HOME PAGE CARLOANIBALDI.COM HOME PAGE ANIBALDI.IT
ARGOMENTI DI MEDICINA CLINICA
VAI ALL'INDICE
Ultimo aggiornamento: 23.10.2007
mail to Webmaster
Per
ittero si intende la colorazione giallastra delle mucose e della cute dovuta ad
aumentato deposito tessutale di bilirubina. La bilirubina libera presenta una
scarsa diffusione extravasale, mentre la bilirubina coniugata diffonde più
facilmente e tende a legarsi alle fibre elastiche del tessuto connettivo. Ne
deriva che l'ittero è meno intenso in caso di emolisi (prevalenza di bilirubina
libera) che in caso di colestasi (prevalenza di bilirubina coniugata) e si
evidenzia prima nei tessuti a maggior contenuto di elastina (in ordine le sclere
e la cute). A livello delle sclere la colorazione è presente in modo diffuso e
non solo lateralmente e medialmente, come invece avviene in caso di deposito di
lipidi. L'ittero cutaneo appare manifesto quando i valori della bilirubinemia si
approssimano ai 3 mg/100 ml. Lo stato della cute può però influenzare l'entità
della pigmentazione: ad esempio, l'edema cutaneo la riduce, mentre la
disidratazione la incrementa. Nella colestasi, specie se prolungata, per
l'ossidazione della bilirubina in biliverdina, l'ittero può assumere una
sfumatura verdognola. Va distinto dall'ittero il cosiddetto pseudoittero, che
consiste in una tenue colorazione giallastra della cute, evidente soprattutto
alle palme e, importante, non alle sclere, dovuta a deposito tessutale non di
bilirubina ma di altre sostanze, specie carotenoidi, che vengono assunte con
l'ingestione di alcuni alimenti (carote, arance) o che si accumulano in soggetti
affetti da alcune malattie (ipotiroidismo, soprattutto, e diabete).
Nella
diagnostica degli itteri importanti elementi orientativi possono essere forniti
dall'anamnesi. Ad esempio, una anamnesi familiare positiva per ittero, anemia,
splenectomia può essere indicativa di ittero emolitico o da iperbilirubinemia
congenita. Il contatto con persone itteriche, interventi chirurgici anche
odontoiatrici, "iniezioni" in senso lato, negli ultimi 6 mesi, devono
suggerire la possibilità di ittero epatitico. Un'eccessiva introduzione cronica
di alcool è frequentemente causa di cirrosi epatica. Dispepsia, intolleranza ai
cibi grassi, pregresse coliche biliari sono segni di colelitiasi. L'ittero che
insorge dopo un intervento chirurgico di colecistectomia o sulle vie biliari è
spesso dovuto alla presenza di un calcolo residuo o ad un restringimento
post-traumatico delle vie biliari principali. Il tipo di esordio dell'ittero è
importante. Un ittero ad esordio rapido, preceduto da anoressia, nausea ed
avversione al fumo per un fumatore, suggeriscono la presenza di epatite virale,
mentre l'insorgenza lenta e la presenza di prurito persistente caratterizzano
l'ittero colestatico. L'ittero con febbre intermittente e brivido depone per una
colangite, mentre se accompagnato a perdita di peso, anoressia ed anemizzazione
depone per la presenza di neoplasia; inoltre un dolore epigastrico che si
irradia posteriormente e che si aggrava in posizione supina, è spesso sintomo
di carcinoma del pancreas. Non va dimenticata l'anamnesi farmacologica, perché
sono numerosi i farmaci che possono causare ittero; al proposito un ittero che
insorge dopo un intervento chirurgico può essere causato dall'alotano, se usato
come anestetico.
L'esame
obiettivo è altrettanto importante nella diagnostica degli itteri. Cominciando
dall'età del soggetto, è da ricordare che la prevalenza di colelitiasi è
elevata nelle donne obese di mezza età e che l'incidenza di epatite virale
diminuisce mentre quella dei tumori delle vie biliari aumenta con l'età. La
ginecomastia, l'ipertrofia delle parotidi, l'eritema palmare, gli spider nevi,
le unghie bianche sono reperto comune nella cirrosi epatica; le lesioni da
grattamento e gli xantomi palpebrali e sulle superfici estensorie si riscontrano
più frequentemente nella colestasi cronica, mentre zone di pigmentazione ed
ulcere sulle gambe possono osservarsi nelle anemie emolitiche congenite. L'esame
obiettivo dell'addome merita particolare attenzione: i circoli collaterali sono
spesso presenti nella cirrosi epatica, l'ascite si associa sovente alla cirrosi
od alla carcinomatosi peritoneale, un'epatomegalia dura con grossi noduli è
suggestiva di neoplasia. Da ricordare che un fegato piccolo esclude la diagnosi
di colestasi extraepatica, in cui si riscontra costantemente una epatomegalia a
superficie liscia. Nella coledocolitiasi è quasi sempre positivo il segno di
Murphy; una colecisti palpabile, ed ancor di più se visibile (segno di
Courvoisier-Terrier), deve suggerire l'esistenza di carcinoma della testa del
pancreas. Un rumore di soffio arterioso sul fegato si può riscontrare nei
tumori primitivi epatici. Infine sottolineiamo l'utilità dell'esame di quegli
organi le cui neoplasie primitive più frequentemente possono metastatizzare al
fegato (stomaco, colon, retto, polmoni, mammella, tiroide).
La
bilirubina sierica può essere dosata come tetrapirrolo o dopo la conversione ad
azo-derivati. La reazione di Van den Bergh (1916) della bilirubina con l'acido
sulfanilico diazoreagente permette di distinguere la bilirubina a reazione
rapida, definita diretta, rappresentata quasi totalmente dalla bilirubina
coniugata, e la bilirubina a reazione rapida solo con l'aggiunta di metanolo o
caffeina, definita indiretta, rappresentata dalla bilirubina non coniugata.
Attualmente la reazione è resa più sensibile dall'uso della piodoanilina al
posto dell'acido sulfanilico diazoreagente. Con queste reazioni viene
sovradosata la bilirubina coniugata ed inoltre non viene differenziata la
bilirubina legata in modo irreversibile con l'albumina. Poiché la clearance di
quest'ultima bilirubina avviene in tempi lunghi, può riscontrarsi
iperbilirubinemia, anche quando non c'è più ostruzione. Attualmente la
bilirubina può essere accuratamente dosata come tetrapirrolo e differenziata
come non coniugata e coniugata in modo irreversibile e no, mediante HPLC (high-performance
liquid chromatography) e mediante analisi fluorimetrica. I valori per lo più
ritenuti normali nella bilirubina sierica indiretta sono compresi tra 0,2-0,7
mg/dl (3,4-12 microm mol/l), quelli della bilirubina sierica diretta sono
compresi tra 0,1-0,2 mg/dl (1,7-3,4 microm mol/l). Sono state segnalate ampie
variazioni circadiane della bilirubinemia. Studi effettuati con l'impiego della
HPLC hanno dimostrato che nel siero di un soggetto normale non è presente
bilirubina coniugata.
Gli
acidi biliari primari (colico, chenodesossicolico), sintetizzati a partire dal
colesterolo, da 300 a 500 mg nelle 24 ore, vengono escreti nella bile e
riassorbiti, in assenza di fenomeni di malassorbimento, quasi completamente per
diffusione passiva o mediante meccanismo attivo, nell'ultimo tratto dell'ileo e
nel colon, assieme agli acidi biliari secondari (acido desossicolico e
litocolico) e tornano attraverso il circolo portale al fegato, ove sono captati
già al primo passaggio, in percentuali dell'ordine del 95-98%. Ne deriva che,
in presenza di una epatopatia, per la ridotta captazione epatica ma soprattutto
in presenza di colestasi (sia intra- sia extra-epatica) per la ridotta capacità
di eliminazione degli acidi biliari che ritornano al fegato, si ha un aumento
della colalemia (valori normali< 10 microm mol/l) sia a digiuno sia
post-prandiale (2 ore dopo un pasto standard). Tale aumento è poco specifico e
incostante tanto che l'utilità diagnostica del dosaggio degli acidi biliari
plasmatici negli itteri è discussa e di uso limitato (sostanzialmente ad
escludere una importante epatopatia in caso di iperbilirubinemia indiretta e ad
evidenziare precocemente, in modo non invasivo, uno shunt porto-sistemico, con
possibilità di differenziare una epatite cronica attiva da una epatite cronica
persistente).
Nelle
malattie parenchimali del fegato e nella colestasi possono esserci modificazioni
della lipemia e della lipoproteinemia. Nelle epatopatie acute si può osservare
all'elettroforesi una diminuzione delle alfa1-lipoproteine per alterata
composizione delle lipoproteine ad alta densità (HDL) e anche una
ipertrigliceridemia, dovuta alla presenza nel siero di abnormi lipoproteine a
bassa densità (LDL). Queste alterazioni, dovute ad una ridotta attività della
lecitincolesterolo aciltransferasi plasmatica (LCAT) sono transitorie. Nella
colestasi i livelli plasmatici di colesterolo non esterificato e di fosfolipidi
sono elevati. Lo sviluppo degli xantomi e degli xantelasmi è correlato alla
gravità e durata di questo assetto lipidemico. La LPX è un'abnorme LDL
costituita prevalentemente di colesterolo non esterificato e fosfatidilcolina
(lecitina) che può essere presente nel plasma in tutte le condizioni di
colestasi. La composizione simile della LPX e della bile starebbe ad indicare il
passaggio nel plasma di lipidi biliari ed epatocitari. Il dosaggio della LPX
correntemente non serve nella diagnostica differenziale degli itteri. Le sue
concentrazioni si correlano positivamente con i livelli plasmatici di
colesterolo libero, non con altri test di funzionalità epatica.
Nelle
epatopatie acute (specie da etanolo e da farmaci) si può evidenziare una lieve
anemia, talora macrocitica, dovuta ad emolisi o ad iporigenerazione. Raramente
può aversi anemia aplastica da epatite B e non A-non B. Negli etilisti si può
riscontrare la sindrome di Zieve, caratterizzata da anemia emolitica ed
ipertrigliceridemia. Nella cirrosi etilica è tipico il riscontro di
acantocitosi dovuto ad un aumento relativo ed assoluto del colesterolo libero di
membrana. L'ipersplenismo può determinare leucopenia e piastrinopenia.
Considerato
che nelle urine è presente esclusivamente la bilirubina coniugata, l'assenza di
bilirubinuria, in presenza di ittero, è chiaro segno che la elevata bilirubina
in circolo è tutta non coniugata e quindi espressione di emolisi, di
eritropoiesi inefficace o di malattia da deficit di captazione e/o
glicuronazione della bilirubina. I bilinogeni che attualmente, per convenzione,
si definiscono nel loro insieme come urobilinogeno, possono attraversare il
filtro glomerulare, ma, in condizioni normali, la quantità nelle urine è
talmente ridotta che, con i comuni metodi biochimici, sono indosabili. Poiché i
bilinogeni si formano nell'intestino, la loro assenza nelle urine, in presenza
di iperbilirubinemia, è indice di ostruzione completa delle vie biliari e poiché
essi sono anche responsabili del colorito delle feci, la presenza di feci
decolorate in corso di ittero è ulteriore conferma della ostruzione biliare
completa. L'esame delle feci per la ricerca del sangue occulto, di uova e/o di
parassiti può inoltre fornire elementi utili per la diagnosi.
Sono
anticorpi, né organo, né speciespecifici, diretti contro una lipoproteina
della membrana interna mitocondriale. Essi fissano il complemento e sono
presenti, nel tipo cosiddetto M2, in circa il 90% dei soggetti con cirrosi
biliare primitiva, ma il loro titolo non è correlabile con i valori plasmatici
di IgM o con la gravità della malattia, nel b-8% dei parenti di soggetti con
cirrosi postnecrotica e con epatite cronica attiva, nel 6-8% dei parenti di
soggetti con cirrosi biliare primitiva e nello 0,4-0,7% della popolazione
generale. Non sono quasi mai presenti nella colestasi extraepatica. Possono
essere presenti in soggetti non epatopatici, affetti da malattie del collageno e
autoimmuni (m. di Addison, tiroidite, miastenia grave, anemia emolitica).
L'importanza diagnostica della ricerca degli anticorpi antimitocondrio risiede
nel fatto che la loro assenza rende assai improbabile la diagnosi di cirrosi
biliare primitiva, mentre la loro presenza esclude quasi sicuramente una
colestasi esclusivamente extraepatica quale causa di ittero. Va al riguardo
ricordato che circa il 40% dei soggetti affetti da cirrosi biliare primitiva
presenta una calcolosi colecistica.
Come
gli anticorpi anti-mitocondrio, non sono né organo- né specie-specifici e sono
presenti in ordine di frequenza nella epatite cronica attiva, non secondaria ad
epatite B, nella cirrosi postnecrotica e nella cirrosi biliare primitiva.
Sono
stati trattati in altra sede; ricordiamo che la dimostrazione della presenza dei
vari antigeni ed anticorpi non solo permette la diagnosi della malattia, ma può
fornire indicazioni sul tempo di comparsa e sull'evoluzione.
Va
infine ricordato che la determinazione di alcuni marker tumorali (principalmente
CEA, GICA, TPA, alfa fetoproteina, NSE-enolasi neuronospecifica) possono essere
di utilità nella diagnostica degli itteri.
È sintetizzata esclusivamente nel fegato in quantità da 100 a 200 mg
per kg di peso corporeo al giorno. L'ipoalbuminemia può dipendere da una
diminuita sintesi dell'albumina e quindi può essere segno, anche se non molto
precoce, di compromissione della funzionalità epatica.
Hanno
limitata utilità diagnostica in caso di ittero. La concentrazione può
dipendere da molte malattie anche non epatiche. Nelle malattie del fegato
l'aumento può essere secondario ad un aumentato stimolo alla produzione di
anticorpi, per aumento di antigeni batterici in circolo o per liberazione di
materiale antigenico dalle cellule epatiche danneggiate. Poiché 1'85% circa
della frazione alfa1 è rappresentato dalla alfa1-antitripsina, una diminuzione
della frazione alfa1 costituisce un segno diagnostico per la cirrosi da deficit
di alfa1-antitripsina. Valori elevati di IgM si riscontrano nella cirrosi
biliare primitiva, valori elevati di tutte le globuline (anche delle IgA) si
riscontrano soprattutto nella epatite cronica attiva HBS Agnegativa.
Dipende
dalla concentrazione plasmatica di protrombina e di altri fattori della
coagulazione sintetizzati nel fegato (fibrinogeno, V, VII, X). La sintesi della
protrombina e dei fattori VII, IX, X, dipende inoltre dalla vitamina K, per cui
un alterato tempo di protrombina può dipendere da fattori genetici,
insufficienza epatica e, con maggior frequenza, da deficit di vitamina K. Il
deficit di vitamina K è spesso secondario a malassorbimento, talora dovuto a
colestasi.
Nella
malattie acute del fegato l'ipoprotrombinemia è spesso indice di prognosi
sfavorevole. Nel paziente con ittero il tempo di protrombina può assumere
valore diagnostico. Se infatti esso è allungato per deficit di vitamina K
secondario a malassorbimento in corso di colestasi, tende a normalizzarsi dopo
poche ore dalla somministrazione parenterale di vitamina K. Se invece esso è
alterato per diminuita sintesi dei fattori della coagulazione, secondaria ad
insufficienza epatica, non viene corretto dalla somministrazione parenterale di
vitamina K (test di Koller). Va ricordato però che l'ipoprotrombinemia può
essere dovuta a CID (coagulazione intravascolare disseminata), che la colestasi
può essere associata a malattia parenchimale del fegato, ed infine che il
deficit di vitamina K può dipendere da colestasi da cause diverse (cirrosi
biliare primitiva, epatite colestatica, colestasi da farmaci ecc.), per cui si
possono osservare delle risposte parziali alla somministrazione parenterale di
vitamina K.
Sono
enzimi che intervengono come catalizzatori nel trasporto di amino gruppi
dall'aspartato o dall'alanina all'alfa-chetoglutarato. Vengono denominate dai
prodotti delle reazioni glutammico-ossalacetiche (SGOT) e glutammico-piruviche
(SGPT) o dall'aminoacido donatore dell'aminogruppo, rispettivamente aspartato
transaminasi (AST) ed alanina transaminasi (ALT) (valori normali: SGOT 0-29
mU/ml; SGPT 0-36 mU/ml). Isoenzimi dell'AST sono presenti nel citoplasma e nei
mitocondri, quelli dell'ALT solo nel citoplasma. In piccola quantità sono
presenti nelle urine e nella bile. Sono per lo più indice di necrosi.
Nell'epatite alcolica non superano quasi mai le 200-300 UI/l, mentre si possono
riscontrare spesso valori superiori a 1000 UI/l nell'epatite virale o nella
ostruzione biliare improvvisa (es. per passaggio di calcolo). Se la necrosi
epatica si estende i livelli plasmatici delle transaminasi possono diminuire. Le
AST possono aumentare nella patologia muscolare (miocardio, muscolatura
scheletrica), ma mai oltre 10 volte i valori normali, mentre le ALT sono più
specifiche per malattie epatiche. Le AST possono aumentare di molto (fino a 15
volte i valori normali) solamente nell'ostruzione biliare improvvisa e nella
colangite. Nell'epatite alcolica i valori di AST sono superiori a quelli di ALT,
contrariamente a quanto avviene nell'epatite virale.
È ubiquitaria nella cellula. I valori plasmatici aumentano nella
colestasi e nell'ultimo trimestre di gravidanza.
5'NT
(5' nucleotidase) (v.n. < 1,6 UI/l): è presente nella membrana plasmatica. I
valori plasmatici aumentano nella colestasi e nel III trimestre di gravidanza.
Valori elevati di LAP e 5'NT in presenza di valori elevati di fosfatasi alcalina
(ALP), indicano che l'aumento della ALP plasmatica è dovuto a patologia
epatobiliare, ma valori plasmatici elevati di ALP possono aversi in corso di
patologia epatobiliare, senza che lo siano la LAP o la 5'NT.
È un enzima presente in molti tessuti. Nel fegato è presente
nell'epatocita e nei dotti biliari. L'incremento di questo enzima si ha
praticamente solo nella colestasi, anche da farmaci. I valori plasmatici
(normali: nell'uomo 5-36 mU/ml; nella donna 4-23 mU/ml), però possono aumentare
dopo IMA, nelle malattie del pancreas, senza ostruzione delle vie biliari, nelle
malattie neuromuscolari, per ingestione di etanolo e per assunzione di farmaci
(es. barbiturici). Il dosaggio della gammaGT può essere utile per monitorare
l'astinenza dall'alcool e per evidenziare la sorgente dell'ALP elevata. In fase
di guarigione della epatite acuta la gammaGT è l'ultima attività enzimatica
che si normalizza.
È un enzima presente in molti tessuti (v.n. 80-300 mU/ml). L'isoenzima a
minore mobilità elettroforetica (isoenzima 5) può aumentare nelle epatopatie
acute e nei tumori del fegato.
Con
il termine di fosfatasi alcalina (v.n. 70-220 mU/ml negli adulti; 100-622 mU/ml
nei bambini) si definisce un insieme di enzimi che catalizzano la idrolisi di
numerosi esteri fosforici organici, ad un pH ottimale, alcalino, con liberazione
di fosfato inorganico e del radicale organico. Sono presenti nei dotti biliari,
nelle cellule epatiche, nell'intestino, nell'osso, nel rene, nella placenta e
nei globuli bianchi.
Nei
soggetti di gruppo sanguigno O oppure A, che sono positivi per gli antigeni
Lewis o B secretori dell'antigene eritrocitario ABH, l'ALP intestinale può
rappresentare il 20-60% dell'attività sierica totale e può aumentare dopo un
pasto ricco di grassi.
Per
la liberazione della fosfatasi placentare, si possono osservare valori elevati
di ALP nell'ultimo trimestre di gravidanza. L'isoenzima placentare, detto
isoenzima Regan (dal nome del paziente in cui è stato rinvenuto la prima
volta), può essere presente in molte neoplasie, specialmente quelle polmonari
e, seppure raramente, in soggetti normali. Un aumento del pH del siero
conservato a temperatura ambiente può portare ad un sostanziale aumento
dell'attività enzimatica. Nell'età compresa tra i 17 e i 55 anni l'attività
media della fosfatasi alcalina del siero è un po' più alta negli uomini che
non nelle donne. Invece, dopo i 60 anni, le donne presentano un'attività uguale
o superiore a quella degli uomini ed in ambedue i sessi i valori tendono ad
essere un po' maggiori che nei soggetti giovani. La fosfatasi alcalina del siero
nei maschi adolescenti normali può raggiungere valori medi di 3 volte superiori
ai valori degli adulti normali, senza implicare la presenza di malattia
epatobiliare. Le ALP si differenziano per stabilità al calore e per separazione
elettroforetica. La fosfatasi alcalina placentare è termostabile dopo
esposizione per 30' a 56 °C. La sensibilità al calore aumenta rispettivamente
per la fosfatasi di derivazione biliare, epatica ed ossea. Nel siero dei
soggetti con attività osteoblastica aumentata, la fosfatasi alcalina dopo
inattivazione (per 15' a 56 °C) si riduce a meno del 25% dell'attività di
partenza, mentre in quasi tutti gli epatopatici, l'attività residua dopo
riscaldamento rimane più del 25% dell'attività misurata prima del
riscaldamento. L'urea 2M determinerebbe una inibizione maggiore nella fosfatasi
ossea rispetto a quella epatica. L'aumento della ALP plasmatica riflette
un'aumentata sintesi dell'enzima, mediata dall'azione degli acidi biliari.
L'aumento è maggiore in presenza di ostruzione delle vie biliari. Al riguardo
è da ricordare che 5'NT, LAP e gammaGT si correlano con l'ALP nelle malattie
epatobiliari, non nelle malattie dell'osso. Per contro, il mancato aumento della
5'NT sierica in presenza di livelli elevati di fosfatasi alcalina, non deve far
escludere un'epatopatia poiché questi enzimi non necessariamente aumentano
parallelamente nei danni epatici iniziali o modesti. La fosfatasi alcalina
sovente aumenta nel siero prima che inizi l'ittero e può permanere elevata
anche dopo scomparsa dell'ittero.
Nelle
malattie epatocellulari (cirrosi, epatiti) la concentrazione plasmatica di ALP
è relativamente bassa, mentre può essere l'unico parametro alterato in una
patologia che induca stenosi di un dotto biliare od ostruzione segmentaria.
L'aumento della ALP rappresenta, dunque, un sensibile indice di colestasi, senza
permettere una differenziazione tra quella extra e quella intraepatica. La sua
determinazione può inoltre rivelarsi utile nella diagnosi precoce di malattie
infiltrative del fegato dovute a granulomi (tbc, sarcoidosi, micosi) e a lesioni
espansive (ascessi, tumori). Nella epatomegalia da carcinoma metastatico l'ALP
del siero aumenta nel 54-100% dei casi.
Un
terzo dei soggetti con ALP sierica elevata può essere esente da malattia
epatica dimostrabile. Il dosaggio della ALP plasmatica può comunque essere
utile nella diagnosi differenziale tra l'ittero epatocellulare e quello
ostruttivo, nel senso che in caso di ostruzione completa e prolungata, come
nell'interessamento carcinomatoso del coledoco, l'attività enzimatica sierica
è di solito aumentata di 3-5 volte, mentre questo avviene molto raramente nella
cirrosi epatica e nella epatite virale. D'altra parte una bassa attività
fosfatasica contrasta decisamente con la diagnosi di ittero ostruttivo.
È una glicosidasi di cui vi sono due isoenzimi, quello P di provenienza
pancreatica, quello S di provenienza extrapancreatica.
Di
norma le amilasi vengono dosate globalmente (v.n. 60-180 U.Somogyi/dl) e i
livelli plasmatici possono essere aumentati in corso di patologia pancreatica
(pancreatite cronica ed acuta, pseudocisti, ascessi, traumi e carcinoma: 25%
circa dei casi) ed in corso di patologia non pancreatica (da ricordare, nella
diagnostica degli itteri: colecistiti, coledocolitiasi, epatopatie croniche,
carcinoma del polmone, dell'esofago e dell'ovaio, ostruzione intestinale).
Bromosulfonftaleina
(BSF). La BSF, trasportata nel plasma dall'albumina, viene captata
dall'epatocita con meccanismo competitivo con la bilirubina, è coniugata con
glutatione ed escreta per il 95% con la bile.
Nella
diagnostica degli itteri può essere utilizzata nell'accertamento di una
sindrome di Dubin-Johnson in cui dopo una prima fase di regolare rapida
scomparsa plasmatica del colorante (primi trenta minuti circa dopo carico di 5
mg/kg/e.v.) a riprova di regolare captazione, segue un abnorme incremento della
sua concentrazione plasmatica a livello circa dal 60° al 90° minuto, per
rallentamento dell'escrezione dal polo biliare cellulare della BSF coniugata.
Sempre valutando la scomparsa plasmatica del colorante nelle due fasi rapida e
rallentata collegate alla captazione e al trasferimento-escrezione, la BSF può
essere usata nell'individuazione dei sottotipi della sindrome di Gilbert.
Verde
indocianina (V.L).Il V.I. è una sostanza che iniettata viene eliminata
esclusivamente dal fegato dopo legame ad albumina e un processo di captazione
epatocitaria analogo a quello della BSF. La differenza è che l'escrezione nella
bile avviene senza preventiva coniugazione. Anche con il V.I. si possono
individuare i sottogruppi della sindrome di Gilbert che sono infatti collegati
ad alterazioni della fase di captazione-immagazzinamento, mentre non è
utilizzabile per la diagnosi di Dubin-Johnson essendo in questo caso liberamente
escreta nella bile.
Test
di tolleranza al galattosio. Il galattosio viene metabolizzato quasi
esclusivamente dal fegato in uridin-difosfogalattosio ed in
uridin-difosfo-glucosio. Si inietta per via e.v. nella quantità di 350 mg/kg di
peso corporeo e si dosa la galattosemia ogni 10 minuti per 60 minuti. Raramente
si osserva un rallentamento della sua scomparsa dal circolo in corso di ittero
colestatico, per cui secondo molti Autori il test può servire nella diagnosi
differenziale.
Prova
da carico con bilirubina non coniugata. Si inietta per via e.v. bilirubina non
coniugata alla dose di 2 mg/kg di peso corporeo e si calcola la percentuale di
ritenzione alla quarta ora, che normalmente è inferiore al 10%. La prova viene
usata per confermare difetti metabolici congeniti o acquisiti del metabolismo
della bilirubina indiretta (deficit di captazione e/o glicuronazione).
L'acido
N (2,6 dietilacetoanilido) iminodiacetico viene rapidamente captato
dall'epatocita ed escreto dal sistema epatobiliare nel duodeno (entro 60'). Una
certa aliquota soggiorna nella colecisti per cui la visualizzazione di essa
esclude un'ostruzione del dotto cistico. La mancata visualizzazione della
colecisti con visualizzazione del coledoco e dell'intestino è segno di
ostruzione a livello del dotto cistico. La mancata visualizzazione della
colecisti e dell'intestino è segno di colestasi intraepatica o extraepatica, da
ostruzione della parte distale del dotto epatico comune. La bilirubinemia
superiore ai 12 mg% difficilmente consente un giudizio diagnostico sulle vie
biliari extraepatiche. La epatocolescintigrafia con 99mTc
HIDA è un esame incruento e sostanzialmente innocuo che può essere
effettuato anche in soggetti con allergia ai mezzi di contrasto iodati. Fornisce
informazioni sulla funzionalità epatica ma è meno sensibile della
ecotomografia per la diagnosi di calcolosi e della TAC per la diagnosi di natura
e l'individuazione del livello dell'ostruzione.
Forniscono
dati insufficienti già con valori di bilirubinemia che si approssimano ai 3
mg%.
L'ecotomografia
può fornire dati sul fegato, sulla colecisti, sulle vie biliari e sul pancreas.
Del fegato permette di evidenziare alterazioni diffuse (steatosi, epatopatie
croniche, cirrosi) ed alterazioni a focolaio (cisti, neoplasie benigne e
malattie primitive e metastatiche).
Della
colecisti permette di evidenziare: a) malformazioni; b) colelitiasi; c)
colecistiti; d) colecistosi; e) neoplasie.
Delle
vie biliari permette di evidenziare: a) presenza e grado di dilatazione; b)
porzioni dilatate (intra- ed extra-epatiche, totali o distrettuali); c) sede e
d) natura dell'ostacolo (calcolo, processo espansivo). Non è sempre possibile
precisare la sede dell'ostacolo, in quanto non è ecograficamente riconoscibile
il punto di inserzione del dotto cistico e distinguibile quindi il dotto epatico
dal coledoco. È ovvio però
che se l'ostruzione è evidenziabile lungo la via biliare principale e concomita
una dilatazione della colecisti, la sede dell'ostacolo è situata nel coledoco.
Del
pancreas l'ecotomografia permette di evidenziare le pancreatiti (acute e
croniche) ed i processi espansivi (pseudocisti, neoplasie). I limiti
dell'ecotomografia risiedono nel fatto che l'ultimo tratto del coledoco è
difficilmente esplorabile, per l'interposizione di anse intestinali e non sempre
è possibile la diagnosi differenziale tra tumore della testa del pancreas e
cefalo-pancreatite.
È una tecnica combinata endoscopica e radiologica che permette la
visualizzazione, oltre che delle vie biliari distali, anche del dotto
pancreatico e lo studio manometrico dello sfintere di Oddi. Deve essere attuata
da un endoscopista esperto per ridurre la percentuale di insuccesso nel
cateterismo selettivo delle vie biliari (in mani esperte oggi dell'ordine del
5-10%). Le principali indicazioni alla sua esecuzione sono rappresentate: a)
dalla calcolosi coledocica; b) dalla stenosi coledocica infiammatoria,
neoplastica e da compressione estrinseca; c) dalla stenosi infiammatoria o
neoplastica della papilla di Vater; d) dalla patologia dello sfintere di Oddi.
L'ERCP può avere applicazioni terapeutiche (papillotomia con asportazione di
calcoli) ma vanno tenute presenti le possibili complicazioni settiche ed
infiammatorie (colangite, pancreatite).
La
metodica consiste nell'iniettare, sotto guida fluoroscopica, per mezzo di un ago
flessibile, mezzo di contrasto iodato idrosolubile nell'albero biliare
intraepatico. A scopo diagnostico dovrebbe eseguirsi solo dopo fallimento della
ERCP o in caso di stop biliare alto. Può essere utilizzata per la detensione
dell'albero biliare, in previsione di intervento chirurgico, o, in caso di
inoperabilità, per l'effettuazione di un drenaggio biliare interno od esterno a
permanenza. È gravata, in
circa il 2% dei casi, da complicanze, specie peritonite biliare ed emoperitoneo.
Permette
di riconoscere la presenza di dilatazione delle vie biliari intra ed
extraepatiche, a partire per lo più dalla 2a-3a settimana dalla comparsa di
ittero colestatico, di evidenziare tumori del fegato e del pancreas e consente,
per l'aumento uniforme e sensibile della densità del fegato, la diagnosi di
emocromatosi.
È una tecnica non invasiva e senza impiego di radiazioni ionizzanti. I
tempi di formazione dell'immagine (in minuti anziché in secondi come per la
TAC), la perisalsi e la respirazione però possono causare artefatti
specialmente per le immagini del pancreas. Rispetto alla ecotomografia ed alla
TAC possiede una sensibilità maggiore per i tumori primitivi e metastatici del
fegato, ma è ancora da stabilire se abbia anche una specificità maggiore. Può
distinguere tra neoplasia e steatosi epatica focale e diffusa e, come la TAC,
permettere la diagnosi di emosiderosi ed emocromatosi. Inoltre, con la
visualizzazione della colecisti, consente la diagnosi di colelitiasi ed è in
grado di fornire indicazioni sulla minore o maggiore concentrazione della bile.
È una tecnica strumentale senza rischi particolari, utile soprattutto
nella diagnosi differenziale tra la colestasi intraepatica ed extraepatica. Per
quanto attiene il fegato, la laparoscopia consente di evidenziare il colore, il
disegno lobulare e la superficie, e per quanto attiene la colecisti, oltre il
colore e la superficie, il volume ed il grado di distensione e di riempimento.
Si possono ottenere rilevazioni utili nella diagnostica degli itteri: ad
esempio, il colore del fegato appare rosso nell'ittero epatocellulare, verde
nell'ittero da colestasi (intra- ed extraepatica), rugginoso nell'ittero
emolitico, melanico nella sindrome di Dubin-Johnson, mentre il disegno lobulare
sfuma o scompare nell'ittero epatitico e tende ad accentuarsi in quello
colestatico. L'esame della superficie epatica può dimostrare un aspetto
grinzoso o granulare nella colestasi extraepatica, specie se prolungata, la
presenza di nodulazioni cirrotiche, di microcisti linfatiche e di metastasi.
Una
colecisti iperdistesa (equivalente laparoscopico del segno di
Courvasier-Terrier) è indice sicuro di ostruzione bassa, sotto la confluenza
dei dotti cistico ed epatico, mentre una colecisti normale o flaccida può
riscontrarsi sia in caso di ittero epatocellulare che colestatico con ostruzione
alta. Va ricordato che alcuni fattori (incostante e non stretto rapporto stasi
biliare/colore del fegato, colecisti scleroatrofica o pregressa colecistectomia
e la difficile esplorazione dell'area pancreatica e del dotto cistico)
diminuiscono la potenzialità diagnostica della laparoscopia che consente, per
lo più, di definire esattamente la natura di un ittero in circa il 50% dei
casi.
È eseguibile a cielo coperto con o senza ecoguida o in corso di
laparoscopia. L'esame, in microscopia ottica e particolarmente in microscopia
elettronica, del frammento bioptico è in grado di fornire elementi diagnostici,
negli itteri epatocellulari e nella colestasi intraepatica, e, talora, nella
colestasi da farmaci, addirittura patognomonici.
È controindicata però nelle ostruzioni delle vie biliari di medioalto
grado, nei deficit coagulativi con PT sotto il 50% o piastrine meno di 80.000.
Dovrebbe sempre essere preceduta da Eco o TAC.
Da
quanto detto appare evidente che ciascun esame strumentale nelle diagnostiche
degli itteri presenta indicazioni e limiti specifici e che pertanto andrebbero
eseguiti in sequenza logica. Nella fig.01
È ovvio che eticamente s'impone l'interruzione dell'iter diagnostico
appena raccolta l'informazione sufficiente per una ragionata scelta terapeutica
(medica o chirurgica).
La
bilirubina è un pigmento tetrapirrolico prodotto dalla rottura dell'anello
porfirinico che fa parte integrante di molte proteine contenenti eme. Circa il
75-80% della produzione giornaliera di bilirubina, che è 3,8 +/- 0,6
mg/kg/giorno, deriva dal catabolismo eritrocitario; la restante quota dal
catabolismo di enzimi cellulari contenenti eme (soprattutto citocromi di
provenienza epatica). Ciò è stato stabilito da studi condotti con la marcatura
di un precursore porfirinico, la glicina. Dopo iniezione di glicina radiomarcata
compaiono sia nel siero che nella bile due picchi di attività della bilirubina.
Il primo detto "early labelled
peak" è completato nell'arco delle 72 ore mentre il secondo "late
peak", coincide con i 120 giorni circa della vita media eritrocitaria. È
possibile nel picco precoce identificare due componenti: una iniziale, più
consistente, derivante soprattutto da emaproteine epatiche (come il citocromo P
450 S) ed una terminale che riflette la eritropoiesi inefficace,
quantitativamente pari circa al 3% della produzione giornaliera di bilirubina.
Qualunque
sia l'origine, l'eme è degradato da un'eme-ossigenasi microsomiale specifica in
biliverdina (con formazione di CO) e successiva formazione di bilirubina per
azione di un enzima citosolico, la biliverdina-reduttasi. Entrambi gli enzimi,
che sono abbondanti nel fegato, nel rene e nelle cellule del reticoloendotelio,
utilizzano NADPH come cofattore. L'attività di tale sistema eme-ossigenasico già
di per sé elevata, si incrementa nella iperemolisi ed è parzialmente attivata
anche dalla formazione di AMP-ciclico. Vi può essere una via alternativa per
formazione di perossido (H2O2) che può degradare l'eme a prodotti incolori con
quindi un sostanziale eccesso di degradazione dell'eme se calcolato dalla
produzione di bilirubina o dalla produzione di CO.
Il
sangue portale, data la prevalenza splenica nella formazione di bilirubina
libera è la maggior via di accesso del pigmento al fegato. Fisiologicamente la
bilirubina libera circola nel plasma in massima parte legata all'albumina, per
lo più ad un sito principale della proteina plasmatica ed, in piccola parte, ad
uno o due siti secondari.Il legame è facilmente reversibile ma l'affinità
dell'albumina per la bilirubina è alta cosicché ad un tasso normale di 4 g/100
ml di proteina si possono legare circa 85 mg/100 ml di bilirubina.
È pertanto molto raro rinvenire bilirubina libera non legata
all'albumina nell'adulto, se non in caso di grave acidosi, mentre nel neonato
questo può accadere per minore affinità dell'albumina per la bilirubina.
È appunto in età neonatale che possono assumere importanza le
alterazioni dell'equilibrio dinamico bilirubina legata-bilirubina libera
provocate da sostanze endogene ed esogene competitive col legame albuminico. La
bilirubina coniugata è anch'essa legata all'albumina quando compare
patologicamente in circolo. Per la massima parte il legame reversibile, non
covalente è simile a quello della bilirubina indiretta, anche se più debole;
per una piccola parte il legame è irreversibile, di tipo covalente di modo che
questa quota non compare mai nelle urine e può soggiornare nel plasma anche per
molto tempo dopo che siano cessate le cause (epatitiche e/o colestastiche) che
ne avevano indotta la comparsa. Il legame reversibile della maggior parte della
bilirubina coniugata permette la libera diffusione del pigmento nei capillari
glomerulari e relativa escrezione urinaria. I sali biliari aumentano la
dializzabilità della bilirubina coniugata e ciò spiega perché in itteri da
ostruzione biliare la iperbilirubinemia coniugata tenda al plateau non salendo
mai oltre i 30-40 mg% mentre nel grave danno epatocellulare tali livelli possono
essere superati.
Il
complesso albumina/bilirubina attraversa liberamente l'endotelio dei sinusoidi
epatici e raggiunge la superficie dell'epatocita nello spazio di Disse dove
avvengono il distacco dell'albumina e la rapida penetrazione del pigmento nella
cellula. Non vi è accordo sulla ipotesi di recettori specifici per l'albumina a
livello della faccia sinusoidale dell'epatocita con capacità di alterare
l'affinità tra albumina (che non penetra nell'epatocita) ed il ligando.
È comunque certo che la concentrazione totale di bilirubina libera
nell'epatocita è di norma maggiore di quella plasmatica e che quindi l'entrata
del ligando avviene contro un gradiente di concentrazione, attraverso un
processo transmembrana, saturabile e facilitato da recettori/carrier. Tali
carrier non sono strettamente specifici perché vengono utilizzati anche da
altri anioni organici, come BSF, ed hanno la caratteristica di potersi muovere
attraverso la membrana bidirezionalmente permettendo quindi anche un passaggio
inverso cellula conseguente a plasma, della bilirubina libera in condizioni
fisiologiche e forse anche di bilirubina coniugata in situazioni patologiche. Se
anche, come detto, sperimentalmente i recettori sono saturabili, in pratica tale
fenomeno non costituisce un fattore limitante della captazione. La bilirubina
non coniugata giunta nel citosol cellulare appare in legame temporaneo con due
picchi proteici, chiamati rispettivamente Y e Z, identificabili con la
gel-filtrazione del citosol come associati alla radioattività che compare dopo
somministrazione di bilirubina H3 marcata o BSF marcata S35. Tali proteine si
differenziano tra di loro e dall'albumina per caratteristiche biochimiche ed
immunologiche. La ligandina, il maggior componente del picco Y, è anche quella
dotata di maggiore affinità per la bilirubina ed è certo la più importante
proteina legante epatocitaria. Lega avidamente anioni organici, ormoni, farmaci:
costituisce il 5% del citosol proteico epatico, è indotta dal fenobarbital ed
è la glutatione-Stransferasi B con peso molecolare di circa 47.000 dalton. La
proteina del picco Z (1100 dalton) pare intervenire solo dopo saturazione della
proteina Y. La ligandina svolge in pratica nel citosol le stesse funzioni che ha
l'albumina nel trasporto plasmatico della bilirubina, compresa la funzione
protettiva verso distretti cellulari che sarebbero danneggiati dal contatto con
bilirubina libera da legame proteico. Così, ad esempio, la bilirubina in vitro
inibisce la respirazione mitocondriale e tale effetto può essere rimosso dalla
presenza di ligandina. Inoltre, pur non avendo una peculiare capacità di
regolare la captazione della bilirubina plasmatica (funzione del tutto
esercitata dalla membrana cellulare) lo stretto legame ligandina-bilirubina può
avere un'influenza sulla clearance come ostacolo posto al reflusso di bilirubina
dall'epatocita al plasma.
Nel
reticolo endoplasmatico la bilirubina non coniugata è convertita in derivati
idrosolubili per coniugazione covalente dei gruppi carbossilici del suo acido
propionico con acido glucuronico, glucosio, xilosio e forse solfati. Nell'uomo
è nettamente prevalente la coniugazione con acido glucuronico che avviene per
azione di un enzima microsomiale, l'uridindifosfoglicuroniltransferasi (UDP-gt)
presente, oltre che nell'epatocita, nella mucosa gastrointestinale,
nell'epitelio del tobulo prossimale renale e nella midollare e corticale del
surrene. Nelle sedi extraepatiche è possibile solo una monoglicuronazione di
quantità di bilirubina fisiologicamente trascurabile. L'enzima
UDP-glicuroniltransferasi, che è una proteina facente parte integrale di una
membrana fosfolipidica (tanto da essere inibita nella sua funzione da una
fosfolipasi), nell'epatocita, è presente nelle vescicole microsomiali in forma
parzialmente inattiva ed è probabilmente quello, tra numerosi altri sistemi di
glicuronil-transferasi (nel ratto ne sono stati identificati da 4 a 7), che ha
come selettivo substrato la bilirubina. L'attività glicuronil-transferasica è
determinabile su campioni di fegato, ottenibili anche per agobiopsia, ed è
stato così documentato che è molto bassa nel feto e che raggiunge i valori
dell'adulto normale solo verso la 15a settimana di vita; l'attività enzimatica
stessa è inducibile dal fenobarbital.
Due
sono le ipotesi sulla sequenza della coniugazione della bilirubina: a) che vi
siano in tempi successivi prima la formazione di un monoglucuronide con
riesterificazione a diglucuronide sempre per l'intervento dello stesso sistema
enzimatico UDP-glucuroniltrasferasi; b) che un diverso sistema enzimatico, una
dismutasi e precisamente la bilirubin-glucuronide glucuronil-transferasi,
esistente a livello della membrana canalicolare, sposti il gruppo glucuronico da
una molecola di monoglicuronide ad un'altra generando diglicuronide e bilirubina
non coniugata. Recenti ricerche su membrane canalicocolari isolate sembrano però
confortare l'ipotesi che un processo non enzimatico attivi un simile spostamento
di gruppo glicuronico. È
comunque il diglucuronide il principale composto bilirubinico della bile (85%)
anche se la frazione di monoglicuronide può incrementarsi in varie situazioni
di patologia epatica. Come sarà in seguito dettagliato, esistono numerose
sostanze (antibiotici, ormoni, vitamine) in grado di diminuire l'attività
UDP-gt.
Normalmente
per l'escrezione biliare il pigmento deve essere in forma coniugata e solo gli
eventuali fotoisomeri possono essere secreti in forma libera. Meno del 2% della
bilirubina è presente nella bile in forma libera, ma ciò avviene per
successive idrolisi di bilirubina secreta come coniugata. Non è chiaro il modo
di trasporto alla membrana canalicolare, ma un processo energia-dipendente che
può interessare il legame con la ligandina nel citosol e che ha la principale
responsabilità per l'iperbilirubinemia coniugata che compare in presenza di
lesione epato cellulare (esistono però nel danno parenchimale anche alterazioni
sia della captazione che della coniugazione). I carrier di membrana necessari al
processo secretorio sono comuni ad altri ioni organici come BSF, V.I. e mezzi di
contrasto iodato, mentre gli acidi biliari hanno un loro sistema diverso.
Nell'albero biliare la bilirubina forma aggregati micellari con fosfolipidi,
colesterolo, acidi biliari oppure si presenta da sola in aggregati
macromolecolari. Una volta giunta al piccolo intestino, a scarsa idrolisi da
parte di una beta-glicuronidasi dell'epitelio corrisponde riassorbimento
pressoché nullo. Solo con la mediazione della flora del colon può avvenire
l'ulteriore catabolismo del pigmento e formazione di una complessa serie di
tetrapirroli (40-280 mg/24 h) denominati nel loro insieme urobilinogeno che
viene eliminato in massima parte con le feci. Solo il 10-20% viene riassorbito
nel sangue portale e per il 90% tale quota è captata dal fegato. Solo una
piccola frazione equivalente a circa il 2% della produzione giornaliera sfugge
al fegato e viene eliminata con le urine.
Sulla
base di queste nozioni del metabolismo della bilirubina, una prima distinzione
tra gli itteri deve essere fatta tenendo conto del tipo di iperbilirubinemia
presente in circolo:
ittero
a prevalente bilirobina non coniugata
ittero
a prevalente bilirubina coniugata
Non
vi è ostacolo al deflusso biliare (iperbilirubinemia non colestatica) e la
percentuale di bilirubina libera nei riguardi della bilirubinemia totale è
molto elevata tanto che non si dovrebbe avere una diazotazione diretta maggiore
del 15% del totale della bilirubinemia sierica. Causa di iperbilirubinemia
libera sono alterazioni congenite ed acquisite che interferiscono con le tappe
metaboliche della bilirubinemia fino alla sua glicuronazione (tab.01
L'aumento
della formazione di bilirubina non coniugata, pressoché sempre conseguente ad
alterazioni eritrocitarie, può essere suddivisa in:
a)da
iperemolisi: per accelerata distruzione degli eritrociti circolanti (emolisi
intra- ed extra-vascolare). L'incremento della bilirubina libera che giunge al
fegato deve far innalzare la sua concentrazione plasmatica. Infatti la clearance
frazionaria di un fegato normale nei riguardi della bilirubina è pari al 5-6%,
indipendentemente dal carico e triplicando la produzione di bilirubina si arriva
ad un aumento di circa 1 mg%. Ciò rende anche conto di come raramente si giunga
ai 3-4 mg% necessari a rendere visibile un ittero. Di rado poi la produzione di
bilirubina eccede la capacità canalicolare di escrezione biliare e compare
allora anche iperbilirubinemia coniugata;
b)da
eritropoiesi inefficace: per prematura distruzione di globuli rossi o loro
precursori nel midollo. Tale fonte, che normalmente riguarda il 3% della
bilirubina libera, può incrementarsi in anemie megaloblastiche, anemie
sideropeniche e sideroblastiche, talassemia, intossicazione da Pb, porfiria
eritropoietica, eritroleucemia;
c)
da shunt: rara malattia familiare in cui sembra esistere come primitiva
alterazione un rapido turnover dell'eme epatico. Con quella da eritropoiesi
inefficace, la iperbilirubinemia da shunt costituisce il gruppo delle cosiddette
"bilirubine precocemente marcate".
a)per
inefficiente veicolazione al fegato: la bilirubina libera può non essere
completamente trasferita al fegato in situazioni di compromissione del circolo
come nello scompenso cardiaco congestizio, soprattutto il destro, o per
esistenza di shunt porto-sistemici come nella cirrosi epatica o negli shunt
porto-sistemici chirurgici;
b)
per competizione da esogeni col legame albuminico: diversi farmaci come
sulfonamidi, farmaci antiinfiammatori, mezzi di contrasto iodato per
colecistografia, idroclorotiazide, digossina, tolbutamide possono in modo
competitivo spiazzare la bilirubina dal suo legame con l'albumina. Anche gli
acidi grassi a catena lunga possono esercitare la stessa azione. Ciò, di scarsa
importanza nell'adulto, può assumere un significato importante negli itteri
neonatali-infantili per facilitazione del kernicterus. Sarebbe in questi casi
necessario poter avere un dosaggio della bilirubina non legata all'albumina ma
non esistono ancora metodiche applicabili.
(Intesa
come penetrazione della bilirubina libera all'interno dell'epatocita e
costituzione del legame con proteine specifiche del citosol per
immagazzinamento/trasporto).
Sindrome
di Gilbert. La sindrome di Gilbert viene attualmente considerata come un insieme
di quadri diversi di compromissione sia della captazione,
immagazzinamento-trasporto che della coniugazione della bilirubina con
accompagnamento (in circa il 60% dei casi) anche di un lieve grado di
iperemolisi. Sono stati infatti identificati almeno 4 tipi di sindrome di
Gilbert che hanno tutti in comune una diminuzione dell'attività della UDPG -
transferasi microsomiale e, talora, un certo grado di iperproduzione di
bilirubina, ma presentano inoltre l'associazione di un disordine familiare della
clearance bilirubinica, necessario all'espressione fenotipica della sindrome. Ciò
può rendere conto della variabilità di penetranza di un carattere, il difetto
di coniugazione, che sembra autosomico dominante essendone affetti circa il 40%
dei probandi.
L'appartenenza
ai quattro sottotipi, come è visibile in tab.02
È possibile riferire, oltre ad un comune difetto di coniugazione, al
tipo III, un difetto di captazione (20% dei casi) al tipo II (un altro 20% dei
casi) un probabile difetto di immagazzinamento, pur con valori di ligandina
normale, al tipo I (60% dei casi) una normalità della captazione e
dell'immagazzinamento. La sindrome di Gilbert, qui appunto inserita per
l'accertata presenza di un complesso difetto di captazione degli ioni organici,
è la più comune forma di iperbilirubinemia non coniugata congenita, con
frequenza dal 5 al 7%, a netta prevalenza maschile. Può essere geneticamente
correlata alla sindrome di Crigler-Najjar II (sindrome di Arias) per comparsa
delle due forme nello stesso nucleo familiare. L'entità della iperbilirubinemia
libera, che si presenta di solito alla 2a-3a decade della vita, è molto modesta
(da 1 a 7 mg%), l'andamento è benigno ed il fegato dei pazienti è normale
tranne qualche riscontro di iperplasia del reticolo endoplasmatico liscio alla
microscopia elettronica ed una non specifica deposizione di pigmento
lipofucsinico. La bile raccolta in duodeno dimostra un incremento della quantità
di bilirubina monoglucuronidata. La bilirubinemia è aumentata dallo stress, da
malattie intercorrenti, dall'ipertiroidismo, dal periodo mestruale e soprattutto
dal digiuno protratto (400 calorie/giorno per 2 giorni). Il digiuno agirebbe con
diversi meccanismi, diretti sull'attività epatica della UDPGtransferasi o
secondari alla idrolisi dei trigliceridi con liberazione di bilirubina presente
nel tessuto adiposo. Malgrado il notevole incremento che il digiuno protratto
induce (fino a triplicare i valori basali di bilirubinemia) ne viene ridotto
l'eventuale significato diagnostico per analogo comportamento del soggetto sia
normale che affetto da altre malattie epatobiliari. La somministrazione di acido
nicotinico e.v. anch'essa provoca iperbilirubinemia che non è presente in
soggetti splenectomizzati ed è ugualmente di scarsa utilità diagnostica. Nella
Sindrome di Gilbert la somministrazione di basse dosi di fenobarbital per circa
10 giorni provoca caduta dei valori di bilirubinemia dal 30% al 50%. Comunque il
riconoscimento di una sindrome di Gilbert è generalmente possibile per la
negatività degli indici di iperemolisi.
Da
sostanze esogene. Alcuni antibiotici (novobiocina, rifampicina), mezzi di
contrasto iodato, l'alcaloide della felce maschio acido flavaspidico, possono
competere nella fase di captazione-trasporto con la bilirubina non coniugata.
È da segnalare che la rifampicina oltre che competere con il trasporto
della bilirubina non coniugata dal polo cellulare sinusoidale alla sede
microsomiale della coniugazione, interferisce anche con la secrezione biliare
della bilirubina coniugata. Al contrario l'acido flavaspidico ha solo un'azione
competitiva per la ligandina.
Vi
è pressoché costante normalità dell'attività UDPG-transferasica per la
bilirubina in quasi la totalità delle situazioni di danno epatico cellulare
acuto e cronico e nelle malattie del tratto biliare. Una riduzione dell'attività
glucuroniltransferasica è quasi costante nei primi giorni di vita (ittero
fisiologico del neonato) e in corso di trattamento con alcuni antibiotici,
estrogeni, vit. K. Per i restanti casi il difetto di coniugazione ha origini
ereditarie come nella sindrome di Gilbert, nella sindrome di Crigler-Najjar I e
II e nell'ittero neonatale familiare transitorio. Per la sindrome di Gilbert in
cui l'alterazione riguarda tutti i sottotipi (I-II-III-IV) si rimanda alla
precedente esposizione.
Sindrome
di Crigler-Najjar tipo I. È
caratterizzata dalla totale assenza di UDPGtransferasi.
È presente in ogni razza, trasmessa come carattere autosomico recessivo.
Vi è una grave iperbilirubinemia non coniugata e nella bile vi sono solo tracce
di bilirubina o di monoconiugati non glicuronici della bilirubina. Non vi è
bilirubina nelle urine e l'urobilinogeno fecale è ridotto. La produzione di
bilirubina è normale così come sono normali i test epatici, la colecistografia
orale, la clearance della BSF e del V.I. Anche la biopsia epatica è normale
poiché qualche segno di colestasi canalicolare e duttale è presente solo in
soggetti trattati con fototerapia. Le feci non sono acoliche per diffusione di
bilirubina non coniugata dal circolo all'intestino. I genitori eterozigoti ed i
fratelli hanno bilirubinemia normale ma sono deficitari a coniugare carichi di
bilirubina libera. La risposta all'induzione da fenobarbital è quasi nulla.
Data la gravità della iperbilirubinemia (da 20 a 50 mg%) con oscillazioni in
meno (mesi estivi) o in più (malattie intercorrenti) che si manifesta
solitamente nei primi 3 giorni di vita, è inevitabile l'encefalopatia
bilirubinica (kernicterus) che conduce a morte in età infantile o
primo-adolescenziale.
Sindrome
di Crigler-Najjar tipo II o sindrome di Arias (1962). È una rara forma di cronica ma modesta
iperbilirubinemia dipendente da attività della bilirubinUDPG-transferasi
ridotta a meno del 10%. Del pari è ridotta la glicuronazione di altri agliconi.
Non è chiaro il rapporto con la sindrome di Gilbert ma sembra sia determinato
dal raddoppiamento di un allele che espresso singolarmente origina appunto la
sindrome di Gilbert. È
spesso infatti possibile riscontrare nello stesso gruppo familiare casi di
sindrome di C.N. II e di sindrome di Gilbert. Non è quindi ancora del tutto
accertato il tipo di trasmissione che però pare quello di un carattere
autosomico dominante a penetranza variabile pur essendo stata proposta una
ereditarietà di tipo autosomico recessivo. Il periodo d'esordio è variabile
potendo l'ittero comparire sia subito dopo la nascita (entro il primo anno) che
in età più avanzata (anche dai 20 ai 30 anni). Dato il minor incremento della
bilirubinemia libera (da 8 ad un massimo di 20 mg%) la gravità è contenuta e
la durata di vita nettamente maggiore con rarità di complicanze neurologiche.
Nella bile mancano i diglucuronoderivati della bilirubina ed essa, pur sempre
ridotta, è rappresentata solo da derivati monoglucoronidi. La funzione e
l'aspetto istologico epatico sono regolari. Per la presenza di un residuo di
attività dell'UDPGtransferasi vi è un netto calo della bilirubinemia in
risposta alla somministrazione di fenobarbital. Le caratteristiche cliniche
distintive della Sindrome di Gilbert e di Crigler-Najjar tipo I e II sono
riassunte nella tab.03
.
Ittero
fsiologico dei neonati. È
una iperbilirubinemia quasi totalmente di tipo non coniugato, costante nei primi
giorni di vita. Si può dire che tutti i neonati sono iperbilirubinemici ed il
50% sono itterici. I valori della bilirubinemia raramente eccedono i 5 mg% e
tendono a normalizzarsi entro dieci giorni dalla nascita. Solo in concomitanza
di situazioni di aumentata emolisi si possono avere incrementi del tasso
bilirubinemico con rischio di lesioni neurologiche.
La
patogenesi è legata ad immaturità del patrimonio enzimatico epatico con
ridotta attività glucuroniltransferasica. Non sarebbero estranei anche un basso
tasso di ligandina alla nascita, un aumento della produzione di bilirubina per
una diminuzione della vita media eritrocitaria del neonato, un aumento del pool
dei precursori eritrocitari nel midollo e nel sistema reticolo-istiocitario.
Talora possono esserci condizioni aggravanti quali l'uso di farmaci come
cloramfenicolo, novobiocina, vitamina K che di per sé possono provocare una
inibizione della glucuroniltransferasi.
L'ittero
fisiologico del neonato deve essere differenziato da un evento emolitico che più
frequentemente dipende da incompatibilità di gruppo sanguigno materno-fetale e
che può avere un'alta frequenza di-kernicterus. Anche l'assorbimento di
pregnan-3beta-20alfa-diolo attraverso il latte materno è capace di azione
inibitoria sull'enzima (brest-milk jaundice): compare ittero a bilirubina non
coniugata, anche di grado elevato, dal settimo al decimo giorno dalla nascita
con scomparsa dopo 24-72 ore dalla sospensione dell'allattamento materno. Anche
il grave ipotiroidismo può ritardare la maturazione della glucuroniltransferasi
e far prolungare per settimane o mesi dopo la nascita un quadro di ittero a
bilirubina libera.
1)senza
danno parenchimale né colestasi;
2)da
colestasi;
3)da
danno epatocellulare.
Sono
molto più frequenti nell'età adulta, di quelli a bilirubina indiretta e
costituiscono con l'avanzare dell'età la quasi totalità dei casi di ittero. In
genere la prevalenza della frazione diretta sull'indiretta è ben netta, e
quando vi siano percentuali quasi equivalenti delle due forme è bene ricercare
i segni di una eventuale iperemolisi. Nella grande maggioranza dei casi la
presenza di iperbilirubinemia direttamente reagente è uno specifico e sensibile
indice di malattia epatobiliare. Esistono però alcune situazioni congenite
(sindrome di Dubin-Johnson, sindrome di Rotor, difetto di accumulo intraepatico
di bilirubina) in cui ad un ittero a bilirubina prevalentemente coniugata non
corrisponde alcuna alterazione di tipo epatocitico o colestasico.
Per
tutti i restanti casi di ittero a bilirubina prevalentemente coniugata, si
riconoscono come cause o un primitivo danno epatocellulare o una primitiva
alterazione del flusso epato-biliare. Pur tenendo presenti le frequenti
sovrapposizioni dei due quadri con conseguenti valori intermedi della
maggioranza dei test utilizzabili e relativa difficoltà interpretativa, è
nella maggioranza dei casi possibile identificare i due tipi di ittero.
Sindrome
di Dubin-Johnson. Si tratta di un'anomalia che interessa i sistemi enzimatici
della membrana epatocitaria del canalicolo biliare, ereditaria, di tipo
autosomico recessivo. È due
volte più frequente negli uomini che nelle donne e particolarmente negli ebrei
di origine iraniana. L'ittero, fluttuante intorno a valori mai eccedenti i 10
mg/dl, è, per il 60% della bilirubinemia totale, costituito da bilirubina
coniugata; le fluttuazioni in aumento possono essere molto cospicue per
gravidanza, terapia estrogenica, interventi chirurgici, traumi. La comparsa
dell'ittero è, per la maggioranza dei casi, dopo i 20 anni e fino ai 40 anni.
Vi possono essere sintomi generali come nausea e talora vomito; frequente è
l'epatomegalia mentre manca il prurito e l'ALP è regolare così come la
colalemia e le transaminasi.
Causa
la mancata opacizzazione della colecisti in esame colecistografico può tuttavia
sospettarsi una coledoco-litiasi rendendo necessaria un'ecografia. L'esame
bioptico del fegato (quasi mai necessario per la diagnosi) dimostra
caratteristici depositi granulari lisosomiali brunastri presumibilmente di
origine catecolaminica. È
compromessa l'eliminazione biliare di anioni organici come estrogeni e mezzi di
contrasto iodato con normalità nei riguardi degli acidi biliari. Caratteristico
è il comportamento della BSF con regolare captazione e picco secondario di
risalita al 60°-90° minuto per drastica riduzione del Tm. È presente un'alterazione caratteristica del
metabolismo porfirinico: la coproporfirina III, che è un precursore della
sintesi dell'eme, rappresenta nel normale il 75% delle porfirine urinarie,
mentre il 25% è formato dalla coproporfirina I che è un derivato metabolico
dell'eme. Nella sindrome di Dubin-Johnson, pur rimanendo le coproporfirine
urinarie totali in ambito normale, vi è netta prevalenza di eliminazione di
coproporfirina I (80% del totale) per blocco della secrezione biliare della
coproporfirina III .
Sindrome
di Rotor e difetto di accumulo intraepatico di bilirubina. Sono sindromi
probabilmente identiche, ereditarie di tipo autosomico-recessivo, con difetto
non del tutto chiarito ma certamente riguardante la captazione e l'accumulo
epatocitario di anioni organici con modesto difetto della loro secrezione
biliare. Ciò è dimostrato dalla marcata diminuzione del decremento plasmatico
osservato nei primi minuti dopo carico di BSF, V.I, bilirubina libera
(coinvolgimento della captazione/accumulo), mentre la relativa riduzione (circa
50% dei valori normali) del Tm della BSF, pur non essendo tale da far comparire
la tipica risalita della sindrome di Dubin-Johnson, conferma l'alterazione
escretoria che causa l'iperbilirubinemia di tipo coniugato. La sindrome di Rotor
è rara, si manifesta in età infantile-adolescenziale, non ha prevalenza di
sesso. L'ittero, che non sale in gravidanza, si aggira sui 3-8 mg/dl con circa
il 60% di componente diretta. Assente l'epatomegalia; colemia, ALP, transaminasi
sono regolari; la colecisti si inietta normalmente con colecistografia; il
reperto istologico è regolare con assenza di pigmenti. Nelle urine vi è un
tipico aumento delle coproporfirine totali, con marcato incremento (fino a 20
volte) della coproporfirina I e più moderato aumento anche della coproporfirina
III. La cosiddetta "sindrome da difetto di accumulo intraepatico della
bilirubina" è un lieve ittero a bilirubina coniugata dell'età infantile
per tutto simile alla sindrome di Rotor tranne una maggior compromissione della
clearance della BSF ed una tardiva opacizzazione della colecisti dopo
colecistografia orale. In tab.04
Si
intende per colestasi una diminuzione della normale quantità di bile che
affluisce al duodeno. Sono compresi tutti i livelli anatomici di possibile
alterazione, dall'epatocita all'ampolla di Vater e la diminuzione del flusso
interessa tutti i componenti della bile. A seconda della sede anatomica
dell'alterazione causante l'ittero è possibile così suddividere gli itteri da
colestasi:
itteri
da colestasi - intraepatica - extraepatica
Se
per un'ostruzione delle maggiori malattie biliari la patogenesi della colestasi
è essenzialmente riferita a rigurgito sinusoidale dei componenti della bile per
ipertensione, più complesso è il meccanismo in caso di assenza di ostruzione
identificabile.
Possono
essere in causa una anomalia nella produzione dei sali biliari con correlata
ipertrofia del reticolo endoplasmico epatocitario; una diminuita attività del
sistema Na+-K+ ATPasico di membrana sia a livello sinusoidale con compromissione
della captazione dei sali biliari nel loro ricircolo sia a livello dei
microvilli dei canalicoli biliari con difetto di trasferimento di acqua e
bicarbonati nei canalicoli stessi; modificazioni del citoscheletro ed in
particolare dei microfilamenti di actina e delle tigth-junction. Ciò malgrado
in ogni caso di colestasi, ostacolo visibile o no, tende a presentarsi un quadro
morfologico abbastanza unitario con prevalenza di diminuzione numerica dei
canalicoli biliari, alterazioni o assenza dei microvilli, dilatazione dei
canalicoli che all'interno presentano accumuli di materiale elettrondenso. Anche
le alterazioni dei duttuli e dei dotti biliari (dilatazione e depositi di
pigmenti biliari nelle cellule dell'epitelio) e la componente flogistica
periduttale sono aspetto comune della colestasi protratta, comunque insorta, così
come è comune la possibilità di evoluzione verso la cirrosi biliare
secondaria.
È possibile quindi far riferimento ad un aspetto generale dell'ittero
colestatico che , qualora si presentasse in forma pura e completa, sarebbe
definito da: ittero a netta prevalenza di bilirubina coniugata; ipercolemia con
aumento delle frazioni triidrossilate dei sali biliari; aumento della ALP e
della gammaGT con sostanziale normalità delle aminotransferasi; aumento della
concentrazione plasmatica delle IgA; aumento dei valori plasmatici dei
fosfolipidi, del colesterolo totale, delle lipoproteine a bassa densità, specie
le LDL; possibile comparsa di LPX; feci acoliche; urine scure; deficit di
vitamina K, D3, A con eventuali segni clinici correlati; ipercupremia ed aumento
del deposito epatico del metallo; inoltre prurito, forse riferibile alla
ritenzione dei sali biliari, xantomi e xantelasmi se l'ipercolesterolemia si
prolunga, frequente epatomegalia.
Riconoscono
come meccanismo patogenetico un primitivo danno della membrana canalicolare e
del relativo apparato secretorio.
Estrogeni
(spesso come associazione a progestinici): in un piccolo gruppo di soggetti dopo
settimane o mesi di somministrazione può comparire prurito ed ittero a
bilirubinemia coniugata. In un maggior numero di casi può essere precocemente
presente alterata la clearance della BSF ed essere presente un modesto aumento
della fosfatasi alcalina. L'ittero scompare in breve dopo sospensione del
farmaco. È probabile una
componente genetica ed è tipica la morfologia con completa assenza di
infiammazione portale.
Steroidi
anabolizzanti (specie i 17-alfa-alchilati): l'ittero nella maggior parte dei
casi è dose-correlato ed è accompagnato da un aumento della fosfatasi
alcalina, non però costante. Raro è il prurito e morfologicamente vi è
colestasi canalicolare pura senza componente infiammatoria. Solitamente il danno
è reversibile ma è riportata associazione con carcinoma epato-cellulare.
Eritromicina
(più spesso come estolato di eritromicina): alla prima o seconda settimana di
terapia può comparire ittero a bilirubina coniugata con nausea, talora vomito,
dolore all'ipocondrio destro. È
una reazione di tipo idiosincrasico e morfologicamente oltre al quadro di
colestasi vi sono segni di infiammazione portale. 0ltre all'aumento della
fosfatasi alcalina può esserci anche un modesto incremento delle
amino-transferasi.
Clorpromazina
(ma anche altre fenotiazine): l'ittero può comparire nell'1% dei casi trattati.
In genere ciò avviene dalla prima alla quarta settimana di trattamento ma poiché
il meccanismo lesivo è prevalentemente idiosincrasico, non dose dipendente,
l'ittero può conseguire anche alla prima somministrazione del medicamento. Vi
è sintomatologia acuta costituita da febbre, rash cutaneo, poliartralgie,
dolore epigastrico con talora vomito; inoltre frequente eosinofilia, costante
elevazione della fosfatasi alcalina con poco movimento delle amino-transferasi.
Spesso l'ittero si prolunga anche dopo la sospensione del medicamento. Il quadro
morfologico è di colestasi con però marcata infiammazione periduttale e talora
necrosi epatocitaria parcellare.
Vi
sono poi numerosissimi altri farmaci che possono, raramente, provocare, in modo
acuto, ittero in prevalenza colestatico ma con più accentuata componente
infiammatorio-necrotica (cosiddette "epatiti colestatiche"). Alcuni
tra i più usati sono: sulfaniluree ad azione protratta come clorpropamide,
tolbutamide, carbutamide; antitiroidei come
metimazolo e tiouracile; chemioterapici ed antibiotici come trioleandomicina,
nitrofurantoina, oxacillina, dicloxacillina, meticillina,
trimetoprin-sulfametossazolo, FANS come indometacina e sulindac; cardioeuritmici
come aimalina. Tutti hanno in comune il meccanismo lesivo di tipo
idiosincrasico, non dose correlato, ed un quadro generale costituito da:
a)sintomatologia
generale di tipo variabile ma che spesso contempla anoressia, vomito,
poliartralgie, rash cutaneo, dolore epigastrico o all'ipocondrio destro, febbre,
prurito;
b)test
sierologici di colestasi con aumento della fosfatasi alcalina e talora della
gammaGT, della bilirubina coniugata, del colesterolo, degli acidi biliari con
meno marcato incremento delle aminotransferasi;
c)frequente
eosinofilia.
Compare
nell'ultimo trimestre, tende a recidivare ad ogni successiva gravidanza,
scompare dopo il parto. Vi è tendenza ad associarlo agli estrogeni che hanno un
incremento in quel periodo e di ritenerlo quindi geneticamente determinato come
nel caso dell'ittero da estro-progestinici. Il prurito è sempre presente,
particolarmente fastidioso alla notte, con elevazione costante della fosfatasi
alcalina (ma non della gammaGT), del colesterolo e dei trigliceridi. La
frequenza, almeno in Italia, è piuttosto rara e l'ittero di massima è lieve,
con bilirubinemia di 6-7 mg%. Il
fegato può essere modestamente ingrandito, le feci sono ipocoliche e le urine
color marsala.
Rara
forma usualmente familiare di ittero colestatico non correlato né a quello da
gravidanza né a quello da estrogeni. Insorge in età infantile-adolescenziale,
colpisce in maggioranza il sesso femminile ed è costituito da ricorrenti
attacchi di astenia, anoressia, steatorrea, prurito ed ittero a bilirubina
coniugata (di solito 10-20 mg%) con modesta epatomegalia, aumento della colemia
e della fosfatasi alcalina. Di regola non aumentano le aminotransferasi. Scarse
le alterazioni morfologiche dimostrabili durante le crisi che di solito durano
da una a cinque settimane.
In
alcuni rari casi è stata riscontrata anche infiltrazione portale e danno
epatocellulare con conseguente movimento delle amino-transferasi. Tra una crisi
e l'altra la funzione epatica è sempre del tutto regolare.
Deve
essere differenziato dalla più comune situazione di ittero post-operatorio in
cui intervengono molteplici fattori come iperemolisi, danno epatocitico,
ostacolo intra- ed extra-epatico al flusso biliare. Qui si considera l'ittero
che inizia alla seconda-terza giornata dopo interventi chirurgici gravi e
prolungati con bilirubina coniugata che può giungere ai 30-40 mg%, marcata
elevazione della fosfatasi alcalina, quasi assente movimento delle
amino-transferasi. Il reperto morfologico è di puro aspetto colestasico e la
patogenesi, non del tutto chiarita, è certamente riferibile all'ipossiemia,
all'ipotensione e alla sofferenza tubulare renale dovuta allo shock.
Ittero
con caratteri della colestasi intraepatica canalicolare può anche comparire
nell'1-2% nei casi di epatite acuta virale B, con aumento della fosfatasi
alcalina e poco evidente movimento delle transaminasi. Tale forma che compare in
genere nel decorso di una forma acuta all'inizio non differenziabile per
particolari caratteristiche, può ingenerare problemi diagnostici con forme
chirurgiche o con colestasi da medicamenti; nel periodo iniziale della cirrosi
biliare primitiva in cui però, in genere, prevalgono sull'ittero il prurito e
l'aumento della fosfatasi alcalina; in alcuni casi di morbo di Hodgkin senza che
vi sia dimostrabile infiltrazione del fegato né compressione dei dotti biliari
da coinvolgimento dei linfonodi ilari.
Sempre
a sede intraepatica ma a livelli più distali del canalicolo biliare vi possono
essere ostacoli al deflusso biliare e comparsa di ittero a bilirubina coniugata.
Si tratta di casi (circa il 40%) di colangite sclerosante secondaria e
primitiva; di soggetti affetti da cirrosi biliare primitiva in stadio di più
avanzata evoluzione della lesione duttale; di lesioni, specie se di volume
consistente o multifocali, da granulomi, tumori metastatici, linfomi, carcinoma
primitivo epatocellulare, litiasi e papillomatosi intraduttali. In tutti questi
itteri, che sono definiti come "itteri colestatici intraepatici
extralobulari", vengono conservati tutti i caratteri tipici dell'ittero
colestatico intraepatico e la diagnosi è per lo più perseguibile attraverso le
valutazioni specifiche delle varie malattie di base.
Riconoscono
come meccanismo patogenetico primitivo un aumento della pressione idrostatica a
livello dell'albero biliare. Quando tale pressione sale dai normali 15-25 cm di
H2O fino a raggiungere i 35 cm di H2O, la secrezione biliare è abolita e cessa
l'afflusso al duodeno di bilirubina e sali biliari (bile bianca). I dotti
biliari diventano ampi, tortuosi e delimitati da epitelio cuboidale; si
osservano precoci infiltrazioni flogistiche degli spazi portali e necrosi
epatocitarie focali con formazioni di laghi biliari. Si ha successiva
proliferazione dei dotti biliari, fibrosi portale con evoluzione fino alla
cirrosi biliare secondaria.
Come
già riferito nella descrizione generale della colestasi, una parte del quadro
clinico e soprattutto gli esami biochimici sierologici sono analoghi negli
itteri da colestasi intra- ed extra-epatica senza utilità per la
differenziazione delle due forme.
Esistono
però alcuni dati anamnestici ed ispettivi che rendono possibile la diagnosi in
una buona percentuale di casi. Malgrado tali aspetti siano già stati segnalati
in precedenza è utile qui ricordare che a favore di una ostruzione
extra-epatica sono l'eta più avanzata, la sede e il tipo del dolore, la
distensione della colecisti, la comparsa di febbre accompagnata talora da
brividi e con leucocitosi (colangitecolangiolite), una storia di pregressi
interventi sulle vie biliari, assenza di uso di farmaci sospetti. La
discriminazione è però principalmente affidata alla ricerca della dilatazione
del dotto epatico comune e delle vie biliari intra-epatiche che consegue alla
ostruzione biliare meccanica. Tale dilatazione è già presente nell'ostruzione
di tipo cronico prima ancora che si evidenzi l'ittero, mentre compare dopo circa
una settimana dall'instaurarsi di una ostruzione acuta. Viene usata in prima
istanza soprattutto l'ecografia e con minore frequenza la TAC. I due esami, di
equivalente valore discriminativo, non solo hanno un'accuratezza diagnostica
nell'individuare le forme extra-epatiche per oltre il 95%, ma permettono anche
di precisare in circa la metà dei casi la causa, e nel 65% dei casi il livello
dell'ostruzione. Ulteriori precisazioni della sede e causa sono ottenute da ERCP
e CPT soprattutto, in genere eseguite nell'ordine. Di possibile utilizzazione
sono anche l'epatocolescintigrafia, la RNM e, molto più raramente, la
laparoscopia (vedi esami strumentali nella parte generale).
Le
principali cause di colestasi extraepatica, pressoché in ordine di frequenza,
sono:
-
calcolosi delle vie biliari;
-
tumori maligni delle vie biliari;
-
carcinoma della testa del pancreas;
-
tumori benigni delle vie biliari;
-
adenopatie neoplastiche dell'ilo epatico;
-
pancreatiti;
-
cisti o ascessi;
-
diverticolosi duodenale;
-
parassitosi (ascaridiosi);
-
esiti fibrotici di interventi chirurgici sulle vie biliari;
-
flogosi delle vie biliari.
Il
meccanismo patogenetico è costituito sia da alterazioni funzionali degli
epatociti sia da sovvertimento strutturale del parenchima con perdita dei
normali rapporti tra epatociti e sistema sinusoidale-canalicolare. Il primo
meccanismo riguarda soprattutto le forme acute (epatiti acute), il secondo le
forme subacute e croniche (epatiti croniche, cirrosi). Oltre le funzioni
cellulari di captazione e coniugazione è anche sempre compromessa la funzione
escretoria, per danno cellulare diretto o edema. Anche in questo tipo di ittero
è quindi presente la colestasi che è però del tutto secondaria al primitivo e
prevalente danno cellulare globale. Ne consegue che un quadro generale di
riferimento a ittero da danno epatocellulare nettamente differenziabile da
quello degli itteri colestatici è per lo più individuabile solo nel danno
parenchimale acuto. Esso è costituito da un cospicuo incremento delle AST e
delle ALT, con quest'ultima che è in genere il più sensibile indice di
citolisi. Vi può anche essere aumento della LDH e della gammaGT. Gli acidi
biliari sierici sono raramente e scarsamente aumentati così come la fosfatasi
alcalina. Il prurito non è mai presente, la colesterolemia tende a diminuire e
non vi è risalita del tempo di protrombina dopo somministrazione parenterale di
Vitamina K.
Nella
tab.05
Le
più comuni entità nosologiche in cui si riscontra ittero da danno
epatocellulare sono:
Epatiti
acute virali
Da
virus epatitico A (che riguardano però una minoranza di soggetti essendo spesso
il decorso anitterico); da virus epatitico B, per circa il 10% dei soggetti
affetti; da virus epatitico D e da virus epatitico non A - non B circa con la
stessa frequenza. Anche in infezione da virus di Epstein-Barr può comparire
ittero in circa il 10% dei casi che hanno elevazione delle aminotransferasi;
questi ultimi rappresentano poco meno della metà di tutti i casi di
mononucleosi infettiva. Rari casi di ittero sono anche segnalati in infezioni da
Citomegalovirus e da Herpes simplex.
Epatite
acuta alcolica
In
soggetti alcolisti cronici già portatori di epatopatia può insorgere ittero a
poche ore dall'ingestione di alcolici con quadro di citolisi simile a quello di
epatite virale acuta ma con prevalente aumento delle AST sulle ALT. Vi sono
spesso sintomi generali quali nausea, vomito, febbre, dolori addominali che si
aggiungono a quelli della cirrosi epatica che frequentemente preesiste.
Epatiti
da farmaci
Consideriamo
alcuni dei farmaci che sono in grado di cagionare ittero per danno acuto
epatocitario simil-epatitico.
Isonazide:
ittero epatocellulare in circa l'1% dei casi trattati, con insorgenza rara prima
dei 20 anni e del 3% al di sopra dei 50 anni, agevolato dall'uso di alcolici. Il
quadro clinico è del tutto sovrapponibile a quello di una grave epatite virale
e compare con dosi normalmente terapeutiche del farmaco dopo circa tre mesi
dall'inizio della somministrazione. Il meccanismo lesivo è dovuto a metaboliti
tossici dell'isoniazide.
Metildopa:
compare ittero in meno dell'1% dei casi trattati, sia per ipersensibilità
individuale sia per metaboliti tossici. Vi è in genere un forte aumento
dell'aminotransferasi con fosfatasi alcalina quasi sempre normale.
Paracetamolo:
solo se ingerito a farti dosi (10 g) produce necrosi epatica centrolobulare per
esaurimento del glutatione. L'ittero insorge piuttosto tardivamente, in genere
dal terzo al quinto giorno dall'ingestione del medicamento ed è meno elevato di
quello che ci si aspetterebbe dall'altissimo valore delle AST e delle ALT.
Coesistono gravi alterazioni coagulative ed ipoglicemia.
Alotano:
l'ittero è più frequente nelle anestesie ricorrenti e nelle donne ed è
associato ad un danno epatico di tipo immunologico, con necrosi zonale o
diffusa. Compare in genere dai 7 ai 10 giorni dopo l'intervento preceduto da
nausea, vomito, febbre, leucocitosi con eosinofilia.
Valproato
di sodio: usato come anticonvulsivante procura elevazione delle aminotransferasi
in circa la metà dei soggetti; più raro è l'ittero che però talora si
accompagna a grave insufficienza epatica globale.
Tetracicline:
particolarmente nel III trimestre di gravidanza l'ittero può insorgere alla
somministrazione di tetracicline per e.v. o per os, in genere alla seconda-terza
giornata di terapia. Il quadro può essere quello di una grave insufficienza
epatica fino al coma.
Molti
altri farmaci sono stati segnalati come più rara causa di ittero di tipo
similepatitico: furosemide, acido chenodesossicolico, acido acetilsalicilico,
fenilbutazone, diclofenac, penicilline, sulfamidici, ticlopidina, vitamina K a
dosi tossiche, allopurinolo, cimetidina, verapamil, clofibrato ecc. Sono poi
solo da menzionare le note sostanze di derivazione industriale come ad es. CCl4,
fosforo, esaclorobenzene e le tossine fungine.
Epatiti
croniche - Cirrosi
In
corso di epatiti croniche o cirrosi di qualunque eziologia (eccetto che nella
cirrosi biliare primitiva) può presentarsi ittero con caratteristiche di danno
epatocellulare in varie fasi della malattia di base. Inoltre tale tipo di ittero
è associato a taluni casi di malattia di Wilson dell'età pediatrica ed
all'epatopatia da deficit di alfa1-antitripsina, ad insorgenza in età
neonatale. Anche in corso di scompenso cardiaco congestizio, prevalentemente
destro, è possibile l'insorgenza di ittero con caratteri dell'ittero
parenchimale.
La
differenziazione diagnostica degli itteri che compaiono nelle forme
sopraelencate, come già abbiamo detto, può non essere facile e completa,
considerando i dati di laboratorio elencati in tab.05
Nella
fig.02
Arias,
Jakoby, Popprt, Schachter, Shafritz eds., The Liver: Biology and Pathobiology,
Raven Press Ltd., New York, 1988.
Fegato e farmaci, Atti IV convegno annuale informazione epatologica, Cormons, 1986.
Kelley
W.N., Vermeulen J.P., Gallon J.L.: Approach to the patient with jaundice,
in “Text-book of Internal Medicine”. J.B. Lippincot ed., Philadelphia, 1989.
Pagliaro L., Gatto G., Maringhini A., Marceno M.P.,
Spinello M., Gozzo D.: Protocollo diagnostico degli itteri. Il
Fegato, 28, 59-73, 1982.
Scharschmidt
B.F., Goldberg J.I., Schmid R.: Current concepts in diagnosis approach to the
patient with cholestatic jaundice. N. Engl. J. Med. 1983, 308, 1515-18.
Scuro A., Vantini I.: Attualità in diagnostica e terapia delle malattie del fegato e delle vie biliari. Il Pensiero Scientifico ed., Roma, 1980.
Sherlock
D.S.: Patterns of hepatic injury in man, “Hepatology: A. Festschript
for Hans Popper”, Raven Press, New York, 1985.
Sleisenger M.H., Fordtran J.S.: Gastrointestinal disease: pathophysiology, diagnosis, management, Saunders W.B. Company, 1989.
E. Giangrandi
Primario di
Medicina F
Ospedale Maggiore
di San Giovanni battista
e della Città di
Torino
Sede Molinette, Torino.
P. Bertello
Aiuto di Medicina
Ospedale San
Giovanni Battista
e della Città di
Torino
Sede Molinette, Torino
TORNA ALL' HOME
PAGE CARLOANIBALDI.COM
Ultimo aggiornamento: 23.12.2002
mail to Webmaster
PILLOLE DI STORIA CONTEMPORANEA dal sito LA GRANDE CROCIATA |
L'Europa degli anni '20-'30 |
Il resto del mondo |
L'ascesa dei regimi |
Cronologia del Nazismo |
L'Europa in fiamme |
Il 1940 giorno per giorno |
Antisemitismo in Europa |
L'Olocausto |
I Lager |
La storia di Anne Frank |
La Campagna d'Italia |
Il D-Day |
6 Agosto |
I personaggi |
Le cartine |
Le cifre |
Links |
Filmati |
Collana monografica: |