oltre che per il trattamento sussudiario di
alcune fasi di malattia.
Ma
- è doveroso conclusivamente rilevare, anche a titolo di consapevole
raccomandazione -qualunque azione terapeutica e prevenzionale rimane inefficace
e vanificata, se non vengono eliminati i fattori di rischio; soprattutto quello
che riassume la più sicura e diretta espressione di nocività respiratoria,
quale è il fumo di tabacco.
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A. Blasi
Professore
Emerito di Tisiologia
e
Malattie dell’Apparato Respiratorio
II
Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università di Napoli
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