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ARGOMENTI DI MEDICINA CLINICA
Ultimo aggiornamento: 23.12.2013
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Precisare
i criteri in base ai quali giungere alla diagnosi, alla classificazione, alla
terapia ed alla prognosi dello stato di coma costituisce ancor oggi un problema
di grande interesse e di soluzione assai complessa. Esso comprende infatti
alcuni aspetti di fondamentale importanza, quali:
-
la definizione dei concetti di <<coscienza>>, di
<<coma>> e degli stati intermedi di transizione fra queste due
condizioni;
-
l'analisi delle cause e la valutazione dei meccanismi patogenetici e
fisiopatologici all'origine dei diversi tipi di coma;
-
la scelta dei parametri clinici strumentali e di laboratorio necessari per
elaborare una soddisfacente classificazione degli stati di coma. Aspetto questo
strettamente connesso con la standardizzazione e la semplicità di rilevazione
dei dati, elementi questi indispensabili a consentire un linguaggio comune e
quindi a ridurre al minimo i margini di errore e la soggettività nella
rilevazione del singolo dato;
-
la precisazione, infine, degli scopi cui deve corrispondere la classificazione,
sia per quanto concerne la valutazione dello stato attuale del paziente e sia
per quanto riguarda il giudizio prognostico quoad vitam ovvero quoad valetudinem.
La
gran mole dei dati clinici, strumentali e di laboratorio oggi disponibili,
unitamente alle innumerevoli sfaccettature con cui può essere posto l'argomento
qui affrontato, rende assai difficile, se non impossibile, un'esauriente
discussione a proposito di tutte le differenti angolazioni del problema. Saranno
pertanto affrontati gli aspetti fondamentali, ponendo l'accento soprattutto
sull'esame clinico, che costituisce la base prima ed insostituibile del contatto
con il malato e che resta l'unico mezzo di indagine sempre disponibile, anche in
condizioni di estrema urgenza, e sulle misure terapeutiche di carattere
generale, indispensabili in ogni paziente, indipendentemente dall'etiopatogenesi
dello stato di coma.
In
accordo con Frowein R.A. (1976) è possibile definire lo stato di coscienza come
una condizione di generale vigilanza, di consapevolezza di se stessi e di
reattività all'ambiente circostante.
In
base a questa definizione si parla di ottundimento della coscienza (sonnolenza,
obnubilamento, sopore, stupore) quando venga ad essere compromessa almeno una
delle tre componenti che la definiscono. Si consideri, ad esempio, il caso di un
paziente che apra gli occhi spontaneamente o a seguito di stimolo algogeno, ma
che non sia in grado di eseguire ordini semplici (come capita nell'afasia
sensoriale).
Lo
stato di coma è quella condizione nella quale si ha perdita della vita di
relazione con conservazione totale o parziale della vita vegetativa. A
differenza di quanto si osserva negli stati di ottundimento della coscienza, un
paziente in coma non apre gli occhi, non viene richiamato alla vita di relazione
da stimolo esogeno alcuno, ma può talora presentare movimenti spontanei o in
risposta a stimoli dolorifici.
Coma
cronico, coma vigile o, meglio, stato vegetativo persistente è, infine, quella
condizione, esito per lo più di trauma cranio-encefalico, di gravi anossie o di
lesioni vascolari cerebrali, nella quale si ha perdita persistente dello stato
di coscienza, con incapacità ad eseguire ordini semplici, assenza di risposte
motorie finalizzate, incapacità ad emettere parole comprensibili, ma con
apertura spontanea degli occhi, regolare ritmo sonno-veglia, autonomia
respiratoria e cardiocircolatoria. La dizione stato vegetativo persistente
sembra in questi casi la più adatta a sottolineare il contrasto esistente tra
la compromissione delle attività mentali superiori e la conservazione della
funzionalità del sistema nervoso vegetativo.
L'inquadramento
qui proposto, seppur grossolano, pone le basi per delimitare in modo
sufficientemente preciso i confini dello stato di coma. Aver voluto richiamare
le definizioni sopra riportate non corrisponde ad uno sterile esercizio di
nomenclatura, ma ad una reale esigenza di chiarezza: basti pensare che in
passato il coma è stato talvolta restrittivamente considerato come una
condizione di incoscienza con completa assenza di risposte motorie e di tono
muscolare, mentre nella letteratura tedesca non recente uno stato di coma senza
segni focali era considerato come una condizione di semplice incoscienza! Non è
necessario insistere per sottolineare che le possibilità di confronto fra
statistiche diverse dipendono dalla omogeneità nella definizione delle turbe di
coscienza, potendo altrimenti lo stesso quadro clinico essere da taluni
considerato coma e da altri non coma, con profonde ripercussioni sul giudizio
prognostico, sulle direttive terapeutiche e sulla valutazione dei risultati di
una ricerca.
All'origine
di uno stato di coma può esservi un ampio e multiforme spettro di patologie (tab.01A
a)
le malattie neurologiche nelle quali il cervello è primitivamente coinvolto
(come, ad esempio, le meningoencefaliti, l'emorragia cerebrale, i traumi cranici
ecc.);
b)
le patologie extracraniche dove invece l'encefalo è coinvolto secondariamente
(come, ad esempio, i comi metabolici, la carbonarcosi ecc.).
Ne
deriva che il coma può presentare aspetti fisiopatologici alquanto diversi,
caratterizzati tutti per altro da due fattori fondamentali: la sede e la natura
della lesione.
In
funzione delle strutture anatomiche interessate, il coma può essere sostenuto
da grave disfunzione del tronco encefalico e/o degli emisferi. L'interessamento
dell'una, dell'altra o di entrambe queste formazioni dipende dal tipo di insulto
e dalla sua evoluzione. Infatti uno stato di coma può essere conseguenza:
-
di un danno focale primitivo del tronco, quale è, ad esempio, quello
conseguente a trombosi vertebrobasilare;
-
di una patologia focale espansiva, che coinvolga secondariamente il tronco per
invasione e/o compressione. Quando una lesione espansiva sopratentoriale
raggiunge dimensioni tali da ridurre fortemente la compliance intracranica,
aumenti anche piccoli del contenuto intracranico, normalmente ben tollerati,
possono precipitare una condizione di ipertensione endocranica, con conseguente
deformazione del parenchima cerebrale in funzione dei gradienti pressori
intracranici. In altri termini si ha la formazione di ernie cerebrali con
possibile interessamento del tronco encefalico. Questa evenienza non è rara
nella branca clinica e dipende sia dalle dimensioni della lesione (neoplasia,
ematoma, ascesso ecc.), sia dalla velocità con cui si forma;
-
di un danno corticale e/o sottocorticale diffuso, con o senza interessamento del
tronco: condizione questa che si osserva nel coma post anossico, conseguente per
lo più ad arresto cardiocircolatorio. La maggiore sensibilità della corteccia
cerebrale all'ischemia spiega perché il danno corticale preceda
l'interessamento del tronco encefalico, che può anzi mancare del tutto ovvero
essere assai modesto. In casi del genere l'evoluzione verso lo stato vegetativo
persistente rappresenta l'evenienza più probabile.
Nel
paziente in coma si possono identificare, in senso rostro-caudale, livelli di
lesione simili a quelli che si notano nell'animale da esperimento dopo sezione,
a vari livelli, del sistema nervoso centrale. Così nel progressivo
deterioramento neurologico che si osserva nel paziente con ipertensione
endocranica intrattabile si può riconoscere il passaggio da sindromi di livello
diencefalico a sindromi di livello uncale, mesencefalico, pontino, bulbare. Un
simile deterioramento implica, ovviamente, un progressivo approfondimento del
coma ed un altrettanto progressivo aggravamento della prognosi. Va comunque
sottolineato che la successione rostro-caudale non rappresenta necessariamente
la regola e che esistono quadri clinici caratterizzati fin dall'esordio
dall'interessamento delle parti più caudali, come del resto già accennato a
proposito dell'impegno primitivo del tronco in caso di trombosi vertebrobasilare.
Per
quanto riguarda la natura della lesione, l'aspetto più critico è rappresentato
dalla sua reversibilità che gioca un ruolo cardine nella valutazione
prognostica: un paziente con un quadro clinico di decerebrazione a seguito di
emorragia cerebrale massiva ha una prognosi molto probabilmente infausta, mentre
un coma metabolico o tossico (da barbiturici, ad esempio) può essere talora
reversibile, anche in presenza di segni clinici ed elettroencefalografici
compatibili con la diagnosi di morte. E' questo senza dubbio l'aspetto più
critico della predizione prognostica: i medesimi segni clinici, indici dello
stesso livello di lesione, possono, sul piano prognostico, avere un diverso
valore in relazione al tipo di insulto ed alla sua reversibilità.
Anche
se l'edema cerebrale, raramente localizzato, costituisce l'elemento macroscopico
dominante all'esame morfologico dell'encefalo di un paziente deceduto in stato
di coma, non esiste specifica correlazione fra tipo ed entità dell'agente
etiologico e le alterazioni anatomoistologiche osservate. Infatti, mentre è
assai larga e sostanzialmente univoca la documentazione sui danni anatomici
riscontrati negli stati di coma conseguenti a lesioni traumatiche, ad accidenti
vascolari, a neoplasie, a patologie infettive, non altrettanto può dirsi per i
casi di coma ad etiologia tossico-dismetabolica, dove le alterazioni
morfologiche sono molto più sfumate e meno localizzate e comunque assai poco
correlate con l'entità del disturbo funzionale.
La
valutazione dello stato di coma si basa sui risultati dell'indagine anamnestica
e semeiologica e sui dati forniti dagli esami strumentali e di laboratorio. Fra
questi ultimi vanno annoverati:
-
le indagini neuroradiologiche: radiografia del cranio, tomografia assiale
computerizzata (TAC), risonanza nucleare magnetica (RNM), angiografia, flusso
ematico cerebrale (CBF), tomografia ad emissione di positroni (PET);
-
le indagini neuroelettriche: elettroencefalogramma (EEG), potenziali evocati
visivi, uditivi, somatosensoriali e motori (VEP, ABR, SEP e MEP
rispettivamente);
-
la misura della pressione intracranica (ICP);
-
l'esame del liquor;
-
ogni altra ricerca utile ad inquadrare la patologia che è all'origine del coma.
La
valutazione clinica costituisce, come si è già accennato, la base della
diagnostica e del monitoraggio dello stato di coma prima di qualsiasi altra
indagine. E' quindi di fondamentale importanza conoscere a fondo la semeiologia
del coma così da poterne ricavare il massimo delle informazioni possibili. E'
anche importante ribadire che l'esame neurologico è l'unico mezzo diagnostico
sempre disponibile, dal momento che non richiede alcuna attrezzatura, se non
un'adeguata preparazione da parte dei sanitari curanti. Di qui la sua funzione
particolarmente preziosa nelle situazioni di primo soccorso e quando debbano
essere prese decisioni terapeutiche in condizioni di urgenza. Le indagini
neuroradiologiche consentono di perfezionare la stima del danno neurologico sul
piano morfologico e possono fornire anche utili indicazioni prognostiche. E'
certo però che sul piano della valutazione delle turbe funzionali una posizione
sempre più importante occupano le indagini neuroelettriche: si tratta infatti
di metodiche non invasive (quindi esenti da complicazioni) e facilmente
ripetibili al letto del malato, per cui consentono anche un monitoraggio nel
tempo. Fra queste spiccano i potenziali evocati per il loro elevatissimo valore
prognostico e per la possibilità da loro garantita di mantenere un contatto
funzionale con il paziente anche dopo sedazione o addirittura durante coma
barbiturico.
Cardini
della valutazione clinica del coma sono: il livello di coscienza, i riflessi del
tronco, le risposte motorie, la postura e le alterazioni del ritmo respiratorio,
queste ultime apprezzabili, ovviamente, solo nei pazienti in respiro spontaneo.
Alcuni
dei parametri appena citati, da soli ovvero associati a dati di laboratorio e/o
indagini strumentali, sono stati utilizzati da diversi Autori per l'elaborazione
di classificazioni o scale del coma. Scopo di queste scale è di consentire una
indicazione sintetica della gravità o profondità del coma. Si tratta dunque di
un obiettivo di grande interesse ed attualità, perché solo una determinazione
agevole, affidabile e standardizzata del coma ne permette una migliore
valutazione sul piano epidemiologico, fisiopatologico e terapeutico, rendendo
altresì possibile precisi scambi di informazioni e non equivoci confronti fra
casistiche diverse. Aspetti questi che nella pratica clinica non possono che
tradursi in un più esatto inquadramento delle condizioni dei malati ed in una
più corretta condotta terapeutica.
L'obiettivo
suddetto si è tuttavia dimostrato assai difficile da raggiungere: si è infatti
assistito nell'ultimo ventennio ad una notevole proliferazione della letteratura
a questo proposito ed alla nascita di un gran numero di diverse classificazioni,
le quali, più che portare reali vantaggi alla soluzione del problema, hanno non
di rado contribuito ad aumentare la confusione ed il disorientamento.
Le
scale di valutazione del coma oggi disponibili sono più di 20, gran parte delle
quali studiate per gli stati di coma da trauma cranico (tab.02
Saranno
qui ricordate solo le scale più largamente utilizzate nella pratica clinica.
La
Glasgow Coma Scale prevede la valutazione combinata delle risposte oculari
(E),verbali (V) e motorie (M) (tab.03
Va
precisato che le risposte motorie devono essere ricercate nell'arto superiore e
che con il termine flessione anomala si intende una delle seguenti risposte:
movimenti di estensione e flessione alternati, postura in flessione
stereotipata, flessione estrema del polso, abduzione dell'arto superiore o
flessione delle dita sopra il pollice; le risposte dubbie vanno considerate come
flessione normale. In presenza di risposte motorie diverse nei due lati, va
sempre tenuto conto della migliore, poiché scopo della classificazione è la
valutazione del livello di coscienza e non la ricerca di lesioni focali (infatti
un paziente può essere, ad esempio, cosciente ed emiplegico). Lo stimolo
algogeno appropriato e standardizzato è costituito dalla compressione del letto
ungueale con una matita o del forame sovraorbitario con le dita, ma possono
essere impiegati anche altri stimoli, quali un forte pizzicamento sul cucullare
o una pressione sullo sterno con le nocche delle dita.
Lo
score può assumere tutti i valori da un minimo di 3 ad un massimo di 15;
quest'ultimo valore è quello che si ottiene dal paziente cosciente, mentre i
punteggi progressivamente più bassi indicano una sempre maggiore compromissione
della coscienza fino al coma, che corrisponde ad uno score uguale od inferiore a
8.
Introdotta
nel 1974, la Glasgow Coma Scale è ora largamente usata in tutto il mondo per i
suoi innegabili vantaggi. Fra questi vanno in particolare menzionati l'estrema
semplicità, che ne permette l'impiego anche da parte di personale non
specializzato, e la possibilità di consentire un linguaggio comune fra
sanitari, aspetto questo particolarmente importante nel periodo che intercorre
fra il primo soccorso ed il definitivo ricovero del malato in un centro
specialistico, fase nella quale una sistematica valutazione dello score e delle
sue variazioni fornisce un attendibile monitoraggio dell'evoluzione delle
condizioni cliniche. La Glasgow Coma Scale evitando il ricorso a termini, quali
decerebrazione e decorticazione, che richiedono un'interpretazione dei sintomi e
non una loro semplice descrizione, ed escludendo altresì riferimenti alle
condizioni del tono muscolare, riduce concretamente le possibilità di errate
conclusioni diagnostiche.
Neanche
la Glasgow Coma Scale è tuttavia esente da critiche. Infatti con la sola
indicazione dello score globale si finisce con il conglobare in un unico valore
situazioni che possono essere alquanto diverse. Ad esempio uno score di 7,
risultante da E1 V2 M4 è probabilmente indicativo di un danno più grave di
quello correlato a E1 V1 M5. Il che sta anche a significare che nella Glasgow
Coma Scale le risposte motorie sono più probanti nel definire lo stato di coma
rispetto a quelle oculari e verbali. Inoltre la Glasgow Coma Scale, mentre è
senz'altro un indice assai soddisfacente per la determinazione del livello di
coscienza nel paziente vigile e nel coma lieve, nel traumatizzato cranico grave
si riduce, nella gran parte dei casi, ad espressione della sola valutazione
della migliore risposta motoria, trattandosi per lo più di pazienti portatori
di catetere tracheale.
La
Glasgow Coma Scale, rilevata nel cranioleso entro un intervallo medio di tempo
inferiore a 6 ore dall'impatto traumatico, è significativamente correlata con
la prognosi nel bambino; nell'adulto la correlazione è meno evidente in fase
precoce, ma diventa poi significativa entro le prime 24 ore.
Tra
i limiti della Glasgow Coma Scale va certamente annoverata la sua inapplicabilità
nei bambini di età inferiore a 36 mesi. Per la valutazione del livello di
coscienza nella prima infanzia non è infatti corretto impiegare la Glasgow Coma
Scale, perché il livello di integrazione delle funzioni superiori non consente,
fisiologicamente, di ottenere risposte verbali comprensibili, né l'esecuzione
di ordini semplici. Adatto al paziente pediatrico è il Children Coma Score,
proposto da Ramondi A.J. e Hirschauer J. (1983) (tab.04
Poiché
la prognosi del grave cranioleso dipende in gran parte dal danno del tronco
encefalico, una più precisa valutazione del traumatizzato cranico deve
necessariamente includere l'esame dei riflessi oculari. Sono così state
elaborate alcune scale, in particolare quella di Auer L. e Coll. (1980) (tab.06
Tuttavia
la Scala di Auer considera tra i riflessi del tronco solo il riflesso pupillare,
mentre quella di Liegi impone una classificazione dei medesimi in senso rostro
caudale, criticabile almeno per due ragioni:
-
la rilevazione del riflesso oculo cardiaco non è sempre agevole, né priva di
rischi: pertanto la sua valutazione dovrebbe essere evitata, a meno che non si
riveli un determinante prognostico di grande valore;
-
l'ordinamento dei riflessi del tronco in senso rostro caudale, anche se
giustificato dal punto di vista teorico ed anatomico, non sempre corrisponde
alla realtà clinica, in quanto non consente di valutare adeguatamente tutti i
pazienti. Infatti il riflesso oculocefalico può in alcuni casi essere anomalo
od assente in presenza di un normale riflesso fotomotore. Sembra pertanto più
opportuna la valutazione dei riflessi del tronco in maniera del tutto
indipendente, senza alcun ordine gerarchico rigidamente precostituito, secondo
un criterio a punteggio.
Fra
le scale a gradini vanno ricordate quelle di Gerstenbrand F. e Lucking C.H.
(1970) (tab.08
Mentre
le scale a punteggio presuppongono necessariarnente una totale indipendenza fra
di loro dei diversi segni considerati, le scale a gradini consentono di
evidenziare associazioni costanti o assai probabili di sintomi. Tuttavia queste
ultime non raramente spezzano in caselle troppo rigide l'insieme dei dati che le
costituiscono. In sostanza le scale a punteggio sono in generale di più
semplice e facile rilevazione, mentre le scale a gradini esprimono in modo più
sintetico il grado di disfunzione cerebrale in senso rostro caudale. E' altresì
importante notare come in alcune classificazioni a gradini vengano utilizzate
terminologie complesse, che richiedono un'interpretazione, almeno in parte
soggettiva, dei fenomeni osservati (come ad esempio "decorticazione",
"decerebrazione" ecc. ) e come compaiano anche segni neurovegetativi,
quali l'entità della pressione arteriosa ed i valori della frequenza cardiaca:
dati questi ultimi in non pochi casi scarsamente affidabili, e quindi tali da
perdere gran parte del loro valore in termini sia diagnostici sia prognostici,
in funzione di squilibri indotti da fattori extracranici e/o da provvedimenti
terapeutici.
Si
è già detto come scopo delle classificazioni o scale del coma sia fornire
un'indicazione sintetica della gravità o profondità del coma e della relativa
prognosi. Non è necessario insistere per sottolineare come sarebbe quanto mai
utile poter restringere al massimo il numero delle classificazioni usate, con
evidente vantaggio nelle possibilità di comunicazione fra centri diversi e di
confronto fra casistiche differenti. A questo proposito è da stigmatizzare la
deprecabile abitudine, tuttora in atto, di definire nella documentazione
sanitaria lo stato di coma con aggettivi ovvero con numeri, senza però
precisare la scala cui fanno riferimento: prassi questa, non solo priva di
logica, ma anche di ogni reale significato clinico. Per quanto riguarda in
particolare l'utilità delle scale nella formulazione del giudizio prognostico
sarebbe opportuno stabilire per ogni tipo di coma se vi siano e quali siano i
determinanti prognostici più precisi e sensibili ed usare solo questi nella
elaborazione delle scale. Alcune delle classificazioni citate fanno riferimento
ad una gran moltitudine di parametri che sembrano dettati più da presupposti
teorici o da criteri anatomici, che non da sicuri accertamenti sul loro reale
valore prognostico. Nel cranioleso sono stati individuati alcuni segni molto
importanti sul piano prognostico, molti dei quali si sono rivelati utili già
nelle primissime ore immediatamente susseguenti al trauma (tab.11
L'esame
dei riflessi del tronco permette di definire con buona accuratezza il grado di
disfunzione del tronco encefalico.
-
Diametro e reazioni pupillari alla luce. Le pupille vanno esaminate sia per
quanto concerne il diametro (miosi, midriasi) sia per quanto riguarda la
reattività alla luce (reagenti, areagenti), ponendo particolare attenzione al
manifestarsi di differenze fra i due lati.
Quando
si valutano le pupille in un paziente in coma bisogna sempre escludere eventuali
lesioni nervose periferiche, danni a carico del bulbo oculare e pregresse
somministrazioni di farmaci in grado di interferire sui risultati dell'esame
neurologico (come ad esempio atropina ed analgesici narcotici) per evitare
diagnosi precipitose, quanto fuorvianti. In particolare, data l'attuale elevata
incidenza di tossicomanie, l'osservazione di pupille puntiformi in un paziente
giovane, caduto improvvisamente in coma, deve sempre far sospettare un'overdose
di eroina, soprattutto se coesiste ipoventilazione o apnea.
La
via afferente del riflesso fotomotore è costituita dal II nervo cranico; la via
efferente dal III (fig.01
Nel
paziente in coma la presenza di anisocoria depone per la presenza di un'ernia
transtentoriale. In una simile evenienza infatti l'uncus comprime il III nervo
cranio all'uscita dal mesencefalo, con conseguente blocco delle fibre
pupillocostrittrici provenienti dal nucleo di Edinger-Westphal, per cui ne
risulta midriasi omolaterale. Se l'ernia progredisce ulteriormente,
l'interessamento anche del III nervo cranico controlaterale può far evolvere il
quadro verso la midriasi areagente bilaterale che, se persistente, è indice di
decerebrazione. L'anisocoria è quindi segno di importante compromissione
encefalica, con rischio serio di evoluzione verso il danno cerebrale
irreparabile. E' pertanto una condizione che richiede una rapida diagnosi di
natura della lesione e, se possibile, il suo tempestivo trattamento.
Uno
stato di miosi serrata (o pupille a punta di spillo), reagente, è spesso dovuta
alla presenza di lesioni a livello pontino: talora la reazione pupillare alla
luce non è facilmente evidenziabile proprio per il grado estremo di miosi.
-
Posizione degli occhi. Una deviazione coniugata degli occhi, in assenza di
convulsioni, è segno di lesione dei centri dello sguardo coniugato posti nella
regione frontale posteriore omolaterale e/o nella metà controlaterale del ponte
(fig.02
-
Riflesso oculocefalico. La via afferente del riflesso oculocefalico è
costituita dai propriocettori dei muscoli del collo e forse anche dalle vie
vestibolari. Da queste strutture i segnali raggiungono il centro pontino per lo
sguardo coniugato, da dove vengono inviati bilateralmente al nucleo del III
nervo cranico, tramite il fascicolo longitudinale mediale, ed al nucleo del VI.
Il collegamento bilaterale consente la stimolazione dei motoneuroni di un lato e
l'inibizione di quelli dell'altro. Ne consegue che la stimolazione della via
afferente produce l'abduzione di un occhio e l'adduzione dell'altro, dato che il
III paio innerva il muscolo retto mediale e il VI paio innerva il muscolo retto
laterale: si ha, in definitiva, una deviazione coniugata degli occhi.
Per
evocare il riflesso oculocefalico si ruota bruscamente da un lato la testa del
paziente, sollevata di circa 30°, inducendo, se il riflesso è presente, un
movimento degli occhi in direzione opposta a quella del movimento di rotazione
impresso al capo, seguito dal ritorno alla posizione di riposo. Il riflesso
oculocefalico è anche conosciuto come "test degli occhi di bambola",
per l'evidente similitudine con quanto si osserva nei movimenti degli occhi di
una bambola al variare della sua posizione. Nel paziente traumatizzato, prima di
evocare il riflesso oculocefalico, è opportuno assicurarsi dell'assenza di
eventuali lussazioni o fratture delle vertebre cervicali, nel qual caso potrebbe
verificarsi infatti una lesione acuta del midollo cervicale.
Il
riflesso oculocefalico è fisiologicamente presente nei primi mesi di vita, poi
scompare per il controllo inibitore esercitato dai centri superiori; ricompare
quindi negli stati di coma per fenomeno di liberazione: nel coma profondo
presenta tuttavia anomalie o può essere anche del tutto assente, in rapporto
con il grado di interessamento del tronco encefalico.
L'alterazione
iniziale del riflesso oculocefalico di più comune riscontro nella pratica
clinica è l'oftalmoplegia internucleare superiore (o sindrome del fascicolo
longitudinale mediale), che consiste nella mancata adduzione dell'occhio:
rotando il capo del paziente da un lato si osserva allora la sola abduzione di
un occhio, mentre l'altro rimane immobile. Assieme all'anisocoria ed alla
midriasi bilaterale, l'anormalità o l'assenza del riflesso oculocefalico sono
segno di interessamento del tronco cerebrale, legato molto spesso alla presenza
di un'ernia transtentoriale discendente. Molto più rara è l'osservazione di
un'oftalmoplegia internucleare inferiore, provocata dall'interruzione delle
fibre situate fra il centro per lo sguardo coniugato e il nucleo del VI nervo
cranico: si osserva allora la sola adduzione. Un quadro del genere può talora
osservarsi in caso di lesioni pontine (fig.03
E'
da ribadire che il riflesso oculo cefalico nel trauma cranico grave è uno dei
segni dotati del maggior valore prognostico, sia nell'adulto sia nel bambino,
essendo la sua anormalità o assenza significativamente associata con una
prognosi sfavorevole. La completa scomparsa del riflesso oculocefalico nel coma
è per lo più legata ad una grave compromissione del tronco encefalico.
-
Riflesso ciliospinale. Consiste nell'aumento del diametro pupillare in risposta
all'applicazione di uno stimolo doloroso, quale può essere un forte
pizzicamento del cucullare.
Le
vie afferenti del riflesso ciliospinale sono quelle nocicettive, mentre la via
efferente è rappresentata dall'effettore viscerale simpatico, situato nel
diencefalo, le cui fibre, percorrendo il tronco cerebrale, giungono fino al
centro ciliospinale nel midollo spinale, a livello della prima vertebra
toracica. Da qui le fibre del secondo neurone raggiungono la catena simpatica
paravertebrale per terminare nel ganglio stellato. Le fibre del terzo neurone
postgangliare penetrano nel cranio assieme all'arteria carotide interna e vanno
ad innervare il muscolo radiale dell'iride (fig.04
Il
riflesso ciliospinale va considerato come una risposta simpatica allo stimolo
doloroso: per la sua presenza è richiesta, oltre all'integrità delle vie
efferenti periferiche, un buon funzionamento delle vie sensitive e di quelle
viscerali simpatiche del tronco cerebrale.
Negli
stati di coma il riflesso ciliospinale scompare in relazione ad una grave
disfunzione del tronco encefalico, analogamente a quanto succede per il riflesso
fotomotore ed il riflesso oculocefalico.
-
Riflesso corneale e trigemino facciale. Il riflesso corneale consiste nella
chiusura delle palpebre in risposta allo sfioramento della cornea con un
batuffolo di cotone o un filo di garza. L'arco afferente è dal V nervo cranico,
quello efferente dal VII (fig.05A
Va
premesso che nel coma gli occhi sono di norma chiusi finché non venga
ristabilito il ritmo sonno-veglia, fenomeno che avviene di solito in condizioni
di cronicità o in fase di guarigione; una resistenza al sollevamento delle
palpebre in un paziente in stato di incoscienza depone più facilmente per una
crisi isterica o per un blefarospasmo.
Il
riflesso corneale può essere monolateralmente torpido o assente in caso di
emiplegia. Nel coma post traumatico il riflesso corneale può essere assente
monolateralmente a causa di paralisi periferica provocata, ad esempio, da
frattura dell'osso temporale.
Il
riflesso corneale, infine, può essere torpido o assente negli insulti vascolari
nel territorio vertebrobasilare conseguentemente a danni a livello pontino.
Tra
i riflessi del tronco il corneale è l'unico a non essere in alcun modo
correlato con la prognosi del cranioleso, essendo questa, come più volte
rilevato, in relazione diretta con la gravità delle lesioni a carico del tronco
encefalico. Le alterazioni del riflesso corneale sono essenzialmente in rapporto
con quadri di emiplegia, non necessariamente conseguenti ad ernia
transtentoriale, ovvero sono il risultato di una paralisi periferica del VII
nervo cranico.
Per
esaminare il riflesso trigeminofacciale si comprime con l'unghia il forame
sovraorbitario: la risposta consiste in una smorfia facciale omolaterale.
Quest'ultimo riflesso è più facilmente evocabile nel paziente in stato
stuporoso o in coma superficiale, piuttosto che nel paziente in coma profondo.
L'esame
della funzione motoria nel paziente in coma comprende la valutazione del tono
muscolare, dei riflessi profondi e delle risposte motorie allo stimolo doloroso.
Deve
essere inoltre sempre considerata la presenza di eventuali posture stereotipate.
In generale si può affermare che le alterazioni della funzione motoria e della
postura sono correlate con il grado di profondità del coma e quindi anche con
la prognosi.
Le
risposte motorie allo stimolo nocicettivo possono essere appropriate,
inappropriate o assenti, in rapporto con il livello e l'entità del danno
cerebrale. Con il termine di risposta appropriata si intende la flessione
normale, la localizzazione dello stimolo e l'esecuzione di ordini semplici
(risposte cui la Glasgow Coma Scale attribuisce, rispettivamente, i punteggi da
4 a 6). Le risposte inappropriate sono la rigidità decorticata e la rigidità
decerebrata (3 e 2 punti nella Glasgow Coma Scale): la prima consiste in una
flessione spastica dell'arto superiore associata ad estensione dell'arto
inferiore e flessione plantare del piede; la seconda in estensione ed
iperpronazione bilaterale degli arti superiori ed estensione degli arti
inferiori e flessione plantare dei piedi (talora può essere anche presente
opistotono).
La
rigidità decorticata è segno di lesioni a livello della capsula interna o del
peduncolo cerebrale mentre la rigidità decerebrata è espressione di lesione
mesencefalica. La rigidità decerebrata, che sperimentalmente si osserva
nell'animale mesencefalico, va considerata fenomeno di esaltazione dei riflessi
di postura antigravitaria di sostegno filogeneticamente più antichi; la sua
presenza è legata al mantenimento dell'integrità delle vie vestibolo-spinali e
delle radici spinali anteriori e posteriori. Sia nella rigidità decorticata che
in quella decerebrata è presente ipertono muscolare, espressione di sofferenza
cortico-spinale ed extra piramidale. L'ipertono non va tuttavia confuso con la
paratonia, che è resistenza plastica e pressoché uniforme al movimento passivo
verso qualsiasi direzione ed è frequente negli stati di coma superficiali ed in
quelli di origine metabolica.
Il
deterioramento rostro-caudale da lesione sopratentoriale espansiva, cui si è
fatto più volte riferimento, sul piano motorio è schematicamente
caratterizzato da tappe successive che sono la flessione anomala, la rigidità
decorticata o l'emiplegia controlaterale al focolaio di lesione, la rigidità
decerebrata e, infine, la tetraplegia flaccida.
L'emiplegia
è segno di lesione diretta delle vie motorie centrali o di compressione da
parte di un'ernia transtentoriale. In quest'ultimo caso si può talvolta
osservare un'emiplegia omolaterale paradossa indotta dalla compressione della
base del mesencefalo contro il bordo del tentorio, controlateralmente al
focolaio espansivo. Pertanto la ricerca dei segni di emiplegia nel coma, assieme
ai riflessi oculari riveste notevole importanza, potendo essere un prezioso
indizio di un'incipiente deterioramento delle condizioni neurologiche. Dal lato
emiplegico il riflesso corneale è frequentemente torpido o assente e la
palpebra è ipotonica o flaccida. All'ispezione, inoltre, nel paziente
sprovvisto di catetere tracheale, si può osservare dal lato emiplegico un
maggiore rigonfiamento della guancia durante l'espirazione. In fase acuta gli
arti emiplegici sono per lo più ipotonici o flaccidi, mentre l'ipertono è
presente in condizioni di cronicità. Per valutare il tono degli arti si può
eseguire il "test della caduta" sollevando e lasciando successivamente
cadere entrambe le braccia sul letto: il braccio emiplegico, essendo flaccido,
cade sul letto più pesantemente e più bruscamente. In maniera analoga si
procede per la valutazione degli arti inferiori. Ovviamente questo test ha
significato solo in presenza di asimmetrie di tono nei due lati. La diagnosi di
emiplegia è, infine, completata dalla ricerca del segno di Babinski, che deve
essere peraltro valutato con molta prudenza per evitare conclusioni fuorvianti.
L'estensione dell'alluce può essere, nel coma profondo, presente bilateralmente
anche in assenza di lesioni delle vie piramidali. La diagnosi di emiplegia non
va quindi basata sulla sola presenza del segno di Babinski, che, viceversa,
rappresenta un ulteriore dato di conferma quando siano presenti gli altri segni
e quando si manifesti unilateralmente dal lato emiplegico.
I
segni di meningismo, quando presenti, sono indici per lo più di lesione
irritativa dello spazio subaracnoideo o di emorragia. Tuttavia nel coma profondo
questi segni, che hanno il significato funzionale di una contrattura muscolare
di difesa, possono mancare per l'abolizione dei riflessi e/o del tono muscolare.
Pertanto, per formulare od escludere con certezza la diagnosi di meningite in un
paziente in coma bisogna sempre ricorrere alla rachicentesi.
L'esame
del paziente in coma comprende anche la valutazione delle alterazioni del ritmo
respiratorio indotte dal danno encefalico. La semeiologia delle turbe
respiratorie ha perso oggi, in realtà, gran parte del suo significato, poiché
nei pazienti in coma viene per lo più garantita la pervietà delle vie aeree
attraverso cateterizzazione tracheale e la regolarità del ricambio gassoso
mediante ricorso alla ventilazione artificiale. L'osservazione delle alterazioni
del ritmo respiratorio conserva peraltro ancora tutta la sua validità nelle
prime fasi del soccorso al paziente in coma, che può presentare (fig.06
-
il respiro periodico (di Cheyne-Stokes) nelle lesioni sottocorticali;
-
l'iperventilazione neurogena centrale nelle lesioni mesencefaliche;
-
il respiro apnoico nelle lesioni rostrali del ponte;
-
il respiro a grappolo nelle lesioni caudali del ponte;
-
il respiro atassico nelle lesioni bulbari.
Tra
queste alterazioni, l'iperventilazione neurogena centrale è l'unica che può
rendersi evidente in corso di ventilazione meccanica, impedendo l'adattamento
del paziente al ritmo imposto dal respiratore. Va sottolineato che
l'iperventilazione neurogena centrale può essere anche conseguenza di una
severa acidosi del liquor, tale da stimolare il centro respiratorio, pur in
assenza di lesioni anatomiche a livello mesencefalico. In ogni caso
l'iperventilazione neurogena centrale è un segno di grave sofferenza cerebrale,
che può talvolta trarre in inganno il medico inesperto: i tentativi di
respirazione autonoma del paziente possono infatti venir scambiati per la
ripresa di una normale ventilazione spontanea, fenomeno che però contrasta con
la presenza di segni di coma profondo.
Va,
infine, ribadito che l'esame clinico deve essere sempre preceduto, o quanto meno
accompagnato, ovviamente quando possibile, da una attenta anamnesi, che il più
delle volte è in grado di orientare verso la giusta diagnosi, permettendo di
evitare un impiego indiscriminato e non di rado fuorviante di indagini
diagnostiche. Tuttavia anamnesi ed esame clinico, pur fornendo utili indicazioni
sul tipo di intervento terapeutico da adottare e sulla sua efficacia, non
consentono quella precisione e tempestività che sono possibili solo attraverso
una mirata utilizzazione delle indagini strumentali e degli esami di
laboratorio.
a)
Radiografia del cranio. E' di utilità pressoché esclusiva negli stati di coma
da trauma cranico per evidenziare l'eventuale presenza di fratture del cranio e
della colonna.
b)
Tomografia assiale computerizzata (TAC). E' un'indagine essenziale nella
diagnostica del coma da danno cerebrale organico, poiché consente di valutare
la sede e la natura delle lesioni, l'esistenza di processi occupanti spazio e la
presenza e l'estensione dell'edema cerebrale perilesionale.
Tutti
i pazienti, in cui si sospetti l'esistenza di una lesione occupante spazio,
sopra- o sottotentoriale, o di una lesione distruttiva, dovrebbero essere
sottoposti ad indagine TAC, consentendo questa l'identificazione rapida delle
lesioni suscettibili di trattamento neurochirurgico, la discriminazione delle
lesioni ischemiche da quelle emorragiche e, più in generale, la valutazione
dell'entità del danno intracranico. La TAC è inoltre in grado di evidenziare
condizioni di ipertensione endocranica, attraverso l'interpretazione di segni
indiretti, quali lo shift della linea mediana, le dimensioni del complesso
ventricolare e i rilievi di erniazione transtentoriale discendente. La TAC
presenta invece limiti nella corretta valutazione delle lesioni primitive del
tronco encefalico, delle lesioni ischemiche e flogistiche in fase precoce e
dell'edema cerebrale post-traumatico.
Sul
piano prognostico i segni rilevabili alla TAC che sembrano possedere maggior
valore predittivo sono lo shift della linea mediana e la rotazione del tronco
cerebrale (segno di erniazione transtentoriale in fase avanzata) (fig.07
c)
Risonanza magnetica nucleare (NMR). La risonanza magnetica nucleare è
un'indagine diagnostica relativamente recente che consente di ottenere
un'immagine tomografica in funzione del diverso contenuto di protoni all'interno
delle strutture studiate. La NMR ha permesso di allargare le possibilità
diagnostiche nel campo delle patologie intracraniche poiché è in grado di
identificare variazioni strutturali con una sensibilità superiore rispetto a
quanto consentito dalla TAC. Tuttavia, mentre il riscontro di lesioni ischemiche
è più precoce con la NMR rispetto alla TAC, l'opposto avviene in presenza di
lesioni emorragiche in fase acuta. La NMR sembra inoltre aver aperto una via
alla diagnosi diretta, sia qualitativa che quantitativa, dell'edema cerebrale,
consentendo di valutarne le diverse fasi, seguirne l'evoluzione e chiarirne la
dinamica molecolare. Interessanti risultati sono stati anche raggiunti
nell'identificazione di encefalopatie dismetaboliche e/o tossiche nei soggetti
con reperto TAC del tutto normale o dubbio.
d)
Angiografia. Le indicazioni all'impiego dell'angiografia sono ovviamente molto
diminuite dopo l'avvento della TAC e della NMR; essa rimane tuttavia un esame
insostituibile nella diagnostica della patologia vascolare (aneurismi
endocranici, malformazioni artero-venose).
e)
Flusso ematico cerebrale (CBF). La determinazione del flusso ematico cerebrale
mediante inalazione o somministrazione endovenosa di radionuclidi (Xe 133) è
una metodica di indagine che tende ad essere progressivamente più utilizzata
sia nella valutazione diagnostica che nel giudizio prognostico degli stati di
coma. Del tutto innocua, in quanto non invasiva, essa consente di stimare le
modificazioni della perfusione cerebrale correlate al danno encefalico e di
osservare le variazioni indotte dal trattamento terapeutico. Il mappaggio del
CBF ottenuto, analogamente all'EEG, mediante interpolazione dei dati rilevati da
registrazioni multicanali, consente di avere un'immagine bidimensionale con una
ragionevole risoluzione spaziale (fig.08
Il
CBF può essere valutato anche con la SPECT (tomografia computerizzata ad
emissione di fotone singolo) mediante gamma camera rotante o sistemi
multicanale. Il vantaggio essenziale della SPECT è di consentire un'imaging
tomografico con buona risoluzione spaziale. Tuttavia anche questa metodica
presenta limiti non trascurabili.
f)
Tomografia ad emissione di positroni (PET). I limiti maggiori della SPECT sono
certamente superati dalla PET, metodica
che è però di utilizzazione clinica ancora assai limitata. L'indagine mediante
PET ha il grande vantaggio di fornire risposte quantitative è quindi di maggior
valore diagnostico e prognostico. Inoltre l'utilizzo di radioisotopi fisiologici
permette di condurre indagini dinamico funzionali, non altrimenti effettuabili,
per la determinazione della dimensione di una lesione, per la valutazione
dell'attività metabolica e del flusso ematico ad essa correlata e per il
monitoraggio degli effetti del trattamento farmacologico.
Il
ricorso ad indagini neuroelettriche nella valutazione del paziente in coma è
assai vantaggioso, in quanto si tratta di tecniche non invasive, e quindi esenti
da complicazioni, facilmente eseguibili e ripetibili al letto del malato,
capaci, infine, di fornire informazioni preziose sul grado di disfunzione
neuronale e sulla sua evoluzione.
a)
Elettroencefalogramma (EEG). L'elettroencefalogramma convenzionale consente di
perfezionare la valutazione del danno neurologico ricavata dal solo esame
clinico e, soprattutto nei casi in cui l'esame obiettivo sia reso inaffidabile
(ad esempio, a causa dell'impiego di bloccanti neuromuscolari o per la presenza
di estese lesioni cranio-facciali), permette di monitorare l'evoluzione delle
condizioni neurologiche.
In
termini del tutto generali i seguenti aspetti elettroencefalografici sono
ritenuti importanti nella valutazione dello stato di coma di origine traumatica,
vascolare e ischemica:
-
grado di disorganizzazione: un tracciato altamente disorganizzato è indice di
prognosi infausta;
-
ritmo di fondo: quanto più il ritmo è rappresentato da attività lenta, in
assenza di sedativi ed anestetici, tanto più ha significato predittivo
sfavorevole. Le lesioni sottotentoriali determinano solitamente un'attività
lenta bilaterale. Esiste tuttavia un'importante eccezione, rappresentata
dall'"alfa coma": occasionalmente pazienti in coma per lesioni del
tronco di origine vascolare o traumatica mantengono una normale attività alfa
non influenzabile da stimoli. L'"alfa coma" ha una prognosi infausta
nel 70% dei casi circa. In generale l'attività alfa nel coma è distinguibile
dal normale ritmo alfa, per la localizzazione topografica: il ritmo alfa è
normalmente in sede occipitale, mentre nel coma l'attività alfa è di
localizzazione prevalentemente frontale e/o centrale;
-
reattività allo stimolo: l'assenza di risposta alla stimolazione dolorosa è
indice di prognosi infausta. Un tracciato costituito da attività lenta, di
basso voltaggio, areagente si riscontra in presenza di danni corticali gravi ed
estesi, la cui prognosi è infausta;
-
presenza di anomalie focali dei ritmi: è espressione di danno localizzato più
o meno esteso. Lesioni sopratentoriali generano abitualmente anomalie
elettroencefalografiche focali, in quanto coinvolgono direttamente la corteccia
oppure interrompono le proiezioni talamo-corticali. Prima manifestazione è, in
genere, la comparsa di un'attività lenta o una riduzione del voltaggio. Se il
danno è esteso e compare shift della linea mediana, può manifestarsi anche in
uno stato di sofferenza a carico dell'emisfero controlaterale e quindi vari
gradi di anomalie bilaterali dei ritmi.
Alcuni
quadri EEG consentono inoltre ulteriori valutazioni diagnostiche e prognostiche:
-
attività delta ritmica intermittente: compare generalmente nei primi stadi del
coma contemporaneamente o dopo disorganizzazione e/o perdita del ritmo alfa e
comparsa di attività lenta. E' maggiormente rappresentata negli adulti nelle
regioni frontali e nei bambini in quelle occipitali. Consiste in bursts di alto
voltaggio, regolari, mono o bilaterali, bloccati dall'apertura degli occhi. Si
manifesta nelle lesioni sopratentoriali emisferiche o mediane, che aumentano la
pressione a livello del terzo ventricolo, e nelle encefalopatie
tossico-metaboliche e degenerative, che coinvolgono prevalentemente la sostanza
grigia sottocorticale e corticale;
-
tracciato alternante: è caratterizzato da periodi alterni di attività delta
diffusa di alto voltaggio e potenziali irregolari di basso voltaggio, reagenti
alla stimolazione ed alle modificazioni delle funzioni autonomiche. Questi
quadri compaiono nelle patologie che coinvolgono la sostanza bianca
sottocorticale.
-
fenomeni periodici, che comprendono i seguenti quadri:
1)
burst suppression: si riscontra generalmente nelle intossicazioni acute da
barbiturici o altri farmaci depressori del sistema nervoso centrale, nelle
encefalopatie ipossico-ischemiche e nell'ipotermia profonda; 2) scariche
epilettiformi periodiche bilaterali: conseguono generalmente a grave episodio
anossico-ischemico ed hanno prognosi assai riservata; 3) scariche epilettiformi
in fase critica ed intercritica: si tratta di fenomeni focali o generalizzati
che si osservano soprattutto in pazienti con contusioni cerebrali o ematomi
intercerebrali e nelle encefalopatie metaboliche ed anossiche.
L'EEG
convenzionale, pur restando insostituibile, presenta tuttavia diversi limiti, in
quanto:
-
il tracciato resta normale o presenta scarse alterazioni in molte patologie
neurologiche;
-
l'enorme lunghezza della registrazione si presta assai poco al monitoraggio
continuo;
-
la localizzazione del danno cerebrale è per lo più assai grossolana;
-
l'analisi visiva del ritmo di fondo è più di tipo qualitativo che di tipo
quantitativo.
In
questi ultimi anni sono state perciò sviluppate tecniche di analisi
computerizzata del segnale tali da permettere la valutazione quantitativa del
tracciato e la compressione di brani più o meno lunghi della registrazione. Fra
questi sistemi sono da ricordare quelli mono o bicanali, assai utili per il
monitoraggio del ritmo di fondo in sala operatoria e nelle unità di terapia
intensiva, e gli apparecchi che utilizzano l'analisi spettrale mediante
trasformata di Fourier e successiva rappresentazione mediante CSA (Compressed
Spectral Array). Quest'ultima tecnica permette di aumentare notevolmente il
potere di risoluzione dell'EEG nell'analisi del ritmo di fondo rispetto al
tracciato convenzionale (fig.10
b)
Potenziali evocati. A differenza dell'EEG, che è la registrazione dell'attività
elettrica cerebrale spontanea, i potenziali evocati consistono nella
registrazione e nella misurazione delle variazioni di potenziali bioelettrici
cerebrali indotte da uno stimolo specifico. Attualmente sono utilizzati nella
pratica clinica i potenziali evocati visivi (VEP)(fig.12
I
potenziali evocati a latenza breve forniscono una misura oggettiva della
funzione dei sistemi e dei tratti sensoriali ad essi specificamente correlati.
Essi non sono influenzati, grossolanamente, dallo stato di coscienza del
paziente, né dalla somministrazione di sedativi ed anestetici generali. La loro
utilità clinica è correlata alla possibilità:
-
di dimostrare anomalie funzionali del sistema sensoriale, quando anamnesi ed
esame neurologico siano equivoci o non affidabili;
-
di contribuire a definire la distribuzione anatomica di un danno neurologico;
-
di monitorare le modificazioni oggettive delle condizioni neurologiche;
-
di fornire indicazioni utili alla formulazione della diagnosi e/o della
prognosi.
Per
la stretta relazione anatomica esistente tra le vie uditive centrali e
formazione reticolare ascendente (fig.16
-
impossibilità di impiego della metodica in caso di lesioni dell'organo di
senso;
-
presenza di falsi negativi in caso di lesioni focali del tronco non coinvolgenti
le vie uditive o di danno corticale o sotto corticale diffuso senza
interessamento del tronco;
-
assenza di informazioni quoad valetudinem.
Anche
se, a rigore, gli ABR non potrebbero dare informazioni sulla qualità della
sopravvivenza, in quanto non esplorano la funzione corticale, l'esperienza
dimostra che esiste una certa correlazione fra alterazioni degli ABR e grado di
disabilità. In certe situazioni, l'impiego associato di SEP e/o di VEP,
permettendo di valutare la presenza di danni focali o diffusi a carico delle
strutture emisferiche, può migliorare il giudizio prognostico rispetto al solo
impiego degli ABR. In sostanza, nel coma post-traumatico, SEP e ABR sono
indubbiamente indici sensibili della funzionalità, rispettivamente, emisferica
e del tronco encefalico; la combinazione dei dati forniti dai SEP e ABR può
compensare i limiti di ciascuna metodica e fornire una migliore valutazione
della sede ed estensione del danno cerebrale, oltre ad un più attendibile
indirizzo prognostico ( fig.17
Nella
valutazione del coma post-anossico gli ABR risultano meno affidabili del SEP, ma
anche questi presentano alcuni limiti.
Nella
formulazione della diagnosi di morte con criteri cerebrali l'obiettivo
principale è dimostrare l'irreversibilità del danno del tronco encefalico e
quindi l'irrecuperabilità della sua funzione. Il ricorso combinato agli ABR ed
ai SEP sembra migliorare la sicurezza della diagnosi, fornendo documentazione
obiettiva all'assenza di attività cerebrale (fig.20
La
rachicentesi consente di valutare l'aspetto macroscopico del liquor e di
eseguire tutta una serie di esami di laboratorio sul medesimo. E' opportuno
rammentare che nel paziente in coma, allorché si sospetti la presenza di
ipertensione endocranica, la puntura lombare deve essere eseguita con molta
cautela e solo in caso di assoluta necessità, potendo questa contribuire a
creare una situazione di impegno, quale un'ernia transtentoriale o
transforaminale. Inoltre la rachicentesi è controindicata in presenza di
focolai di osteomielite, di ascesso epidurale e di malformazioni arterovenose a
livello lombare. Peraltro, in questi ultimi casi la puntura può essere
effettuata ad un diverso livello. Nell'esecuzione della rachicentesi per evitare
l'insorgenza di cefalee è bene impiegare aghi molto sottili (23 o 25 G) e
penetrare nello spazio subaracnoideo tenendo la punta dell'ago con il becco di
flauto in posizione verticale, in modo da divaricare e non recidere le fibre
della dura e dell'aracnoide ovvero utilizzare aghi a punta smussa. Questi
semplici accorgimenti consentono quasi sempre di evitare l'insorgenza di
fastidiose liquorree, cui vanno attribuite le cosiddette cefalee da puntura
lombare.
In
condizioni fisiologiche il liquor si presenta limpido come acqua di roccia. Può
essere torbido o purulento, in caso di processi flogistici, e xantocromico o
francamente ematico, in caso di emorragia intracranica o spinale. In questo
ultimo caso bisogna escludere che il reperto sia conseguenza di un sanguinamento
prodotto dall'infissione dell'ago. A questo proposito è sufficiente raccogliere
il liquor in tre provette successive e controllare se si decolora
progressivamente; bisogna quindi centrifugare i campioni di liquor ottenuti e
verificare la persistenza o meno di colorazione del sopranatante.
Gli
esami del liquor di maggiore interesse nella diagnostica del coma sono:
-
esame batteriologico e colturale, con relativo antibiogramma, in caso di
sospette infezioni del sistema nervoso centrale;
-
conteggio delle cellule: fisiologicamente nel liquor sono presenti soltanto
linfociti in numero < 3/ml. Il riscontro di un numero elevato di globuli
rossi depone per un'emorragia cerebrale (la TAC ha peraltro reso pressoché
inutile la ricerca di sangue nel liquor), mentre un incremento nel numero dei
globuli bianchi depone per un processo infiammatorio;
-
test di Pandy: si esegue aggiungendo una goccia di liquor ad una soluzione di
fenolo al 10%: la formazione di un precipitato indica un aumento delle
gamma-globuline e delle proteine liquorali;
-
dosaggio delle proteine: si ottiene mediante immunoelettroforesi. Le proteine
sono di solito aumentate nelle meningiti batteriche acute. Rispetto al test di
Pandy, che ha il pregio di poter essere eseguito estemporaneamente, il dosaggio
delle proteine liquorali presenta l'indubbio vantaggio di consentire una
determinazione quantitativa delle diverse frazioni;
-
glicorrachia: nel liquor il glucosio è fisiologicamente presente attorno a
valori di 60-80 mg/100 ml. Una glicorrachia al di sotto di 45 mg/100 ml è
compatibile con una meningite batterica acuta o una meningite tubercolare;
-
cloruri: possono essere ridotti nelle meningiti acute;
-
pO2, pCO2, pH, lattato: i valori relativi possono essere alterati in diverse
affezioni del sistema nervoso centrale ed in generale si può dire che gli
spostamenti dalla norma riflettono il grado di sofferenza metabolica cerebrale
conseguente all'insulto. Talora una grave acidosi liquorale può dare origine ad
iperventilazione, per diretta stimolazione del centro respiratorio;
-
BB-CPK: è l'isoenzima della creatinfosfokinasi specifica per il tessuto
cerebrale. Il suo livello liquorale, almeno nel trauma cranico, sembra correlato
con l'estensione del danno anatomico cerebrale e, di conseguenza, con la
prognosi;
-
test sierologici: sono utilizzabili per la diagnosi delle infezioni virali.
L'esecuzione
della rachicentesi permette anche di conoscere i valori di pressione del sistema
liquorale, i quali, in situazione di pervietà degli spazi subaracnoidei, si
identificano con il livello di pressione intracranica.
Benché
la tecnica di misurazione della pressione intracranica per via subaracnoidea
lombare possa apparire come la più semplice e maneggevole, tale da poter essere
adottata in ogni situazione, ed abbia il pregio di consentire la misura diretta
della pressione liquorale, nella pratica clinica essa è ormai quasi del tutto
abbandonata perché presenta numerosi limiti, i più importanti dei quali sono
rappresentati dai rischi connessi all'eventuale presenza di una lesione
espansiva intracranica, e quindi alla possibilità di provocare o accelerare il
verificarsi di un'erniazione transtentoriale, ed alla modesta attendibilità dei
valori rilevati. Altri inconvenienti connessi a questa metodica di rilevazione
della ICP sono l'inattendibilità dei livelli osservati in presenza di
erniazione transtentoriale, la mancata registrazione di aumenti occasionali o di
breve durata ovvero di fluttuazione dei valori ed, infine, i rischi di
infezione.
Oggi
i sistemi utilizzati per la misurazione della ICP sono fondamentalmente di due
tipi: quelli con trasduttore esterno riempito di liquor (ventricolostomia,
catetere subdurale) e quelli con trasduttore elettronico intracranico (vite
subdurale e trasduttore epidurale).
L'importanza
del monitoraggio continuo della pressione intracranica nel trattamento di un
ampio spettro di malattie neurologiche è universalmente riconosciuta. Non solo
la misurazione di tale parametro consente di diagnosticare precocemente
l'insorgenza e la rapidità di evoluzione di lesioni espansive intracraniche, ma
costituisce la più valida guida al trattamento di tali pazienti poiché, in
presenza di ipertensione endocranica è proprio al suo controllo che va
indirizzato ogni sforzo terapeutico. Basta infatti ricordare la strettissima
correlazione esistente tra presenza di valori abnormemente elevati della
pressione intracranica e gravità delle sequele neurologiche conseguenti a
erniazione dell'encefalo.
Schematicamente
nella cura del paziente in stato di coma è possibile distinguere due
fondamentali indirizzi terapeutici, che si completano a vicenda e che non devono
mai essere dissociati l'uno dall'altro durante tutto l'arco del trattamento:
-
la terapia sintomatica;
-
la terapia etiologica;
Trattamento
sintomatico
Il
coma è una condizione che riveste sempre il carattere dell'urgenza. Se
l'indagine anamnestica e l'esame clinico costituiscono le basi della diagnosi e
della valutazione prognostica, prima di qualsiasi indagine strumentale e di
laboratorio, il trattamento sintomatico rappresenta quasi sempre il primo
approccio curativo al paziente comatoso. Compito fondamentale della terapia
sintomatica è, innanzitutto, prevenire e/o correggere le reazioni secondarie,
sia di carattere locale sia di carattere sistemico, che tendono a manifestarsi
nel comatoso indipendentemente dai fattori causali, ma che possono influire non
poco nell'aggravare il danno cerebrale primario.
Cardini
fondamentali del trattamento sintomatico di prima istanza sono:
-
assicurare la pervietà delle vie aeree;
-
garantire la regolarità degli scambi gassosi a livello polmonare;
-
mantenere un assetto cardiocircolatorio compatibile con un'adeguata perfusione
cerebrale.
Per
un'analisi dettagliata delle modalità tecniche con cui realizzare efficacemente
il primo soccorso negli stati di coma, si rimanda alla trattatistica
specialistica di carattere anestesiologico-rianimativo (vedi capitolo: "La
rianimazione cardio-polmonare"). Alcuni semplici, fondamentali
provvedimenti terapeutici vanno tuttavia richiamati, in quanto alla portata di
ogni sanitario:
a)
pervietà delle vie aeree: nei pazienti in stato di coma, o quanto meno con
ottundimento della coscienza, è indispensabile innanzitutto accertare la
persistenza dell'autonomia respiratoria, provvedere quindi, se necessario, a
liberare il cavo orofaringeo dalla presenza di secrezioni, sangue, protesi ed
eventuali corpi estranei, estendere, infine, il capo così che la possibile
caduta all'indietro della lingua non sia di impedimento al passaggio dell'aria
attraverso la rima glottidea. Quest'ultima manovra va, ovviamente, evitata
quando vi sia il sospetto di lesioni traumatiche a carico del tratto cervicale
della colonna;
b)
posizione di sicurezza: va fatta assumere a tutti i pazienti in stato di
incoscienza, o con coscienza obnubilata, ma con autonomia respiratoria
conservata (fig.22x). Un simile atteggiamento posturale evita tutte le
possibili suaccennate cause di ostruzione delle vie aeree;
c)
ventilazione artificiale di emergenza: quando la respirazione sia assente o
profondamente alterata il paziente va sottoposto a ventilazione artificialmente
indotta mediante maschera e pallone di Ambu ovvero tramite ricorso ad apposite
cannule orofaringee (fig.23
E'
unanime l'accordo sull'opportunità che il paziente in stato di coma vada sempre
ricoverato al più presto presso un'Unità di Rianimazione e/o Terapia
Intensiva, dove non solo il trattamento sintomatico delle disfunzioni
respiratorie e cardiocircolatorie può essere assicurato con la dovuta
competenza, ma possono essere altresì garantiti tutti gli altri presidi
necessari a prevenire, o per lo meno a limitare, l'estensione del danno
cerebrale e ad evitare l'insorgenza di complicanze, quali: infezioni, decubiti,
retrazioni tendinee e deformazioni articolari. Nelle Unità di Rianimazione e/o
Terapia Intensiva è infatti possibile:
-
il monitoraggio delle condizioni cliniche generali e di quelle neurologiche in
particolare;
-
la prevenzione ed il trattamento del danno neurologico secondario;
-
il controllo della regolarità del ricambio gassoso;
-
il mantenimento dell'assetto cardiocircolatorio più congruo ad assicurare
adeguata perfusione cerebrale;
-
la copertura del fabbisogno idroelettrolitico ed energetico;
-
l'adozione ed il mantenimento della postura più idonea;
-
il ricorso al nursing più accurato per l'igiene del corpo.
Un'analisi
dettagliata di questi provvedimenti terapeutici esula dagli scopi del presente
capitolo essendo la loro definizione ed applicazione strettamente connessa con i
fattori causali del coma e quindi con il trattamento etiologico.
La
terapia specifica va intrapresa al più presto, poiché solo l'allontanamento, o
quantomeno il controllo della noxa patogena primitiva, consente, quando
possibile, la remissione del coma ed il recupero completo o parziale delle
funzioni neurologiche. Il trattamento specifico, per le cui modalità
applicative si rimanda alla trattatistica specialistica, va sempre coordinato,
come si è appena avuto occasione di dire, con quello sintomatico in funzione
del quadro clinico d'insieme del paziente.
Cattaneo
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Plum
F., Posner J.B.: Diagnosis of stupor and coma. Davis Company,
Philadelphia, 1972.
G.P.
GIRON
Direttore
Istituto di Anestesiologia
e
Rianimazione,
Università
di Padova
E.
FACCO
Aiuto
Istituto di Anestesiologia
e
Rianimazione,
Università
di Padova
C.
ORI
Aiuto
Istituto di Anestesiologia
e
Rianimazione,
Università
di Padova
B.
DONA’
Aiuto
Istituto di Anestesiologia
e
Rianimazione,
Università
di Padova
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